CORTE DEI CONTI, SEZIONI RIUNITE - QUESTIONI DI MASSIMA - Sentenza 12 settembre 2000 n. 08/2000/QM - Pres. COCO, Est. SANTORO - P.M. BARRELLA
Corte Costituzionale - Sentenze - Retroattività - Rapporti esauriti - Nozione.
Pensioni di guerra - Diritto a pensione - Danni non patrimoniali - Sentenza Corte costituzionale 561/87 - Riapertura dei termini - Esclusione.
La c.d. retroattività delle pronunce di illegittimità costituzionale comporta l'inapplicabilità della norma ai soli rapporti esauriti, intendendo con tale espressione sia quelli che hanno trovato la loro definitiva ed irretrattabile conclusione sul piano processuale, mediante sentenza passata in giudicato, sia quelli rispetto ai quali sia trascorso il termine di prescrizione o di decadenza previsto dalla legge per l'esercizio dei diritti relativi, e ciò in quanto il vizio di illegittimità costituzionale, anche se ancora non dichiarato, non impedisce il decorso della prescrizione, costituendo una semplice difficoltà all'esercizio del diritto.
La sentenza della Corte Costituzionale n. 561 del 1987 - con cui è stata dichiarata l'incostituzionalità di alcune norme sulle pensioni di guerra, nella parte in cui non prevedono un trattamento che indennizzi danni anche non patrimoniali patiti dalle vittime di violenze carnali consumate in occasione di fatti bellici - non creando un nuovo diritto, non consente la riapertura dei termini di prescrizione e decadenza, già scaduti.
SENTENZA
sulle questioni di massima iscritte ai n. 106/SR/QM e 114/SR/QM del registro di Segreteria, deferite dalla Sezione giurisdizionale per il Lazio, rispettivamente con ordinanze n. 870/SR/QM e n. 209/2000 emesse il 7 ottobre 1999.
Vista l'ordinanza di rimessione n. 870/SR/QM depositata 18 novembre 1999, emessa nel corso del giudizio pensionistico di guerra n.05274/G su ricorso proposto dalla sig.ra A. F., elettivamente domiciliata in Roma, Circonvallazione Clodia 36/A, presso lo studio dell'Avv. Fabio Pisani.
Vista l'ordinanza di rimessione n. 209/2000 depositata il 26 aprile 2000
(Omissis)
Considerato in
DIRITTO
Le numerose questioni poste non sono tutte rilevanti ai fini della decisione dei casi concreti ed inoltre le questioni attinenti ai criteri di quantificazione del danno, quand'anche subordinate alla favorevole soluzione del primo gruppo di problemi, risultano già esaustivamente decise da queste stesse Sezioni Riunite con la decisione n. 89/C in data 2gennaio 1991, in ordine ai seguenti punti:
1) spetta alle competenti sezioni di procedere alla quantificazione del trattamento pensionistico di guerra a titolo di indennizzo di danni non patrimoniali, in presenza di una pronuncia negativa implicita;
2) per la quantificazione del trattamento occorre fare esclusivo riferimento alla normativa sulle pensioni di guerra, ivi comprese le tabelle allegate;
3) la quantificazione concreta un apprezzamento di fatto devoluto come tale all'autonomia di ogni singolo collegio giudicante.
In particolare devesi rilevare che per entrambe le fattispecie che hanno dato luogo alle ordinanze di rimessione non sono proponibili, per difetto di rilevanza, le questioni afferenti la necessità di una previa domanda ovvero di un provvedimento negativo implicito, rubricate sotto le lettere A) e B), risultando in atti che il ricorso è proposto contro una nota reiettiva di domanda avanzata dopo la pronuncia additiva di incostituzionalità n. 561 del 1987; parimenti non rilevante, per le stesse ragioni, appare la questione concernente l'ammissibilità di una domanda introdotta direttamente in sede di ricorso senza la previa richiesta all'amministrazione (lett. E).
Quest'ultimo problema tuttavia assume rilievo come problema sott'ordinato, relativamente al solo ricorso di cui all'ordinanza n. 209/200 (sig.ra D. G.), non tanto come autonoma questione di massima, ma piuttosto come fatto di esercizio del diritto, idoneo ad interrompere termini di prescrizione o decadenza della pretesa azionata.
Le questioni principali da risolvere prioritariamente in ordine logico sono quelle riguardanti l'azionabilità del diritto vantato, dopo la pubblicazione della sopravvenuta pronuncia di incostituzionalità (lett. C) ovvero quella alternativa della applicabilità della predetta pronuncia ai soli casi ancora pendenti (lett. D).
