CONSIGLIO DI STATO, SEZ. IV - Sentenza 18 novembre 1999 n. 1723 - Pres. Pezzana, Est. Caracciolo - Impresa De Rosa e altri c. ARIS (annulla TAR Campania, Sezione IV, sentenza n. 2927 del 18 settembre 1998).
REPUBBLICA
ITALIANO
IN
NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di
Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso
proposto da a) Impresa geom. Antonio De Rosa in proprio e quale mandatario dell'ATI
con la I.C. Costruzioni srl;
b) Impresa
Raffaele Pianese costruzioni generali Spa in persona del legale rappr.te p.t.;
c) Impresa soc.
coop. Sud appalti 82 Srl in persona del legale rappr.te p.t. tutti rappresentati
e difesi dall'avv. Mano Salvi e dall'avv. Luigi Flauti ed elett.te dom.ti presso
il secondo in Roma, via di San Giacomo n. 18;
contro
Azienda risorse
idriche di Napoli, ARIN in persona del legale rappr.te p.t. rappresentato e
difeso dagli avv.fi Andrea Abbamonte ed Enrico Soprano presso cui è
elettivamente dom.ti in Roma, via degli Avignonesi n.5;
Ministero dell'ìntemo
in persona del Ministro p.t.; Ministero del lavori pubblici in persona del
Ministro p.t.;
per
l'annullamento
della sentenza del
Tribunale Amministrativo Regionale della Campania n. 2927 del 18 settembre 1998;
Visto il ricorso
con i relativi allegati;
Visto l'atto di
costituzione in giudizio dell'ARIN;
Viste le memorie
prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; Visti gli atti tutti
della causa;
Udita alla
pubblica udienza del 20 aprile 1999 la relazione del consigliere Luciano Barra
Caracciolo, e uditi altresì gli avv.ti Satta Flores, per delega dell'avv.to
Salvi, Abbamonte, e Volpe (Avv.to stato), ciascuno per le parti rispettivamente
rappresentate;
Ritenuto e
considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO
Con la sentenza in
epigrafe il Tar della Campania ha respinto i ricorsi riuniti con cui le tre
imprese m epigrafe hanno impugnato il diniego opposto dall'ARIN
all'aggiornamento dei prezzi degli appalti stipulati dalle ditte stesse (15
gennaio 1993) nonché il decreto interministeriale che ha respinto il ricorso
amministrativo proposto avverso detto diniego.
Ha ritenuto il
Tribunale che l'art. 3 1 dell'originario capitolato speciale nonché l'art.4
degli atti aggiuntivi agli originari contratti fossero pienamente applicabili
nel. senso di escludere l'operatività del meccanismo revisionale e dovessero
ritenersi validi perché non in violazione del divieto di patti contrari o in
deroga di cui all'art.2 1.n.37\1973.
Appellano le tre
imprese interessate deducendo i seguenti motivi: 1) Errore in procedendo per
mancato esame di circostanze decisive errore in judicando per avere
erroneamente interpretato gli atti presi in esame, sia quanto alla pretesa
rinunzia alla revisione, sia quanto alla effettiva natura degli atti di
estensione e dì sottomissione‑ violazione degli artt.1 ss. del
d.p.l.p.n.1507\19547, dell'art.1 della l.n.463\64, dell'art.2 della I. n.37\1973
e dell'art.33 della I. n.42\1986.
2) errori in
judicando per violazione degli artt.2 ss. Del T.u. approvato con r.d.
n.2578\1925; dell'art.35 della l.n.142\1990; del d.p.r. 4.10.1986, n.902, in
particolare dell'art.69.
Si è costituita
l'ARIN controdeducendo alla avverse censure e chiedendo il rigetto dell'appello.
DIRITTO
Le imprese
appellanti hanno visto negata la revisione dei prezzi nell'ambito dei rapporti
contrattuali instaurati con l'AMAN di Napoli (attualmente ARIN) per l'esecuzione
di opere stradali e murarie, connesse alla manutenzione ordinaria e
straordinaria degli impianti ed alla posa di nuove condotte. Tali rapporti
contrattuali, nascenti dalle parallele aggiudicazioni di tre distinte
licitazioni private, sono stati prorogati oltre l'originaria scadenza biennale
(peraltro anticipata, rispetto al suo spirare, dall'intervenuto
"esaurimento dei fondi disponibili" per l'esecuzione dei previsti
lavori), con due ulteriori atti aggiuntivi deliberati dall'AMAN e formalizzati
in pattuizioni recanti le date del 4 maggio 1989 (durata minima di 4 mesi) e del
4 dicembre 1989 ( laddove la durata della estensione del rapporto era
connessa "al momento di
effettiva entrata in vigore dei nuovi appalti", cioè all'esito di nuove
gare da espletare).
