CONSIGLIO DI STATO, SEZ. IV - Sentenza 25 luglio 2001 n. 4071 - Pres. Paleologo, Est. Carinci - Lancellotti e c.ti (Avv.ti Giuseppe Guarino, Roberto Montemurro e Riccardo Anzisi) c. Comune di Napoli (Avv.ti Bruno Ricci, Edoardo Barone, Giuseppe Tarallo, Santo Fico, Franco De Tilla e G. B. Testa) e Capasso e c.ti (n.c.) - (conferma TAR Campania, Sez. I, 17 ottobre 1990 n. 600).
Edilizia ed urbanistica - Concessione edilizia - Misure di salvaguardia - Successiva approvazione dello strumento urbanistico o successiva perdita di efficacia della misura per decorso del termine previsto dalla legge - Non fanno venir meno l'interesse al ricorso - Ragioni - Riferimento alla possibilità di chiedere il risarcimento del danno nel caso di sopravvenuta inefficacia delle misure.
Giustizia amministrativa - In genere - Oggetto dell'impugnazione - Nella giurisdizione generale di legittimità - Deve essere indicato con precisione dal ricorrente - Formule di stile - Irrilevanza.
Edilizia ed urbanistica - Concessione edilizia - Misure di salvaguardia - Adozione - In presenza di variante al P.R.G. - Costituisce un obbligo per l'Autorità comunale.
Il ricorso contro l'applicazione delle misure di salvaguardia su domanda di concessione edilizia non diviene improcedibile per carenza di interesse a seguito dell'approvazione dello strumento urbanistico a garanzia del quale le misure stesse sono state adottate; lo stesso deve dirsi con riguardo alla diversa ipotesi della sopravvenuta perdita di efficacia della misura per decorso del termine previsto dalla legge - non essendo da escludere che l'interessato possa trarre ristoro, sotto il profilo risarcitorio, del danno subito a causa di un atto eventualmente riconosciuto illegittimo dal giudice amministrativo (1).
Eventuali formule di stile non sono utili a individuare uno specifico oggetto di impugnativa e restano prive di qualsiasi valore processuale, atteso che solo un'inequivoca determinazione del petitum processuale consente alle controparti la piena esplicazione del diritto di difesa in giudizio garantito dall'art. 24, comma 2°, della Costituzione.
L'adozione di una variante al Piano regolatore non solo giustifica l'applicazione delle misure di salvaguardia, ma dà luogo, per l'organo chiamato a decidere, a specifico obbligo a provvedere in tal senso, come sancito peraltro dalla legge 6 agosto 1967 n. 765 (2).
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(1) Cons. Stato, Sez. IV, 12 dicembre 2000, n. 6594; Sez. V, 29 aprile 1991, n. 690; id., 8 settembre 1983, n. 366.
(2) Cons. Stato, Sez. V, 30 aprile 1997 n. 421.
FATTO
Con provvedimento n. 13535 del'11 marzo 1981, il Sindaco di Napoli ha sospeso ogni determinazione, in applicazione delle misure di salvaguardia, sull'istanza di concessione edilizia proposta dagli attuali ricorrenti (prat. ed. n. 515/80).
Gli interessati hanno ritenuto illegittima la determinazione comunale e l'hanno impugnata dinanzi al Tribunale Amministrativo della Campania, sede di Napoli, deducendo violazione del combinato disposto dell'articolo unico della legge 3 novembre 1952 n. 1902 e dell'art. 10 della legge 17 agosto 1942 n. 1150, nonché eccesso di potere sotto vari profili. Secondo la tesi sostenuta dai ricorrenti, sarebbe da ritenere inesistente la variante urbanistica cui è stato fatto riferimento nell'applicazione della misura di salvaguardia, in quanto adottata senza la preventiva autorizzazione regionale. Non poteva ritenersi, in ogni caso, che la variante avesse la forza di abrogare il piano particolareggiato di cui alla V convenzione SPEME. L'atto sarebbe inoltre carente di motivazione e rivelerebbe intento persecutorio.
Con la sentenza specificata in epigrafe, il Tribunale adito ha respinto il ricorso.
