CONSIGLIO DI STATO, SEZ. IV - Sentenza 1 agosto 2001 n. 4206
- Pres. Trotta, Est. Saltelli - ILVA S.p.A. (Avv.ti S. Landolfi e G. Guarino), Associazione Industriali della Provincia di Genova (Avv.ti P. Alberti e F. Sorrentino), FIOM CGIL Regione Liguria e FIOM CGIL Provincia di Genova) (Avv.ti P. Pissariello, R. Rubino e L. Villani), C.G.I.L. Liguria e C.G.I.L. Genova (Avv.ti A. Ghibellini, L. Orsi e L. Villani) c. Pozzi e c.ti (avv. Roberto Damonte e M. A. Sandulli) Gadolla (n.c.), Regione Liguria (avv. Luigi Cocchi) Provincia di Genova (Avv. E. Romanelli), Comune di Genova (Avv.ti E. Oddone e E. Romanelli) - (previa riunione di 4 appelli, annulla TAR Liguria, Sez. I, 29 gennaio 2001, n. 52).1. Giustizia amministrativa - Atto impugnabile o no - Accordo di programma - Ex art. 27 L. n. 142 del 1990 - Atti che lo precedono - Sono da considerare atti infraprocedimentali - Necessità di impugnarli autonomamente - Non sussiste.
2. Giustizia amministrativa - Termine per l'impugnazione - Decorrenza - Piena conoscenza - Deve riguardare anche l'individuazione del contenuto dell'atto.
3. Giustizia amministrativa - Termine per l'impugnazione - Decorrenza - Piena conoscenza - Va provata da chi la eccepisce.
4. Giustizia amministrativa - Legittimazione attiva - Nel caso di impugnativa di atti riguardanti opere pubbliche - Proprietari di terreni limitrofi - Sono legittimati.
5. Giustizia amministrativa - Interesse a ricorrere - Valutazione - Va effettuata tenendo conto dei motivi di censura e delle prospettazione data dal ricorrente.
6. Giustizia amministrativa - Ricorso collettivo - Va considerato come proposto da una parte unica, anche se complessa - Appello avverso sentenza emessa su ricorso collettivo - Va notificato solo ad uno solo dei ricorrenti.
7. Giustizia amministrativa - Interesse a ricorrere - Sopravvenuta carenza - Presupposti - Radicale modificazione della situazione di fatto e di diritto esistente al momento della domanda - Necessità.
8. Giustizia amministrativa - Appello - Notifica - Nullità - Sanatoria - Nel caso di volontaria costituzione in giudizio dell'interessato - Si produce.
9. Ambiente - Impianti industriali - Riqualificazione urbanistica ed ambientale e riconversione economico - produttiva delle aree ricadenti nell'ambito delle ex acciaierie di Cornigliano - Genova - Accordi di programma previsto dal comma 10 dell'articolo 4 della legge 9 dicembre 1998 n. 426 - Interpretazione.
1. Per espressa disposizione legislativa (art. 27, comma 4 della legge 8 giugno 1990 n. 142) l'accordo di programma consiste nel consenso unanime delle amministrazioni o enti circa un quid (opera o progetto) da realizzare; tale consenso, così come avviene nel campo privatistico per l'accordo contrattuale, si forma progressivamente attraverso fasi successive che sono normalmente scandite da atti o deliberazioni degli organi degli enti e delle amministrazioni interessate, con la conseguenza che, in linea generale, tali atti o deliberazioni hanno natura endoprocedimentali e non sono immediatamente lesivi e autonomamente impugnabili, mentre, di contro, solo la conclusione dell'accordo di programma può essere considerata impugnabile.
2. La piena conoscenza di un provvedimento amministrativo, ai fini della decorrenza del termine per l'impugnazione, si ricollega all'avvenuta individuazione, da parte del destinatario dell'atto, del relativo contenuto, sicché lo stesso ne possa denunciare l'eventuale valenza lesiva (1).
3. L'onere della prova dell'avvenuta piena conoscenza dell'atto impugnato incombe solo su chi eccepisce la tardività del ricorso giurisdizionale, mediante mezzi probatori univoci e chiari, diretti ad accertare in modo sicuro ed inconfutabile che il gravame è stato proposto dopo la scadenza del termine decadenziale (2).
4. I soggetti che abitano nei pressi del luogo ove l'opera deve eseguirsi ben possono impugnare i relativi atti, essendo a loro carico l'onere di provare proprio la qualità di abitanti di case poste nei pressi del luogo ove deve essere effettuata l'opera (3).
5. L'interesse a ricorrere nel processo amministrativo deve essere valutato con esclusivo riferimento all'oggetto del giudizio ed in base ai motivi di censura appuntato nei confronti dell'atto impugnato ovvero sulla base della prospettazione fornita dal ricorrente (4).
6. Il ricorso giurisdizionale collettivo deve essere considerato proposto da una sola parte, anche se soggettivamente complessa (5); pertanto, quando l'atto di appello è proposto contro una sentenza resa non già su una pluralità di ricorsi, bensì su un ricorso collettivo proposto da una pluralità di soggetti, esso può essere notificato in una sola copia, proprio perché il ricorso collettivo va considerato proposto da un'unica parte (6).
7. La dichiarazione di inammissibilità per sopravvenuta carenza di interesse di un ricorso o di un appello consegue unicamente ad una radicale modificazione della situazione di fatto e di diritto esistente al momento della domanda, tale da rendere certa e definitiva l'inutilità della sentenza (7), anche sotto un profilo meramente strumentale e morale (8): perciò la relativa indagine deve essere compiuta dal giudice con il massimo rigore per evitare che la declaratoria in argomento si risolva in una sostanziale elusione dell'obbligo di pronunciarsi sulla domanda (9).
8. Non può essere dichiarata la nullità della notifica dell'atto di appello allorquando l'atto stesso abbia raggiunto il suo scopo, ai sensi dell'art. 156 C.P.C. e cioè quando le parti appellate si siano costituite in giudizio, svolgendo pienamente le proprie difese.
9. L'accordo di programma previsto dal comma 10 dell'articolo 4 della legge 9 dicembre 1998 n. 426 prevede un contenuto minimo obbligatorio, lasciando alle parti la scelta delle modalità e dei termini più opportuni e adeguate, nel rispetto dei principi di logica e ragionevolezza, per il conseguimento degli ampi obiettivi fissati dai commi 8 e 9 dello stesso articolo.
Nell'accordo di programma previsto
dal comma 10 dell'articolo 4 della legge 9 dicembre 1998 n. 426 concluso in data 29 novembre 1999 (così come in quello concluso il 5 novembre 1998) si allude alla sola chiusura del ciclo integrale e non alla chiusura di ogni tipo di lavorazione a caldo, perché l'unico ciclo lavorativo attivo, e dunque suscettibile di chiusura, era solo quello a ciclo integrale.-----------------------
(1) Cons. Stato, Sez. IV, 15 giugno 1999, n. 1012; 13 agosto 1997, n. 845; sez. V, 16 maggio 1995, n. 804, 9 aprile 1994, n. 275.
(2) Cons. Stato, Sez. V, 14 ottobre 1998, n. 1467.
(3) Cons. Stato, Sez. V, 4 novembre 1994 n. 1257; v. anche Cons. Stato, Sez. V, 8 febbraio 1997 n. 139, secondo cui inoltre è sussistente l'interesse dei residenti nelle zone limitrofe ad una discarica di rifiuti ad impugnare il maggior conferimento di rifiuto, dato che quest'ultima circostanza è potenzialmente suscettibile di provocare effetti nocivi per l'ambiente per il più accelerato sfruttamento della discarica rispetto ai tempi e alle modalità originariamente previsti e Cons. Stato, Sez. II, 24 gennaio 1996 n. 1240, secondo cui sussiste l'interesse, a tutela della salute individuale, dei residenti di un comune ad impugnare un provvedimento intercomunale, nell'ambito di un piano di lottizzazione, con il quale viene assegnata ad una società un'area destinata ad insediamento produttivo recante esalazioni nocive, consentite, in quanto tali, per le produzioni da avviarsi.
Alla stregua del principio nella specie la Sez. IV ha ritento che la qualità dei ricorrenti (residenti, proprietari, conduttori di immobili, esercenti attività commerciali nella zona industriale e portuale di Genova) ne legittimava l'interesse all'impugnazione dell'accordo di programma.
(4) Cons. Stato, Sez. V, 28 gennaio 1998 n. 116 ; così che - anche sotto tale profilo - non può negarsi l'interesse all'impugnazione dell'accordo di programma in questione, quanto meno relativamente alla parte che ha previsto la sola chiusura della lavorazione a ciclo integrale dell'ILVA S.p.A., ciò contrastando nella prospettazione dei ricorrenti in primo grado con la effettiva finalità di risanamento ambientale.
(5) Cons. Stato, Sez. IV, 12 dicembre 1997 n. 1413.
(6) C.G.A., 29 giugno 1989 n. 238; C.d.S., Sez. VI, 18 gennaio 1996 n. 108.
