CONSIGLIO DI STATO, SEZ. IV - Sentenza 6 novembre 2001 n. 5710 - Pres. Paleologo, Est. Borioni - Leo (Avv. Mario Sannino) c. Consiglio superiore della magistratura e Ministro della giustizia (Avv. Stato Stipo) e Favara (Avv. Franco Gaetano Scoca) - (annulla T.A.R. del Lazio, sez.I, sent. 27 dicembre 2000, n. 12493).
1. Pubblico impiego - Magistrati - Conferimento incarichi direttivi - Criterio dell'interpello stabilito dalla Commissione per il conferimento degli incarichi direttivi del C.S.M. - Che prevede il conferimento dell'incarico ai soli magistrati preposti a funzioni direttive superiori da data anteriore al 1° gennaio 1981 - Illegittimità - Fattispecie.
2. Pubblico impiego - Magistrati - Conferimento incarichi direttivi - Conferimento incarico di Procuratore generale presso la Corte di cassazione - Disciplina in atto prevista - Giudizio complessivo basato sull'anzianità e sul merito - Necessità - Periodo di svolgimento delle funzioni direttive superiori - E' soltanto uno degli elementi di cui tener conto ai fini della valutazione comparativa dei magistrati legittimati.
3. Pubblico impiego - Magistrati - Conferimento incarichi direttivi - Potere del C.S.M. di prestabilire criteri di valutazione dei candidati - Sussiste - Potere di introdurre ulteriori requisiti di legittimazione - Non sussiste.
1. Deve ritenersi illegittimo il criterio, stabilito della Commissione per il conferimento degli incarichi direttivi del Consiglio superiore della magistratura nella seduta del 9 marzo 2000, di interpellare - ai fini del conferimento dell'incarico di Procuratore generale presso la Corte di cassazione - i soli magistrati preposti a funzioni direttive superiori da data anteriore al 1° gennaio 1981. Va conseguentemente annullato il provvedimento con il quale, è stata ritenuta inammissibile della domanda di conferimento del suddetto incarico presentata dal dott. Leo (per mancanza dell'anzidetto requisito) e l'incarico di Procuratore generale presso la Corte di cassazione è stato conferito al dott. Francesco Favara.
2. L'art. 189 del R.D. 30 gennaio 1941, n.12, come modificato dall'art. 6 della legge 25 maggio 1951, n.392, (secondo cui, in particolare gli uffici direttivi ivi indicati, fra cui l'ufficio di procuratore generale presso la Corte di cassazione, devono essere conferiti "per anzianità e per merito") prevede in modo puntuale e compiuto i requisiti per l'ammissione alla procedura di conferimento dell'incarico di Procuratore generale presso la Corte di cassazione, attribuendo al Consiglio superiore della Magistratura il compito di individuare il magistrato che risulti in concreto più idoneo secondo un giudizio complessivo basato sull'anzianità e sul merito.
Così ad una originaria "scelta" del candidato svincolata da regole prestabilite (art.189 del R.D. n.12/1941), si è sostituito il "conferimento" dell'ufficio da attuare secondo uno schema nel quale il periodo di svolgimento delle funzioni direttive superiori è soltanto uno degli elementi di cui tener conto ai fini della valutazione comparativa dei magistrati legittimati, insieme con gli altri profili riconducibili all'anzianità e al merito.
3. L'attuale ordinamento attribuisce al C.S.M., ai fini dell'attribuzione di incarichi direttivi, il solo compito di procedere all'apprezzamento in concreto delle singole posizioni dei magistrati aventi titolo alla nomina. Sicché è certamente in sua facoltà - e non mai in facoltà della commissione preposta al conferimento degli uffici direttivi - prestabilire regole cui attenersi nell'esercizio di quel potere, e nulla impedisce che, in sede di autolimitazione, possa dare particolare rilevo alla specifica esperienza maturata dai candidati nello svolgimento delle funzioni direttive superiori. Ma nessuna norma o principio consente che l'organo di autogoverno introduca ulteriori requisiti di legittimazione, poiché su questo piano le fonti normative ammettono soltanto un atto di accertamento.
FATTO
Il T.A.R. del Lazio, sez.I, con sentenza 27 dicembre 2000 n. 12493 ha, previa riunione, dichiarato improcedibile il ricorso n.5519/2000 proposto dal dott. Antonio Leo avverso la deliberazione della commissione V del Consiglio superiore della magistratura, avente per oggetto la procedura di "interpello" per il conferimento dell'incarico di Procuratore generale presso la Corte di cassazione e gli atti presupposti, ed ha rigettato il ricorso n.8574/2000, proposto dallo stesso dott. Leo, avverso il decreto del Presidente della Repubblica 5 aprile 2000, di conferimento al dott. Francesco Favara dell'incarico di Procuratore generale presso la Corte di cassazione e gli atti presupposti.