Si è costituita nel giudizio l'Amministrazione intimata, la quale ha ritenuto il ricorso inammissibile e infondato, ribadendo la piena legittimità del provvedimento posto in discussione.
La decisione non è stata condivisa dai ricorrenti, i quali con atto notificato in data 13 gennaio 1992 l'hanno appellata, chiedendone la riforma. Nel gravame hanno sollevato i seguenti motivi.
1) Violazione e falsa applicazione dell'art. 3 della legge 6 agosto 1967 n. 765; erroneità dei presupposti: contrariamente a quanto ritenuto dal TAR Campania, con il ricorso in primo grado è stata impugnata anche la delibera di adozione della variante al P.R.G., donde l'erroneità della decisione nella parte in cui ha ritenuto inammissibile l'impugnazione di tale atto. Conseguentemente, il denunciato vizio di omessa acquisizione dell'autorizzazione regionale all'adozione della variante incide sulla legittimità di questa e determina l'illegittimità derivata della decisione sindacale impugnata. La conformità della richiesta di concessione al piano particolareggiato SPEME, rivela, inoltre, che l'adozione del nuovo strumento urbanistico costituisce soltanto un maldestro tentativo di elusione del giudicato derivante dalla decisione n. 827/76 della Quarta Sezione del Consiglio di Stato, che ha annullato, in parte qua, il D.M. 31 marzo 1972 di approvazione del P.R.G. di Napoli.
2) Violazione e falsa applicazione della legge 3 novembre 1952 n. 1902 e successive modificazioni e integrazioni: la decisione di sospendere l'applicazione delle misure di salvaguardia in materia edilizia è atto che dev'essere adeguatamente motivato e preceduto dal conforme parere della Commissione edilizia comunale. Di tutto ciò il TAR non ha tenuto conto. Né ha tenuto conto che la richiesta di concessione formulata dai ricorrenti era perfettamente conforme al piano particolareggiato della V convenzione SPEME, di cui costituiva un tassello di completamento.
3) Violazione e falsa applicazione della legge 3 novembre 1952 n. 1902; ulteriore profilo: le misure di salvaguardia dovevano intendersi decadute al momento della discussione di merito del ricorso, in quanto la variante era stata approvata nel corso del 1985, circostanza che doveva indurre il Tribunale Amministrativo a obbligare il Comune al riesame dell'istanza di concessione, la quale, oltre che al piano particolareggiato ancora valido, si rivelava conforme anche alla nuova normativa in itinere.
Con atto depositato in data 7 marzo 1992 si è costituito in giudizio il Comune di Napoli. Con memoria depositata in data 30 marzo 2001, il resistente ha eccepito l'improcedibilità del ricorso di primo grado e dell'appello, per difetto di interesse dei ricorrenti, osservando, in primo luogo, che la misura di salvaguardia in discussione era ormai divenuta inefficace sia per scadenza del termine stabilito per legge, sia per intervenuta approvazione della delibera di variante, con indubbio superamento del piano SPEME. Era sopravvenuto difetto di interesse anche perché il Consiglio comunale di Napoli aveva nel frattempo adottato, con atto deliberativo n. 381 del 21 novembre 1995, la nuova variante di salvaguardia al P.R.G., approvata dal presidente della Giunta regionale il 29 giugno 1998. Con D.M. 14 dicembre 1995 era stato inoltre approvato il piano territoriale paesistico di Napoli Posillipo, in cui le aree interessate dalla concessione in argomento risultano comprese in zona sottoposta a Protezione Integrale, con divieto di qualsiasi intervento edilizio. Nel merito il resistente sostiene che il ricorso sia totalmente infondato, non solo per la mancata impugnazione della variante da parte dei ricorrenti - rispetto alla quale la preventiva autorizzazione comunque non era richiesta - ma anche perché la decisione di sospendere il rilascio della concessione è stata dal Sindaco congruamente motivata, con richiamo anche al parere espresso dalla Commissione edilizia, regolarmente interpellata sulla questione.
