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CONSIGLIO DI STATO, SEZ. IV - Sentenza 2 giugno 1999 n. 963 - Pres. De Lise, Est. Poli - A.N.A.S. Ente nazionale per le strade (Avv.ra Stato) c. Sotecni s.p.a. (Avv. Izzo) (conferma T.A.R. Lazio, Sez. III, 27 ottobre 1998 n. 2827).

Nel giudizio di appello è inammissibile l'acquisizione di nuove prove al di fuori di gravi ed eccezionali motivi che non ne abbiano consentito la produzione in primo grado (1).

L'inammissibilità di nuove prove nel giudizio di appello vale non solo per le parti privale, ma anche per l'amministrazione, sia che agisca come resistente, sia che assuma la veste di ricorrente, incombendo anche su di essa l'onere di produrre subito tutti gli atti relativi alla controversia (2).

A seguito dell'art. 345 c.p.c., sostituito dall'art. 52 della L. 26 novembre 1990, n. 353, applicabile ai giudizi instaurati (anche innanzi al Giudice amministrativo) successivamente al 30 aprile 1995, il giudizio di appello si è in linea di massima trasformato da novum iudicium a revisio prioris istantiae.

Se l'oggetto del giudizio di appello è - almeno tendenzialmente, ossia in quanto le domande e le eccezioni siano riproposte - tutto quello del giudizio di primo grado, il principio del doppio grado di giurisdizione vuole che tale oggetto sia solo quello del giudizio di primo grado. Perciò non sono ammesse nuove domande in appello, ad eccezione di quelle che costituiscono uno svolgimento logico e cronologico di domande già proposte.

La violazione del divieto di domande nuove in appello può essere rilevata anche d'ufficio, nel senso che le domande nuove vanno dichiarata inammissibili. La rilevabilità d'ufficio esclude che tale inammissibilità possa essere superata dalla c.d. accettazione del contraddittorio nel caso in cui l'altra parte non abbia sollevato l'eccezione e si sia difesa nel merito della domanda nuova (3)

L'applicazione degli esposti principi vuole che non siano proponibili neppure nuove eccezioni, poiché anche queste allargano l'oggetto del giudizio; tant'è che il nuovo testo dell'art. 345 c.p.c., 2° comma, stabilisce che "non possono proporsi nuove eccezioni che non siano rilevabili anche d'ufficio" (4).

Emblematica, infine delle modificazioni verificatesi, con riguardo all'offerta di nuovi mezzi di prova, del contenuto del terzo comma dell'art. 345 c.p.c.: esclusa nel testo originario del codice, consentita con la novella del 1950 e nuovamente esclusa dal nuovo terzo comma. Quest'ultima disposizione (pacificamente applicabile al processo amministrativo in mancanza di una norma diversa e comunque coerente col principio dispositivo che lo innerva), dopo aver enunciato la suddetta inammissibilità di nuovi mezzi di prova, ad eccezione del giuramento decisorio (non deferibile, per altro, in un giudizio avente ad oggetto interessi legittimi), formula una riserva per l'ipotesi che il collegio li ritenga "indispensabili ai fini della decisione della causa ovvero che la parte dimostri di non aver potuto proporli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile".

Rientrano così nell'ampia formulazione della norma sia i casi di scoperta tardiva (ipotesi nella specie insussistente); sia quelli in cui siano venuti meno la forza maggiore o il fatto dell'avversario che rendevano impossibile la deduzione della prova (anche questa ipotesi non ricorrente nel caso di specie), sia ancora la possibilità di dimostrare la falsità delle prove, in base alle quali si è giudicato in primo grado. Lo stesso è a dire per la prova documentale, ancorché appartenente alla categoria delle prove precostituite. Solo quella nuova, e nei rigorosi limiti divisati dall'art. 345 c.p.c., potrà essere per la prima volta esibita nel giudizio di appello.