In proposito si dà atto che è stato evidenziato un certo contrasto soprattutto nell'ambito stesso della Sezione remittente, o quanto meno una certa incertezza degli effetti specifici della sentenza di incostituzionalità in relazione alla peculiarità del caso a fronte di orientamenti assunti da queste stesse Sezioni Riunite in fattispecie diverse, che rendono apprezzabile favorevolmente la sussistenza di presupposti minimali, idonei a dare ingresso ad una questione di massima (cfr. SR, 10 maggio 1999 11/QM, 16 luglio 1999 n. 22/QM e 12 aprile 2000 n.6/QM).
La problematica posta, tuttavia, non potrebbe non trovare una soluzione conforme ai principi affermati, da lunga data ed in maniera costante, in ordine agli effetti cosiddetti retroattivi "erga omnes" pronunce di incostituzionalità, qualunque ne sia la natura, sulle posizioni soggettive azionate o azionabili da soggetti estranei al giudizio nel corso del quale la questione di costituzionalità è stata sollevata.
Si premette che, trattandosi nel caso di fare applicazione di una normativa successiva all'entrata in vigore della Costituzione repubblicana, non è a far luogo di alcuna questione di nullità/annullabilità ma solo è predicabile l'inefficacia sopravvenuta della norma, e dei limiti o divieti da essa posti, quale effetto tipico delle pronuncia che ne dichiari l'incostituzionalità totale o parziale ai sensi dell'art. 136 Cost. e dell'art. 30, comma terzo, della legge 1 marzo 1953 n. 87.
E' pacifico che gli effetti delle pronunce di accoglimento, secondo le precisazioni dalla stessa Corte Costituzionale (sent. 29 dicembre 1966 n. 127 e 5 maggio 1967 n. 58) non sono paragonabili a quelli dello jus superveniens, poiché discendono dalla dichiarazione di invalidità che inficia sin dall'origine la disposizione impugnata con conseguente obbligo per giudici, avanti cui si invocano le norme dichiarate incostituzionali, di non applicarle, a meno che rapporti cui esse si riferiscono debbano ritenersi ormai esauriti in modo definitivo ed irrevocabile e non più suscettibili di alcuna azione o rimedio; a differenza dell'abrogazione, che non tanto estingue la norma quanto piuttosto ne delimita la sfera temporale di efficacia e quindi l'applicazione ai fatti verificatisi fino ad un certo tempo, la dichiarazione di incostituzionalità impedisce, dopo la pubblicazione della sentenza che le norme stesse siano comunque applicabili, fermo restando che la validità degli atti pregressi resta regolata dal principio tempus regit actum (sent. 2 aprile 1970 n. 49)
Da queste affermazioni può trarsi come primo corollario che la norma dichiarata incostituzionale dovrebbe essere disapplicata in tutti casi in cui potrebbe ancora trovare potenziale applicazione ovvero in tutti casi in cui, se la questione non fosse stata già sollevata, il giudice eventualmente adito potrebbe sollevarla.
Da questo effetto parzialmente retroattivo per rapporti iniziati prima della intervenuta pronuncia di incostituzionalità, ma non ancora definiti non potrebbe tuttavia trarsi la conseguenza di un effetto retroattivo pieno, fino a consentire la revoca o la modificazione dei rapporti già completamente esauriti in base all'ordinamento pregresso, con l'unica eccezione, prevista dall'ultimo comma del citato art. 30 della legge n 87/1953, per le sentenze irrevocabili pronunciate in applicazione della norma già dichiarata incostituzionale
La stessa Corte Costituzionale ha chiarito che il principio che suole essere enunciato con il ricorso alla formula della c.d. "retroattività" con riferimento ai rapporti sorti antecedentemente, vale solo per rapporti tuttora pendenti con conseguente esclusione di quelli esauriti che rimangono regolati dalla legge dichiarata invalida e che per rapporti esauriti devono certamente intendersi tutti quelli che sul piano processuale hanno trovato la loro definitiva ed irretrattabile conclusione mediante sentenza passata in giudicato, ma anche quelli rispetto ai quali sia decorso il termine di prescrizione o di decadenza previsto dalla legge per l'esercizio dei diritti relativi (sent. 7 maggio 1984 n. 139).
Tale enunciato è divenuto un orientamento costante sia per le sentenze di accoglimento che espungono dall'ordinamento una norma o un frammento di esse (incostituzionalità parziale) e sia per le sentenze interpretative di accoglimento cosiddette additive con cui viene integrato il contenuto precettivo del testo normativo, dichiarando la sua incostituzionalità nella parte in cui non prevede una determinata situazione sia attiva che passiva.