D I R I T T O
1 - Come esposto in narrativa, Lancellotti Alfonso e altri interessati hanno impugnato dinanzi al Tribunale amministrativo della Campania il provvedimento n. 13535 dell'11 marzo 1981 con il quale il Sindaco di Napoli ha deciso di sospendere, in applicazione delle misure di salvaguardia di cui alla legge 3 novembre 1952 n. 1902, ogni determinazione sulla richiesta di concessione edilizia avanzata dagli stessi, ritenendola in contrasto con le previsioni della variante al P.R.G., adottata con atto consiliare n. 252 dell'11 dicembre 1979 e in corso di approvazione all'epoca.
Il Tribunale adito, con la sentenza specificata in epigrafe, ha ritenuto infondato il ricorso e lo ha rigettato. Gli interessati hanno contestato tale decisione in sede di appello, ritenendola per più versi erronea.
Come esposto in narrativa, gli appellanti sostengono, in primo luogo, che la variante richiamata nella decisione impugnata era da ritenere inesistente, ovvero illegittima, in quanto adottata senza la previa acquisizione della prescritta autorizzazione regionale, e il TAR avrebbe quindi errato nel ritenere inammissibile la specifica censura da loro ritualmente sollevata. Sostengono, inoltre, che la stessa variante non aveva la forza di abrogare il piano particolareggiato SPEME, cui la richiesta di concessione si conformava, e sussisteva anche violazione di giudicato rispetto alla decisione n. 827/76 della Quarta Sezione del Consiglio di Stato, con cui era stato annullato in parte qua il D.M. del 1972 di approvazione del P.R.G. di Napoli. La loro richiesta si presentava peraltro conforme alla normativa urbanistica vigente e, in ogni caso, la decisione di applicare le misure di salvaguardia rivelava carenza di motivazione e un intento palesemente persecutorio.
Prima di affrontare l'esame dei motivi di merito, è necessario soffermarsi sull'eccezione di improcedibilità dell'appello sollevata da parte resistente, la quale sostiene che le misure di salvaguardia applicate alla richiesta di concessione hanno da tempo cessato la loro efficacia, sia per scadenza del termine legislativamente previsto, sia perchè la Regione Campania, con delibera di Giunta Regionale n. 4705 del 12 giugno 1985, ha approvato la variante oggetto di discussione, di talchè non sussisterebbe più interesse a coltivare l'impugnativa.
In proposito, è sufficiente ricordare che la giurisprudenza di questo Consiglio ha già avuto modo di precisare che il ricorso contro l'applicazione delle misure di salvaguardia su domanda di concessione edilizia non diviene improcedibile per carenza di interesse a seguito dell'approvazione dello strumento urbanistico a garanzia del quale le misure stesse sono state adottate - e lo stesso deve dirsi con riguardo all'ipotesi della sopravvenuta perdita di efficacia della misura per decorso del termine previsto dalla legge - non essendo da escludere che l'interessato possa trarre ristoro, sotto il profilo risarcitorio, del danno subito a causa di un atto eventualmente riconosciuto illegittimo dal giudice amministrativo (Sez. IV, 12.12.2000, n. 6594; Sez. V, 29.04.1991, n. 690; id., 8.09.1983, n. 366).
Tali considerazioni assumono pieno rilievo nel caso in esame e l'eccezione sollevata non può che essere disattesa.
L'Amministrazione resistente ha sollevato ulteriori eccezioni di improcedibilità, fondate sulla circostanza che nelle more del giudizio sono intervenuti nuovi provvedimenti che sarebbero comunque preclusivi al rilascio della concessione richiesta, e cioè: delibera di Consiglio comunale 21 novembre 1995 n. 381, di adozione della variante di salvaguardia al P.R.G. - approvata dal Presidente della Giunta regionale con decreto n. 9297 del 29 giugno 1998 - e inoltre piano territoriale paesistico approvato con D.M. 14 dicembre 1995.
Anche tali eccezioni si appalesano inconsistenti.