La possibilità che il metodo inquisitorio (per le caratteristiche peculiari del giudizio amministrativo ordinario di legittimità), attenui il principio dispositivo in ordine all'esatta individuazione del thema probandum, vale solo per il giudizio di primo grado; e certamente non potrebbe consentire alla parte, nei cui confronti è stata infruttuosamente ordinata l'esibizione di un documento (a mente del combinato disposto degli art. 116 e 210 c.p.c.), di produrre lo stesso, per la prima volta, in grado di appello, nonostante che sia la stessa parte ad aver avuto la piena ed esclusiva disponibilità del documento fin dall'inizio del giudizio di primo grado.

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(1) Cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 19 luglio 1996, n. 956; id., 1 marzo 1995, n. 212; Sez. IV, 7 dicembre 1990, n. 961; id, 28 ottobre 1986, n. 684.

(2) Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 2 novembre 1998, n. 1569; id., 15 luglio 1998, n. 1045.

(3) Cfr., da ultimo, Cass. 26 agosto 1997, n. 7996

(4) Cfr. negli esatti termini, Cons. Stato, Sez. IV, 30 giugno 1998, n. 1005, id., 6 marzo 1996, n. 292.

 

 

FATTO

Con ricorso notificato il 2 febbraio 1999, l'A.NA.S. Ente nazionale per le strade, proponeva appello avverso la sentenza del T.AR. per il Lazio sezione terza, n. 2827 dei 1998, con cui veniva accolto il ricorso proposto dalla Sotecni s.p.a., in proprio e quale mandataria dell'A.T.I. costituenda con Te.I.Co. s.r.l., Co.Re. s.r.l. e l'ing. Angotti, nei confronti dei provvedimenti di esclusione dalle gare per l'affidamento di incarichi di progettazione esecutiva dell'Autostrada Salerno Reggio Calabria, relativamente ai lotti D.G. 61/97 e 66/97.

Si costituiva la Sotecni s.p.a. in proprio e nella qualità di mandataria dell'A.T.I. sopra descritta, deducendo l'infondatezza del gravame in fatto e diritto.

Con ordinanza collegiale n. 603 del 16 marzo 1999, veniva accolta la domanda di sospensione dell'esecuzione dell'impugnata sentenza.

La causa è passata in decisione all'udienza pubblica del 27 aprile 1999.

DIRITTO

1. L'appello è infondato e deve essere respinto.

2. L'impresa appellata ha impugnato in primo grado due provvedimenti di esclusione dalle corrispondenti gare indette dall'A.N.A.S. per l'affidamento della progettazione esecutiva dell'Autostrada Salerno - Reggio Calabria, relative ai lotti D.G. 61/97 e 66/97.

Il motivo di esclusione era ravvisato nella mancanza delle sottoscrizioni di ciascun prestatore d'opera professionale in calce alla relazione tecnica allegata all'offerta, come imposto dalla lettera di invito;

Con sentenza non definitiva n. 1927 del 30 luglio 1998 (deliberata nella camera di consiglio del 29 luglio 1998), emanata inter partes, il Tar per il Lazio, per quanto qui interessa, ordinava all'A.N.A.S. di depositare le relazioni tecniche in esame, onde controllare la mancanza delle sottoscrizioni, circostanza questa che veniva contestata dalla ricorrente.

Veniva fissata la camera di consiglio del 24 settembre 1998 per il prosieguo della trattazione.

In tale udienza non veniva depositata la richiesta relazione tecnica, conseguentemente il giudice di prime cure, traendo argomenti di prova ex art. 116, secondo comma, c.p.c. dalla mancata esibizione del documento richiesto, accoglieva il ricorso pronunciando l'impugnata sentenza, nello spirito acceleratorio che informa la trattazione dei giudizi in materia di opere pubbliche, secondo le previsioni dell'art. 19 L. n 135 del 1997.