Il Tar ha ritenuto
che non spettasse la revisione dei prezzi relativamente a tale complessa
situazione negoziale innanzitutto per effetto dell'espressa esclusione pattuita
nell'art.31 dell'originario capitolato speciale, "successivamente
richiamata e riportata in tutti i contratti aggiuntivi". Il complesso delle
pattuizioni inter partes, insomma,
denoterebbe "una chiara ed inequivoca volontà di escludere la operatività
del meccanismo revisionale", mentre la clausola stessa non potrebbe
ritenersi nulla per violazione dei divieto di patti contrari o in deroga di cui
all'art.2 della I.n.37\1973. Detto divieto non sarebbe applicabile ai rapporti
in contestazione in quanto sorti successivamente all'entrata in vigore della
legge n.41 del 1986, che all'art.33 avrebbe implicitamente abrogato l'art.2
I.n37\73 cit..
Prima di
verificare la correttezza di tale conclusione, oggetto di censura sollevata in
appello, conviene soffermarsi sulla questione, logicamente anteriore,
dell'applicabilità del ridetto divieto ex art.2 alle aziende c.d.
municipalizzate, affidatarie della gestione di servizi pubblici comunali.
Il decreto
interministeriale 18 maggio 1995, con cui è stato respinto il ricorso
amministrativo avverso il diniego di revisione prezzi, atto pur esso oggetto di
impugnazione in primo grado, ha ritenuto che l'autonomia operativa di cui godono
le aziende "municipalizzate", in ragione della natura imprenditoriale
dell'attività da esse esercitata, le
esenta dai limiti e dai
divieti normativi che gravano sull'ente
locale di cui sono
espressione, salvo il caso che ad essi siano assoggettati per effetto di una
norma espressa.
Tale opinione,
supportata da una pronunzia della VI Sezione di questo dai ricorsi in primo
grado dalle attuali appellanti, va di seguito verificato se la disciplina
dell'art.33 della legge n. 41 del 1986 abbia avuto una capacità abrogativa, sia
pure per incompatibilità, del suddetto art.2, così come ha ritenuto la
sentenza appellata. Al riguardo si deve propendere per una risposta negativa;
nel caso in esame, non risultando adottata la formula del prezzo chiuso di cui
al quarto comma dell'art.33 stesso, si ricade nell'ipotesi di esecuzione di
lavori avente durata superiore all'anno, per la quale l'art. 33 consente la
revisione dei prezzi "a decorrere dal secondo anno e con esclusione dei
lavori già eseguiti nel primo anno".
Non può da tale
formula legislativa ritrarsi la conclusione che introducendo essa modalità di
riconoscimento della revisione prezzi difformi dal regime legale cui faceva
riferimento l'art. I.n.37\73, sarebbe venuta meno l'impossibilità di derogare
alla disciplina legale medesima, ciò tanto più configurando tale meccanismo
come una facoltà, liberamente esercitabile dalle parti contrattuali" e
perciò risultando abrogato "ogni carattere di indisponibilità delle
previsioni legali.
Tali affermazioni
del primo giudice appaiono provare troppo, perché l'indisponibilità della
disciplina legale di un istituto non viene meno a seguito della modifica della
medesima, purché permanga appunto un insieme di previsioni legali e queste
siano complessivamente orientate
al perseguimento di una ratio inalterata ancorché, appunto, mutino
determinati aspetti della normativa stessa.
Questa è
l'ipotesi qui in esame, dove gli aggiustamenti apportati dalla legislazione del
1986 servirono a limitare gli abusi dell'istituto senza che venisse meno lo
scopo di correzione e prevenzione delle distorsioni remunerative dei contratti
con la p.a., perseguito, con l'istituto della revisione, a tutela dell'interesse
pubblico ad una corretta e puntuale esecuzione dei lavori.
Inoltre l'uso
della locuzione "facoltà di procedere alla revisione dei prezzi" da
parte della legge del 1986 non implica affatto una considerazione in termini di
derogabilità, con un mutamento rispetto alla qualificazione come indisponibile,
della disciplina de qua, adottata dal legislatore del 1973. Quest'ultimo, in
realtà, proprio nell'art.2 citato, aveva utilizzato esattamente la stessa
locuzione per riferirsi all'istituto della revisione, onde da un lato viene meno
ogni significatività della formula del 1986 per definire l'intento del
legislatore, dall'altro, la terminologia 'facoltà" risulta nell'uso dello
stesso legislatore pacificamente connessa al regime di indisponibilità. La
spiegazione di ciò va piuttosto ricercata nell'accezione del termine assunta
dal legislatore, riferita alla (invero opinabile) area di discrezionalità in
cui, per tradizione, si inserisce la decisione dell'Amministrazione di accordare
il compenso revisionale; tale decisione sarebbe appunto oggetto di . un potere
che si dice discrezionale, quantomeno nell'accertamento dei presupposti di fatto
che inducono a questo strumento di tutela dell'interesse pubblico
nell'esecuzione del contratto, potere quindi definibile come "facoltà"
in base ad una metonimia invalsa frequentemente nel linguaggio iuspubblicistico.
Da quanto precede
discende che le formule utilizzate dai contratti stipulati "inter partes"
non possono equivalere ad una legittima esclusione dell'applicazione del
meccanismo della revisione (al tempo ancora vigente, alla luce della normativa
finora analizzata). Ed infatti, l'art 31 dell'originario capitolato speciale di
appalto prevedeva la revisione "solo nei limiti e nei termini stabiliti
dall'art.33, commi 2 e 3, della legge 28 febbraio 1986, n.41", e pertanto
non si poneva in contrasto con la disciplina legale al tempo vigente, che anzi
la richiamava "in toto", e dunque non poneva alcuna questione circa la
derogabilità della medesima.
