CONSIGLIO DI STATO, SEZ. IV - Sentenza 14 giugno 2001 n. 3169 - Pres. Paleologo, Est. Cintioli - Cavet Consorzio Alta Velocità Emilia-Toscana (Avv.ti Carullo, Fasciano e Clarizia) e Comune di Firenzuola (Avv. Gracili) c. Bassilici (Avv.ti Chierroni, Montini e Nocentini), ANAS ed altro (n.c.) - (annulla in parte T.A.R. Toscana, sez. I, 11 luglio 2000, n. 1611).
1. Giustizia amministrativa - Termine per l'impugnazione - Decorrenza - In materia di espropriazione per p.u. - Dichiarazione di p.u. per implicito - Dalla data di conoscenza individuale che il proprietario abbia avuto della relativa delibera - Pubblicazione di quest'ultima - Insufficienza.
2. Giustizia amministrativa - Controinteressato o no - Enti che hanno fatto partecipato ad una conferenza di servizi - Non sono da considerare controinteressate - Ragioni.
3. Espropriazione per p.u. - Dichiarazione di p.u. - Avviso di inizio del procedimento ai proprietari interessati - Necessità.
4. Giurisdizione e competenza - Giurisdizione esclusiva del G.A. - Oggetto del giudizio - Non riguarda solo l'annullamento degli atti ma anche i comportamenti materiali della P.A.
5. Giurisdizione e competenza - Giurisdizione esclusiva del G.A. - In materia di edilizia ed urbanistica - Ex art. 34 D. L.vo n. 80 del 1998 - Estensione - Procedimenti espropriativi e domanda di reintegrazione in forma specifica e di risarcimento del danno - Vi rientrano.
6. Giustizia amministrativa - Risarcimento del danno - Derivante dalla lesione di interessi legittimi - Presupposti per il riconoscimento - Individuazione.
7. Giustizia amministrativa - Risarcimento del danno - Derivante dalla lesione di interessi legittimi - Presupposto della colpa - Riferimento alla nozione oggettiva di colpa - Necessità.
8. Giustizia amministrativa - Risarcimento del danno - Derivante dalla lesione di interessi legittimi - Ruolo di "completamento" della tutela risultante dal giudicato amministrativo demolitorio.
9. Giustizia amministrativa - Risarcimento del danno - Nel caso di occupazione acquisitiva - Va liquidato nella misura ridotta prevista dall'art. 5 bis, comma 7 bis, del d. l. n. 333 del 1992 - Nel caso di annullamento di dichiarazione di p.u. - Va liquidato in misura piena.
10. Giustizia amministrativa - Risarcimento del danno - Reintegrazione in forma specifica - Limiti - Presupposti e limiti - Riferimento alla disciplina civilistica ed in particolare all'art. 2058 c.c.
11. Giustizia amministrativa - Risarcimento del danno - Reintegrazione in forma specifica - Limiti - Limite nei casi di speciale rilevanza dell'interesse pubblico - Sussiste - Riferimento alla disciplina prevista dall'art. 2933 c.c.
12. Espropriazione per p.u. - Dichiarazione di p.u. - Annullamento in s.g. - Per omesso avviso del procedimento - Conseguenze - Rinnovazione del procedimento o reintegrazione in forma specifica - Impossibilità - Risarcimento del danno per equivalente - Necessità - Limiti previsti dall'art. 5 bis, comma 7 bis, del d.l. n. 333 del 1992 - Inapplicabilità - Determinazione del danno subito dal fondo in misura pari al 30% del valore dell'edificio che su di esso insiste.
1. Il termine per impugnare una delibera con la quale viene approvato il progetto di opera pubblica ai sensi della legge n. 1 del 1978, con l'effetto automatico della dichiarazione della sua pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza, decorre dalla conoscenza individuale che il proprietario ne abbia avuto, non essendo all'uopo sufficiente la mera pubblicazione della delibera.
2. La conferenza di servizi non assurge alla dignità di organo ad hoc, né acquista soggettività giuridica autonoma, ma è solo uno strumento procedimentale di coordinamento di amministrazioni che restano diverse tra loro e mantengono la rispettiva autonomia soggettiva (1); deve pertanto ritenersi ammissibile un ricorso che non sia stato notificato anche a tutte le autorità che hanno partecipato alla conferenza di servizi, le quali non sono qualificabili come controinteressate al ricorso.
3. La dichiarazione di pubblica utilità non è un subprocedimento della procedura espropriativa, bensì è l'esito di un autonomo procedimento, connotato da peculiare effetto; sicché per essa vale il principio generale che, a garanzia della partecipazione dell'interessato, impone la comunicazione preventiva dell'avvio del procedimento: garanzia che risponde ad essenziali esigenze di democraticità e trasparenza dell'azione amministrativa, le quali si impongono anche quando la dichiarazione di pubblica utilità sia un effetto implicito nell'approvazione del progetto dell'opera pubblica (2).
4. Dagli artt. 33, 34 e 35 del D.L.vo n. 80 del 1998 si evince che la giurisdizione esclusiva del G.A. non si arresta al giudizio di annullamento del provvedimento amministrativo ma si estende al sindacato sul rapporto tra privato ed amministrazione nella sua portata più ampia, comprensivo anche dei comportamenti materiali; perlomeno di quei comportamenti materiali che danno esecuzione o sono altrimenti collegati con il provvedimento.
5. La nozione di urbanistica alla quale fa riferimento l'art. 34 del D. L.vo n. 80 del 1998 è ampia, al punto da assorbire tutti gli aspetti dell'uso del territorio; essa, in particolare, si estende ai procedimenti di esproprio, comprensivi sia della dichiarazione di pubblica utilità, sia degli atti di occupazione d'urgenza e relativi comportamenti esecutivi; rientra in particolare nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ai sensi del combinato disposto degli artt. 34 e 35 del D. L.vo n. 80 del 1998, la domanda di reintegrazione in forma specifica e di risarcimento del danno, proposta dai privati proprietari di un fondo, oggetto di dichiarazione di pubblica utilità, annullata in sede giurisdizionale unitamente agli altri atti espropriativi.
6. La risarcibilità del danno ingiusto provocato da provvedimenti illegittimi prevista dall'art. 35 del D.L.vo n. 80 del 1998, come novellato dall'art. 7 della L. n. 2015 del 2000 non è una conseguenza automatica e costante dell'annullamento giurisdizionale, ma richiede la positiva verifica di tutti i requisiti previsti dalla legge e ciò è garanzia di un corretto contenimento delle domande risarcitorie: oltre alla lesione della situazione soggettiva di interesse tutelata dall'ordinamento (il "danno ingiusto"), è indispensabile che sia accertata la colpa (o il dolo) dell'amministrazione, che sia accertata l'esistenza di un danno al patrimonio, che sussista un nesso causale tra l'illecito ed il danno subito.
7. Ai fini di ritenere risarcibile o meno la lesione di interessi legittimi occorre fare riferimento ad una nozione oggettiva di colpa, che tenga conto dei vizi che inficiano il provvedimento ed, in linea con le indicazioni della giurisprudenza comunitaria, della gravità della violazione commessa dall'amministrazione, anche alla luce dell'ampiezza delle valutazioni discrezionali rimesse all'organo, dei precedenti della giurisprudenza, delle condizioni concrete e dell'apporto eventualmente dato dai privati nel procedimento (3). Se una violazione è l'effetto di un errore scusabile dell'autorità, non si potrà configurare il requisito della colpa. Se, invece, la violazione appare grave e se essa matura in un contesto nel quale all'indirizzo dell'amministrazione sono formulati addebiti ragionevoli, specie sul piano della diligenza e della perizia, il requisito della colpa potrà dirsi sussistente.
8. L'azione di risarcimento dei danni svolge un ruolo di completamento della tutela risultante dal giudicato amministrativo demolitorio, colmando le lacune che possono determinarsi allorquando sopravviene un ostacolo insuperabile alla soddisfazione dell'interesse del ricorrente, per via dell'irreparabilità in forma specifica dei danni provocati dal provvedimento amministrativo positivo.
9. La occupazione appropriativa (od "occupazione illegittima di suolo per causa di pubblica utilità"), che dà diritto al risarcimento del danno ridotto nei termini previsti dall'art.5 bis, comma 7 bis, del d. l. n.333 del 1992. presuppone l'esistenza di una valida dichiarazione di pubblica utilità, che consenta di identificare l'opera come pubblica; quando invece, per effetto dell'annullamento, sia venuta meno la dichiarazione di pubblica utilità, non è apprezzabile il collegamento teleologico tra l'opera costruita ed il pubblico interesse e non si configura più il fenomeno della occupazione appropriativa, ma sussiste solo un illecito permanente: esso genera un danno che dev'essere liquidato, qualora il privato opti per la tutela risarcitoria, nella forma del risarcimento per equivalente senza i limiti previsti dal suddetto art. 5 bis (4).