Avverso tale sentenza ha proposto appello l'A.N.A.S. contestando la condanna dell'ente "... per motivi di carattere procedurale, applicando l'art. 116 c.p.c. (e senza tener conto del pieno periodo estivo), mentre sul piano amministrativo l'operato della Commissione. . . risulta immune da censure" (cfr. pagina 7 dell'atto di appello).

Al momento della costituzione in giudizio avvenuta nella segreteria di questa sezione in data 12 febbraio 1999, l'appellante ometteva ancora di depositare le due relazioni tecniche.

All'udienza camerale del 16 marzo 1999, fissata per la trattazione dell'incidente cautelare a mente dell'art. 33 L. n. 1034 del 1971 l'appellante esibiva una sola relazione tecnica, inerente al lotto D.G. 61/97, effettivamente priva delle sottoscrizioni autografe dei prestatori d'opera professionale interessati alla progettazione.

3. Con memoria depositata il 21 aprile 1999, l'impresa appellata ha eccepito la tardività del deposito documentale effettuato dalla controparte in quanto integrante il concetto di prova nuova.

La fattispecie processuale oggetto del presente giudizio si è svolta interamente sotto il vigore del nuovo testo dell'art. 345 c.p.c., sostituito dall'art. 52 della L. 26 novembre 1990 n. 353, applicabile ai giudizi instaurati successivamente al 30 aprile 1995.

L'articolo in esame è stato modificato nel dichiarato intento, risultante dai lavori preparatori, di armonizzare la disciplina del c.d. ius novorum in appello con il sistema delle preclusioni introdotto per il primo grado, realizzando una tendenziale trasformazione del processo di secondo grado da novum iudicium a revisio prioris istantiae.

Se l'oggetto del giudizio di appello è - almeno tendenzialmente, ossia in quanto le domande e le eccezioni siano riproposte - tutto quello del giudizio di primo grado, il principio del doppio grado di giurisdizione vuole che tale oggetto sia solo quello del giudizio di primo grado. Perciò non sono ammesse nuove domande in appello, ad eccezione di quelle che costituiscono uno svolgimento logico e cronologico di domande già proposte.

La violazione del divieto di domande nuove in appello può essere rilevata anche d'ufficio, nel senso che le domande nuove vanno dichiarata inammissibili.

La rilevabilità d'ufficio esclude che tale inammissibilità possa essere superata dalla c.d. accettazione del contraddittorio nel caso in cui l'altra parte non abbia sollevato l'eccezione e si sia difesa nel merito della domanda nuova (cfr. da ultimo Cass. 26 agosto 1997, n. 7996); d'altronde quest'esigenza è vieppiù sentita nel processo amministrativo classico, incentrato sulla deduzione tempestiva dei vizi di legittimità riscontrabili nell'atto amministrativo impugnato in prime cure (cfr. negli esatti termini sotto l'imperio del novellato art. 345 c.p.c., sez. IV, 19 marzo 1998, n. 454).

L'applicazione dei principi veduti vuole che non siano proponibili neppure nuove eccezioni, poiché anche queste allargano l'oggetto del giudizio; tant'è che il nuovo testo dell'art. 345 c.p.c., 2° comma, stabilisce che "non possono proporsi nuove eccezioni che non siano rilevabili anche d'ufficio" (cfr. negli esatti termini, Sez. IV, 30 giugno 1998, n. 1005, id., 6 marzo 1996, n. 292).

Emblematica, infine delle modificazioni verificatesi, con riguardo all'offerta di nuovi mezzi di prova, del contenuto del terzo comma dell'art. 345 c.p.c.: esclusa nel testo originario del codice, consentita con la novella del 1950 e nuovamente esclusa dal nuovo terzo comma.

Quest'ultima disposizione (pacificamente applicabile al processo amministrativo in mancanza di una norma diversa e comunque coerente col principio dispositivo che lo innerva), dopo aver enunciato la suddetta inammissibilità di nuovi mezzi di prova, ad eccezione del giuramento decisorio (non deferibile, per altro, in un giudizio avente ad oggetto interessi legittimi), formula una riserva per l'ipotesi che il collegio li ritenga "indispensabili ai fini della decisione della causa ovvero che la parte dimostri di non aver potuto proporli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile".