(7) Cons. Stato, Sez. IV, 28 gennaio 2000 n. 442; sez. V, 15 settembre 1999 n. 1082; 23 aprile 1998 n. 474; 10 marzo 1997 n. 242.
(8) Cons. Stato, Sez. V, 29 gennaio 1999 n. 83; 10 marzo 1997 n. 242.
(9) Cons. Stato, Sez. IV, 28 gennaio 2000 n. 442.
F A T T O
Con ricorso notificato tra il 9 ed il 21 marzo 2000 Cristina Pozzi, Orazio Bonavia, Adele Repetto, Filomena Trabona, Rosa Passeri, Francesco Sordi, Antonella Cultrone, Daniela Trabona, Carmelo Musumeci, Gaetano Vangelista, Antonio Pavone, Ferdinanda Michelini, Francesco Da Ros, Vincenzo Monti, Germana Giorchino, Ernesto Pozzi, Addolorata Barile, Luciana Ciacci, Roberto Dominici, ESTER Gaggero, Giacomo Ottonello, Lucia Ottonello, Barbara Pavone, Maria Laviosa, Piero Queirolo, Graziella Condelli, Marino Ciacci, Stefano Galasso, Mauro Mancuso, Paola Rossi e Fabio Zainoli, residenti, proprietari o conduttori di immobili ovvero ancora esercenti attività commerciali nella zona delle acciaierie dell'ILVA S.p.A. in Genova - Cornigliano, nonché il dott. Gianfranco Gadolla, quest'ultimo quale membro del Consiglio della Regione Liguria, chiedevano al Tribunale amministrativo regionale della Liguria: 1) l'annullamento: a) dell'accordo di programma avente ad oggetto la riqualificazione urbanistica ed ambientale e la riconversione economico - produttiva delle aree ricadenti nell'ambito delle ex acciaierie di Cornigliano - Genova, sottoscritto nel novembre 1999; b) di ogni altro atto precedente e/o presupposto, conseguente e/o connesso ed in particolare: ba) del Documento per l'accordo di programma del 5 novembre 1998; bb) della deliberazione della Giunta regionale della Liguria del 25 gennaio 1999 n. 51; bc) della relazione tecnica del Servizio regionale procedimenti concertativi n. 82 del 24 maggio 1999; bd) della deliberazione del Consiglio provinciale di Genova n. 28 del 17 giugno 1999; be) della deliberazione del Consiglio comunale di Genova n. 83 del 1° luglio 1999; bf) delle deliberazioni del Consiglio regionale della Liguria nn. 45 e 46 del 20 luglio 1999; bg) della deliberazione del Comitato dell'Autorità portuale di Genova n. 39/4/1999 del 29 luglio 1999; bh) della deliberazione della Giunta regionale della Liguria n. 863 del 6 agosto 1999 di conferimento al Presidente della Giunta regionale del mandato a sottoscrivere l'accordo; nonché 2) l'accertamento e la condanna, ex artt. 33, 34 e 35 D. Lgs. 31 marzo 1998 n. 80 delle amministrazioni intimate all'integrale risarcimento dei danni ingiustamente arrecati ad essi ricorrenti con i predetti illegittimi provvedimenti.
Avverso detti provvedimenti venivano articolati dodici motivi di censura, lamentandosi, sotto più profili, la violazione e falsa applicazione dell'art. 4, commi 8, 9 e 10 della legge 9 dicembre 1998 n. 426, degli artt. 57, 58 e 84 della legge regionale della Liguria 4 settembre 1996 n. 36, dell'art. 27 della legge 8 giugno 1990 n. 142, degli artt. 18 e 714 del Codice della Navigazione, nonché dell'art. 97 della Costituzione, oltre a difetto di presupposti e di istruttoria.
Con altro ricorso, notificato il 23/24 maggio 2000, gli stessi suindicati ricorrenti chiedevano l'annullamento anche del decreto del Presidente della Giunta regionale della Liguria n. 52 del 29 marzo 2000, con il quale era stato reso esecutivo l'accordo di programma sottoscritto il 29 novembre 1999, in uno a tutti gli atti presupposti, connessi e preordinati già avversati con il primo ricorso, oltre al risarcimento dei danni subiti.
Tale impugnativa veniva era affidata, per un verso, a tre motivi di illegittimità, propri del decreto del Presidente della Regione Liguria, concernenti la violazione e falsa applicazione degli articoli 57 e 58 della legge regionale della Liguria 4 settembre 1996 n. 36, dell'art. 27 della legge 8 giugno 1990 n. 142, dell'art. 12 dello stesso accordo di programma, oltre che difetto di istruttoria, e, per altro verso, richiamava gli stessi dodici motivi di censura spiegati con il primo ricorso, a titolo di illegittimità derivata.
L'adito Tribunale, con sentenza n. 52 del 29 gennaio 2001, riuniti i ricorsi, dichiarava la carenza di legittimazione a ricorrere del dott. Gadolla Gianfranco e respingeva siccome inammissibili o infondati tutti i motivi di censura sollevati, ad eccezione del quarto motivo del primo ricorso (rubricato "Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 4, commi 8, 9 e 10 della legge 9 dicembre 1998 n. 426, difetto di presupposto in ordine a elementi essenziali dell'accordo"), alla stregua del quale annullava i provvedimenti impugnati, nella parte concernente la dismissione delle sole lavorazioni siderurgiche a "ciclo integrale" nelle ex acciaierie di Cornigliano; veniva altresì respinta la domanda risarcitoria per la mancanza, allo stato, del danno.
Ad avviso dei primi giudici, per il raggiungimento delle finalità stabilite dalla legge 9 dicembre 1998 n. 426 e cioè il risanamento ambientale e lo sviluppo delle attività produttive nell'area industriale e portuale di Genova, era indispensabile la totale chiusura di tutte le lavorazioni a caldo delle ex acciaierie di Cornigliano e non solo la chiusura del "ciclo integrale", come previsto dall'accordo di programma in evidente contrasto con la espressa disposizione legislativa (articolo 4, comma 9) che prevedeva la chiusura delle lavorazioni siderurgiche a caldo ed il consolidamento delle lavorazioni a freddo.
L'accordo di programma in esame, secondo i primi giudici, invece limitando la chiusura delle sole lavorazioni a caldo a ciclo integrale consentiva l'introduzione di un ciclo a caldo con forno elettrico che, per quanto dotato di un minor impatto ambientale, doveva ritenersi escluso dalla ratio legis.
Avverso tale statuizione hanno proposto appello:
a) l'ILVA S.p.A., con atto notificato il 13 aprile 2001 e depositato il 20 aprile 2001 (RG. 3987/2001), deducendo: 1) la tardività del primo ricorso proposto da Cristina Pozzi e dagli altri litincosorti, in quanto notificato oltre il termine di decadenza di 30 giorni dalla conoscenza del provvedimento, ai sensi dell'art. 19 n. 3 del D.L. 25 marzo 1997 n. 67, decorrente fin dal 29 aprile 1999 (data in cui l'accordo era già completo e definitivo, tant'è che tutte le amministrazioni avevano posto in essere successivamente solo atti meramente esecutivi di esso) o al più tardi dal 29 novembre 1999, data in cui le amministrazioni avevano sottoscritto nuovamente l'accordo già concluso il 29 aprile 1999; 2) l'inammissibilità del secondo ricorso, in quanto, per un verso, diretto contro atti ormai divenuti inoppugnabili perché non ritualmente e tempestivamente impugnati, non potendo ritenersi che il decreto del Presidente della Giunta regionale n. 52 del 29 marzo 2000 avesse l'effetto di riaprire i termini di impugnazione, e, per altro verso, in quanto i ricorrenti non potevano vantare alcun interesse all'annullamento dell'accordo che sostanzialmente aveva ad oggetto il piano di bonifica delle sole aree dismesse dalle ex acciaierie, ma non riguardava in alcun modo l'attività siderurgica ancora in esercizio; 3) l'infondatezza del quarto motivo del primo ricorso, alla stregua del quale era stato annullato in parte qua l'accordo di programma in esame, atteso che l'articolo 4, commi 8, 9 e 10 della legge 9 dicembre 1998 n. 426, non poteva essere interpretato come fonte di un divieto assoluto per l'ILVA S.p.A. di qualsiasi lavorazione a caldo, pena la violazione dell'art. 41 della Costituzione, ma solo obbligo di chiusura del ciclo integrale, presupposto sicuramente indefettibile per il risanamento ambientale dell'area interessata. Tale obiettivo, secondo l'appellante, non solo era compatibile con un ciclo di lavorazione a caldo con forno a caldo, per quanto una siffatta soluzione non poteva essere esclusa nella corretta interpretazione della norma di legge in esame, che aveva anche lo scopo del mantenimento dei livelli occupazionali.
Si costituivano in giudizio tutti i ricorrenti in primo grado, ad eccezione di Gianfranco Gadolla, deducendo l'inammissibilità ed infondatezza del gravame, di cui chiedevano il rigetto.