10. Il risarcimento in forma specifica, ai sensi dall'art.2058 c.c., è riconoscibile "qualora sia in tutto o in parte possibile" e "se la reintegrazione in forma specifica risulta eccessivamente onerosa per il debitore". Esiste, dunque, un duplice limite all'attuazione di quella che nel corpo dell'articolo viene definita reintegrazione in forma specifica, che coincide: a) con la concreta impossibilità di disporla; b) con l'eccessiva onerosità per il debitore.
11. La reintegrazione in forma specifica nel processo amministrativo, anche alla luce di quanto disposto dall'art. 2933 c.c. (che, nel disciplinare l'esecuzione forzata degli obblighi di non fare, pone un limite al processo esecutivo, prevedendo che l'interesse alla conservazione di un bene che sia utile all'economia nazionale è di ostacolo al soddisfacimento in executivis della pretesa e provoca la sostituzione del risarcimento per equivalente) trova limite nei casi di speciale rilevanza dell'interesse pubblico ed, in particolare, in quelli nei quali l'accoglimento della domanda di reintegrazione comporterebbe la distruzione di un'opera pubblica di rilevante importanza e di ingente valore economico.
12. Nel caso in cui venga annullata in s.g. una dichiarazione di p.u. di una opera, l'Amministrazione non può procedere alla rinnovazione del procedimento, perché un procedimento espropriativo che fosse avviato per l'esecuzione di un'opera pubblica che già esiste e che non può essere rimossa sarebbe sostanzialmente privo di oggetto ed impossibile; né le garanzie partecipative avrebbero in un caso di questo tipo alcuna possibilità di successo, né utili spazi di svolgimento: esse si risolverebbero in vuoti formalismi (5). In tale ipotesi, viceversa, spetta ai privati proprietari il risarcimento dell'integrale danno sofferto, senza i limiti posti dall'art. 5 bis del d.l. n. 333 del 1992, poiché non ricorrono neppure i presupposti per configurare la c.d. occupazione acquisitiva (6).
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(1) Cons. Stato, Sez. IV, 8 luglio 1999, n.1193.
(2) Cfr. Cons. Stato, Ad. plen., 15 settembre 1999, n.14.
(3) v. Corte Giustizia CE 5 marzo 1996, cause riunite n.46 e 48 del 1993; Id., 23 maggio 1996, causa C-5/1994.
Ha ricordato in proposito la Sez. IV nella motivazione della sentenza in rassegna che secondo l'orientamento della Corte di Cassazione, il giudice è chiamato ad una penetrante indagine, estesa alla valutazione della colpa non già del funzionario agente, ma della P.A. intesa come apparato, e che la colpa sarebbe configurabile quando l'adozione dell'atto illegittimo sia avvenuta in violazione delle regole di imparzialità, di correttezza e di buona amministrazione, che si pongono come limiti esterni alla discrezionalità (Cass., sez. un., n.500 del 1999).
Tale principio, ad opinione della Sez. IV, a parte la difficoltà della sua applicazione, non sembra idoneo a risolvere il problema della ricostruzione del profilo soggettivo della colpa. Il criterio anzidetto, se da una parte rimane ad un livello di inevitabile astrazione, dall'altra non tiene conto del fatto che la violazione dei limiti esterni alla discrezionalità comporta l'illegittimità dell'atto per eccesso di potere. Sicché, pur premettendo l'esigenza di un'indagine penetrante sulla colpa dell'apparato, finisce per accontentarsi di una verifica di tipo solo oggettivo.
Preferibile, ad opinione della Sez. IV, è invece ritenere che, se una violazione è l'effetto di un errore scusabile dell'autorità, non si potrà configurare il requisito della colpa. Se, invece, la violazione appare grave e se essa matura in un contesto nel quale all'indirizzo dell'amministrazione sono formulati addebiti ragionevoli, specie sul piano della diligenza e della perizia, il requisito della colpa potrà dirsi sussistente.
Nella specie, la colpa era da ritenersi sussistente, perché l'amministrazione aveva violato una norma di ordine generale (mancato avviso di inizio del procedimento), che costituisce presidio essenziale delle garanzie partecipative ed il cui rispetto richiede all'amministrazione uno sforzo minimo, consistente nella previa comunicazione. Si tenga anche conto del fatto che la violazione dell'art. 7 della legge n.241 del 1990 è stata tempestivamente dedotta dai ricorrenti e che ciononostante l'amministrazione non ha ritenuto di arrestare il procedimento, né di rinnovarlo in tempo utile, provvedendo invece, alla compiuta esecuzione dell'opera.
Si aggiunga che l'illegittimità del provvedimento matura in questo caso in seno al procedimento. Tra le parti si era già instaurato un significativo "contatto", grazie alla delibera consiliare di approvazione della variante al PRG, che aveva considerato le osservazioni dei proprietari, ed alla successiva delibera del 1997. Questa stretta vicinanza tra amministrazione e privati rafforza il vincolo procedimentale ed i doveri posti in capo al soggetto pubblico: egli è tenuto a fornire ogni necessaria garanzia di partecipazione al procedimento e, se non vi provvede, il contatto procedimentale ben può facilitare il giudizio sull'esistenza della colpa, specie sul piano probatorio. In breve, l'onere del privato di provare la colpa è soddisfatto se si dimostra che l'amministrazione ha provveduto a seguito di un procedimento che ha visto la presenza del privato stesso, secondo una regola che evoca quella sul riparto dell'onere probatorio in tema di responsabilità contrattuale.
(4) Cass., Sez. I, 18 febbraio 2000, n.1814; id., 16 luglio 1997, n. 6515; v. anche Cons. Stato, Sez. IV, n.3177 del 2000.
(5) Per un principio analogo Cons. Stato, Sez. VI, 26 luglio 2000, n. 4158.
(6) Sul tema specifico dell'occupazione acquisitiva, v. Corte Europea dei diritti dell'uomo, sez. II, 30 maggio 2000, riportata nel n. 6-2000 di questa rivista Internet, pag. http://www.giustamm.it/articoli/saporito_occupazione.htm, con nota di GUGLIELMO SAPORITO, L'occupazione acquisitiva è contraria ai principi della Convenzione europea dei diritti dell'uomo.
Nella specie è stato ritenuto sussistente tanto il danno derivante dalla occupazione del fondo, quanto quello derivante dalla diminuzione di valore del fabbricato.
Quanto al primo, il danno sofferto dai ricorrenti è stato ritenuto in re ipsa.
Il secondo era invece dimostrato dalla circostanza che la strada realizzata a breve distanza dal fabbricato ne compromette le possibilità di utilizzo, con specifico riguardo alla sua destinazione turistico-residenziale, non contestata in giudizio.
Per la quantificazione di quest'ultimo danno, la Sez. IV, ritenendo inconferente la consulenza tecnica di parte alla quale aveva fatto riferimento il giudice di primo grado, sulla base dell'esame degli atti e delle foto prodotte in giudizio, avvalendosi del criterio equitatitivo in via sussidiaria, ha ritenuto che il danno da risarcire per diminuzione del valore del fabbricato fosse pari solo al trenta per cento dell'intero.
In particolare, il risarcimento del danno secondo la Sez. IV nella specie dovrà computarsi nel modo seguente; a tal fine andrà corrisposta:
a) una somma pari al trenta per cento del valore venale del fabbricato (tutti i locali compresi ed escluso solo il fondo contiguo) alla data di ultimazione dei lavori; ciò per il risarcimento del danno derivante dalla diminuzione di valore del fabbricato;
b) una somma pari al valore della porzione del fondo occupato, alla data di ultimazione dei lavori; ciò per il risarcimento del danno derivante dall'occupazione di tale porzione a titolo definitivo;
c) una somma corrispondente agli interessi legali calcolati su una somma pari al valore venale della porzione di fondo occupata alla data dell'ultimazione dei lavori; interessi al tasso legale via via vigente e decorrenti dalla data di immissione in possesso del fondo e fino alla data di ultimazione dei lavori; ciò per il risarcimento del danno derivante dall'occupazione illegittima del fondo durante il tempo necessario per eseguire l'opera pubblica;
d) sulle somme liquidate ai sensi delle lettere a), b) e c), che riguardano tutte il risarcimento del danno e consistono perciò in un debito di valore, deve riconoscersi la rivalutazione, secondo indici Istat, a partire dalla data di ultimazione dei lavori e fino alla data di deposito della presente sentenza; tale ultima data costituisce, invero, il momento in cui, per effetto della liquidazione giudiziale, il debito di valore si trasforma in debito di valuta;
e) sulle somme progressivamente e via via rivalutate, di cui alla precedente lettera d), sono altresì dovuti gli interessi legali (secondo il tasso all'epoca vigente) a decorrere dalla data dell'ultimazione dei lavori e fino alla data di deposito della sentenza; ciò in funzione remunerativa e compensativa della mancata tempestiva disponibilità della somma dovuta a titolo di risarcimento del danno;
f) su tutte le somme dovute ai sensi della precedenti lettere decorrono, altresì, gli interessi legali dalla data di deposito della presente sentenza e fino al soddisfo.