Il secondo capo della sentenza è stato impugnato dal dott. Leo, che, contestandone la motivazione e la conclusione, ha dedotto quanto segue:
La procedura di "interpello" ristretta ai magistrati che avevano conseguito le funzioni direttive superiori prima del 1° gennaio 1981 non è prevista da nessuna norma primaria o secondaria e contrasta con i criteri stabiliti dalla circolare del C.S.M. n.13000/19999 per il conferimento degli uffici direttivi, ivi compreso quello di Procuratore generale presso la Corte di cassazione.
Per conseguenza è illegittima la dichiarazione di inammissibilità, oltretutto immotivata, della domanda presentata dallo stesso dott. Leo.
La deliberazione della V commissione in data 9 marzo 2000, con la quale è stata individuata la fascia dei magistrati da ammettere alla valutazione comparativa è illegittima, perché adottata con soli due voti favorevoli, uno contrario e tre astenuti.
La stessa deliberazione è viziata da eccesso di potere sotto più profili.
Il C.S.M. non ha adeguatamente valutato che nella fascia degli interpellati alcuni magistrati non possedevano il requisito della permanenza nell'ufficio per almeno due anni.
L'interpello è stato effettuato senza rispettare i criteri di cui alla citata circolare n.13000/1999, che richiedono una valutazione integrata dell'anzianità, del merito e delle attitudini.
Il C.S.M. non ha adeguatamente valutato gli elementi contenuti nel fascicolo personale del dott. Favara.
Si è costituito in giudizio il dott. Favara, che resiste all'appello, chiedendone il rigetto. Propone, inoltre, appello incidentale avverso la sentenza di primo grado nella parte in cui ha disatteso l'eccezione di inammissibilità del ricorso originario.
Si è costituita anche l'Avvocatura dello Stato, che replica ai motivi di appello.
Con successive memorie le parti private hanno ulteriormente illustrato le rispettive posizioni.
DIRITTO
L'appello incidentale, con il quale è rinnovata l'eccezione di inammissibilità del ricorso originario per difetto di interesse, deve essere disatteso.
L'originario ricorrente, quale magistrato preposto ad un ufficio direttivo superiore, si presenta titolare di una posizione soggettiva cui accederebbe, a suo dire, la pretesa ad essere valutato ai fini del conferimento dell'ufficio di Procuratore generale presso la Corte di cassazione. Egli formula censure che, se accolte, imporrebbero la rinnovazione del procedimento, restituendogli la possibilità di conseguire la nomina. Siffatta utilità, pur soltanto strumentale, è sufficiente, per giurisprudenza consolidata, a concretare un interesse personale, immediato e diretto all'annullamento degli atti impugnati. D'altra parte l'accertamento se la pretesa fatta valere dal ricorrente abbia effettivo sostegno giuridico non attiene ai presupposti processuali ma al merito della vertenza.
Può, dunque, essere preso in esame l'appello principale, che risulta fondato.
Il primo punto della controversia consiste nell'accertare la legittimità del criterio, stabilito della Commissione per il conferimento degli incarichi direttivi nella seduta del 9 marzo 2000, di interpellare i soli magistrati preposti a funzioni direttive superiori da data anteriore al 1° gennaio 1981.
L'appellante deduce l'illegittimità della procedura in quanto non prevista da nessuna norma primaria o secondaria e sostiene che "l'unico procedimento valido per la nomina del Procuratore generale è quello del concorso interno", così intendendo che debbono essere sottoposti alla valutazione comparativa tutti coloro che sono legittimati, secondo l'ordinamento, ad assumere l'incarico.
Il T.A.R. ha, invece, ritenuto che il procedimento trovi fondamento nell'art. 189 del R.D. 30 gennaio 1941, n.12 e, ove si ritenesse superata tale norma, nella prassi costantemente seguita dall'organo di autogoverno.
Il citato art.189 così recita: "Il primo presidente e il procuratore generale della Corte suprema di cassazione sono scelti fra i magistrati aventi grado non inferiore a primo presidente di corte di appello o parificato e nominato su proposta del Ministro di grazia e giustizia, previa deliberazione del Consiglio dei ministri".
