CONSIGLIO DI STATO, SEZ. IV - Sentenza 25 luglio 2001 n. 4070
- Pres. Paleologo, Est. Borioni - D'Amico (Avv. F. Sabatini) c. Regione Abruzzo (Avv.ra gen. Stato) - (respinge ricorso per revocazione della dec. della Sez. IV 17 febbraio 2000, n. 911).Giustizia amministrativa - Costituzione in giudizio - Delle parti resistenti - E' ammissibile sino all'udienza di discussione.
Giustizia amministrativa - Sentenza - Revocazione - Per omesso esame di un motivo di ricorso - Ammissibilità.
Giustizia amministrativa - Sentenza - Sottoscrizione - Del presidente e dell'estensore - Necessità - Degli altri componenti - Non occorre.
Giustizia amministrativa - Sentenza - Partecipazione di un giudice diverso da quello facente parte del collegio - Prova - Necessità.
La costituzione della parte intimata nel giudizio amministrativo può avvenire fino all'udienza di discussione, atteso che, da un lato, l'art. 37 del R.D. 26 giugno 1924, n. 1054, al primo comma, consente alle parti intimate di "presentare memorie, fare istanze, produrre documenti, e anche un ricorso incidentale" nel termine di "trenta giorni successivi a quello assegnato per il deposito del ricorso" e che, al successivo quinto comma, conferisce il carattere della perentorietà ai soli "termini e modi prescritti nel presente articolo per la notificazione e il deposito del ricorso incidentale" (1).
L'omessa pronunzia su di una censura può dar luogo revocazione della sentenza (2).
La sentenza del giudice amministrativo deve contenere la sottoscrizione del presidente e dell'estensore (art. 55, comma 1, della legge 27 aprile 1982, n. 186), non anche quella degli altri componenti del collegio.
Per dichiararsi la nullità della sentenza è necessaria la prova della partecipazione al collegio deliberante di un giudice diverso da quello che aveva assistito alla discussione della causa.
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(1) La sentenza in rassegna, nel ribadire che la costituzione delle parti resistenti può avvenire fino all'udienza di merito, ha altresì precisato che le memorie possono essere prodotte fino a dieci giorni prima della data fissata per l'udienza, come disposto prima dall'ordinanza del Presidente del Consiglio di Stato n. 38 del 1954, ed ora dall'art. 23, comma 4, della legge n. 1034/1971, applicabile anche nel giudizio di appello in quanto espressione del generale principio del rispetto del contraddittorio (Cons. Stato, Sez. V, 14 aprile 1997, n. 357; 31 gennaio 1991, n. 81).
(2) Cfr. Cons. Stato, Ad. Plen., 22 gennaio 1997, n. 3 e, da ultimo, Cons. Stato, Sez. VI, 6 settembre 2000, n. 4675.
FATTO
Questa Sezione, con decisione 17 febbraio 2000, n.911, ha respinto l'appello del sig. Santo D'Amico avverso la sentenza del T.A.R. dell'Abruzzo , L'Aquila, 10 maggio 1999, n.324.
Avverso la decisione il sig. D'Amico ha proposto ricorso chiedendone la revocazione sotto più profili.
Si è costituita l'Avvocatura dello Stato per resistere al ricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie.
DIRITTO
Il ricorso, proposto per la revocazione della decisione di questa stessa Sezione 17 febbraio 2000, n.911, è inammissibile.
In via preliminare va disatteso l'assunto del ricorrente secondo cui la Regione Abruzzo non aveva titolo a depositare memorie, perché "non si è costituita nel termine di trenta giorni prima dell'udienza di discussione".
E' costante indirizzo della giurisprudenza che la costituzione della parte intimata nel giudizio amministrativo possa avvenire fino all'udienza di discussione. Ciò alla luce dell'art.37 del R.D. 26 giugno 1924, n.1054, che, al primo comma, consente alle parti intimate di "presentare memorie, fare istanze, produrre documenti, e anche un ricorso incidentale" nel termine di "trenta giorni successivi a quello assegnato per il deposito del ricorso"; ma poi, al quinto comma, conferisce il carattere della perentorietà ai soli "termini e modi prescritti nel presente articolo per la notificazione e il deposito del ricorso incidentale". La giurisprudenza ha successivamente chiarito che le memorie possono essere prodotte fino a dieci giorni prima della data fissata per l'udienza, come disposto prima dall'ordinanza del Presidente del Consiglio di Stato n.38 del 1954, ed ora dall'art.23, comma 4, della legge n.1034/1971, applicabile anche nel giudizio di appello in quanto espressione del generale principio del rispetto del contraddittorio (Cons. Stato, sez. V, 14 aprile 1997, n.357; 31 gennaio 1991, n.81). Pertanto, il deposito della memoria da parte dell'Avvocatura generale dello Stato, avvenuto il 30 marzo 2001, è rituale.