FATTO
Con due successivi ricorsi Walter Bassilici ed Alfiero Malavolti, comproprietari di un fabbricato ed un terreno siti in località Castro S. Marino del Comune di Firenzuola, hanno impugnato gli atti con i quali è stata inizialmente disposta e quindi rinnovata l'approvazione del progetto per l'esecuzione di una strada comunale, con dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza dell'opera, nonché l'occupazione d'urgenza del fondo, chiedendo anche il risarcimento del danno ai sensi dell'art.35 del d. lgs. n.80 del 1998.
Il TAR ha dichiarato improcedibile il primo ricorso, per sopravvenuto difetto di interesse, ed ha accolto il secondo ricorso, disponendo, per l'effetto, l'annullamento degli atti espropriativi e di occupazione d'urgenza e condannando il Comune di Firenzuola al risarcimento del danno in favore dei ricorrenti, liquidato in complessive lire 132.500.000.
Hanno proposto separati appelli il consorzio Cavet ed il Comune di Firenzuola, con i quali hanno chiesto che, in riforma della sentenza impugnata, fosse rigettato il ricorso di primo grado.
Si sono costituite le parti private, che hanno resistito ai motivi di appello, proponendo altresì appello incidentale, riferito al capo della sentenza che ha provveduto sulla domanda di risarcimento del danno.
All'udienza pubblica del 13 febbraio 2001 il ricorso è stato posto in decisione.
DIRITTO
1. I due appelli sono riuniti, poiché connessi soggettivamente ed oggettivamente e proposti contro la medesima sentenza.
2. Ai fini della decisione è anzitutto necessario riepilogare le vicende che hanno preceduto la decisione impugnata.
a) Nella conferenza di servizi indetta per l'approvazione del progetto esecutivo della tratta ferroviaria "Alta velocità Bologna-Firenze", tenutasi in data 6.11.1995, il Comune di Firenzuola, compreso tra i partecipanti, ha espresso parere favorevole, impegnandosi a sottoporre tale determinazione alle ulteriori valutazioni del Consiglio Comunale.
b) Le autorità del Comune hanno successivamente provveduto all'adozione ed approvazione di progetti relativi all'esecuzione ed ampliamento di strade comunali funzionali al miglioramento dei collegamenti con le nuove linee ferroviarie e le principali arterie di raccordo.
c) Con deliberazione del consiglio comunale n.96-0175 del 30.12.1996, è stata approvata la variante al PRG relativa all'esecuzione di nuove strade comunali per il soddisfacimento delle esigenze di viabilità collegate al progetto di "Alta velocità" ed in siffatta delibera si è tenuto conto, tra le altre, di alcune osservazioni presentate dai signori Bassilici e Malavolti, odierni appellati.
d) Con deliberazione n.97-0320 del 13.10.1997, la giunta comunale ha approvato ai sensi dell'art.1 della legge 3.1.1978, n.1, anche ai fini dell'esecuzione delle procedure espropriative, il progetto esecutivo dell'intervento n.850, relativo alla costruzione del tratto di strada comunale collocato tra la progressiva 3-650 e l'innesto con la strada provinciale n.116. Con la delibera è stata anche dichiarata la pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza dell'opera, sono stati fissati i termini iniziali e finali delle operazioni di espropriazione e dei lavori ed è stata autorizzata l'occupazione d'urgenza del terreno da parte del consorzio Cavet.
e) Con successiva delibera n.98-0238, del 23.11.1998, la giunta comunale ha preso atto della necessità di apportare alcune modifiche al progetto già approvato, tra le quali principalmente l'allargamento della carreggiata di circa due metri e la lieve variazione dell'andamento del tracciato. Quindi tale delibera ha nuovamente approvato il progetto, con la relativa dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza, con la fissazione dei termini e con l'autorizzazione all'occupazione a favore della Cavet.
f) Il decreto di occupazione d'urgenza n. 16861 è stato pronunciato in data 16.12.1998 dal funzionario tecnico del Comune di Firenzuola.
g) I lavori sono stati ultimati e la strada è stata costruita. Essa occupa una porzione del fondo contiguo al fabbricato di proprietà degli odierni appellati e dista circa 12-15 metri da detto fabbricato, nel tratto più vicino.
I privati proprietari hanno impugnato con due separati ricorsi gli atti espropriativi suindicati, chiedendo la reintegrazione in forma specifica ed in subordine il risarcimento del danno.
3. Il TAR ha dichiarato improcedibile il primo ricorso, poiché esso, rivolto contro la delibera di giunta del 13.10.1997, era stato posto nel nulla con la seconda delibera, relativa all'approvazione di un progetto modificato in alcuni suoi aspetti.
Quindi, rigettate le eccezioni preliminari, il giudice di prime cure ha accolto il motivo del secondo ricorso con cui è stata dedotta la violazione dell'art. 7 della legge 7.8.1990, n.241, in quanto la delibera di approvazione del progetto esecutivo dell'intervento n.850 era stata adottata senza eseguire il necessario e preventivo avviso ai proprietari del fondo. Gli altri motivi di gravame sono stati assorbiti.
La domanda di risarcimento dei danni derivanti dall'occupazione del fondo da parte dell'amministrazione non è stata esaminata, in quanto il Tribunale ha ritenuto che restasse impregiudicato il diritto dei ricorrenti a ricevere l'indennità di espropriazione e di occupazione d'urgenza, "da definirsi in altra sede".
La domanda di riduzione in pristino e di restituzione materiale del terreno non è stata accolta, in considerazione dei "gravi interessi pubblici coinvolti nella vicenda che giustificano un risarcimento per equivalente".
La domanda risarcitoria è stata invece accolta per la parte riferita ai danni derivanti dalla diminuzione di valore sofferta dal fabbricato, a causa della costruzione della strada contigua. Il TAR ha liquidato il danno risarcibile in misura pari alla metà del valore commerciale dei locali destinati ad abitazione ed a portico, con esclusione del locale ricovero e legnaia, valore desunto dai dati contenuti in una perizia di parte.
4. I motivi proposti nei due atti di appello vengono esposti in unico contesto, perché i due ricorsi hanno contenuto parzialmente coincidente e le censure potranno comunque essere esaminate secondo un ordine logico unitario.
Tali motivi sono dunque riassumibili nei termini che seguono.
a) Il consorzio Cavet ripropone le eccezioni preliminari di tardività del ricorso di primo grado, notificato dopo il decorso del termine di trenta giorni ex art. 19 del d.l. n.67 del 1997 dalla data di pubblicazione della delibera di giunta, nonché di inammissibilità per mancata notifica a tutte le autorità che avevano partecipato alla conferenza di servizi del 6.11.1995, qualificabili come controinteressati al ricorso di primo grado.
b) Il consorzio ripropone altresì l'eccezione di inammissibilità del ricorso al TAR per difetto di interesse a ricorrere: la delibera del 23.11.1998 avrebbe approvato un progetto più favorevole ai ricorrenti, in considerazione del fatto che la strada era stata ulteriormente distanziata dalla loro proprietà, in accoglimento delle osservazioni espressamente fatte da costoro all'amministrazione comunale.
c) Entrambi gli appellanti censurano la sentenza nel merito, in quanto l'art.7 della legge n.241 del 1990 non sarebbe stato violato da parte dell'amministrazione procedente.
In primo luogo, si rileva che il Comune ha anteposto alla delibera di approvazione del progetto esecutivo, presa ai sensi della legge n.1 del 1978, l'approvazione della variante al piano regolatore e che la relativa delibera consiliare ha avuto modo di esaminare e di pronunciarsi proprio sulle osservazioni proposte dai ricorrenti in primo grado. Costoro avrebbero attivamente partecipato al procedimento culminato con la pronuncia degli atti di esproprio, giacché l'approvazione della variante era strettamente funzionale all'esecuzione della strada per cui è causa: la localizzazione dell'opera sarebbe avvenuta con la piena consapevolezza dei privati interessati.
In secondo luogo, le garanzie partecipative sarebbero rimaste salve, dal momento che la seconda delibera di giunta avrebbe approvato un progetto esecutivo modificato proprio in aderenza alle richieste formulate dai privati proprietari.