In seguito la disciplina è stata modificata dall'art. 6 della legge 25 maggio 1951, n.392, secondo cui gli uffici direttivi ivi indicati, fra cui l'ufficio di procuratore generale presso la Corte di cassazione, devono essere conferiti "per anzianità e per merito".
La legge 24 marzo 1958, n.195 ha, infine, attribuito al C.S.M. il compito di deliberare sul conferimento degli uffici direttivi (art.10), su proposta, formulata di concerto con il Ministro di grazia e giustizia, di un'apposita commissione (art.11).
Dalle norme predette emerge che il legislatore ha definito in modo puntuale e compiuto i requisiti per l'ammissione alla procedura di conferimento dell'ufficio ed ha attribuito all'organo di autogoverno il compito di individuare il magistrato che risulti in concreto più idoneo secondo un giudizio complessivo basato sull'anzianità e sul merito. Così ad una "scelta" del candidato svincolata da regole prestabilite (art.189 del R.D. n.12/1941), si è sostituito il "conferimento" dell'ufficio da attuare secondo uno schema nel quale il periodo di svolgimento delle funzioni direttive superiori è soltanto uno degli elementi di cui tener conto ai fini della valutazione comparativa dei magistrati legittimati, insieme con gli altri profili riconducibili all'anzianità e al merito.
E', invece, avvenuto che lo svolgimento delle funzioni direttive superiori da data anteriore al 1° gennaio 1981 abbia assunto autonoma e preliminare rilevanza quale condizione preclusiva dell'ammissione alla valutazione, tant'è che la domanda dell'appellante è stata dichiarata "inammissibile", perché privo di tale requisito. In tal modo un dato da considerare nella formulazione del giudizio complessivo sui singoli candidati è stato convertito in un titolo di legittimazione ai fini dell'attribuzione dell'ufficio.
Tuttavia, come osservato in precedenza, l'ordinamento attribuisce al C.S.M. il solo compito di procedere all'apprezzamento in concreto delle singole posizioni dei magistrati aventi titolo alla nomina. Sicché è certamente in sua facoltà - e non mai in facoltà della commissione preposta al conferimento degli uffici direttivi - prestabilire regole cui attenersi nell'esercizio di quel potere, e nulla impedisce che, in sede di autolimitazione, possa dare particolare rilevo alla specifica esperienza maturata dai candidati nello svolgimento delle funzioni direttive superiori. Ma nessuna norma o principio consente che l'organo di autogoverno introduca ulteriori requisiti di legittimazione, poiché su questo piano le fonti normative ammettono soltanto un atto di accertamento.
Alla luce di quanto esposto, non è esatto che la prassi di interpellare solo i più anziani fra i soggetti legittimati si sia formata per colmare una lacuna normativa, giacché le fonti primarie forniscono, attraverso l'interpretazione, elementi sufficienti per individuare le corrette modalità da seguire per la scelta del candidato più idoneo. Il problema è in realtà di ordine ermeneutico e il risultato dell'interpretazione dimostra che la procedura cosiddetta dell' "interpello", pur se ha avuto nel tempo ripetute applicazioni, diverge, sotto il profilo indicato, dal dettato normativo.
L'accertata fondatezza della censura esaminata, che ha carattere assorbente di ogni altra questione, dispensa dall'esame degli altri motivi di appello.
In conclusione, l'appello principale va accolto e, per l'effetto, in riforma della sentenza di primo grado, il ricorso originario va anch'esso accolto con l'annullamento del decreto del Presidente della Repubblica 5 aprile 2000 e di tutti gli atti del procedimento, a partire dalle deliberazioni del plenum del C.S.M. in data 23 febbraio 2000 e della V commissione in data 9 marzo 2000. Restano salvi gli ulteriori provvedimenti dell'amministrazione.
In vista dell'attività rinnovatoria, giova chiarire che l'annullamento degli atti posti alla base del procedimento impone la rinnovazione della procedura secondo criteri indenni dai vizi accertati.
Le spese dei due gradi di giudizio possono essere compensate.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione IV) accoglie l'appello e, per l'effetto, in riforma della sentenza appellata, annulla gli atti impugnati con il ricorso originario.
Spese dei due gradi di giudizio compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, Palazzo Spada, sede del Consiglio di Stato, nelle camere di consiglio del 16 ottobre 2001 e del 5 novembre 2001, con l'intervento dei sigg.ri
Giovanni Paleologo presidente,
Domenico La Medica consigliere,
Anselmo Di Napoli consigliere,
Marcello Borioni consigliere estensore,
Ermanno De Francisco consigliere.
Depositata il 6 novembre 2001.