Anche nella ipotesi di pronuncia additiva deve infatti ritenersi che, nel sistema del controllo di costituzionalità delle norme con forza di legge la Corte Costituzionale esercita comunque una funzione giurisdizionale e non legislativa e che, pertanto, con la pronuncia additiva non crea propriamente norme nuove ma libera un contenuto presente già in nuce nella norma impugnata, ragion per cui il vizio di illegittimità costituzionale non ancora dichiarato costituisce una mera difficoltà all'esercizio di fatto del diritto assicurato dalla norma, ma non impedisce il decorso della prescrizione anche durante il periodo anteriore (Cass. Sez. lav. 21 gennaio 1998 n. 536 e 5giugno 1998 n. 5577).
Di tale criterio si è fatta ampia applicazione anche nel campo processuale penale quando si siano formate situazioni irrevocabili (Cass. 25 settembre 1997 n. 5305) ed è del tutto pacifico che debba essere seguito con riguardo a rapporti tributari, quando siano scaduti termini per contestare e ripetere la debenza di imposta già assolta (Cass., S.U., 9 giugno 1989 n. 2786 e 30 maggio 1997 n. 4867), nei rapporti previdenziali (Cass. 2 ottobre 1985 n. 1568, 1febbraio 1996 n. 891 e 25 marzo 1996 n. 2629) e più in generale per le situazioni giuridiche cristallizzate ed esaurite, divenute tali per mancata impugnazione di un provvedimento amministrativo divenuto definitivo (Cass. 6 luglio 1977 n. 2984 e 30 agosto 1996 n. 7983), ovvero per intervenuta decadenza o prescrizione (Cass. 28 luglio 1997 n. 7057, 30 maggio 1997 n. 4867, cit., 1 febbraio 1996 n. 891, cit.).
Ad identiche conclusioni si perviene quando l'incostituzionalità concerne una disposizione preclusiva od ostativa all'esercizio di un diritto la cui eliminazione, se pure operante ex tunc, non potrebbe giammai interessare rapporti esauriti, nel senso di cui innanzi (Cass. 11 agosto 1998 n. 7878).
Il principio della intangibilità dei rapporti esauriti è altresì costantemente seguito nei giudizi amministrativi quando si accerti che il ricorso proposto sia originariamente inammissibile (Cons. Stato, VI, 21 gennaio 1997 n. 99) e quando vi sia preclusione da giudicato ò siano spirati termini di prescrizione o decadenza, in quanto il vizio di costituzionalità non determina un impedimento legale, ma solo una difficoltà di fatto, per l'eventuale proposizione dell'azione giurisdizionale (Cons. Stato, VI, 27 maggio 1996 n. 740, 3 dicembre 1994 n. 1729, 12 maggio 1994 n. 758, luglio 1991 n. 401), ovvero quando il rapporto sia già definito perché derivante da atto amministrativo non più impugnabile ovvero manchi una contestazione pendente (Cons. Stato, IV, 27 agosto 1982 n. 576 e 16 novembre 1987 n. 906, e V, 10 novembre 1993 n.1155).
Queste stesse Sezioni Riunite (S.R. 28 novembre 1989 n. 636/A) hanno avuto occasione di ribadire, in una fattispecie di responsabilità amministrativa, che le sentenze additive della Corte costituzionale comportano la sostituzione della regola del decidere, con il limite dei rapporti esauriti, sebbene non identificabili nel mero fatto compiuto, quando sia mutato, per effetto della pronuncia stessa, il parametro normativo sanzionatorio; inoltre nella menzionata decisione 89/C in data 2 gennaio 1991, già assunta nella specifica materia che interessa, non mancano passaggi che evidenziano la necessità che la pronuncia negativa implicita debba essere comunque preceduta da una istanza tempestivamente presentata nel rispetto dei termini e delle procedure previste.
Da tutto ciò consegue, come corollario, che, una volta riconosciuto che la pronuncia di tipo additivo non crea un nuovo diritto ma libera le potenzialità già contenute nella disposizioni originarie, non è concepibile una riapertura dei termini di prescrizione o di decadenza esistenti, né tantomeno una remissione in termini a fini processuali, proprio perché non si è in presenza di un jus novum superveniens, ma solo di un adeguamento della situazione soggettiva riconosciuta in maniera più conforme alla Costituzione, sicché il decorso dei termini stessi non ne resta ab origine impedito (cfr. Cass. 21 gennaio 1998 n. 536 cit. Cons. Stato, VI, 10giugno 1992 n. 464, cit.).