La portata sostanziale della garanzia partecipativa, in definitiva, dovrebbe escludere nel caso di specie qualsivoglia violazione del principio del giusto procedimento.
d) L'appellante Comune ritiene che il giudice amministrativo non abbia giurisdizione sulla domanda risarcitoria, né sotto il profilo del risarcimento del danno cagionato dalla c.d. occupazione acquisitiva (contenuto nei limiti segnati dall'art.5 bis, comma 7 bis, del d.l. 11.7.1992, n.333, convertito in legge 8.8.1992, n.359, come novellato dall'art.3, comma 65, della legge 23.12.1996, n.662), né sotto quello del danno da diminuzione di valore subito dalla proprietà privata come conseguenza dell'esecuzione dell'opera pubblica, da ristorare nelle forme di un indennizzo previsto dall'art.46 della legge 25.6.1865, n.2359.
e) Secondo il Comune, i ricorrenti non avrebbero provato il danno, che sarebbe stato erroneamente ed ingiustificatamente liquidato dal giudice di prime cure. Per un verso si rileva che i dati istruttori acquisiti sono del tutto insoddisfacenti e, per altro verso, si afferma che la contiguità di un'importante arteria di collegamento, lungi dal diminuirne il valore, costituirebbe un fattore di obiettivo arricchimento per i proprietari del fabbricato.
Gli appellanti rilevano, altresì, che l'interesse tutelato è solo quello ad ottenere l'avviso di avvio del procedimento e che, pertanto, il risarcimento non può essere liquidato nella misura disposta dal Tribunale.
5. Le parti private appellate resistono ai motivi degli appelli principali e ne chiedono il rigetto. A questo fine ripropongono in subordine tutti gli altri motivi di impugnazione che il TAR ha assorbito nella decisione di primo grado.
Inoltre, le parti private propongono appello incidentale, per ottenere la riforma della sentenza del Tribunale nel capo che ha provveduto sulla domanda di risarcimento del danno.
In particolare, gli appellanti in via incidentale richiedono quanto segue:
a) che sia disposta la riduzione in pristino dei luoghi, con la consegna del fondo ai legittimi proprietari nello stato originario, in accoglimento della domanda di reintegrazione in forma specifica proposta ai sensi dell'art.35 del d. lgs. n.80 del 1998;
b) che siano comunque risarciti tutti i danni, derivati dall'occupazione del fondo, a titolo transitorio od eventualmente definitivo qualora non fosse accolta la domanda di riduzione in pristino, con interessi e rivalutazione, trattandosi di materia compresa nella nuova giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di urbanistica;
c) che la condanna al risarcimento sia estesa anche al consorzio Cavet, in considerazione della diretta imputabilità a quest'ultimo soggetto del comportamento illecito e dei danni che ne sono derivati.
6. I motivi di appello con cui si ripropongono le eccezioni preliminari dedotte in primo grado sono tutti infondati.
Il termine per impugnare la delibera con cui viene approvato il progetto di opera pubblica ai sensi della legge n.1 del 1978, con l'effetto automatico della dichiarazione della sua pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza, decorre dalla conoscenza individuale che il proprietario ne abbia avuto, non essendo all'uopo sufficiente la mera pubblicazione della delibera. Si tratta di un principio consolidato in giurisprudenza e motivato per il fatto che gli effetti del provvedimento hanno una portata specifica e circoscritta all'area da espropriare per l'esecuzione dell'opera e sono rivolti, dunque, a destinatari determinati.
Nel caso di specie, oltretutto, le precedenti delibere dimostrano che l'amministrazione comunale ben conosceva i nomi dei proprietari, alle cui osservazioni si era appositamente risposto nella fase di approvazione della variante al PRG.
Il ricorso non doveva essere notificato a tutte le amministrazioni che avevano partecipato alla conferenza dei servizi.
L'oggetto della conferenza era diverso da quello delle delibere comunali impugnate ed il collegamento funzionale, pur esistente, tra il progetto ferroviario dell'"Alta velocità" ed il riassetto delle strutture viarie comunali non vale di certo a giustificare l'indiscriminata estensione della qualità di controinteressato.
In breve, da un lato esiste una netta cesura, logica e funzionale, tra il progetto approvato in conferenza ed il progetto di strada comunale approvato dalla giunta, dall'altro lato le singole autorità amministrative partecipanti alla conferenza non può dirsi che avessero un interesse eguale e contrario a quello dei ricorrenti in primo grado, né può dirsi che si trattasse di soggetti tutti contemplati nel provvedimento impugnato.
Non può indurre a diverso avviso il rilievo che i lavori della conferenza costituiscono un parametro di riferimento costante delle delibere comunali impugnate, poiché la conferenza di servizi non assurge alla dignità di organo ad hoc, né acquista soggettività giuridica autonoma, ma è solo uno strumento procedimentale di coordinamento di amministrazioni che restano diverse tra loro e mantengono la rispettiva autonomia soggettiva (Cons. Stato, sez. IV, 8 luglio 1999, n.1193).
E', infine, infondata anche la censura di inammissibilità del ricorso al TAR per difetto originario di interesse.
La delibera di giunta del 23.11.1998 è un atto di contenuto lesivo per i proprietari.
L'affermazione degli appellanti, secondo cui il nuovo progetto avrebbe ulteriormente distanziato la strada dalla proprietà dei signori Bassilici-Malavolti, è inconferente: a parte le contestazioni esposte su questo specifico punto dagli odierni appellati, è sufficiente sottolineare che nel secondo progetto è stato previsto un consistente allargamento della strada, con l'inevitabile (e ragionevole) intensificazione del pregiudizio lamentato in sede processuale.
7. E' altresì infondato il motivo di appello concernente la violazione dell'art.7 della legge n.241 del 1990.
Non è posto in dubbio che la delibera del 23.11.1998 è stata adottata senza il previo avviso ai proprietari delle aree interessate e che il progetto prevedeva alcune modifiche, tra cui quella consistente nell'allargamento della carreggiata della strada di ben due metri e nella modifica del tracciato.
Queste circostanze sono sufficienti a riconoscere nel progetto rilevanti elementi di novità rispetto a quello originario. Sicché, anche a prescindere dall'accertamento del grado di maggiore lesività della nuova localizzazione dell'opera, su cui le parti manifestano opposti avvisi, quello culminato nella delibera anzidetta è un procedimento amministrativo nuovo e diverso rispetto a quelli che l'hanno preceduto. Che avrebbe richiesto autonomo avviso di avvio.
Valgono, pertanto, i principi affermati dalla giurisprudenza di questo Consiglio, secondo cui la dichiarazione di pubblica utilità non è un subprocedimento della procedura espropriativa, bensì è l'esito di un autonomo procedimento, connotato da peculiare effetto; sicché per essa vale il principio generale che, a garanzia della partecipazione dell'interessato, impone la comunicazione preventiva dell'avvio del procedimento: garanzia che risponde ad essenziali esigenze di democraticità e trasparenza dell'azione amministrativa, le quali si impongono anche quando la dichiarazione di pubblica utilità sia un effetto implicito nell'approvazione del progetto dell'opera pubblica (v. Cons. Stato, Ad. plen., 15 settembre 1999, n.14).
Non persuade l'obiezione degli appellanti, che trae spunto dagli spazi di effettiva partecipazione fruiti dagli appellati, ai quali è stato concesso di formulare osservazioni sulla localizzazione dell'opera e di ottenere la risposta dell'amministrazione comunale. Ed invero, siffatta partecipazione si è svolta nella fase anteriore di approvazione della variante al PRG ed è stata funzionale ai profili della scelta amministrativa più direttamente pertinenti alla materia urbanistica, senza estendersi agli aspetti più specifici dell'opera da eseguire.
Prova ne sia che la delibera di giunta del 23.11.1998 precisava in motivazione che il nuovo progetto esecutivo della strada comunale, pur contenendo delle modifiche, non avrebbe richiesto un'ulteriore variante al PRG, rispettando i limiti di compatibilità con le previsioni urbanistiche già modificate.
Sarebbe stata, dunque, sufficiente garanzia di regolarità urbanistica la variante a suo tempo approvata e rispetto alla quale era stato concesso ai proprietari di interloquire. Ciò, però, dimostra che le previsioni della delibera di approvazione della variante restavano ad un livello inevitabilmente più generale e che la fase procedimentale volta a dichiarare la pubblica utilità dell'opera avrebbe richiesto l'attivazione di autonome garanzie partecipative: onde consentire al proprietario di esprimere il suo avviso in merito alla concreta posizione e struttura dell'opera pubblica.
La vicenda in esame, in definitiva, è la riprova dell'importanza di ordine generale che si è riconosciuta a quello strumento di protezione dei diritti del cittadino che è regolato dall'art.7 della legge n.241 del 1990 e, soprattutto, conferma la necessità che le pretese partecipative siano soddisfatte anche in quel particolare procedimento che si chiude con la dichiarazione (implicita) di pubblica utilità dell'opera pubblica.