Il primo provvedimento, in effetti, anche se contiene statuizioni di inedificabilità che si estendono ai lotti interessati dalla richiesta di concessione in argomento, risulta contestato in sede giurisdizionale e il relativo ricorso è ancora pendente presso questa Sezione. Il secondo provvedimento riveste chiaramente natura di atto generale, non in grado di incidere con effetto immediato e diretto sulle situazioni soggettive dedotte in giudizio. Entrambi i rilievi, pertanto, non possono determinare l'improcedibilità del ricorso.
2. - Nel merito è da ritenere inconsistente, in primo luogo, la censura secondo cui l'Amministrazione comunale intimata avrebbe eluso il giudicato formatosi con riferimento alla sentenza n. 827/76 della IV Sez. del Consiglio di Stato (richiamata dai ricorrenti), con cui era stato annullato, nella parte concernente il mancato recepimento della convenzione SPEME, il D.M. 31 marzo 1972 di approvazione del P.R.G. di Napoli.
A tal proposito è utile ricordare che le misure di salvaguardia hanno efficacia solo transitoria e trovano motivo di applicazione, nel caso in esame, sull'avvertita esistenza di contrasto tra gli elementi progettuali della concessione richiesta e le previsioni dello strumento urbanistico in itinere, costituito dall'atto consiliare n. 252 dell'11 dicembre 1979. Le stesse, perciò, non possono di per sé concretizzare la dedotta violazione di giudicato. Tale censura potrebbe semmai assumere rilievo se riferita alle previsioni della variante indicata a presupposto dell'atto di sospensione, ma in tal caso dovrebbe essere rivolta avverso la variante stessa.
Gli appellanti sostengono di aver impugnato con il ricorso introduttivo anche la variante urbanistica, e per questo contestano la decisione del giudice di prime cure che ha ritenuto non ammissibile il ricorso nella parte riferita a tale atto.
Le censure sollevate non sono tuttavia condivisibili.
In effetti, i ricorrenti non hanno impugnato in via immediata e diretta la variante. La domanda di annullamento avanzata in prima istanza, nei termini in cui è stata formulata, è indirizzata avverso il provvedimento sindacale di applicazione delle misure di salvaguardia, e non include alcuna contestazione sul contenuto dello strumento urbanistico che, peraltro, risulta impugnato con distinto ricorso concluso con decisione di inammissibilità. E' noto che eventuali formule di stile non sono utili a individuare uno specifico oggetto di impugnativa e restano prive di qualsiasi valore processuale. Il rigore degli orientamenti della giurisprudenza su tale punto si giustifica, ove si consideri che solo un'inequivoca determinazione del petitum processuale consente alle controparti la piena esplicazione del diritto di difesa in giudizio garantito dall'art. 24, comma 2°, della Costituzione.
D'altro canto, il fatto che l'invalidità delle misure di salvaguardia venga prospettato quale conseguenza della lamentata illegittimità della deliberazione consiliare n. 252 dell'11 dicembre 1979, di adozione appunto della variante, non vale, in difetto di una chiara indicazione in tal senso, a ricomprendere anche tale atto nel petitum di annullamento, ove si consideri che una siffatta tecnica argomentativa è per sua natura comune a qualsiasi doglianza con la quale si lamenti l'invalidità derivata di un provvedimento amministrativo. Questa Sezione ha di recente esaminato un caso avente a oggetto identica questione oggi all'esame e non si ravvisano motivi per discostarsi dalle indicazioni esposte (Cons. St. Sez. IV, n. 6594 del 12.12.2000).
Sulla base di tali premesse, gli effetti della variante adottata dal Comune di Napoli si appalesano rilevanti nel caso della richiesta di concessione in argomento, e correttamente, quindi, il Sindaco ha ritenuto di fare applicazione delle misure di salvaguardia in contestazione. E' invero, pacifico indirizzo giurisprudenziale che l'adozione di una variante al Piano regolatore non solo giustifica l'applicazione di tali misure, ma dà luogo, per l'organo chiamato a decidere, a specifico obbligo a provvedere in tal senso, come sancito peraltro dalla legge 6 agosto 1967 n. 765 (Cons. St., Sez. V, n. 421 del 30.4.1997).
