CONSIGLIO DI STATO - SEZIONE IV -
Sentenza 31 agosto 1999 n. 1371 - Pres. Catallozzi, Est.
Barra Caracciolo - Fanucci c. Ministero di Grazia e Giustizia, Consiglio
Superiore della Magistratura ed altro.
Pubblico impiego - Magistrati - Conferimento
ufficio direttivo - Diniego - Per pendenza di procedimento penale - Illegittimità.
E'
illegittimo il provvedimento con il quale si nega il conferimento ad un incarico
direttivo ad un magistrato facendo riferimento alla circostanza che nei
confronti dello stesso era pendente un procedimento penale (1).
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(1) Ha osservato in particolare il CdS che non esiste alcuna disposizione che impedisca il conferimento di incarichi direttivi in pendenza di un procedimento penale, a differenza di quanto espressamente stabilito dall'art. 21, comma 2, della legge 12 novembre 1955, n. 1137, "che per l'avanzamento degli ufficiali prevede che «non può essere valutato per l'avanzamento l'ufficiale che sia sottoposto a procedimento penale o disciplinare...»: la disposizione ordinamentale così espressa si connota di specialità e rafforza la positiva conclusione che un parallelo meccanismo per i magistrati esiga una corrispondente previsione".
Con la sentenza in epigrafe, il Tar Lazio ha respinto il ricorso proposto dal dott. Vincenzo Fanucci, magistrato di cassazione con funzione di Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Macerata, per l'annullamento del d.p.r. 15 maggio 1997 di attribuzione al dott. Piero Poggi dell'ufficio di Procuratore generale della Repubblica presso la Corte d'appello di Ancona e della presupposta delibera del Consiglio Superiore della Magistratura del 16 aprile 1997, nonché del parere del Consiglio giudiziario presso la stessa Corte d'appello e altri atti presupposti, atti mediante i quali veniva negativamente valutata la posizione del medesimo Fanucci ai fini dell'attribuzione del detto ufficio.
Appella l'interessato deducendo i seguenti motivi:
A) Violazione di legge e in particolare
degli artt. 11 L. n. 195/1958, e 19 L. n. 831/1973, r.d.lgs. n. 511/1946.
Manca una norma che consenta di non valutare, per pendenza di un procedimento penale, la posizione di un magistrato ai fini del conferimento di un incarico direttivo: neppure la condanna per un delitto non colposo avrebbe tale effetto preclusivo di automatico arresto della carriera.
Erra il Tar a ritenere perciò esistente ex se un'indubbia rilevanza del procedimento penale pendente. Con ciò il Tar ha avallato il comportamento del Consiglio superiore della magistratura, che ha fondato la sua determinazione su argomenti puramente formali come la gravità dei fatti commessi e la complessità dell'istruttoria, evitando di motivare in senso sostanziale circa una doverosa valutazione ed arrestandosi ad una fase anteriore a quest'ultima nel qualificare il Fanucci come persona neppure comparabile.
B) Violazione di legge e dei principi
consolidati circa l'impossibilità per il giudice di sostituire con propria
mo-tivazione la carente motivazione dell'atto.
Il Tribunale ha infatti integrato l'immotivata decisione del C.S.M. di non possibile valutazione del ricorrente con argomenti non utilizzati dall'organo di autogoverno. Ciò, sia evidenziando come il rinvio a giudizio rendesse irrilevante la circostanza che il Tribunale del riesame avesse ritenuto insussistenti gli indizi di colpevolezza, sia connotando l'interesse pubblico a non creare turbative al corretto funzionamento dell'ufficio da assegnare come idoneo a sacrificare la posizione del magistrato.
Si sono costituiti il Ministero di grazia e giustizia e il Consiglio superiore della magistratura, deducendo l'integrale infondatezza del gravame di cut hanno chiesto la reiezione.
L'appello è fondato.
La questione centrale che si pone alla luce delle contestazioni già sollevate in prime cure e contenute altresì nel primo motive di appello, concerne la legittimità dell'esclusione dal conferimento di un incarico direttivo (procuratore generale della Repubblica presso la Corte d'appello) nei confronti di un magistrato, legittimato a concorrervi, che sia però sottoposto a procedimento penale, in particolare, rinviato a giudizio.
La controversia sul punto si specifica
in un duplice ordine di interrogativi: il primo è se sia sufficiente a fondare
una valutazione preclusiva del conferimento dell'incarico direttivo il mero
riferimento alla sottoposizione a procedimento penale o se ciò non equivalga
piuttosto ad una preliminare qualificazione di non valutabilità.
Il secondo è se un tale effetto impeditivo, risolvendosi in una sorta di automatismo ostativo allo sviluppo della camera, (proprio perché nascerebbe dal mero rilievo dell'esistenza del procedimento pendente al di fuori di una sostanziale valutazione dei fatti addebitati), abbia un fondamento normativo che ne consenta l'esplicazione.
Sul primo quesito va anzitutto rilevato, in linea di fatto, che i verbali della competente Commissione e del plenum del Consiglio Superiore della Magistratura definiscono la posizione del ricorrente in termini di quella che risulta essere una qualificazione di inidoneità preclusiva della valutazione concreta, inerente cioè al «merito» e all'«anzianità» specificamente emergenti dall'intero suo curriculum, in comparazione con le corrispondenti posizioni degli altri aspiranti.