Ne segue il rigetto dei motivi d'appello che riguardano il capo della sentenza di primo grado che ha annullato gli atti di esproprio.
Non sono esaminati gli altri motivi esposti nel ricorso di primo grado e riproposti in questo giudizio d'appello, perché non v'è, sul punto, una specifica domanda di riforma della sentenza da parte delle parti private, che si sono limitate a dedurli per il caso di accoglimento degli appelli principali nel merito.
8. Devono esaminarsi i motivi degli appelli principali e dell'appello incidentale relativi alla domanda risarcitoria ed al corrispondente capo della decisione appellata.
A questo scopo si ritiene necessario procedere mediante un inquadramento di ordine generale della fattispecie, in maniera da fissare i principi che regolano il risarcimento dei danni nei giudizi di impugnazione ed annullamento di atti espropriativi.
Nel corso dell'esposizione si avrà modo di precisare le conseguenze che tali principi producono sulle richieste delle parti in causa.
9. La domanda di risarcimento del danno proposta dai privati proprietari del fondo espropriato è soggetta all'applicazione degli artt. 34 e 35 del d. lgs. 31 marzo 1998, n.80, nel testo originario, comunque poi confermato dall'art.7 della legge 21.7.2000, n.205, intervenuta a colmare la lacuna determinatasi per effetto della nota sentenza n.292 del 2000 della Corte Costituzionale.
L'art.34 devolve alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie aventi per oggetto gli atti, i provvedimenti ed i comportamenti delle amministrazioni pubbliche in materia urbanistica ed edilizia. L'art.35 stabilisce che il giudice amministrativo, nelle controversie rimesse alla sua giurisdizione esclusiva, dispone, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, il risarcimento del danno ingiusto.
Queste disposizioni trovano entrambe applicazione al caso di specie.
La materia urbanistica comprende, ai sensi dell'art.34, comma 2, "tutti gli aspetti dell'uso del territorio" e la giurisdizione del giudice amministrativo abbraccia, oltre alla cognizione degli atti e provvedimenti, anche i comportamenti delle amministrazioni pubbliche. L'ultimo comma dell'art.34 prevede, altresì, che nulla è innovato "in ordine alla giurisdizione del giudice ordinario per le controversie riguardanti la determinazione e la corresponsione delle indennità in conseguenza dell'adozione di atti di natura espropriativa o ablativa".
Da queste disposizioni si evince che la giurisdizione esclusiva non si arresta al giudizio di annullamento del provvedimento amministrativo e che si estende al sindacato sul rapporto tra privato ed amministrazione nella sua portata più ampia, comprensivo anche dei comportamenti materiali. Perlomeno di quei comportamenti materiali che, come si preciserà in seguito, danno esecuzione o sono altrimenti collegati con il provvedimento. E' una logica ispirata al riparto della giurisdizione mediante individuazione di blocchi di materie, già osservata nel settore del pubblico impiego privatizzato e proseguita con l'assegnazione al giudice amministrativo della giurisdizione su pubblici servizi, urbanistica ed edilizia.
La nozione di urbanistica che ritaglia tale giurisdizione esclusiva è ampia al punto da assorbire tutti gli aspetti dell'uso del territorio. Essa si estende ai procedimenti di esproprio, comprensivi sia della dichiarazione di pubblica utilità, sia degli atti di occupazione d'urgenza e relativi comportamenti esecutivi, come confermato da due argomenti entrambi decisivi, l'uno di carattere letterale e l'altro teleologico.
Il primo argomento è quello desunto dal comma 3 dell'art.34, che espressamente sottrae alla giurisdizione del giudice amministrativo le controversie in materia di indennità derivanti da atti di natura espropriativa od ablativa. Se il legislatore ha avvertito l'esigenza di fare questa precisazione, è innegabile che avesse intenzione di assegnare alla materia urbanistica la latitudine necessaria a coprire anche il procedimento di espropriazione. Un disegno che, peraltro, appare razionale, perché distingue due settori ben precisi: da un lato la giurisdizione del g.a. sugli atti di espropriazione e sui comportamenti connessi, che è in chiara linea di continuità con il passato e col sindacato esercitato sui provvedimenti presi in materia dall'amministrazione; dall'altro lato la giurisdizione del g.o., che risolve questioni di diritto soggettivo puro, pronunciandosi su indennizzi dipendenti da procedure di esproprio la cui legittimità non è comunque messa in discussione.
Il secondo argomento è quello che trae forza dai legami strettissimi che esistono tra la materia urbanistica e la materia dell'espropriazione. Così stretti che la scelta legislativa che avesse deciso di separarli affidandoli a giudici diversi sarebbe stata palesemente irrazionale: contraria sia all'esigenza di concentrazione e coordinamento di controversie tra loro collegate, sia all'esigenza primaria che sta a base della creazione di forme di giurisdizione esclusiva, volta ad impedire la difficoltà e la confusione che al cittadino potrebbero derivare da criteri insicuri di riparto della giurisdizione in settori cruciali.
Un immediato riscontro di quanto affermato è offerto dalla presente controversia. Il legame tra profilo urbanistico ed attività d'esproprio è immediato: la delibera consiliare del 1996 provvede alla localizzazione dell'opera ed approva la variante al PRG e la successiva delibera di giunta del 1998, nel rispetto della precedente, approva il progetto esecutivo dell'opera pubblica, facendone derivare l'effetto dell'automatica dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza e l'autorizzazione all'occupazione d'urgenza. Renderebbe un pessimo servizio alla pratica il legislatore che separasse questi due momenti, assegnando i profili controversi dell'uno e dell'altro a giudici appartenenti a diverse giurisdizioni. Sicché il settore delle espropriazioni è assorbito nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sulla materia dell'urbanistica, salvo alcune considerazioni che si faranno appresso.
E' dunque priva di pregio l'eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dal Comune appellante; ed è errata, come si dirà, la decisione del TAR di non provvedere sul risarcimento del danno dipendente dall'occupazione di una porzione del fondo dei privati.
10. La risarcibilità del danno ingiusto provocato da provvedimenti illegittimi sancita dall'art.35 è stata seguita, com'è noto, dall'affermazione del principio generale della risarcibilità degli interessi legittimi ad opera della giurisprudenza della Cassazione (Cass., sez. un., 22 luglio 1999, n.500) e del legislatore (art.7, comma 3, della legge n.1034 del 1971, come novellato dall'art.35 predetto, nel testo a sua volta risultante dall'art. 7 della legge n.205 del 2000).
Il risarcimento degli interessi lesi dai provvedimenti illegittimi di esproprio ed occupazione, tuttavia, era riconosciuto ancor prima delle innovazioni del diritto positivo, ritenendo la giurisprudenza che l'annullamento dell'atto illegittimo valesse ad eliminare l'effetto di degradazione del diritto di proprietà al rango di interesse legittimo oppositivo e che consentisse quindi la riespansione della posizione soggettiva alla dignità di diritto soggettivo, pienamente risarcibile in quanto tale. Allo stato attuale della legislazione, potremo più semplicemente dire che l'interesse oppositivo è una situazione protetta dall'ordinamento non solo con l'annullamento giurisdizionale, ma anche con il ristoro patrimoniale dei danni.
Non è neppure una novità assoluta in questo settore la facoltà di chiedere ed ottenere la reintegrazione in forma specifica del danno. Trattandosi di interesse oppositivo, la reintegrazione coincide con la riduzione in pristino stato dei luoghi interessati dagli atti di esproprio, con la condanna dell'amministrazione alla restituzione del terreno e con l'eliminazione di eventuali modifiche eseguite su di esso. Principi giurisprudenziali pacifici riconoscevano alla sentenza di annullamento dei provvedimenti di esproprio carattere autoesecutivo, manifestando la tutela demolitoria l'idoneità alla soddisfazione dell'interesse del privato ricorrente. Il problema ulteriore della riduzione in pristino stato e dell'eliminazione di tutte le modificazioni materiali subite medio-tempore dal terreno occupato apparteneva alle competenze del giudice dell'ottemperanza e rientrava nel novero di quelle attività ulteriori necessarie per il completamento dal sistema di tutela assicurato dall'annullamento giurisdizionale.
11. Il risarcimento del danno non è una conseguenza automatica e costante dell'annullamento giurisdizionale, ma richiede la positiva verifica di tutti i requisiti previsti dalla legge e ciò è garanzia di un corretto contenimento delle domande risarcitorie: oltre alla lesione della situazione soggettiva di interesse tutelata dall'ordinamento (il "danno ingiusto"), è indispensabile che sia accertata la colpa (o il dolo) dell'amministrazione, che sia accertata l'esistenza di un danno al patrimonio, che sussista un nesso causale tra l'illecito ed il danno subito.