Con il primo motivo il ricorrente contesta il mancato esame della censura con la quale aveva sostenuto la nullità della sentenza di primo grado osservando che " la regola per cui la sentenza deve contenere il dispositivo, la data della deliberazione e la sottoscrizione del giudice, comporta che questa debba chiudere e concludere la sentenza", mentre la sentenza del T.A.R. dell'Abruzzo "non si chiude con la sottoscrizione dei giudici, ma con la dizione dattiloscritta Massimo Basilavecchia - consigliere".
All'obiezione dell'amministrazione, per la quale si sarebbe in presenza semmai di un errore di diritto, va replicato che, secondo l'indirizzo giurisprudenziale che ha preso le mosse da una recente decisione dell'Adunanza plenaria (Cons. Stato, Ad. Plen. 22 gennaio 1997, n.3), l'omessa pronunzia su una censura non esorbita dall'ambito del giudizio revocatorio (da ultimo, Cons. Stato, sez. VI, 6 settembre 2000, n.4675).
Tuttavia non può convenirsi che nella specie la censura sia stata trascurata.
La sentenza del T.A.R. dell'Abruzzo reca nell'ultima pagina la formula: "Così deciso in L'Aquila, nella camera di consiglio del 7 aprile 1999, con l'intervento dei magistrati Rolando Speca - presidente, Luciano Rasola - consigliere, Massimo Basilavecchia - consigliere". Accanto ai due primi nominativi figurano le firme dei due magistrati. Seguono l'indicazione "Il segretario di udienza", anch'essa debitamente sottoscritta, e i dati relativi alla pubblicazione della sentenza.
La decisione n. 911/2000, della quale è chiesta la revocazione, ha dichiarato infondato il motivo di appello, in quanto la sentenza del giudice amministrativo deve contenere la sottoscrizione del presidente e dell'estensore (art.55, comma 1, della legge 27 aprile 1982, n.186), non anche quella degli altri componenti del collegio (punto I, pag.5). Ha anche affermato che: a) per dichiararsi la nullità del provvedimento è necessaria la prova della partecipazione al collegio deliberante di un giudice diverso da quello che aveva assistito alla discussione della causa; b) l'intestazione della sentenza non ha una autonoma efficacia probatoria, risolvendosi nella riproduzione dei dati del verbale dell'udienza; c) dal verbale dell'udienza di discussione nasce la presunzione delle deliberazione della sentenza da parte degli stessi giudici che avevano partecipato all'udienza; d) tale presunzione è rafforzata dalla considerazione che, ai sensi dell'art.276 c.p.c., tra le funzioni del presidente del collegio vi è quella di controllare che i magistrati presenti nella camera di consiglio si identifichino con quelli risultanti dal verbale dell'udienza di discussione (punto II, pagg. 6 e 7).
In sostanza è stato così escluso che la sentenza debba contenere, a pena di nullità, l'attestazione della composizione integrale del collegio deliberante. L'evidente conseguenza è che nella sentenza del T.A.R. le firme del presidente e del relatore sono poste a conclusione del contenuto essenziale della pronunzia anche quando precedono la trascrizione dattiloscritta del nominativo del terzo componente del collegio.
Le considerazioni dianzi riferite (pagg.6 e 7 della decisione) dimostrano anche l'ininfluenza della acquisizione del verbale dell'udienza di primo grado. Verbale che, d'altra parte, non potrebbe certificare alcunché circa la partecipazione del consigliere Basilavecchia alla decisione, perché esso registra gli eventi salienti dell'udienza pubblica, mentre la decisione è presa in camera di consiglio, in assenza di verbalizzazione. Contrariamente poi a quanto assume il ricorrente, in nessun punto della decisione è detto che "il verbale di udienza attesterebbe la coincidenza con il collegio deliberante". E' affermato, invece, in linea con l'indirizzo della giurisprudenza (Cass., sez.III, 10 marzo 1995, n.2815), che dal verbale d'udienza nasce una presunzione di coincidenza. Il che ha un significato opposto a quello prospettato dal ricorrente, dal momento che ha senso parlare di deduzione presuntiva proprio quando manchi una esplicita attestazione del fatto. Sicché, in conclusione, l'asserito errore revocatorio, nascente "dalla affermazione di un fatto.incontrastabilmente escluso allo stato", non esiste.