Essendo questo il quadro dei limiti entro cui si ammettono gli effetti ex tunc delle pronunce di incostituzionalità ed in particolare di quelle interpretative di accoglimento di carattere additivo, la questione di massima in esame deve trovare coerente soluzione tenendo conto della normativa specifica della pensionistica di guerra.
I trattamenti pensionistici speciali riconosciuti a titolo risarcitorio ai soggetti che a causa della guerra abbiano subito una menomazione all'integrità fisica sono soggetti ad una serie di adempimenti e termini. Il diritto a chiedere la liquidazione del trattamento di guerra, spettante ai sensi del vigente art. 8, comma 1 del T.U. 23 dicembre 1978, n. 915, è soggetto, in via ordinaria, al termine di prescrizione di cinque anni dalla cessazione dal servizio di guerra o dal verificarsi degli eventi (art. 99 del medesimo T.U. n. 915/1978); la norma è stata ritenuta immune da vizi di costituzionalità stante l'esigenza di un tempestivo accertamento del fatto invalidante (C. Cost. 2 maggio 1985 n. 125).
Per agevolare inoltre il passaggio dal precedente regime, che consentiva la presentazione delle domande senza limite di tempo (cfr. art. 88 L. 18 marzo 1968 n. 313) al nuovo, è stato previsto (art. 127 T.U. 915/1978) un termine biennale di decadenza per tutti gli eventi verificatisi anteriormente all'entrata in vigore del menzionato T.U. n.915/1978.
Nessun termine è invece previsto per l'impugnativa dei provvedimenti emessi dall'amministrazione, dopo che è stata dichiarata (C. Cost. 25 giugno 1980 n. 97) l'incostituzionalità della norma (ari. 116 del T.U. n. 915/1978) che prevedeva un termine di 90 giorni; si è, tuttavia, ritenuto applicabile l'ordinario termine di prescrizione decennale (SR. 4 dicembre 1981 n. 53/A); le ulteriori modifiche della norma hanno confermato l'impugnabilità diretta, senza il previo ricorso gerarchico, "con salvezza del termine quinquennale di prescrizione del diritto" (art. 17 L. 6 ottobre 1986 n. 656, nel testo risultante dalla sentenza C. Cost 2 aprile 1992 n. 154); la predetta formula trova ora riscontro nell'art. 7 del D.P.R. 30 settembre 1999 n. 377, non essendosi ritenuto di poter accedere al suggerimento delle Sezioni Riunite di questa Corte in sede consultiva di prevedere espressamente un termine lungo di decadenza anche per le impugnative (S.R. 8 febbraio 1999 n. 7/D e Cons. Stato, Sez. atti normativi, 22 marzo 1999 n. 54).
In sintesi, una situazione soggettiva inerente a lesioni personali da fatto di guerra dà luogo a diritti il cui esercizio è sottoposto a termini di vario tipo e livello: il termine quinquennale per la constatazione del fatto invalidante, ove richiesta; il termine prescrizionale quinquennale come regola generale; il termine di decadenza biennale per le domande in regime di diritto transitorio; il termine di prescrizione ordinario per far valere in sede giurisdizionale la pretesa.
Trattandosi di termini perentori, il mancato tempestivo esercizio comporta, in via di principio, il consolidamento della situazione negativa o la definitività degli eventuali provvedimenti totalmente o parzialmente sfavorevoli adottati dall'amministrazione.
Tutto ciò implica che il rapporto pensionistico, per i quale siano trascorsi tutti termini di prescrizione e di decadenza, deve ritenersi esaurito e non riattivabile in base ad una sopravvenuta pronuncia di incostituzionalità, dei cui effetti l'interessato non potrebbe agevolarsi non potendo vantare una situazione pendente né un diritto attuale azionabile.
Diversa sarebbe la situazione ove si trattasse di diritto imprescrittibile (pensioni ordinarie) ovvero di ripristino dei precedenti diritti per rimozione di condizioni ostative (cfr. C. Conti, Sez. lI, 13 novembre 1997 n. 211/A riguardate il trattamento pensionistico di guerra di una vedova rimaritata).
Applicando tali principi ai casi che hanno dato origine alla questione di massima, non sussistendo alcun rapporto pendente alla data della intervenuta pronuncia di incostituzionalità per domanda pregressa in via amministrativa o in via giudiziale, non sussistono le condizioni affinché l'effetto additivo della sentenza possa operare ex tunc.