Nel caso di specie anzitutto deve valutarsi la colpa come profilo soggettivo di responsabilità.
E' noto al collegio che, secondo la Corte di Cassazione, il giudice è chiamato ad una penetrante indagine, estesa alla valutazione della colpa non già del funzionario agente, ma della P.A. intesa come apparato, e che la colpa sarebbe configurabile quando l'adozione dell'atto illegittimo sia avvenuta in violazione delle regole di imparzialità, di correttezza e di buona amministrazione, che si pongono come limiti esterni alla discrezionalità (Cass., sez. un., n.500 del 1999).
A parte la difficoltà di applicazione pratica di siffatto criterio, il collegio, pur se consapevole della complessità del tema, ritiene che tale enunciazione non sia idonea a risolvere il problema della ricostruzione del profilo soggettivo della colpa. Il criterio anzidetto, se da una parte rimane ad un livello di inevitabile astrazione, dall'altra non tiene conto del fatto che la violazione dei limiti esterni alla discrezionalità comporta l'illegittimità dell'atto per eccesso di potere. Sicché, pur premettendo l'esigenza di un'indagine penetrante sulla colpa dell'apparato, finisce per accontentarsi di una verifica di tipo solo oggettivo.
E' indispensabile, piuttosto, accedere direttamente ad una nozione oggettiva di colpa, che tenga conto dei vizi che inficiano il provvedimento ed, in linea con le indicazioni della giurisprudenza comunitaria, della gravità della violazione commessa dall'amministrazione, anche alla luce dell'ampiezza delle valutazioni discrezionali rimesse all'organo, dei precedenti della giurisprudenza, delle condizioni concrete e dell'apporto eventualmente dato dai privati nel procedimento (v. Corte Giustizia CE 5 marzo 1996, cause riunite n.46 e 48 del 1993; Id., 23 maggio 1996, causa C-5/1994). Se una violazione è l'effetto di un errore scusabile dell'autorità, non si potrà configurare il requisito della colpa. Se, invece, la violazione appare grave e se essa matura in un contesto nel quale all'indirizzo dell'amministrazione sono formulati addebiti ragionevoli, specie sul piano della diligenza e della perizia, il requisito della colpa potrà dirsi sussistente.
Nella presente controversia la colpa è positivamente accertata, perché l'amministrazione ha violato una norma di ordine generale, che costituisce presidio essenziale delle garanzie partecipative ed il cui rispetto richiede all'amministrazione uno sforzo minimo, consistente nella previa comunicazione. Si tenga anche conto del fatto che la violazione dell'art.7 della legge n.241 del 1990 è stata tempestivamente dedotta dai ricorrenti e che ciononostante l'amministrazione non ha ritenuto di arrestare il procedimento, né di rinnovarlo in tempo utile, provvedendo invece, come si dirà, alla compiuta esecuzione dell'opera.
Si aggiunga che l'illegittimità del provvedimento matura in questo caso in seno al procedimento. Tra le parti si era già instaurato un significativo "contatto", grazie alla delibera consiliare di approvazione della variante al PRG, che aveva considerato le osservazioni dei proprietari, ed alla successiva delibera del 1997. Questa stretta vicinanza tra amministrazione e privati rafforza il vincolo procedimentale ed i doveri posti in capo al soggetto pubblico: egli è tenuto a fornire ogni necessaria garanzia di partecipazione al procedimento e, se non vi provvede, il contatto procedimentale ben può facilitare il giudizio sull'esistenza della colpa, specie sul piano probatorio. In breve, l'onere del privato di provare la colpa è soddisfatto se si dimostra che l'amministrazione ha provveduto a seguito di un procedimento che ha visto la presenza del privato stesso, secondo una regola che evoca quella sul riparto dell'onere probatorio in tema di responsabilità contrattuale.
12. Si procede adesso ad esaminare il requisito dell'ingiustizia del danno.
Il problema, avuto anche riguardo ai motivi degli appelli principali, si pone perché l'annullamento degli atti amministrativi è stato disposto esclusivamente per la violazione dell'art.7 della legge n.241 del 1990: per un'illegittimità che concerne solo un interesse procedimentale, privo di rilievo sostanziale, e che non assume ad oggetto il "bene della vita", costituente il principale riferimento del giudizio risarcitorio.
I motivi di gravame basati su questo argomento sono, però, infondati e la lesione inferta all'interesse dei ricorrenti dai provvedimento ablatori rientra nella nozione di danno ingiusto. Le ragioni di questa affermazione sono riassunte nei punti che seguono.
a) Sono note al collegio le perplessità che da più parti si sollevano circa la possibilità di tutelare nel processo amministrativo interessi che abbiano mera valenza procedimentale, in quanto collegati al rispetto di regole che attengono al corretto svolgimento del procedimento e che non incidono sull'interesse legittimo sostanziale. Del pari sono noti i dubbi che riguardano la risarcibilità degli interessi procedimentali, anche dopo gli artt.35 del d. lgs. n.80 del 1998 e 7, comma 3, della legge n.1034 del 1971 novellato dalla legge n. 205 del 2000.
Tuttavia, la giurisprudenza amministrativa ha da tempo elaborato la costante regola per cui la violazione della garanzia dell'avviso di avvio del procedimento inficia la legittimità del procedimento e del provvedimento finale e ne costituisce motivo di invalidazione. La pretesa basata sull'art.7 della legge n.241 del 1990 è, per diritto vivente, di portata "sostanziale", nel senso che può avere ingresso nel processo e condurre all'accoglimento della domanda.
b) Nel caso in esame il comportamento lesivo ed il danno patrimoniale sono una conseguenza ulteriore dell'illegittimità consumata con la violazione dell'obbligo di comunicazione.
Il capo della sentenza che dispone l'annullamento dei provvedimenti è autoesecutivo sul piano dell'effetto demolitorio, ma esso può essere seguito da un segmento ulteriore di azione amministrativa, che si sostanzia nel comportamento materiale che modifica la consistenza del terreno e sul quale si appunta la domanda di risarcimento e, prima ancora, di reintegrazione in forma specifica. Sicché ne risulta la configurazione di uno spazio autonomo per la condanna risarcitoria, che oltrepassa la dimensione meramente procedimentale dell'interesse.
Né può dubitarsi della giurisdizione del g.a., perché essa si estende, per l'appunto, ai comportamenti dell'amministrazione. Alla cognizione sul provvedimento si aggiunge, in sostanza, la cognizione sul comportamento, con finalità di risarcimento del danno.
c) Del resto, la situazione non è molto diversa da quella che preesisteva all'ampliamento delle competenze del g.a.: in passato si distingueva sulla base delle posizioni soggettive e si prevedeva come primo effetto quello dell'annullamento del provvedimento a tutela dell'interesse legittimo e come secondo effetto quello del risarcimento del danno per lesione del diritto di proprietà. Solo che a queste due fasi corrispondeva la giurisdizione di due giudici diversi: nella prima quello amministrativo e nella seconda quello ordinario. Oggi provvede il giudice amministrativo in entrambe le fasi, in omaggio al principio di concentrazione processuale e di semplificazione.
E' coerente con queste premesse rimarcare la funzione sussidiaria del risarcimento rispetto alla tutela giurisdizionale accordata con l'annullamento dell'atto impugnato. L'azione di risarcimento, in breve, svolge un ruolo di completamento della tutela risultante dal giudicato amministrativo demolitorio, colmando le lacune che possono determinarsi allorquando sopravviene un ostacolo insuperabile alla soddisfazione dell'interesse del ricorrente, per via dell'irreparabilità in forma specifica dei danni provocati dal provvedimento amministrativo positivo.
Tale sussidiarietà conferma la razionalità del disegno che devolve la giurisdizione risarcitoria al g.a.. E' il giudice competente ad annullare l'atto che provvede, grazie alla reintegrazione in forma specifica ed al risarcimento per equivalente, ad eliminare ogni conseguenza pregiudizievole per il privato proprietario ed a completare la protezione giurisdizionale degli interessi, in armonia col principio di effettività della tutela di diritti ed interessi nei confronti della P.A..
13. Il discorso che precede è strettamente collegato alla fattispecie in esame, in cui la domanda di risarcimento si accompagna a quella di annullamento degli atti espropriativi. Sicché resta ad esso estraneo il caso della domanda di risarcimento autonoma, dipendente dal fenomeno della c.d. occupazione acquisitiva od appropriativa, non avendo il collegio ragione di occuparsene in questa sede.
Si precisa ancora che, comunque, il caso di specie, stando alla stessa giurisprudenza della Corte di Cassazione, non ricade nell'ambito della predetta occupazione acquisitiva.