La Regione Liguria, costituitasi in giudizio, chiedeva l'accoglimento dell'appello, sia pur per motivi diversi da quelli proposti dall'ILVA S.p.A., in quanto l'accordo di programma, a suo avviso, non conteneva la previsione della realizzazione di un nuovo impianto di acciaieria elettrico, circostanza risultata determinante, secondo i primi giudici, dell'illegittimità del provvedimento impugnato.
La Provincia di Genova si costituiva in giudizio chiedendo, per un verso, la conferma della sentenza impugnata per la parte in cui aveva respinto tutti i motivi di censura sollevati in primo grado nei confronti dell'accordo di programma e, per altro verso, aderendo all'impugnazione dell'ILVA S.p.A., in quanto la chiusura delle lavorazioni a caldo previste dalla legge n. 426 del 1998 non poteva che riferirsi a quelle esistente (e cioè solo alla lavorazione a ciclo integrale), mentre la questione delle lavorazioni col forno elettrico non era ricompresa nell'accordo stesso.
Mentre i Ministeri dell'Industria, del commercio e dell'artigianato, dell'Ambiente, dei Trasposti e della navigazione, nonché del Lavoro e della previdenza sociale si costituivano senza svolgere alcuna attività difensiva, l'Autorità Portuale di Genova, l'Associazione Industriale della Provincia di Genova, la FIOM CGIL regionale (Regione Liguria) e la FIOM CGIL provinciale (Provincia di Genova), nonché la C.G.I.L. Liguria e la C.G.I.L. Genova aderivano sostanzialmente all'appello dell'ILVA S.p.A., chiedendone anch'essi l'accoglimento;
b) l'Associazione degli Industriali della Provincia di Genova, con atto notificato tra il 12 ed il 19 aprile 2001 e depositato il 30 aprile 2001(RG. 4331/2001) deducendo: 1) la carenza di interesse dei ricorrenti in primo grado, sia perché l'accordo di programma impugnato non incideva negativamente sul diritto alla salute che essi intendevano tutelare, essendo diretto proprio ad apprestare misure idonee a bonificare la zona anche dal punto di vista ambientale, sia perché non era sufficiente a radicare la sussistenza dell'interesse la mera prospettazione della installazione di un forno elettrico, trattandosi di scelta di strategia industriale allo stato non attuale, né concreta; 2) la violazione, da parte dei primi giudici, dell'art. 4, comma 9 e 10, della legge n. 426 del 1998, in quanto la previsione della chiusura delle lavorazioni a caldo non poteva che logicamente riferirsi, come correttamente inteso dall'accordo di programma, alle lavorazioni a caldo esistenti al momento dell'accordo stesso e cioè alla chiusura del solo ciclo integrale; del resto, secondo l'Associazione appellante, il ciclo della lavorazione a caldo con forno elettrico, non espressamente escluso dal legislatore, non aveva costituito oggetto dell'accordo di programma.
Anche in detto giudizio si costituivano tutti i ricorrenti in primo grado, ad eccezione di Gianfranco Gadolla, sostenendo oltre che l'inammissibilità e l'infondatezza, anche l'irricevibilità del gravame per difetto di notifica.
Si sono costituiti in questo giudizio anche la Regione Liguria, la Provincia di Genova, il Comune di Genova, l'Autorità Portuale di Genova nonchè la C.G.I.L. Liguria e la C.G.I.L. Genova, aderendo all'appello;
c) la FIOM CGIL regionale (Regione Liguria) e la FIOM CGIL provinciale (Provincia di Genova), con atto di appello notificato il 19 aprile 2001 e depositato il 3 maggio 2001 (RG 4456/2001), deducendo: 1) l'inammissibilità dei ricorsi di primo grado per l'assoluta carenza di legittimazione ad agire dei ricorrenti che dall'accordo di programma impugnato non avevano subito alcuna lesione concreta, diretta ed attuale, neppure sotto il profilo del risanamento ambientale che veniva promosso, e non ostacolato o limitato, dal provvedimento impugnato; 2) la erronea interpretazione da parte dei primi giudici dell'art. 4, comma 8, 9 e 10 della legge n. 425 del 1998, in quanto le lavorazioni a caldo di cui il legislatore aveva previsto la chiusura potevano essere solo quelle esistenti e cioè il ciclo integrale, non potendo in esse farsi rientrare anche il ciclo a caldo con forno elettrico che, oltre a non essere previsto dall'accordo, era da ritenersi comunque compatibile con l'esigenza di risanamento ambiente e con i nuovi limiti massimi di inquinamento fissati nello stesso accordo di programma.
Anche in detto giudizio si costituivano tutti i ricorrenti in primo grado, ad eccezione di Gianfranco Gadolla, sostenendo oltre che l'inammissibilità e l'infondatezza, anche l'irricevibilità del gravame per difetto di notifica.
La Regione Liguria, la Provincia di Genova, il Comune di Genova, l'Autorità Portuale di Genova e l'Associazione Industriali della Provincia di Genova hanno chiesto l'accoglimento dell'appello, come avvenuto negli altri due giudizi;
d) la C.G.I.L. Liguria e la C.G.I.L. Genova, con atto di appello notificato il 20 aprile 2001 e depositato il 3 maggio 2001 (RG. 4458/2001), deducendo anch'esse sia la carenza degli originari ricorrenti di un interesse personale ed attuale all'impugnazione dell'accordo di programma, atteso che quest'ultimo, contrariamente a quanto prospettato arrecava un vantaggio all'ambiente e non una lesione del diritto alla salubrità dell'ambiente e alla salute, sia la violazione da parte dei primi giudici proprio dei commi 8, 9 e 10 dell'art. 4 della legge n. 426 del 1998, atteso che lo scopo della legge era quello di sviluppare attività compatibili con la normativa di tutela ambientale, con l'obbligo della chiusura del ciclo integrale, quale unico ciclo a caldo esistente, ma senza divieto di altre lavorazioni a caldo, con il forno elettrico, rispettose dell'ambiente.
Anche in questo giudizio si sono costituiti gli originari ricorrenti, ad eccezione di Gianfranco Gadolla, chiedendo il rigetto dell'appello, mentre la Regione Liguria, la Provincia di Genova, il Comune di Genova, l'Autorità Portuale di Genova e l'Associazione Industriali della Provincia di Genova hanno chiesto, come per i precedenti giudizi, l'accoglimento dell'appello.
All'udienza in camera di consiglio del 15 maggio 2001, alla quale era stata fissata la discussione dell'istanza cautelare di sospensione della sentenza richiesta dall'ILVA S.p.A. (ricorso RG. 3987/2001), da FIOM CGIL Regionale (Regione Liguria) e da FIOM CGIL Provinciale (Provincia di Genova) (ricorso RG. 4456/2001) e da C.G.I.L. Liguria e C.G.I.L. Genova (ricorso RG. 4458/2001), tutte le parti hanno chiesto di comune accordo una sollecita fissazione dell'udienza di trattazione del merito, rinunciando alla tutela cautelare.
All'udienza pubblica del 10 luglio 2001 tutte le parti hanno quindi illustrato approfonditamente le rispettive posizioni: in particolare l'ILVA S.p.A. ha anche depositato ulteriore documentazione a conferma dell'eccezione di tardività del primo ricorso; gli originari ricorrenti costituiti nei quattro giudizi di appello hanno dedotto la inammissibilità degli appelli per sopravvenuta carenza di interesse, in quanto la Regione Liguria, con delibera della giunta n. 591 del 29 maggio 2001, avrebbe aderito all'interpretazione dell'art. 4, commi 8, 9 e 10 della legge n. 426 del 1998 fornita dal Tribunale amministrativo regionale della Liguria con la sentenza impugnata, approvando una variante al Piano Territoriale di Coordinamento dell'Area Centrale Ligure che prevederebbe l'impossibilità di mantenere qualsiasi attività siderurgica con lavorazione a caldo nell'area di Cornigliano; la Provincia di Genova ed il Comune di Genova, modificando le proprie originarie conclusioni, invece che insistere per l'accoglimento degli appelli, si sono rimessi alla decisione del Collegio.
La causa è stata quindi trattenuta per la decisione.
D I R I T T O
I. È controversa la legittimità dell'accordo di programma sottoscritto il 29 novembre 1999 dai Ministeri dell'Industria, commercio e artigianato, dell'Ambiente, dei Trasporti e della navigazione, del Lavoro e della previdenza sociale, dalla Regione Liguria, dalla Provincia di Genova, dal Comune di Genova, dall'Autorità Portuale di Genova, dalla Società Aeroporto di Genova S.p.A., dalla società ILVA S.p.A. (gruppo Riva), dall'Associazione Industriali della Provincia di Genova, dalla C.G.I.L., C.I.S.L. e U.I.L., provinciale e regionale, FAILM CISAL provinciale, reso esecutivo con decreto del Presidente della Giunta regionale della Liguria n. 52 del 29 marzo 2000, per il conseguimento degli obiettivi di cui all'art. 4, commi 8, 9 e 10, della legge 9 dicembre 1998 n. 426, ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 27 della legge 8 giugno 1990 n. 142, e successive modifiche ed integrazioni, nonché ai sensi del combinato disposto degli artt. 84, comma 1, e 58 della legge regionale della Liguria 4 settembre 1997 n. 36.
