CONSIGLIO DI STATO, SEZ. III - Parere 16 aprile/8 maggio 2002 n. 847/2002 - Pres. Frascione, Est. Botto - Oggetto: Ministero dell'Economia e delle Finanze: parere facoltativo sull'efficacia della sentenza penale di assoluzione nell'ambito del procedimento disciplinare, alla luce delle modifiche apportate all'art. 653 c.p.p. dall'art. 1 della legge 27 marzo 2001, n. 97.
1. Pubblico impiego - Procedimento disciplinare - Rapporti con il procedimento penale - Fatti considerati irrilevanti in sede penale - Possono assumere rilievo in sede disciplinare.
2. Pubblico impiego - Procedimento disciplinare - Rapporti con il procedimento penale - Nuova disciplina introdotta dall'art. 1 L. n. 97/2001 - Efficacia delle sentenze penali che accertano il fatto "non costituisce illecito penale" - Nei confronti del procedimento disciplinare - Riguarda l'accertamento del fatto - Non impedisce la valutazione del fatto stesso in sede disciplinare.
1. Poichè i fatti accertati con la sentenza penale hanno come termine di valutazione le norme del codice penale, mentre quelli da accertare in sede disciplinare sono soggetti al disposto delle norme speciali dettate per stabilire i doveri dei pubblici dipendenti, la qualificazione degli stessi non sempre è sovrapponibile, nel senso cioè che un fatto penalmente irrilevante può avere delle conseguenze disciplinari anche di notevole incidenza sul rapporto d'impiego.
2. L'art. 653, 1° comma, del c.p.p., come modificato dall'art. 1 della L. 27 marzo 2001, n. 97, nel disporre che la sentenza penale irrevocabile di assoluzione ha efficacia nel giudizio per responsabilità disciplinare anche quando venga accertato che il fatto "non costituisce illecito penale", non è tale da paralizzare l'azione disciplinare della pubblica amministrazione, ma ha il solo scopo e la funzione di obbligare quest'ultima a ritenere avvenuti fatti e situazioni oggetto di accertamento da parte del giudice penale anche nell'ipotesi in cui il procedimento penale sia sfociato in una sentenza assolutoria "perché il fatto non costituisce reato" o "perché il fatto non è previsto dalla legge come reato". Tale norma, quindi, ha inteso solo estendere l'efficacia del mero accertamento in fatto eseguito dal giudice penale che si sia trovato ad adottare una decisione assolutoria dell'imputato, in armonia con i principi di economia dei mezzi giuridici, che impongono di non disperdere il patrimonio di acquisizioni rilevanti sub specie juris e di utilizzarlo nelle varie sedi ove ciò rilevi, ma non impedisce all'amministrazione di valutare in sede disciplinare i fatti accertati dal giudice penale (1).
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(1) Come si legge nella motivazione del parere in rassegna, con la novella all'art. 653, comma 1, c.p.p. introdotta dall'art. 1 della L. 27 marzo 2001, n. 97 (recante norme sul rapporto tra processo penale e procedimento disciplinare ed effetti del giudicato penale nei confronti dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche), il legislatore si è limitato ad estendere l'efficacia dell'accertamento eseguito in sede penale, notoriamente più ricco di strumenti di indagine e di mezzi probatori, anche ai fatti posti a fondamento di decisioni assolutorie sfociate in formule differenti da quelle "perché il fatto non sussiste" o "l'imputato non lo ha commesso".
Tale novella non preclude una valutazione degli stessi fatti in sede disciplinare, atteso che l'accertamento del fatto sfociato in una decisione assolutoria "perché il fatto non costituisce reato" o "perché il fatto non è previsto dalla legge come reato" ben può assumere una differente rilevanza in sede disciplinare, diversi essendo i presupposti per una decisione di condanna in questa sede.
Consiglio di Stato
Adunanza della Sezione terza del 16 aprile 2002
N° Sezione
847/02VISTA la relazione prot. n.3/4210/UCL del 6 marzo 2002, pervenuta il successivo 12 marzo, con cui il Ministero dell'Economia e delle Finanze ha chiesto il parere facoltativo del Consiglio di Stato in ordine all'affare in oggetto;
ESAMINATI gli atti e udito il relatore ed estensore, cons. Alessandro Botto;
Premesso
Il Ministero dell'Economia e delle Finanze, nel trasmettere una nota del Comando Generale della Guardia di Finanza - Ufficio Personale Ispettori, Sovrintendenti, Appuntati e Finanzieri - sottopone all'esame di questa Sezione l'interpretazione del novellato art. 653 del c.p.p., come modificato dall'art. 1 della L. 27 marzo 2001, n. 97, recante norme sul rapporto tra processo penale e procedimento disciplinare ed effetti del giudicato penale nei confronti dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche.
Come rilevato dalla suddetta nota, il disegno di legge che ha portato alla modifica del citato articolo 653 ha avuto come scopo principale e prioritario l'esigenza di estendere l'efficacia della sentenza penale di condanna anche al procedimento disciplinare, attraverso una previsione che comprendesse anche l'ipotesi di applicazione della pena su richiesta delle parti (cd. patteggiamento) di cui all'art. 444 c.p.p..
Ciò posto, il quesito in esame si preoccupa invece di evidenziare un ulteriore aspetto posto dalla modifica normativa in argomento.
L'intervento dell'art. 1 della legge n. 97 ha, infatti, comportato che la sentenza penale irrevocabile di assoluzione ha efficacia nel giudizio per responsabilità disciplinare anche quando venga accertato che il fatto "non costituisce illecito penale".