Per effetto di questo istituto l'occupazione sine titulo del fondo e l'esecuzione dell'opera pubblica danno luogo all'acquisto a titolo originario dell'opera e del suolo occupato a beneficio dell'amministrazione, col diritto del privato irritualmente espropriato ad ottenere un risarcimento del danno, ridotto nei termini previsti dall'art.5 bis, comma 7 bis, del d. l. n.333 del 1992. Tale fattispecie, denominata dal legislatore "occupazione illegittima di suolo per causa di pubblica utilità", presuppone l'esistenza di una valida dichiarazione di pubblica utilità, che consenta di identificare l'opera come pubblica.
Quando invece, per effetto dell'annullamento, sia venuta meno la dichiarazione di pubblica utilità, non è apprezzabile il collegamento teleologico tra l'opera costruita ed il pubblico interesse e non si configura più il fenomeno della occupazione appropriativa, ma sussiste solo un illecito permanente: esso genera un danno che dev'essere liquidato, qualora il privato opti per la tutela risarcitoria, nella forma del risarcimento per equivalente senza i limiti previsti dal suddetto art. 5 bis (Cass., sez. I, 18 febbraio 2000, n.1814; Id., 16 luglio 1997, n.6515; v. anche Cons. Stato, sez. IV, n.3177 del 2000).
14. Si deve poi affrontare il problema che riguarda l'accertamento di un danno patrimoniale effettivo.
Se, invero, la lesione dell'interesse che sostanzia il danno ingiusto non ridonda in una concreta diminuzione patrimoniale, non v'è ragione di accordare alcun risarcimento. Per aversi risarcimento occorrono entrambi i requisiti: l'illecito e la perdita patrimoniale.
Prima di questa indagine, però, in ordine logico va esaminata la domanda di reintegrazione in forma specifica proposta dai privati proprietari, i quali chiedono la riduzione in pristino stato e la condanna alla restituzione del fondo.
Come già rilevato in termini generali, con riferimento all'istituto risarcitorio, lo scopo della reintegrazione in forma specifica non è quello di sostituire la tutela demolitoria (o conformativa) che si connette all'annullamento giurisdizionale, ma quello di integrare la tutela, colmando eventuali lacune. La reintegrazione, dunque, assolve un ruolo identico a quello che, in caso di interesse oppositivo, era svolto dal giudizio di ottemperanza.
L'ostacolo all'accoglimento della domanda di reintegrazione in forma specifica, però, deriva qui dalla circostanza che l'opera pubblica è stata costruita interamente e che ormai i lavori hanno dato luogo alla strada comunale prevista in progetto. La riduzione in pristino richiesta dagli appellanti in via incidentale imporrebbe anzitutto la distruzione di tale strada, che, giova ricordarlo, è una importante arteria della larghezza di circa 10 metri, parzialmente soprelevata.
Il diritto positivo non fornisce dati esaurienti sulla natura di questo rimedio, né sui limiti di attuazione cui è soggetto.
Possono tuttavia utilmente citarsi due disposizioni di diritto civile.
Il risarcimento in forma specifica nell'ordinamento civile, disciplinato dall'art.2058 c.c., è una forma di ristoro del danno alternativo al risarcimento per equivalente monetario e viene, di regola, distinto dagli strumenti di reintegra in senso proprio del diritto, tra i quali, in primo luogo, l'azione di rivendicazione della proprietà. Si tratta di una figura comunque indubbiamente molto vicina a quella prevista dall'art.35 del d. lgs. n.80 del 1998.
L'art.2058 c.c., al primo comma, stabilisce che il danneggiato può chiedere la reintegrazione in forma specifica "qualora sia in tutto o in parte possibile" ed, al secondo comma, che il giudice può d'ufficio imporre il risarcimento per equivalente "se la reintegrazione in forma specifica risulta eccessivamente onerosa per il debitore". Esiste, dunque, un duplice limite all'attuazione di quella che nel corpo dell'articolo viene definita reintegrazione in forma specifica, che coincide: a) con la concreta impossibilità di disporla; b) con l'eccessiva onerosità per il debitore.
L'art.2933 c.c. disciplina l'esecuzione forzata degli obblighi di non fare e pone un limite al processo esecutivo, prevedendo che "non può essere ordinata la distruzione della cosa e l'avente diritto può conseguire solo il risarcimento danni se la distruzione della cosa è di pregiudizio all'economia nazionale". L'interesse alla conservazione di un bene che sia utile all'economia nazionale è di ostacolo al soddisfacimento in executivis della pretesa e provoca la sostituzione del risarcimento per equivalente.
Si tratta di una disposizione che sovrappone l'interesse pubblico all'interesse privato e che si riflette sui metodi di protezione diretta dei diritti, che il giudice amministrativo ha già utilizzato al fine di delimitare l'ambito di espansione del giudizio di ottemperanza per la soddisfazione dell'interesse oppositivo, sempre in materia di annullamento di atti espropriativi (Cons. Stato, sez. V, 12 luglio 1996, n.874).
Queste disposizioni offrono spunti preziosi per l'interpretazione dell'art.35.
La reintegrazione in forma specifica non è uno strumento che il giudice può utilizzare senza limiti. Se un limite è dato apprezzare nei sistemi di tutela risarcitoria in ambito civile, a fortiori devono ammettersi forme corrispondenti nel processo amministrativo.
Ritiene, pertanto, il collegio che la reintegrazione in forma specifica debba essere intesa come istituto speciale del diritto processuale amministrativo e che i suoi limiti di applicazione coincidano con quelli di speciale rilevanza dell'interesse pubblico. Ciò perlomeno in casi, come quello esaminato, nei quali l'accoglimento della domanda di reintegrazione comporterebbe la distruzione di un'opera pubblica di rilevante importanza e di ingente valore economico.
La sua distruzione provocherebbe gravissimi danni, derivanti sia dalla perdita di un'arteria stradale a servizio della collettività, sia dallo spreco di danaro pubblico: in breve sarebbe eccessivamente onerosa per il pubblico interesse e di pregiudizio per l'economia nazionale. L'eccessiva onerosità per il debitore considerata dall'art.2058 c.c., nell'applicazione dell'art.35 muta veste e deve valutarsi come eccessiva onerosità per il pubblico interesse e per la collettività, senza trascurare che è proprio la collettività che sopporta gli oneri dell'azione amministrativa.
Del resto, che la reintegrazione in forma specifica sia uno strumento subordinato a limiti e condizioni attuative è dimostrato dal fatto che ai sensi dell'art.35 il giudice "dispone, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, il risarcimento del danno ingiusto". La reintegrazione, dunque, è solo una delle possibili forme di risarcimento.
Questa interpretazione, nel silenzio del legislatore, è l'unica compatibile col valore del buon andamento dell'azione amministrativa ex art.97 Cost., anche nella logica del bilanciamento con l'art.42 Cost.; essa rinviene nella specialità pubblicistica dell'istituto regolato dall'art.35 un limite necessario alle aspirazioni del proprietario, che viene così inevitabilmente spogliato del suo bene.
La domanda di reintegrazione in forma specifica proposta con l'appello incidentale è, dunque, infondata.
15. Ciò detto, deve ora accertarsi il danno per il quale è dovuto il risarcimento per equivalente.
I privati hanno, invero, chiesto tale forma di risarcimento, per l'eventualità del mancato accoglimento della domanda di reintegrazione in forma specifica. Con tale domanda, che il collegio ritiene fondata, i privati implicitamente rinunziano alla conservazione del bene occupato dall'opera pubblica.
La questione è ancora una volta collegata alla dimensione solo procedimentale del vizio.
Una prima voce di danno è indiscutibile: il danno sofferto per la temporanea indisponibilità del terreno. Anche se l'amministrazione rinnovasse da principio il procedimento espropriativo, con la nuova e tempestiva comunicazione di avvio, e se il procedimento si rivelasse esente da vizi, dovrebbe sempre risarcirsi il danno provocato per la temporanea occupazione del fondo senza titolo.
Il problema nella presente controversia si complica, perché l'amministrazione ha mantenuto il possesso del fondo, incurante dell'instaurazione del processo, ed ha ultimato l'opera. Il danno da risarcire è, quindi, pari all'intero valore del terreno occupato.
Si potrebbe, però, obiettare che non è affatto sicuro che tale ingente danno sia effettivo e causalmente riconducibile all'illecito accertato, poiché non è escluso che il procedimento, qualora fosse stato effettuato l'avviso di avvio, avrebbe avuto esito positivo per l'amministrazione. Se, invero, l'amministrazione avesse la possibilità di rinnovare comunque il procedimento, anche dopo l'ultimazione dell'opera, il danno sofferto non sarebbe più commisurabile al valore del fondo occupato.