Su ricorso di Cristina Pozzi e degli altri litisconsorti segnati in epigrafe, residenti, proprietari o conduttori di immobili ovvero esercenti di attività commerciali nella zona dell'acciaieria dell'ILVA S.p.A. in Genova - Cornigliano, il Tribunale amministrativo regionale della Liguria, con la sentenza segnata in epigrafe, ha annullato il predetto accordo di programma nella parte in cui, invece di prevedere la chiusura di ogni lavorazione a caldo, ha limitato la chiusura al solo ciclo di lavorazione integrale, in violazione, secondo i primi giudici, della specifica disposizione di cui all'art. 4, commi 8, 9 e 10, della legge n. 426 del 1998.
Avversano tale statuizione l'ILVA S.p.A., l'Associazione Industriale della provincia di Genova, la FIOM C.G.I.L. regionale (regione Liguria) e provinciale (provincia di Genova), la C.G.I.L. Liguria e la C.G.I.L. Genova, lamentando la erronea interpretazione fornita dai primi giudici della ricordata normativa e deducendo la tardività e la inammissibilità dei ricorsi introduttivi dei giudizi di primo grado.
In tutti e quattro i giudizi di appello si sono costituiti, da un lato, tutti gli originari ricorrenti, ad eccezione di Gianfranco Gadolla, chiedendo il rigetto di tutti gli appelli per inammissibilità ed infondatezza e sollevando questione di irritualità e di invalidità della notifica dei gravami dell'Associazione Industriale della Provincia di Genova e della FIOM C.G.I.L. regionale e provinciale, e, dall'altra parte, la Regione Liguria, la Provincia di Genova, il Comune di Genova e l'Autorità Portuale di Genova, chiedendo l'accoglimento degli appelli; peraltro in sede di discussione la Provincia ed il Comune di Genova hanno dichiarato di rimettersi al Collegio.
Le Amministrazioni statali firmatarie dell'accordo di programma, ritualmente evocate in giudizio, si sono costituite solo nel giudizio di appello instaurato dall'ILVA S.p.A., senza svolgere alcuna attività difensiva.
L'Associazione degli Industriali della provincia di Genova, costituitasi nel primo, nel terzo e nel quarto giudizio, ha chiesto l'accoglimento dei relativi appelli.
La FIOM C.G.I.L. regionale e provinciale costituitasi solo nel primo giudizio, nonché la C.G.I.L. Liguria e la C.G.I.L. Genova, costituitesi nel primo e nel secondo giudizio, hanno chiesto l'accoglimento dei relativi appelli.
II. Gli appelli in esame, ai sensi dell'art. 335 C.P.C., devono essere riuniti (obbligatoriamente), essendo tutti rivolti nei confronti della stessa sentenza, al fine di realizzare l'unità del rapporto processuale (Consiglio Stato sez. IV, 28 gennaio 2000, n. 442; sez. V, 20 dicembre 1993, n. 1331).
III. Devono, quindi, essere esaminate le questioni preliminari di irricevibilità (sollevata dalla ILVA S.p.A.) e di inammissibilità per carenza di interesse, sotto vari profili, dei ricorsi originari (sollevata da ognuna delle parti appellanti), nonché quelle, sollevate dagli tutti gli originari ricorrenti costituiti nei giudizi di appello, di irricevibilità/inammissibilità del gravame dell'Associazione Industriali della provincia di Genova e della FIOM C.G.I.L. regionale e provinciale per vizio di notifica, nonché di inammissibilità di tutti gli appelli proposti per sopravvenuta carenza di interesse, in relazione al contenuto della delibera n. 591 del 29 maggio 2001 della giunta regionale della Liguria.
III.1. Con il primo motivo di appello l'ILVA S.p.A. ha dedotto l'irricevibilità del primo ricorso proposto da Cristina Pozzi e dagli altri litisconsorti, sostenendo che esso era stato notificato tardivamente e cioè oltre il termine di decadenza di trenta giorni, stabilito dall'art. 19, n. 3, del D.L. 25 marzo 1997 n. 67 (applicabile alla controversia in esame), decorrente dal 29 aprile 1999, data in cui l'accordo di programma era già del tutto completo e perfetto, essendo stato sottoscritto da tutte le amministrazioni ed enti interessati (tant'è che successivamente a tale data - secondo l'appellante - erano stati posti in essere solo atti di mera esecuzione dello stesso accordo) o al più tardi dal 29 novembre 1999, data in cui si era avuta una nuova sottoscrizione dell'accordo di programma.
A riprova della propria tesi difensiva sono state prodotte la delibera del consiglio comunale di Genova n. 83 del 1° luglio 1999, quella del consiglio provinciale n. 28 del 17 giugno 1999 e quella della giunta regionale n. 863 del 6 agosto 1999 (quest'ultima pubblicata anche sul Bollettino ufficiale della regione Liguria), tutte recanti la formale approvazione dell'accordo di programma del 29 aprile 1999.
Il motivo non è fondato.
III.1.1. Proprio dalla lettura delle sopra ricordate delibere della giunta regionale, del consiglio provinciale e del comune di Genova, emerge che in data 29 aprile 1999 le amministrazioni interessate all'accordo di programma previsto dall'art. 4, commi 8, 9 e 10, della legge n. 426 del 1998, siglarono soltanto lo schema dell'accordo di programma che sarebbe stato approvato successivamente, dopo che gli organi competenti degli enti locali avessero approvato lo schema stesso, esprimendo il consenso sul contenuto dell'accordo: non è un caso che in tutte le ricordate delibere gli organi consiliari degli enti locali hanno conferito rispettivamente al Presidente della giunta regionale, al Presidente della giunta provinciale e al Sindaco apposito mandato a sottoscrivere l'accordo di programma.
Nessun rilievo può avere quindi, ai fini della tempestività del primo ricorso, la data del 29 aprile 1999, giorno in cui le parti siglarono soltanto una bozza dell'accordo di programma, registrando l'avvenuta intesa sul suo contenuto sul quale doveva però acquisirsi il consenso proprio degli organi consiliari della regione, della provincia e del comune, anche in considerazione del fatto che l'accordo comportava anche varianti agli strumenti di pianificazione territoriale in vigore.
Ulteriore e definitiva prova di ciò risulta dalla lettura del punto 21 delle premesse all'accordo di programma sottoscritto il 29 novembre 1999, laddove si precisano le modalità attraverso cui le amministrazioni ed enti stipulanti hanno manifestato il proprio consenso alla conclusione dell'accordo di programma, richiamando fra l'altro proprio gli atti deliberativi sopra indicati.
La coincidenza del testo della bozza di accordo di programma siglato il 29 aprile 1999 con quello definitivo, sottoscritto il 29 novembre 1999, non ha alcun valore per dimostrare che l'accordo si era perfezionato e concluso già alla prima data.
È sufficiente osservare al riguardo che, per espressa disposizione legislativa (art. 27, comma 4) l'accordo di programma consiste nel consenso unanime delle amministrazioni o enti circa un quid (opera o progetto) da realizzare: tale consenso, così come avviene nel campo privatistico per l'accordo contrattuale, non può che formarsi progressivamente attraverso tappe successive, rese necessarie dalla natura rappresentativa degli enti locali.
Infatti, nel caso di specie, poiché l'accordo di programma previsto dall'articolo 4, commi 8, 9 e 10, della legge n. 426 del 1998, costituiva per sua stessa natura un atto di programmazione, per di più incidente sugli strumenti urbanistici in vigore, gli organi monocratici degli enti locali (Sindaco, Presidente della giunta provinciale e di quella regionale) avrebbero potuto validamente impegnare gli enti da loro rappresentati, solo quando gli organi consiliari avessero preso conoscenza della bozza di accordo ed avessero prestato il loro consenso al relativo contenuto: del resto l'organo consiliare, quale organo elettivo e rappresentativo della relativa comunità, è anche l'unico ad assicurare, nel gioco dialettico della contrapposizione tra la maggioranza e l'opposizione, la tutela degli interessi generali della collettività stessa.
Ovviamente ciò comporta, di conseguenza, che solo la conclusione dell'accordo di programma può essere considerata impugnabile, laddove gli atti attraverso i quali gli enti e le amministrazioni hanno progressivamente manifestato il loro assenso al contenuto dell'accordo devono essere considerati infraprocedimentali e come tali, almeno in via generale, non immediatamente ed autonomamente impugnabili.
III.1.2. Quanto alla data del 29 novembre 1999, in cui l'accordo di programma, come si è detto, è stato definitivamente sottoscritto, l'appellante non ha provato che i ricorrenti ne conoscessero il contenuto lesivo da quella stessa data ovvero da più di trenta giorni dalla data di notifica del ricorso giurisdizionale.