Non solo, infatti, la conclusione della verbalizzazione è nel senso che «non è possibile allo stato formulare una sicura ed obiettiva valutazione dell'idoneità dell'interessato con riferimento all'ufficio direttivo richiesto», ma la premessa di ciò è il parere contrario del Consiglio giudiziario «sul presupposto della pendenza in dibattimento di un processo penale a suo carico»... «nell'ambito del quale e stata emessa a suo carico, ordinanza di applicazione della misura cautelare della sospensione dalle funzioni, poi revocata...». L'impossibilità di valutare l'idoneità dell'interessato si collega a tale quadro, dunque, «attesa la gravità delle circostanze contestate e la complessità degli accertamenti istruttori ancora da compiere, che richiedono tempi di espletamento non brevi».
Il complesso dello svolgimento denota quindi non una valutazione degli elementi sostanziali che, nell'ambito di un procedimento selettivo di più soggetti comparati tra loro, conducono alla individuazione dell'assegnatario dell'ufficio direttivo, quanto la constatazione del rilievo impeditivo del procedimento penale pendente, nel senso che l'esistenza di una contestazione, considerata, peraltro senza specificazioni, in termini di «gravità», rende impossibile la valutazione sostanziale; ciò significa che, in attesa dell'accertamento dei fatti nel processo penale, comunque, ogni altro elemento della posizione di camera dell'interessato è privata del suo rilievo ai fini della comparazione con gli altri legittimati.
Un meccanismo di questo tipo, che presuppone un peso assorbente della sottoposizione a procedimento penale rispetto alla stessa idoneità ad essere valutati, implica anzitutto un difetto di motivazione, così come dedotto gia in prime cure dall'interessato, poiché pone un presupposto indimostrato (la rilevanza dirimente in senso negative della sottoposizione a procedimento penale, a fronte di accertamenti istruttori dibattimentali ancora da compiere) alla base di una globale omissione valutativa.
In secondo luogo, ed anche qui
conformemente al rilievo reiterato in sede di appello, quand'anche dal difetto
di motivazione si spostasse l'attenzione sul profilo valutativo espresso dal
C.s.m., l'essenza logica di quest'ultimo, quale sopra evidenziata,
presupporrebbe una norma che prevedesse il valore attribuito nel caso alla
pendenza del procedimento penale, evitando il salto logico dimostrativo in cui
incorre la verbalizzazione de qua.
Ma una siffatta norma non esiste, quantomeno con riferimento al complesso delle disposizioni che regolano il personale della Magistratura ordinaria; una volta che la misura cautelare della sospensione dalle funzioni risulti, come nel caso, revocata, in assenza di ulteriori al formali che pongano in situazione di temporanea inefficacia il rapporto di ufficio del magistrate, questi gode per intero delle prerogative del suo status e della sua situazione di servizio, tra cui, appunto, anche la legittima aspettativa ad essere valutato per il conferimento di un ufficio direttivo.
Nessuna disposizione prevede dunque un effetto quale quello contestato dall'appellante, né l'art. 11 della L. 24 marzo 1958 n.195, né gli artt. 5 e 6 della L. 24 maggio 1951, n. 392, né, altresì, la circolare in materia di conferimento degli uffici direttivi n. 13531 del 21 settembre 1996, posto che il riferimento a requisiti d'indipendenza e prestigio, (sostanzialmente contenuto tra l'altro, anche nella raccomandazione adottata dal Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa il 13 ottobre 1994), non si lega ad effetto preclusivo automatico, e rinvia anzi a quella valutazione sostanziale del merito con corrispondente motivazione, che risulta omessa nel caso in esame.
Che una disposizione di tal genere debba esserci per produrre l'effetto qui evidenziato corrisponde poi ad un principio di stretta legalità che governa e salvaguarda la condizione dei magistrati, ma che, prima ancora, presiede all'applicazione di tutte le misure restrittive dello status lavorativo e professionale pubblico.
A conferma di quanto ora detto va menzionato l'art. 21, comma 2, della legge 12 novembre 1955, n. 1137, che per l'avanzamento degli ufficiali prevede, appunto espressamente, che «non può essere valutato per l'avanzamento l'ufficiale che sia sottoposto a procedimento penale o disciplinare...»: la disposizione ordinamentale così espressa si connota di specialità e rafforza la positiva conclusione che un parallelo meccanismo per i magistrati esiga una corrispondente previsione.
Alla luce delle considerazioni che precedono l'appello va accolto in riforma della sentenza di prime cure.
In conseguenza, va annullata la serie di atti impugnati in primo grado nella parte in cui producono un preliminare effetto preclusivo della valutazione sostanziale e comparativa dell'attuale appellante ai fini del conferimento dell'ufficio direttivo in questione; la valutazione da operare, si soggiunge, può anche includere le circostanze connesse alla pendenza del procedimento penale, ma ponderate con il quadro complessivo della posizione dell'interessato.
L'incertezza della materia giustifica l'integrale compensazione delle spese tra le parti costituite per entrambi i gradi di giudizio.
P.Q.M.
il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sez. IV), definitivamente pronunziando, accoglie l'appello e per l'effetto, in accoglimento del ricorso di primo grado, annulla gli atti impugnati nei termini di cui in motivazione.