Che poi difformità esista tra intervento edilizio di cui è stato chiesto l'assenso e strumento urbanistico in itinere, non sussistono dubbi, atteso che il piano SPEME - alle cui previsioni i ricorrenti assumono di aver conformato la loro richiesta - è stato interamente superato dalla variante in argomento, che ha introdotto un assetto urbanistico della zona denominata "Rione Sannazzaro-Posillipo" - nel cui ambito i terreni dei ricorrenti sono collocati - con disposizione di totale inedificabilità.
3 - Con il secondo motivo, i ricorrenti sostengono che la decisione sindacale di sospendere l'applicazione delle misure di salvaguardia doveva essere adeguatamente motivata e preceduta da conforme parere della Commissione edilizia comunale. Il Tribunale amministrativo non avrebbe tenuto conto di tali carenze, e nemmeno che la loro richiesta era perfettamente conforme al piano particolareggiato di cui alla convenzione SPEME, donde l'erroneità della relativa decisione.
Riguardo a tale ultimo profilo è stato già rilevato che la richiesta di concessione edilizia si poneva in contrasto con le previsioni della variante in itinere, il che giustifica di per sé l'adozione del provvedimento di sospensione. Né il Sindaco poteva essere tenuto - contrariamente a quanto sostenuto nell'atto di appello - a sindacare la legittimità dell'atto presupposto, che comunque non avrebbe potuto disapplicare.
Dagli atti del giudizio risulta, inoltre, che la stessa Autorità ha provveduto regolarmente ad acquisire, in ordine alla richiesta di concessione, il parere della Commissione edilizia, che si è espressa appunto per l'applicazione delle misure di salvaguardia. La decisione, che ha richiamato tale parere, ha rilevato in modo chiaro la ravvisata esistenza di contrasto tra progetto edilizio per la cui realizzazione era stata chiesta la concessione e previsioni della variante urbanistica. Il parere ha infatti posta in luce la "discordanza tra la edificazione richiesta e la normativa di Piano adottata dal Consiglio comunale in data 11 dicembre 1979 con deliberazione n. 252 per la zona interessata", di talchè l'atto deve ritenersi adeguatamente motivato e non abbisognava di ulteriori argomentazioni, anche in considerazione della sua natura vincolata.
4 - Irrilevanti si appalesano le ulteriori censure, secondo cui le misure salvaguardia dovevano intendersi decadute al momento della discussione di merito del ricorso davanti al Tribunale Amministrativo, essendo intervenuta da parte della Regione l'approvazione della variante sin dal 1985. Circostanza di cui il Tribunale amministrativo non avrebbe tenuto conto; come non avrebbe tenuto conto del fatto che la richiesta di concessione edilizia si appalesava conforme al piano particolareggiato e alla stessa normativa in itinere.
Da ciò l'irrilevanza della eventuale conformità del progetto alla convenzione SPEME e la sicura esistenza di contrasto tra concessione richiesta e variante in itinere.
La circostanza, poi, della intervenuta approvazione della variante all'epoca di discussione del ricorso dinanzi al Tribunale amministrativo non modifica i termini della decisione dallo stesso assunta. Non può invero rimproverarsi al TAR di aver definito il giudizio con riferimento a tutti i vizi dedotti, e non sussistevano, peraltro, i presupposti per porre al carico del Comune l'obbligo di ripronunciarsi sulla domanda di concessione, anche perché i motivi sollevati si erano rivelati inconsistenti.
Sicchè l'appello dev'essere rigettato.
Le spese del grado possono seguire, come di regola, la soccombenza. Esse sono liquidate nel dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione quarta, rigetta l'appello.
Condanna gli appellanti, in solido fra loro ed in parti uguali nei rapporti interni, a pagare al Comune appellato le spese del presente grado di giudizio, che liquida complessivamente in L. 8.000.000 (ottomilioni).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, addì 10 aprile 2001, dal Consiglio di Stato, Sezione quarta, riunito in camera di consiglio con l'intervento dei signori:
Giovanni PALEOLOGO Presidente
Marcello BORIONI Consigliere
Aldo SCOLA Consigliere
Giuseppe CARINCI Consigliere, estensore
Vito POLI Consigliere
Depositata il 25 luglio 2001.