Ciò comporta l'infondatezza dell'eccezione.
Infatti, sulla scorta di un consolidato indirizzo giurisprudenziale, non solo la piena conoscenza di un provvedimento amministrativo, ai fini della decorrenza del termine per l'impugnazione, si ricollega all'avvenuta individuazione, da parte del destinatario dell'atto, del relativo contenuto, sicché lo stesso ne possa denunciare l'eventuale valenza lesiva (C.d.S., sez. IV, 15 giugno 1999, n. 1012; 13 agosto 1997, n. 845; sez. V, 16 maggio 1995, n. 804, 9 aprile 1994, n. 275), per quanto l'onere della prova dell'avvenuta piena conoscenza dell'atto impugnato incombe solo su chi eccepisce la tardività del ricorso giurisdizionale, mediante mezzi probatori univoci e chiari, diretti ad accertare in modo sicuro ed inconfutabile che il gravame è stato proposto dopo la scadenza del termine decadenziale (C.d.S., sez. V, 14 ottobre 1998, n. 1467).
III.1.3. Alla stregua delle considerazioni fin qui svolte deve dichiararsi anche l'infondatezza dell'eccezione di inammissibilità del secondo ricorso, pure sollevata dall'ILVA S.p.A., per essere stato diretto nei confronti di atti già definitivi, circostanza che, come si è visto, non è risultata confermata.
III.2. Tutti gli appellanti hanno dedotto altresì l'inammissibilità dei ricorsi di primi grado, sostenendo che i ricorrenti non avevano alcun interesse ad impugnare l'accordo di programma, sia in quanto esso riguardava soltanto la dismissione delle aree dell'ex acciaierie di Cornigliano e non poteva disciplinare l'attività siderurgica in corso ed i suoi possibili scenari di sviluppo, sia perché dall'accordo di programma non derivava ad essi alcuna lesione, neppure sotto il profilo del diritto alla salute, sia perché l'accordo stesso aveva come finalità il risanamento ambientale della zona, fissando nuovi limiti alle emissioni inquinanti dell'attività siderurgica, maggiormente rispettosi dell'ambiente e quindi della salute dei cittadini.
III.2.1. La Sezione rileva innanzitutto che dall'esame della documentazione prodotta dagli appellati fin dal primo grado, e non contestata puntualmente dagli appellanti e dalle altre parti evocate in giudizio che hanno aderito agli appelli in esame, risulta che essi sono tutti effettivamente residenti e proprietari nella zona di Genova Cornigliano.
Tale qualità, differenziando la loro singola posizione rispetto a quella della intera collettività di cui fanno parte, radica sicuramente l'interesse ad impugnare l'accordo di programma, rivendicando essi non tanto (e non solo) la mera corretta applicazione della legge n. 426 del 1998, nella parte in cui non comporterebbe soltanto la chiusura della lavorazione a ciclo integrale, ma vieterebbe qualsiasi lavorazione siderurgica a caldo, quanto piuttosto il diritto all'effettivo risanamento ambientale della zona, che sarebbe compromesso dall'interpretazione della legge contenuta nel contestato accordo di programma, in quanto consentirebbe la continuazione delle lavorazioni a caldo, sia pur con strumenti meno inquinanti.
Deve rilevarsi che in tema di legittimazione la giurisprudenza di questo consesso affermando che, in applicazione del criterio della vicinanza della fonte della lesione, i soggetti che paventano pregiudizi dal compimento di un'opera pubblica, nonché coloro che abitano nei pressi del luogo ove l'opera deve eseguirsi ben possono impugnare i relativi atti, essendo a loro carico l'onere di provare proprio la qualità di abitanti di case poste nei pressi del luogo ove deve essere effettuata l'opera (C.d.S., sez. V, 4 novembre 1994 n. 1257); inoltre è stato ritenuto sussistente l'interesse dei residenti nelle zone limitrofe ad una discarica di rifiuti ad impugnare il maggior conferimento di rifiuto, detta circostanza essendo potenzialmente suscettibile di provocare effetti nocivi per l'ambiente per il più accelerato sfruttamento della discarica rispetto ai tempi e alle modalità originariamente previsti (C.d.S., sez. V, 8 febbraio 1997 n. 139) ovvero l'interesse, a tutela della salute individuale, dei residenti di un comune ad impugnare un provvedimento intercomunale, nell'ambito di un piano di lottizzazione, con il quale veniva assegnata ad una società un'area destinata ad insediamento produttivo recante esalazioni nocive, consentite, in quanto tali, per le produzioni da avviarsi (C.d.S., sez. II, 24 gennaio 1996 n. 1240).
Diversamente da quanto sostenuto dagli appellanti, dunque, la qualità dei ricorrenti (residenti, proprietari, conduttori di immobili, esercenti attività commerciali nella zona industriale e portuale di Genova) ne legittima l'interesse all'impugnazione dell'accordo di programma.
III.2.2. D'altra parte l'interesse a ricorrere nel processo amministrativo deve essere valutato con esclusivo riferimento all'oggetto del giudizio ed in base ai motivi di censura appuntato nei confronti dell'atto impugnato (C.d.S., sez. IV, 16 ottobre 1995) ovvero sulla base della prospettazione fornita dal ricorrente (C.d.S., sez. V, 28 gennaio 1998 n. 116), così che - anche sotto tale profilo - non può negarsi l'interesse all'impugnazione dell'accordo di programma in questione, quanto meno relativamente alla parte che ha previsto la sola chiusura della lavorazione a ciclo integrale dell'ILVA S.p.A., ciò contrastando nella prospettazione dei ricorrenti in primo grado con la effettiva finalità di risanamento ambientale.
Deve ancora aggiungersi che l'interesse potenziale che legittima il privato alla proposizione del ricorso giurisdizionale, va accertato considerando il bene della vita al quale egli aspira, in relazione non soltanto al potere autoritativo concretamente esercitato dall'amministrazione, ma anche a quello che avrebbe dovuto essere legittimamente posto in essere in presenza dei presupposti di fatto effettivamente esistenti in concreto (C.d.S., sez. IV, 12 marzo 1996 n. 310; sez. VI, 19 gennaio 1995, n. 40), obbligando l'amministrazione a riesaminare il provvedimento (C.d.S., sez. IV, 10 novembre 1999 n. 1671; 29 settembre 1997 n. 1021; sez. VI, 28 gennaio 1998 n. 116).
Nel caso di specie, non vi è dubbio che i ricorrenti mirano a conseguire, con l'impugnazione dell'accordo di programma, un'interpretazione dell'art. 4, comma 8, 9 e 10, della legge n. 426 del 1998 tale ad assicurare una tutela del diritto alla salute attraverso il risanamento ambientale della zona di Cornigliano e la chiusura di qualsiasi tipo di lavorazione a caldo ben superiore a quella riconosciuta, a loro avviso, dall'accordo di programma che avrebbe limitato il divieto delle lavorazioni a caldo dell'ILVA S.p.A. al solo ciclo integrale, lasciando la possibilità di introdurre altri tipi di lavorazione a caldo, anche se meno inquinanti.
Le eccezioni di carenza di legittimazione ad agire dei ricorrenti in primo grado devono essere perciò respinte.
III.3. Deve essere ora esaminata l'eccezione, formulata dagli appellati Cristina Pozzi e dagli altri litisconsorti costituiti in tutti i giudizi di appello, di inammissibilità/irricevibilità del gravame dell'Associazione Industriali della provincia di Genova (RG. 4333/2001) e dalla FIOM C.G.I.L. Regionale e Provinciale (RG. 4456/2001) sul rilievo, quanto al primo, che al domicilio eletto dai ricorrenti in primo grado è stata notificata una sola copia dell'atto di appello per tutti i ricorrenti oltre ad una sola copia alla sig. Cristina Pozzi e, quanto al secondo, che sono state notificate due copie dell'appello alla signora Cristina Pozzi ed una solo copia dell'appello per tutti i ricorrenti solo relativamente al ricorso RG. 894/2000 (mentre nessuna copia dell'atto di appello sarebbe stata notificata con riguardo al ricorso NRG 509/2000).
L'eccezione non può essere accolta.
III.3.1. Osserva la Sezione che i ricorsi proposti in primo grado da Cristina Pozzi e dagli altri litisconsorti segnati in epigrafe sono da considerare ricorsi giurisdizionali collettivi, essendovi identità di petitum e di causa petendi, identici essendo i provvedimenti impugnati, i motivi di ricorso, l'interesse al ricorso e non sussistendo conflitto di interesse tra i ricorrenti stessi (C.d.S., sez. 28 agosto 1997 n. 932).
Il ricorso giurisdizionale collettivo deve essere considerato proposto da una sola parte, anche se soggettivamente complessa (C.d.S., sez. IV, 12 dicembre 1997 n. 1413).