Va in proposito precisato che la predetta pronuncia n. 561 del 1987 risolveva in senso favorevole la questione di legittimità costituzionale afferente la limitazione dell'indennizzo per violenza carnale da fatto di guerra ai soli danni fisici con esclusione dei danni non patrimoniali e che la questione stessa era stata sollevata nel corso di un giudizio su ricorso contro il provvedimento reiettivo di una istanza di aggravamento della infermità per esiti di violenza, già indennizzata con assegno rinnovabile; la pronuncia non ha fatto altro che ampliare il quantum dell'indennizzo risarcitorio ai danni non patrimoniali conseguenti alle sofferenze ed ai perturbamenti psichici e correlativi danni morali derivanti dalla violazione di fondamentali valori di libertà e dignità della persona umana.
A questa fattispecie non è tuttavia riconducibile il caso oggetto della seconda ordinanza di rimessione (sig.ra D. G.), poiché l'interessata, pur vantando un precedente indennizzo da parte dell'Intendenza di Finanza di Latina, è ugualmente incorsa nella prescrizione e nella decadenza per non aver fatto valere il suo diritto, nuovo o maggiore che fosse, nei termini di legge di cui innanzi, ed inoltre, anche a voler ritenere implicitamente riconosciuta la subita violenza con il D.M. del 18 marzo 1968 -che tuttavia riguarda un indennizzo erogato al diverso titolo di danni di guerra deve ritenersi ugualmente esaurito il rapporto, essendo divenuto inoppugnabile, per decorso del termine prescrizionale ordinario, il riconoscimento indennitario, qualunque possa esserne il titolo, operato con il predetto decreto.
Ne consegue che, anche a voler ritenere che la concessione di un indennizzo limitato contenga l'implicito diniego di ulteriori e maggiori indennizzi a titolo di danni fisici e morali, il rapporto pensionistico potenziale deve del pari considerarsi esaurito, per essersi irreversibilmente consolidata, per decorso dei termini di prescrizione e decadenza, la situazione giuridica che l'interessata avrebbe potuto vantare facendola valere in giudizio anche con eventuale deduzione del vizio di illegittimità costituzionale.
Conclusivamente deve ritenersi che nell'uno e nell'altro caso manca una domanda attiva e valida, idonea a far considerare non esaurita la pretesa pensionistica, onde dare ingresso alla sopravvenuta più favorevole statuizione integrativa ed adeguatrice del giudice delle leggi nell'interpretare in maniera conforme alla Costituzione la normativa di base applicabile alle controversie in discussione.
Tutto ciò considerato le Sezioni riunite ritengono di poter risolvere le questioni poste, così come delimitate in premessa, nei seguenti termini:
1) la sentenza della Corte Costituzionale n. 561 del 1987 - con cui è stata dichiarata l'incostituzionalità di alcune norme sulle pensioni di guerra nella parte in cui non prevedono un trattamento che indennizzi danni anche non patrimoniali patiti dalle vittime di violenze carnali consumate in occasione di fatti bellici non opera sui rapporti esauriti intendendosi per tali, sul piano processuale, quelli definiti con sentenza passata in giudicato o con atto amministrativo divenuto inoppugnabile, e, sul piano sostanziale, quelli rispetto ai quali sia decorso il termine di prescrizione o decadenza;
2) l'effetto integrativo della predetta sentenza non crea un nuovo diritto e non è quindi idoneo a riaprire termini per esercitare il diritto ove già siano scaduti i relativi termini.
Sulle questioni di massima riguardanti la quantificazione del danno, sebbene ininfluenti ai fini delle controversie dedotte in causa, devono ritenersi ancora validi e non superati criteri già enunciati nella richiamata decisione n. 89/C in data 2 gennaio 1991.
Per le ragioni innanzi esposte non occorre pronuncia sulle altre questioni.
Per la particolarità della questione non è luogo a pronuncia per le spese.
P.Q.M.
La CORTE dei CONTI
SEZIONI RIUNITE
in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando, ai sensi dell'ari. 1, settimo comma, del D.L. 15 novembre 1993 n. 453, convertito nella legge 14 gennaio 1994 n. 19, sulle questioni di massima iscritte ai n.ri 106/SR/QM e 114/SR/QM del registro di Segreteria, deferite dalla Sezione giurisdizionale per il Lazio, rispettivamente con ordinanze n. 870/SR/QM deI 7 ottobre 1999 e n. 209/2000 del 7 ottobre 1999, dichiara che va data soluzione nei termini formulati nelle conclusioni della parte motiva.
Dispone la restituzione degli atti alla Sezione regionale per il Lazio, per la definizione delle controversie.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 12 luglio dell'anno 2000.
Depositata in Segreteria il 12 sett. 2000.