Ma il collegio esclude che vi sia questa possibilità di rinnovazione, perché un procedimento espropriativo che fosse avviato per l'esecuzione di un'opera pubblica che già esiste e che non può essere rimossa sarebbe sostanzialmente privo di oggetto ed impossibile. Né le garanzie partecipative avrebbero in un caso di questo tipo alcuna possibilità di successo, né utili spazi di svolgimento: esse si risolverebbero in vuoti formalismi (per un principio analogo Cons. Stato, sez. VI, 26 luglio 2000, n.4158).
Sicché, in definitiva, l'allargamento del quantum del risarcimento all'intero valore del fondo occupato è una conseguenza alla quale concorre il comportamento negligente dell'amministrazione che, anziché rinnovare in tempo utile la procedura, ha ultimato l'opera pubblica.
Ai privati proprietari è perciò dovuto il risarcimento dell'integrale danno sofferto, senza i limiti posti dall'art.5 bis del d.l. n.333 del 1992, poiché non ricorrono neppure i presupposti per configurare la c.d. occupazione acquisitiva. Il risarcimento del danno, come osservato, completa la tutela accordata con l'annullamento del provvedimento ablativo illegittimo; ed il regime di protezione del privato, proprio perché equivalente al danno effettivo, assicura un serio ristoro, conserva la soggezione della P.A. al principio di legalità e salvaguarda il rispetto dei diritti del cittadino riconosciuti sia nella Costituzione sia nell'ambito delle organizzazioni internazionali (sul tema specifico dell'occupazione acquisitiva, v. Corte Europea dei diritti dell'uomo, sez. II, 30 maggio 2000).
16. E' errata l'affermazione del giudice di primo grado, secondo cui il risarcimento del danno subìto per effetto della perdita della porzione di fondo occupata dalla strada non rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo. Questo aspetto del rapporto controverso, alla luce di quanto detto, entra invece a pieno titolo nella previsione dell'art.34.
Per questa parte, dunque, l'appello incidentale deve accogliersi.
17. Al risarcimento per l'occupazione del fondo dovrà sommarsi quello per il danno sofferto a causa della diminuzione di valore del fabbricato.
Entrambi i danni sono stati provati.
Quanto al primo, il danno sofferto è in re ipsa. Il secondo, nonostante le obiezioni del Comune appellante, è dimostrato dalla circostanza che la strada realizzata a breve distanza dal fabbricato ne compromette le possibilità di utilizzo, con specifico riguardo alla sua destinazione turistico-residenziale, non contestata in giudizio.
Tuttavia, non persuade il procedimento logico seguito dal giudice di prime cure per la liquidazione di questa voce di danno. La consulenza tecnica di parte, eccessivamente generica, è uno strumento inadeguato a computare il valore del fabbricato e non contiene tutti dati necessari a valutare l'incidenza della nuova opera sulla fruizione della casa rurale. Inoltre, in essa non si deduce un pregiudizio alla vista panoramica, ma si riferisce solo dell'inquinamento acustico ed ambientale.
Il collegio, sulla base dell'esame degli atti e delle foto prodotte in giudizio, avvalendosi del criterio equitatitivo in via sussidiaria, ritiene che il danno da risarcire per diminuzione del valore del fabbricato sia pari solo al trenta per cento dell'intero, sicché, anche per questa parte, deve riformarsi la sentenza appellata. Si accolgono parzialmente, dunque, i motivi degli appelli principali proposti su questo specifico punto.
18. Ai fini della più precisa liquidazione del danno non è necessario nominare un consulente tecnico d'ufficio come richiesto dagli appellanti incidentali.
Si preferisce, invero, utilizzare lo strumento previsto dall'art.35, comma 2, del d. lgs. n.80 del 1998, che consente al giudice amministrativo di stabilire "i criteri in base ai quali l'amministrazione deve proporre a favore dell'avente titolo il pagamento di una somma entro un congruo termine". Solo se permane il disaccordo, le parti si rivolgono nuovamente al giudice per la determinazione della somma nelle forme del giudizio di ottemperanza. E' ovviamente salva la facoltà del collegio, in caso di prosecuzione, di regolare la sorte delle spese processuali per l'ulteriore fase.
La possibilità di limitarsi alla fissazione dei criteri è uno strumento di semplificazione posto a disposizione del giudice amministrativo, che tiene conto dell'obiettiva complessità delle operazioni di liquidazione del danno in questa materia e che comunque persegue finalità di accelerazione e di economia processuale, in sintonia con l'intero impianto descritto dalla legge n.205 del 2000.
Si dispone, pertanto, che le parti (Comune di Firenzuola e privati) provvedano a nominare un collegio di consulenti tecnici: due nominati ciascuno da una parte ed uno nominato d'accordo tra di esse ovvero, in difetto, dal Presidente del Tribunale di Firenze.
I consulenti provvederanno ad effettuare la liquidazione del danno secondo i criteri in appresso indicati ed il loro compenso seguirà la sorte delle spese di causa di cui all'ultimo punto della presente motivazione..
Il risarcimento dovrà essere pagato entro il termine massimo di 60 giorni dalla data di comunicazione della presente sentenza.
19. In particolare, il risarcimento del danno dovuto ai signori Bassilici e Malavolti deve computarsi nel modo seguente:
a) una somma pari al trenta per cento del valore venale del fabbricato (tutti i locali compresi ed escluso solo il fondo contiguo) alla data di ultimazione dei lavori; ciò per il risarcimento del danno derivante dalla diminuzione di valore del fabbricato;
b) una somma pari al valore della porzione del fondo occupato, alla data di ultimazione dei lavori; ciò per il risarcimento del danno derivante dall'occupazione di tale porzione a titolo definitivo;
c) una somma corrispondente agli interessi legali calcolati su una somma pari al valore venale della porzione di fondo occupata alla data dell'ultimazione dei lavori; interessi al tasso legale via via vigente e decorrenti dalla data di immissione in possesso del fondo e fino alla data di ultimazione dei lavori; ciò per il risarcimento del danno derivante dall'occupazione illegittima del fondo durante il tempo necessario per eseguire l'opera pubblica;
d) sulle somme liquidate ai sensi delle lettere a), b) e c), che riguardano tutte il risarcimento del danno e consistono perciò in un debito di valore, deve riconoscersi la rivalutazione, secondo indici Istat, a partire dalla data di ultimazione dei lavori e fino alla data di deposito della presente sentenza; tale ultima data costituisce, invero, il momento in cui, per effetto della liquidazione giudiziale, il debito di valore si trasforma in debito di valuta;
e) sulle somme progressivamente e via via rivalutate, di cui alla precedente lettera d), sono altresì dovuti gli interessi legali (secondo il tasso all'epoca vigente) a decorrere dalla data dell'ultimazione dei lavori e fino alla data di deposito della presente sentenza; ciò in funzione remunerativa e compensativa della mancata tempestiva disponibilità della somma dovuta a titolo di risarcimento del danno;
f) su tutte le somme dovute ai sensi della precedenti lettere decorrono, altresì, gli interessi legali dalla data di deposito della presente sentenza e fino al soddisfo.
20. La condanna al risarcimento deve essere mantenuta esclusivamente nei confronti del Comune di Firenzuola, in considerazione del comportamento che ha dato causa all'illecito e dei ruoli rispettivamente assunti nella vicenda dall'amministrazione comunale e dal consorzio Cavet.
21. In considerazione della complessità e novità delle questioni trattate e dell'esito della controversia, le spese processuali sono interamente compensate tra le parti.
P.Q.M.
il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Quarta Sezione, definitivamente pronunziando, così provvede:
- riunisce gli appelli;
- rigetta gli appelli principali per quanto concerne il capo della sentenza appellata che ha annullato i provvedimenti amministrativi comunali;
- in accoglimento, per quanto di ragione, degli appelli principali, ed in parziale riforma del capo della sentenza appellata relativo alle questioni risarcitorie, condanna il comune di Firenzuola al risarcimento dei danni subìti dai privati a causa della diminuzione di valore del fabbricato, in misura pari al trenta per cento di tale valore, quest'ultimo da determinarsi secondo i criteri indicati in motivazione;
- in accoglimento, per quanto di ragione, dell'appello incidentale, ed in parziale riforma del capo della sentenza appellata relativo alle questioni risarcitorie, condanna il comune di Firenzuola al risarcimento dei danni subìti dai privati per l'occupazione della porzione del terreno, secondo i criteri indicati in motivazione;
- dichiara interamente compensate tra le parti le spese del secondo grado di giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 13 febbraio 2001, con l'intervento dei signori:
Giovanni Paleologo Presidente
Costantino Salvatore Consigliere
Anselmo Di Napoli Consigliere
Marcello Borioni Consigliere
Fabio Cintioli Consigliere est.
Depositata il 14 giugno 2001.