III.3.2. È stato precisato che l'atto di appello, quando è proposto contro una sentenza resa non già su una pluralità di ricorsi, bensì su un ricorso collettivo proposto da una pluralità di soggetti, può essere notificato in una sola copia, proprio perché il ricorso collettivo va considerato proposto da un'unica parte, anche se soggettivamente complessa (C.G.A., 29 giugno 1989 n. 238; C.d.S., Sez. VI, 18 gennaio 1996 n. 108): ciò esclude qualsiasi rilievo circa la asserita irritualità o nullità della notifica degli atti di appello in contestazione.
In ogni caso, ritiene la Sezione che, anche a voler seguire la giurisprudenza più rigorosa che ritiene applicabile nel processo amministrativo d'appello l'art. 330, primo comma, C.p.c., nonché necessaria la notifica di tante copie dell'atto di appello quanti sono i soggetti appellati, nel caso di specie vi è stata la costituzione in giudizio di tutti i soggetti che hanno proposto il ricorso collettivo di primo grado (ad eccezione del sig. Gianfranco Gadolla il cui ricorso era stato dichiarato inammissibile per carenza di legittimazione): l'atto ha pertanto raggiunto il suo scopo (ex art. 156 C.p.c.) e ogni vizio relativo alla notifica deve considerarsi sanato (C.d.S., sez. V, 3 giugno 1996 n. 610).
III.4. Gli originari ricorrenti, costituiti nei giudizi di appello in esame, hanno da ultimo dedotto che tutti gli appelli proposti avverso la sentenza di primo grado sarebbero inammissibili per sopravvenuta carenza di interesse, in quanto con delibera di giunta regionale n. 51 del 29 maggio 2001 è stata adottata una variante al vigente Piano Territoriale di Coordinamento dell'Area Centrale Ligure che avrebbe fatto propria la impugnata decisione del Tribunale amministrativo regionale della Liguria n. 52 del 2000, prevedendo per la zona delle acciaierie di Cornigliano l'impossibilità di mantenere qualsiasi tipo di attività siderurgica con lavorazione a caldo.
Anche tale rilievo non può essere condiviso.
III.4.1. È noto che la dichiarazione di inammissibilità per sopravvenuta carenza di interesse di un ricorso o di un appello consegue unicamente ad una radicale modificazione della situazione di fatto e di diritto esistente al momento della domanda, tale da rendere certa e definitiva l'inutilità della sentenza (C.d.S., sez. IV, 28 gennaio 2000 n. 442; sez. V, 15 settembre 1999 n. 1082; 23 aprile 1998 n. 474; 10 marzo 1997 n. 242), anche sotto un profilo meramente strumentale e morale (C.d.S., sez. V, 29 gennaio 1999 n. 83; 10 marzo 1997 n. 242): perciò la relativa indagine deve essere compiuta dal giudice con il massimo rigore per evitare che la declaratoria in argomento si risolva in una sostanziale elusione dell'obbligo di pronunciarsi sulla domanda (C.d.S., sez. IV, 28 gennaio 2000 n. 442).
Nel caso di specie, ad avviso della Sezione, la delibera della giunta regionale della Liguria n.591 del 29 maggio 2001 non è idonea a far venir meno l'interesse degli appellanti all'esame dei rispettivi gravami.
III.4.2. Sotto un primo profilo deve innanzitutto rilevarsi che essa non è in alcun modo satisfattiva degli interessi degli appellanti, in quanto è finalizzata proprio a vietare qualsiasi attività siderurgica con lavorazione a caldo nell'area dell'ex acciaieria ILVA di Cornigliano, perseguendo quindi una finalità esattamente opposta a quella dei predetti appellanti i quali, come sopra accennati, hanno proprio contestato che la legge n. 426 del 1998 ed il successivo accordo di programma, della cui legittimità di discute, abbiano voluto raggiungere tale scopo.
È evidente, quindi, non solo che tale delibera non rende inutile il riesame della questione che è stata portata all'esame del giudice d'appello, per quanto, se è possibile, rafforza l'interesse degli appellati alla decisione, in quanto l'eventuale accoglimento dell'appello potrebbe anche comportare per l'amministrazione regionale l'obbligo, o quanto meno l'opportunità, di rivedere le scelte operate con la citata delibera n. 591 del 29 maggio 2001, visto che quest'ultima, per sua esplicita ammissione, dichiara di tener conto delle decisione del Tribunale amministrativo regionale della Liguria n. 52 del 29 gennaio 2001, oggetto proprio dei gravami in esame.
Sotto altro concorrente profilo, inoltre, non può non evidenziarsi che la ricordata delibera della giunta regionale della Liguria n. 591 del 29 maggio 2001 costituisce mera adozione, di iniziativa regionale di variante al Piano Territoriale di Coordinamento dell'Area Centrale Ligure relativamente alla zona in cui insiste l'ex acciaieria ILVA, e dunque è solo l'atto iniziale della relativa procedura che dovrebbe sfociare nell'approvazione della variante, fornendo alla zona interessata una nuova disciplina urbanistica: gli unici effetti attuali di detto atto consistono quindi soltanto nell'applicazione delle misure di salvaguardia, ma non comportano ancora una definitiva e radicale modificazione della situazione, di fatto e di diritto, esistente al momento della presentazione dell'appello.
III.4.3. Ciò senza contare, peraltro, che alla data del 10 luglio 2001, in cui sono stati discussi in udienza pubblica gli appelli e la Sezione ha introitata le relative cause per la decisione, non era ancora scaduto il termine di decadenza per l'eventuale impugnazione della delibera in argomento.
Pertanto non sussistono i presupposti di fatto e di diritto per la declaratoria di inammissibilità degli appelli per la sopravvenuta carenza di interesse.
IV. Risolte le questioni pregiudiziali, si può passare all'esame del merito degli appelli.
La critica da essi rivolta alla sentenza impugnata si incentra essenzialmente sulla esatta interpretazione dell'art. 4, commi 8, 9 e 10, della legge 9 dicembre 1998 n. 426 ed in particolare sul corretto significato da assegnare all'espressione "chiusura delle lavorazioni a caldo", contenuta nei ricordati commi 8 e 9.
Infatti i primi giudici hanno ritenuto illegittimo l'accordo di programma di cui si tratta nella parte in cui ha previsto solo la "chiusura delle lavorazioni del ciclo integrale" del polo di Genova - Corigliano, così restringendo ingiustificatamente, a loro avviso, la voluntas legis, riferita invece ad ogni tipo di lavorazione a caldo (ivi compresa quella col forno elettrico, la cui possibile utilizzazione da parte dell'ILVA S.p.A. si porrebbe quindi in insanabile contrasto con le finalità specifiche della legge di eliminare ogni forma di inquinamento derivante dall'attività metallurgica).
Tutti gli appellanti, per contro, sia pur con sfumature diverse, sostengono la correttezza dell'interpretazione della normativa propugnata nell'accordo di programma.
La soluzione della questione, ad avviso della Sezione, deve prendere le mosse dall'esame della normativa indicata.
IV.1. La legge 9 dicembre 1998 n. 426, recante "Nuovi interventi in campo ambientale", si occupa specialmente della questione del polo siderurgico di Genova - Cornigliano nell'articolo 4, rubricato "Disposizioni varie", il cui comma ottavo testualmente recita: "Per l'attuazione del piano di risanamento ambientale dell'area industriale e portuale di Genova, di cui all'intesa tra Ministero dell'ambiente e regione Liguria del 31 luglio 1996, nell'ambito degli interventi di cui all'articolo 1, comma 1, è riservato l'importo di lire 6 miliardi annue per dieci anni, a decorrere dall'anno 1998, anche per la realizzazione di aree a verde e servizi per la cittadinanza".
Il successivo comma nove poi stabilisce che "Per favorire lo sviluppo di attività produttive compatibili con la normativa di tutela ambientale e diverse dal ciclo produttivo siderurgico della laminazione a caldo, l'Autorità portuale di Genova è incaricata di realizzare programmi di razionalizzazione e valorizzazione delle aree che rientrano nella sua disponibilità a seguito della cessazione del rapporto di concessione derivante dalla chiusura delle lavorazioni siderurgiche a caldo".
Il comma dieci, infine, prevede che "Al fine di sviluppare gli interventi necessari di cui ai commi 8 e 9 è stipulato un accordo di programma tra il Ministero dell'industria, del commercio e dell'artigianato, il Ministero dell'ambiente, il Ministero dei trasporti e della navigazione, il Ministero del lavoro e della previdenza sociale, la regione Liguria, la provincia e il comune di Genova, l'Autorità portuale di Genova e l'ILVA Spa. L'accordo di programma deve prevedere il piano di bonifica e risanamento dell'area dismessa a seguito della chiusura delle lavorazioni siderurgiche a caldo nonché, entro tempi certi e definiti, il piano industriale per il consolidamento delle lavorazioni a freddo. L'accordo di programma e i successivi strumenti attuativi devono altresì prevedere la tutela dei livelli occupazionali e il reimpiego della manodopera occupata al 14 luglio 1998".