Il successivo motivo di revocazione si riferisce alla reiezione del motivo di appello con il quale era stata sostenuta l'indebita partecipazione al collegio del consigliere Rolando Speca, che, a dire dell'appellante, si era astenuto.
La questione tra origine dal testo del decreto del presidente del T.A.R. dell'Abruzzo n.9/1997, che così recita: "Tenuto conto che il sottoscritto, presidente del T.A.R. per l'Abruzzo, non potrà presiedere la suddetta udienza; considerato che il dott. Rolando Speca dovrà astenersi per i motivi in precedenza precisati."; segue il provvedimento di integrazione del collegio con un magistrato della sezione di Pescara. Nella decisione n.911/2000 si legge che nel decreto del presidente del T.A.R 11 aprile 1997, n.9, "si fa (erroneamente) riferimento ad una futura astensione del dott. Speca, ma siffatta astensione non risulta essere mai stata dichiarata o richiesta dal dott. Speca.". Sul punto, dunque, la decisione si è espressamente pronunziata avendo ben presente anche il testo del decreto presidenziale, del quale ha motivatamente asserito l'erroneità nella parte investita dal motivo di appello. Pertanto, deve escludersi che sul punto si sia verificata una "svista di carattere materiale".
Il successivo motivo di revocazione si appunta sulla decisione n.911/2000, nella parte in cui rileva che il quorum stabilito dall'art.10 della legge regionale n.126/1995 (due terzi dei "consiglieri assegnati") è "quello deliberativo e non quello costitutivo dell'organo chiamato a scegliere il difensore civico". Il ricorrente sostiene che vi è contraddittorietà fra questa interpretazione della norma regionale e quanto asserito, con effetto di giudicato fra le parti, nella sentenza del T.A.R. dell'Abruzzo, che avrebbe ritenuto disciplinati dalla stessa norma sia il quorum costitutivo sia il quorum deliberativo.
In realtà nella sentenza di primo grado è detto che "la votazione qualificata è riferita alla nomina e non all'adunanza, per cui la votazione deve esprimere un consenso pari ai 2/3 dei consiglieri assegnati per dare luogo ad una nomina valida" del difensore civico. E' aggiunto che "non si può confondere, come fa grossolanamente o artatamente il ricorrente, il quorum per la regolarità dell'adunanza, che investe la legittimazione del collegio ad agire, con il quorum dei votanti, che riguarda l'atto collegiale, cioè la deliberazione".
Sul punto vi è, dunque, piena convergenza fra le due decisioni, e tanto è sufficiente per disattendere la censura.
L'ultimo motivo si riferisce alle seguenti due frasi tratte dal testo della decisione n.911/2000, una a pag.3 ("si costituiva la Regione Abruzzo deducendo l'infondatezza del gravame in fatto e diritto"), l'altra a pag.4 ("la difesa erariale ha insistito per il rigetto dell'appello"). Entrambe le affermazioni sarebbero inficiate da errore di fatto, la prima, perché l'atto di costituzione reca l'indicazione "si costituisce in giudizio per resistere/aderire al ricorso"; la seconda, perché la difesa erariale ha "chiesto il rigetto dell'appello", e non insistito per il rigetto.
Le indicazioni fornite dal ricorrente sono ben lungi dal porre in evidenza elementi che consentano l'apprezzamento dei presupposti per la revocazione. In ogni caso, non si comprende come queste difformità possano avere influito sulla decisione della quale è chiesta la revocazione. Men che meno si comprende come il mancato chiarimento, nell'atto di costituzione, se l'Avvocatura dello Stato interveniva per resistere o per aderire al ricorso, possa aver influito sulla esatta percezione, da parte del giudice e dello stesso attuale ricorrente, "del processo di formazione del giudicato" sul punto relativo al raggiungimento del quorum costitutivo.
Per le ragioni esposte il ricorso va dichiarato inammissibile.
Le spese del giudizio, liquidate in dispositivo, seguono, come di regola, la soccombenza.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione IV) dichiara il ricorso inammissibile.
Condanna il ricorrente a pagare alla Regione Abruzzo £.2.000.000, (duemilioni) per spese del giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, Palazzo Spada, sede del Consiglio di Stato, nella camera di consiglio del 10 aprile 2001, con l'intervento dei sigg.ri
Giovanni Paleologo presidente,
Marcello Borioni consigliere estensore,
Aldo Scola consigliere,
Vito Poli consigliere,
Fabio Cintioli consigliere.
Depositata il 25 luglio 2001.