In generale si ritiene che siano da considerare indispensabili i mezzi di prova diretti alla dimostrazione di fatti nuovi che vengano allegati per 1a prima volta in appello (circostanza questa che non ricorre nel caso di specie), in deroga al divieto dei nova.

Rientrano così nell'ampia formulazione della norma sia i casi di scoperta tardiva (ipotesi nella specie insussistente); sia quelli in cui siano venuti meno la forza maggiore o il fatto dell'avversario che rendevano impossibile la deduzione della prova (anche questa ipotesi non ricorrente nel caso di specie), sia ancora la possibilità di dimostrare la falsità delle prove, in base alle quali si è giudicato in primo grado.

Lo stesso è a dire per la prova documentale, ancorché appartenente alla categoria delle prove precostituite.

Solo quella nuova, e nei rigorosi limiti divisati dall'art. 345 c.p.c., potrà essere per la prima volta esibita nel giudizio di appello.

Viceversa, sarebbe frustrata la necessità avvertita dal legislatore di restituire al giudizio di appello la natura di controllo e di innovazione del giudizio di primo grado sulla base dei medesimi elementi (revisio prioris istantiae), eliminando quei tratti spuri che lo avevano avvicinato ad una sorta di prosecuzione di quel giudizio.

Proprio in questa ottica si apprezzano pienamente le più recenti affermazioni di questo Consiglio in ordine alla impossibilità di allargare il thema probandum in fase di gravame.

"L'inammissibilità di nuove prove nel giudizio di appello vale non solo per le parti privale ma anche per l'amministrazione, sia che agisca come resistente sia che assuma la veste di ricorrente, incombendo anche su di essa l'onere di produrre subito tutti gli atti relativi alla controversia" (cfr. sez. V, 2 novembre l998, n. 1569; 15 luglio 1998, n. 1045).

"Nel giudizio di appello è inammissibile l'acquisizione di nuove prove al di fuori di gravi ed eccezionali motivi che non ne abbiano consentito la produzione in primo grado" (cfr. sez. VI, 19 luglio 1996, n. 956; id., 1 marzo 1995, n. 212, sez. IV, 7 dicembre 1990, n. 961; id, 28 ottobre 1986, n. 684).

La possibilità che il metodo inquisitorio (per le caratteristiche peculiari del giudizio amministrativo ordinario di legittimità), attenui il principio dispositivo in ordine all'esatta individuazione del thema probandum, vale, infatti, solo per il giudizio di primo grado; e certamente non potrebbe consentire alla parte, nei cui confronti è stata infruttuosamente ordinata l'esibizione di un documento (a mente del combinato disposto degli art. 116 e 210 c.p.c.), di produrre lo stesso, per la prima volta, in grado di appello, nonostante che sia 1a stessa parte (nella specie l'A.N.A.S.) ad aver avuto la piena ed esclusiva disponibilità del documento fin dall'inizio del giudizio di primo grado.

Inconferente appare, infine, l'affermazione contenuta nell'atto di appello, secondo cui il periodo estivo avrebbe reso impossibile la produzione in giudizio dell'atto richiesto (l'amministrazione ha avuto circa due mesi di tempo per l'incombente); tale giustificazione, all'evidenza, non integra il requisito del fatto non imputabile come richiesto dalla norma su richiamata, del fatto, cioè, idoneo alla rimessione in termini, perché imperniato sulla non imputabilità della ragione della decadenza.

4. In considerazione delle sue esposte argomentazioni l'appello deve essere respinto, ma, sussistendo equi motivi, le spese del grado possono essere compensate integralmente fra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione quarta):

- respinge l'appello proposto, e per l'effetto conferma la sentenza indicata in epigrafe;

- dichiara integralmente compensate fra le parti le spese del presente grado di giudizio.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

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