IV.2. Da tali disposizioni si evince agevolmente che il legislatore, ben consapevole della rilevanza, della delicatezza e della complessità della questione relativa alla situazione della zona di Genova - Cornigliano (per l'evidente intrecciarsi di contrapposti interessi, pubblici e privati, anche di rilievo costituzionale, tra cui il diritto alla salute e alla salubrità dell'ambiente, le problematiche relative alla tutela della piena occupazione e alla iniziativa economica privata, nonché ai suoi riflessi sull'economia generale del sistema - paese, il necessario rispetto delle autonomie locali, anche con riferimento alla gestione e all'organizzazione del proprio territorio) ha ritenuto necessario predisporre per la sua adeguata soluzione una altrettanto complessa articolazione di interventi, che si muovono sostanzialmente in due direzioni: a) l'una, finalizzata ad attuare il piano di risanamento ambientale dell'area industriale e portuale di Genova, oggetto dell'intesa del 31 luglio 1996 tra il Ministero dell'Ambiente e la Regione Liguria, con lo specifico obiettivo di realizzare gli interventi di bonifica e ripristino ambientale dei siti inquinati (art. 1, comma 1 della legge n. 426 del 1998) e volto anche alla realizzazione di aree a verde e servizi per la cittadinanza; b) l'altra tesa a favorire lo sviluppo di attività produttive, per un verso, compatibili con la normativa di tutela ambientale, e, per altro verso, diverse dal ciclo produttivo siderurgico a caldo.
Mentre per la realizzazione del piano di risanamento ambientale il comma 8 dell'articolo 4 ha riservato la somma di sei miliardi annui per dieci anni a partire al 1998, per il conseguimento del secondo obiettivo (comma 9) l'Autorità Portuale di Genova è stata incaricata di realizzare programmi di razionalizzazione e valorizzazione delle aree rientranti nella sua disponibilità a seguito della cessazione del rapporto di concessione derivante dalla chiusura delle lavorazioni siderurgiche a caldo.
La reductio ad unitatem di tale articolata e complessa serie di interventi è stata assicurata dall'accordo di programma (comma 10), che rappresenta lo strumento operativo per realizzare il necessario coordinamento delle attività da svolgersi dagli enti, amministrazioni e privati coinvolti nell'accordo, in modo da poter conseguire in maniera effettiva ed adeguata gli obiettivi prefissati, assicurando contemporaneamente anche l'integrale soddisfacimento di tutti gli interessi in gioco, sia pubblici che privati, ritenuti di pari dignità.
Giova sottolineare, ad avviso della Sezione, la particolare struttura "aperta" del previsto accordo di programma che non costituisce un mezzo meramente applicativo della legge per conseguire le finalità di cui ai predetti commi 8 e 9 dell'articolo 4; le espressioni letterali usate dal legislatore esaltano infatti l'accordo di programma come strumento creativo, essendogli stato assegnato il compito di "sviluppare" gli interventi necessari all'"attuazione" del piano di risanamento ambientale dell'area industriale (comma 8) e di "favorire" lo sviluppo di attività produttive compatibili con la normativa di tutela ambientale e diverse dal ciclo produttivo siderurgico a caldo (comma 9).
Gli enti, le amministrazioni ed i privati chiamati a concludere l'accordo di programma, nello spirito stesso dei nuovi modelli consensuali di esercizio della funzione amministrativa, sono stati quindi lasciati liberi di decidere, nel rispetto dei basilari principi della logica e della ragionevolezza, le modalità più opportune e più adeguate (secondo i canoni dell'art. 97 della Costituzione ed al fine di raggiungere il più alto grado di soddisfazione possibile degli interessi in gioco) con cui raggiungere le finalità delineate; e tuttavia il legislatore, per assicurare l'interesse al concreto avvio dell'opera di risanamento del sito in esame, ha ritenuto imprescindibile fissare un contenuto minimo obbligatorio dell'accordo stesso, precisando che esso dovesse prevedere: a) il piano di bonifica e risanamento dell'area dismessa a seguito della chiusura delle lavorazioni siderurgiche a caldo; b) nonché, entro tempi certi e definiti, il piano industriale per il consolidamento delle lavorazioni a freddo; c) la tutela dei livelli occupazionali e il reimpiego della manodopera occupata al 14 luglio 1998 (tale ultimo limite positivo riguarda anche tutti i successivi strumenti attuativi).
IV.3. Sempre nell'ottica di pervenire alla esatta interpretazione della normativa in esame (e all'evidente ulteriore fine di stabilire poi l'esatta portata dell'accordo di programma in esame) non può disconoscersi il rilievo centrale che in essa assume l'intesa siglata il 31 luglio 1996 (pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 6 dicembre 1996 n. 286) tra il Ministero dell'Ambiente e la Regione Liguria in materia di interventi nelle aree critiche, ad elevata concentrazione industriale, proprio per il risanamento dell'area industriale e portuale di Genova, la cui attuazione rappresenta, peraltro, il primo obiettivo enunciato dal legislatore nel comma 8 dell'articolo 4 della legge n. 426 del 1998.
Tale altro strumento operativo (espressamente adottato sulla scorta del D.L. 8 luglio 1996 n. 351, decaduto per mancata conversione, i cui effetti sono stati però fatti salvi dall'articolo 1, comma 2 della legge 19 maggio 1997 n. 137) nel prevedere la predisposizione di piani di risanamento contenenti, fra l'altro, le informazioni esistenti sui principali rischi presenti nell'area critica di Genova e le azioni da porre in essere per fermare il degrado, stabiliva espressamente all'art. 8 che la problematica ambientale dell'acciaieria di Genova - Cornigliano sarebbe stata oggetto di apposito contratto di programma, secondo uno schema da elaborarsi dallo stesso Ministero dell'Ambiente e dalla Regione Liguria, con il concorso dell'azienda ILVA S.p.A.
L'allegato A all'intesa in argomento significativamente prevedeva per l'area industriale e portuale di Genova l'attuazione di un piano per il miglioramento progressivo della qualità dell'aria e conseguenti interventi di contenimento delle emissioni "per tollerare il mantenimento dell'area siderurgica di Cornigliano per una ulteriore campagna dell'altoforno", nonché riduzione degli spazi occupati e realizzazione di aree bonificate da adibire ad attività industriali collaterali.
IV.4. Deve aggiungersi che in data 5 novembre 1998, cioè prima dell'approvazione della legge 9 dicembre 1998 n. 426, il Ministero dell'Industria, quello dei Trasporti e quello del Lavoro, nonché la Regione Liguria, la Provincia di Genova, il Comune di Genova, la ILVA S.p.A. e le organizzazioni sindacali avevano siglato un "Documento per l'accordo di programma" (sul presupposto dell'esistenza di un disegno di legge in materia di interventi in campo ambientale, poi approvato con legge n. 426 del 1998), per individuare e prefigurare i temi ed i contenuti degli impegni di pertinenza delle parti per il conseguimento dell'obiettivo del risanamento ambientale della zona industriale e portuale di Genova - Cornigliano.
È interessante rilevare che nel predetto "Documento per l'accordo di programma", dopo aver sottolineato nei considerando la possibilità del "superamento delle fasi produttive a caldo (cokerie, altoforno, agglomerato) della ex Acciaierie di Cornigliano oggi ILVA S.p.A.", aggiungendosi che "in coerenza con gli indirizzi strategici del gruppo RIVA, potrà essere prevista la permanenza e/o lo sviluppo delle attività siderurgiche compatibili con i limiti di tolleranza definiti nel presente accordo", le parti convenivano espressamente la "definitiva chiusura del ciclo integrale", da completarsi entro nove mesi a far data dall'ultimo degli adempimenti relativi alla disciplina urbanistica e ambientale e al regime concessorio".
IV.5. È sulla base di tale substrato, normativo e fattuale, che deve essere esaminata la questione controversa ovvero se l'accordo di programma, firmato il sottoscritto il 29 novembre 1999, prevedendo, tra gli scopi generali dell'accordo, la sola chiusura delle lavorazioni del ciclo integrale (articolo 1, lett. a), nonché il riassetto, la razionalizzazione delle lavorazioni siderurgiche non a ciclo integrale (articolo 1, lett. c) abbia violato la normativa primaria, di cui al comma 10 dell'art. 4 della legge 9 dicembre 1998 n. 426, che prevedeva, per un verso, la chiusura delle lavorazioni siderurgiche a caldo (e non solo quella a ciclo integrale) ed il consolidamento delle lavorazioni a freddo.
Orbene, ad avviso della Sezione, tale violazione non sussiste.
IV.5.1. Nell'accordo raggiunto il 5 novembre trasfuso nel c.d. "Documento per l'accordo di programma", la cui rilevanza, per i fini che ci occupano, consiste nel fatto di essere stato siglato prima ancora dell'approvazione della legge 9 dicembre 1998 n. 426, le parti stipulanti (sostanzialmente le stesse che hanno poi firmato l'accordo di programma del 29 novembre 1999) convennero espressamente e testualmente nel preambolo dell'accordo, ed in particolare nella parte dei considerato, sul superamento delle fasi produttive a caldo (cokerie, altoforno, agglomerato) della ex Acciaierie di Cornigliano; nel corpo del predetto Documento si trova poi riputa più volte l'espressione "chiusura del ciclo integrale", contrapposta a ciclo non integrale.