Il Ministero interessato chiede pertanto di conoscere se la modifica sopra evidenziata lasci spazi all'autonomo accertamento da parte della pubblica amministrazione in sede disciplinare dei medesimi fatti oggetto di giudicato penale e se al riguardo occorra operare una distinzione tra le formule asssolutorie annoverabili tra quelle di accertamento della irrilevanza penale del fatto contestato ("perché il fatto non costituisce reato" e "perché il fatto non è previsto dalla legge come reato").
Considerato
Ritiene la Sezione che il quesito vada esaminato partendo dal dato letterale della norma, nonché dai principi che la giurisprudenza ha enunciato sul rapporto tra il procedimento disciplinare e la sentenza penale di assoluzione.
La preclusione dell'azione disciplinare di cui all'art. 653 cpp (secondo il testo precedente alla novella) a seguito della sentenza penale irrevocabile di assoluzione trovava il suo presupposto non già nella formula assolutoria in sé considerata, bensì nella circostanza che, essendo la responsabilità disciplinare - accertata o da accertare - fondata sugli stessi fatti sottoposti alla cognizione del giudice penale, quest'ultimo avesse accertato che il fatto non sussisteva o che l'imputato non lo aveva commesso.
Ciò induceva a ritenere che, pur in presenza di formule assolutorie della sentenza penale, fosse dovere dell'Amministrazione tener conto non solo del dispositivo della sentenza, ma anche della relativa motivazione onde verificare, ai sensi dell'art. 530, primo comma, c.p.p., se la pronuncia si fondasse su un vero e proprio positivo accertamento di insussistenza del fatto ovvero traesse la sua ragion d'essere da una ritenuta situazione di carenza, insufficienza o contraddittorietà di prove in ordine alla sua sussistenza o alla sua ascrivibilità all'imputato.
Per cui, a seconda del grado di accertamento in termini negativi contenuto nella sentenza penale irrevocabile di assoluzione, la Pubblica Amministrazione rimaneva correlativamente condizionata ai fini dell'esperibilità dell'azione disciplinare.
L'elemento di novità introdotto dall'art. 1 della legge n. 97 del 2001 non attiene all'accertamento di una situazione oggettiva, ma è connaturato ad una qualificazione normativa di un fatto. E tale qualificazione ha una sua connotazione precisa e circoscritta: il fatto non costituisce illecito penale, o perché non è previsto dalla legge come reato o perché il fatto non costituisce reato.
Diversamente dall'opinione espressa dal Ministero interessato la suddetta dicotomia non sposta i termini della questione, atteso che il problema da risolvere è connaturato soltanto alla valenza del giudicato penale nell'ambito del giudizio disciplinare, ancora da compiere.
Posto che i fatti accertati con la sentenza penale hanno come termine di valutazione le norme del codice penale, mentre quelli da accertare in sede disciplinare sono soggetti al disposto delle norme speciali dettate per stabilire i doveri dei pubblici dipendenti e che, quindi, la qualificazione degli stessi non sempre è sovrapponibile, nel senso cioè che un fatto penalmente irrilevante può avere delle conseguenze disciplinari anche di notevole incidenza sul rapporto d'impiego, appare evidente che la situazione a livello di principi generali non sia stata affatto intaccata dalla novella dell'art. 653 del c.p.p..
Secondo un'interpretazione logico sistematica che risulti essere la più coerente e compatibile con i principi generali sopra enunciati, l'elemento aggiuntivo (che interessa ai fini in esame) inserito nel nuovo testo dell'art. 653, comma 1, c.p.p. non è tale da paralizzare l'azione della pubblica amministrazione, bensì ha il solo scopo e la funzione di obbligare a ritenere avvenuti fatti e situazioni oggetto di accertamento da parte del giudice penale anche nell'ipotesi in cui il procedimento penale sia sfociato in una sentenza assolutoria "perché il fatto non costituisce reato" o "perché il fatto non è previsto dalla legge come reato".
In altre parole, il legislatore si è limitato ad estendere l'efficacia dell'accertamento eseguito in sede penale, notoriamente più ricco di strumenti di indagine e di mezzi probatori, anche ai fatti posti a fondamento di decisioni assolutorie sfociate in formule differenti da quelle "perché il fatto non sussiste" o "l'imputato non lo ha commesso".
Né tale soluzione interpretativa comporta un rischio di paralisi per l'azione amministrativa, atteso che l'accertamento del fatto sfociato in una decisione assolutoria "perché il fatto non costituisce reato" o "perché il fatto non è previsto dalla legge come reato" ben può assumere una differente rilevanza in sede disciplinare, diversi essendo i presupposti per una decisione di condanna in questa sede.
Né, infine, si può operare una distinzione al riguardo tra le due formule assolutorie in esame ("perché il fatto non costituisce reato" e "perché il fatto non è previsto dalla legge come reato"), atteso che in entrambi i casi residuano in sede disciplinare margini di autonomo e differente apprezzamento degli stessi fatti, come d'altronde finisce con l'ammettere al stessa Amministrazione riferente.
In sostanza, la novella legislativa in esame ha inteso solo estendere l'efficacia del mero accertamento in fatto eseguito dal giudice penale che si sia trovato ad adottare una decisione assolutoria dell'imputato, in armonia con i principi di economia dei mezzi giuridici, che impongono di non disperdere il patrimonio di acquisizioni rilevanti sub specie juris e di utilizzarlo nelle varie sedi ove ciò rilevi.
Pertanto, ritiene la Sezione che tale sia l'interpretazione da assegnare all'art. 653 c.p.p., nella parte in cui disciplina gli effetti della sentenza penale di assoluzione nell'ambito del procedimento disciplinare.
P.Q.M.
nel senso sopraindicato è il parere della Sezione.
Il Presidente
(Emidio Frascione)
L'estensore
(Alessandro Botto)
Così deciso nell'Adunanza del 26 marzo 2002.
Depositato in cancelleria l'8 maggio 2002.