Il primo
prolungamento del contratto, poi, all'art.4, recitava che le parti si danno
reciprocamente atto che non si procederà a revisione prezzi, in conformità
delle vigenti leggi". La disposizione può intendersi anch'essa come un
rinvio alla disciplina vigente ad ai limiti da essa posti all'incondizionata
applicazione dell'istituto, e quindi come obiettivamente la volontà di
un'esclusione della revisione condizionata però alla conformità, appunto, ai
dettami legislativi. Potrebbe anche, in tal direzione, essere assunta come
un'esclusione riferita alla durata infrannuale dell'atto aggiuntivo in
questione, ma tale conclusione pone un problema di più ampia qualificazione e
definizione del complesso dei rapporti contrattuali tra le parti che conviene
affrontare più oltre.
Infine, l'art. 4
del secondo prolungamento contrattuale adopera una formula sostanzialmente
equivalente a quella del capitolato speciale originario, rimettendo la revisione
all'applicazione consentitane dal disposto di cui all'art33, commi 2 e3, della
leggen.41\1986, sicché valgono le stesse osservazioni più sopra svolte.
Rimane da
chiarire, dunque, se gli atti di estensione contrattuale potessero godere di una
considerazione autonoma e quindi ricadere, quantomeno il primo, avente
un'espressa durata di quattro mesi (laddove il secondo si ancora al termine
finale costituito dall'aggiudicazione, incerta quando, di una nuova
licitazione), nell'esclusione della revisione per i rapporti di durata inferiore
all'anno, così come ha ritenuto il giudice di prime cure.
Anche sul punto si
deve andare di avviso contrario, poiché non può nel caso riscontrarsi una
novazione in un rapporto. In primo luogo, perché, contrariamente a quanto
assunto dal Tar, nessun peso in tal senso può giocare l'esaurimento dei fondi
anticipato rispetto alla naturale scadenza biennale dell'originario contratto,
circostanza che non può valere a estinguere un rapporto, non incidendo in alcun
modo giuridicamente rilevante sul titolo che ne è alla base. In secondo luogo,
perché l'estensione del contratto è alle stesse condizioni e prezzi di
quello originario,
per espressa previsione delle parti, e comporta
soltanto la prosecuzione dell'esecuzione delle stesse prestazioni, e non, si
badi bene, di nuove "opere" o lavori di diversa tipologia,
tant'è che si parla esattamente di "prosieguo dei lavori di cui al
contratto principale richiamato in premesso. In sostanza, non si tratta
di atti aggiuntivi che
contemplano un oggetto autonomo, quale ad esempio una diversa opera pubblica (o
una sua autonoma parte), che avrebbe potuto contemporaneamente essere affidato
ad altra impresa, ma di un prolungamento, appunto di un rapporto mi cui
rimangono inalterati oggetto (cioè l'insieme delle prestazioni concretamente
dedotte) e causa (sopperendo esplicitamente le prestazioni ad un unitario
bisogno di manutenzione degli impianti).
Dovendo pertanto
assumersi la sussistenza di un unitario rapporto proseguito oltre il termine
previsto dall'originario titolo contrattuale, la revisione trova applicazione
con riferimento a tutta la sua complessiva durata, escluso il primo anno, come
stabilito dall'art.33 della legge n.41\1986. Va smentito in proposito quanto
affermato dall'appellata per cui la revisione sarebbe stata richiesta solo con
riferimento al periodo di prolungamento; basta in contrario esaminare i ricorsi
in primo grado, la stessa epigrafe della sentenza appellata e le sue
affermazioni motive, nonché il tenore dei motivi d'appello e le conclusioni da
esso assunte (in specie al n.3) sub a).
La spettanza della
revisione peraltro va limitata in conformità della predetta disciplina
dell'art. 33, ed esclusa per eventuali periodi di esecuzione del rapporto
successivi all'entrata in vigore dell'art.3 del d.l. 11 luglio 1992, n.333.
L'incertezza della
materia giustifica la compensazione delle spese processuali tra le parti
costituite per entrambi i gradi di giudizio
P.Q.M.
Il Consiglio di
Stato in sede giurisdizionale (Sez. IV) definitivamente
pronunziando, accoglie l'appello e, in riforma della sentenza impugnata,
accoglie i ricorsi di primo grado. Spese compensate..
Ordina che la
presente decisione sia eseguita dall'Autorità
amministrativa.
Così deciso in
Roma dalla Sezione IV del Consiglio di Stato, nella camera di consiglio del
20.4.99 con l'intervento dei signori:
Aldo Pezzana
‑ Presidente
Stefano Baccarini
‑ Consigliere
Sergio Santoro
‑ Consigliere
Luciano Barra
Caracciolo
‑ Consigliere estensore
Cesare Lamberti
‑ Consigliere