La chiusura del ciclo integrale, che costituisce impegno specifico dell'ILVA S.p.A., rappresenta la condizione essenziale per l'avvio concreto del risanamento dell'area ambientale dell'area industriale in esame: su tale circostanza si registra il consenso unanime delle parti stipulanti.
Deve perciò ammettersi che nell'accordo del 5 novembre 1998 vi è sostanziale coincidenza secondo la comune intenzione delle parti, dal punto di vista contenutistico, tra la chiusura del ciclo integrale con il superamento delle fasi produttive a caldo (cokerie, altoforno agglomerati): in altre parole le parti, concordando sulla chiusura del ciclo a caldo intendono riferirsi alla chiusura del ciclo di lavorazione a caldo delle ex Acciaierie di Cornigliano.
IV.5.2. L'accordo di programma firmato il 29 settembre 1999, in attuazione della legge n. 426 del 1998, nel suo preambolo dà espressamente conto dell'intervenuto accordo di programma del 5 novembre 1998: le parti stipulanti si preoccupano di chiarire anche che quest'ultimo era stato siglato sulla scorta di un disegno di legge relativo ad interventi in materia ambientale che è stato trasformato nella legge n. 426 del 1998, della quale citano espressamente i più volte ricordati commi 8, 9 e 10 dell'articolo 4.
Esiste dunque, ad avviso del Collegio, una espressa voluntas delle parti stipulanti di considerare strettamente legati tra di loro i due accordi di programmi, quasi che il secondo, firmato definitivamente il 29 novembre 1998, rappresenti la ufficializzazione e la consacrazione formale del primo, contenendo le stesse sostanziali disposizioni, ora sanzionate proprio dalla specifica volontà del legislatore.
La saldatura, logica e razionale, esistente tra i predetti due accordi consente di confermare l'avviso espresso sul primo quanto alla interpretazione dell'espressione "chiusura del ciclo integrale", con il quale le parti non hanno voluto far altro che intendere superamento e quindi chiusura delle fasi di lavorazione a caldo.
IV.5.3. Un'ulteriore argomentazione a conforto da tali tesi può ricavarsi anche dalla stessa prospettazione difensiva dei ricorrenti in primo grado, appellati nei presenti giudizi di appelli.
Essi, infatti, paventando che attraverso la riduttiva espressione "chiusura del ciclo integrale" possa nascondersi l'insidia dell'introduzione della lavorazione a caldo col forno elettrico, mostrano pacificamente che l'unico forma di lavorazione a caldo nella zona in argomento era quella a ciclo integrale.
Se così è, e non vi è motivo per dubitare, non essendo stata sul punto proposto alcun indizio contrario, è evidente che nell'accordo di programma del 29 novembre 1999 (così come in quello del 5 novembre 1998) si allude alla sola chiusura del ciclo integrale e non alla chiusura di ogni tipo di lavorazione a caldo, perché l'unico ciclo lavorativo attivo, e dunque suscettibile di chiusura, era solo quello a ciclo integrale.
IV.5.4. Secondo tale ricostruzione dunque non l'accordo di programma firmato il 29 novembre 1999 non ha violato i comma 8, 9 e 10 dell'articolo 4 della legge 9 dicembre 1998 n. 426 in quanto con l'espressione "chiusura del ciclo integrale" le parti hanno inteso riferirsi alla chiusura del ciclo di lavorazione a caldo esistente nell'area interessata, che era esclusivamente quello integrale.
In tali limiti gli appelli proposti devono essere accolti.
IV.6 . Ciò posto ritiene la Sezione, per completezza espositiva, ed anche per fornire a tutte le parti in causa, una chiave interpretativa dell'accordo di programma in esame (così peraltro come espressamente richiesto da alcune delle amministrazioni appellate), di dover svolgere alcune considerazioni sulla questione della lavorazione a caldo col forno elettrico.
IV.6.1. Giova innanzitutto sgomberare il campo da ogni possibile equivoco, rilevando che la questione del ciclo di lavorazione col forno elettrico non costituiva oggetto della materia del contendere, così che l'accoglimento degli appelli non comporta alcun giudizio, neppure implicito, di legittimità sulla sua eventuale introduzione.
Deve inoltre evidenziarsi che l'accordo di programma firmato il 29 novembre 1999 nel capo IV, intitolato "Piano di riassetto e consolidamento delle attività siderurgiche", all'art. 12, rubricato "Finalità e contenuti essenziali del piano", dopo aver registrato al comma 2 l'impegno dell'ILVA S.p.A. (gruppo RIVA) ad attuare la definitiva e completa chiusura delle lavorazioni siderurgiche a ciclo integrale (cokeria, agglomerato, altoforno, acciaieria alimentata a ghisa) alla scadenza di nove mesi a far data dall'ultimo degli adempimenti relativi alla nuova disciplina urbanistica e ambientale ed ai nuovi regimi concessivi previsti dall'accordo stesso, ha previsto che il piano degli interventi e degli investimenti necessari alla razionalizzazione, riassetto, consolidamento e sviluppo delle lavorazioni siderurgiche a ciclo non a ciclo integrale era articolato in tre fasi.
Nell'ultima di esse (terza fase), caratterizzata da interventi successivi alla definitiva fermata del ciclo integrale, è previsto l'avviamento della progettazione per l'ulteriore ampliamento del polo siderurgico genovese per giungere, nel rispetto dei parametri ambientali ed ecologici, ad uno stabile sviluppo dell'attività siderurgica "in un contesto industriale che, tenuto conto degli sviluppi degli scenari competitivi internazionali, assicuri al sito una permanente posizione di alta competitività a livello mondiale".
Gli interventi della predetta terza fase, comunque, non sono lasciati alla libera disponibilità dell'ILVA S.p.A., atteso che quest'ultima, secondo la precisa disposizione del comma 8 dell'articolo 12, deve sottoporre i relativi programmi al Collegio di Vigilanza previsto dall'accordo stesso "per consentire alle Amministrazioni e agli Enti stipulanti ogni opportuna verifica, approfondimento e confronto, con riguardo agli obiettivi di risanamento ambientale ed indirizzi sanciti dall'Accordo e, particolarmente, con riferimento all'esigenza di mantenere la stabilità dei livelli occupazionali previsti dall'Accordo".
IV.6.2. Lo stesso accordo di programma, frutto dell'accordo unanime delle parti stipulanti, tra cui anche la ILVA S.p.A., esclude dunque ogni correlazione diretta ed immediata, com'è del resto giusto che sia anche secondo l'interpretazione dell'accordo stessa sopra delineata, tra chiusura del ciclo integrale e introduzione di lavorazioni con il forno elettrico.
Quest'ultima infatti, per volontà unanime delle parti, deve sottostare alla valutazione del Collegio di Vigilanza dell'Accordo finalizzato a consentire agli enti ed alle amministrazioni di stabilire la sua compatibilità con gli stessi obiettivi fondamentali dell'accordo e con le finalità stabilite dalla legge ai commi 8 e 9 dell'art. 4 della legge n. 426 del 1998.
IV.7. È appena il caso di segnalare che l'interpretazione così raggiunta dell'accordo di programma firmato il 29 novembre 1999 appare anche l'unica rispettosa degli interesse pubblici e privati in giuoco, con particolare riguardo sia al diritto alla salute e alla tutela dei valori ambientali, sia al diritto di iniziativa economica privata ed alla tutela dei livelli occupazionali.
V. In conclusione, alla stregua e nei sensi delle considerazioni fin qui svolte, gli accolti separatamente proposti dall'ILVA S.p.A., dall'Associazione Industriali della provincia di Genova, dalla FIOM CGIL regionale (Regione Liguria) e dalla FIOM CGIL provinciale (Provincia di Genova), nonché dalla C.G.I.L. LIGURIA e dalla C.G.I.L. GENOVA, previa riunioni, devono essere accolti.
Sussistono giusti motivi per disporre la integrale compensazione delle spese di entrambi i gradi di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sugli appelli separatamente proposti dall'ILVA S.p.A., dall'Associazione Industriali della provincia di Genova, dalla FIOM CGIL regionale (Regione Liguria) e dalla FIOM CGIL provinciale (Provincia di Genova), nonché dalla C.G.I.L. LIGURIA e dalla C.G.I.L. GENOVA avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale della Liguria n. 52 del 29 gennaio 2001, così provvede:
riunisce gli appelli e li accoglie, nei sensi di cui in motivazione;
spese compensate di entrambe i gradi.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 10 luglio 2001, con l'intervento dei signori:
TROTTA GAETANO - Presidente
BORIONI MARCELLO - Consigliere
LAMBERTI CESARE - Consigliere
RULLI DEDI MARINELLA - Consigliere
SALTELLI CARLO - Consigliere est.
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Depositata in data 1 agosto 2001.