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n. 11-2001 - © copyright.

CONSIGLIO DI STATO, SEZ. IV - Sentenza 12 novembre 2001 n. 5786 - Pres. Paleologo, Est. Saltelli - Ministero della Giustizia (Avv.ra gen. Stato) c. Califano ed altro (n.c.) - (conferma T.A.R. Campania, Sez. IV, 13 giugno 2000, n. 2012).

1. Pubblico impiego - Stipendi, assegni ed indennità - Indennità giudiziaria - Ex L. n. 221/1998 - Spetta anche al personale comandato o distaccato.

2. Giustizia amministrativa - Istruzione probatoria - Principio dell'onere della prova ex art. 2697 cod. civ. - Applicabilità nel caso di fatti od atti rientranti nella disponibilità della parte.

3. Pubblico impiego - Stipendi, assegni ed indennità - Indennità giudiziaria - Ex L. n. 221/1998 - Divieto di cumulo con altre indennità - Opera dal 1° gennaio 1994.

1. L'indennità giudiziaria prevista dalla legge 22 giugno 1988 n. 221 per il personale delle cancellerie e segreterie giudiziarie spetta al personale che esplica attività lavorativa presso tali uffici indipendentemente dalla sua appartenenza ai ruoli dell'amministrazione giudiziaria e, in particolare, anche al personale distaccato o comandato (1).

2. Anche al processo amministrativo si applica il principio generale dell'onere della prova stabilito dall'articolo 2697 del codice civile, nel caso in cui gli elementi atti a sostenere le affermazioni delle parti ricadano nella disponibilità di queste ultime (2).

3. Per effetto del comma 63 dell'art. 3 della legge 24 dicembre 1993 n. 537 che ha stabilito il divieto di cumulo delle indennità erogate ai pubblici dipendenti, dal 1° gennaio 1994 l'indennità giudiziaria non è cumulabile con altre indennità, a qualsiasi titolo spettanti.

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(1) Cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 2 settembre 1992, n. 714; 30 marzo 1994, n. 307; 15 aprile 1996, n. 495; per ipotesi di esclusione 7 febbraio 2001 n. 500; 19 aprile 2001 n. 2361.

Ha osservato la Sez. IV nella specie che, come si ricava dalla lettura dell'articolo 1 della legge 22 giugno 1988, n. 221, l'indennità in parola trova il suo fondamento logico-giuridico nell'art. 3 della legge 19 febbraio 1981 n. 27 (istitutiva in favore dei magistrati ordinari una speciale indennità pensionabile in relazione agli oneri incontrati nello svolgimento della loro attività) e che essa, pur trovando la sua fonte diretta ed immediata nel rapporto di lavoro che lega il dipendente alla struttura amministrativa dell'organizzazione giudiziaria, non è finalizzata a compensare direttamente ed esclusivamente tale prestazione, ma intende in modo speciale indennizzare solo il personale amministrativo delle cancellerie e segreterie giudiziarie del delicato ed oneroso servizio (sia sotto il profilo qualitativo che quantitativo) effettivamente prestato per il corretto funzionamento degli uffici giudiziari, condizione indispensabile per la corretta ed ordinata amministrazione della giustizia (Cons. Stato, Sez. IV, 17 ottobre 2000 n. 5511; 20 novembre 2000 n. 6162).

Da ciò discende che tale indennità spetta anche al personale che assicuri effettivamente l'indicata funzione, indipendentemente dalla sua appartenenza ai ruoli dell'amministrazione giudiziaria.

E' stato anche precisato che il comma 60 dell'articolo 3 della legge 24 dicembre 1993 n. 537 ha ulteriormente valorizzato, ai fini dell'effettiva spettanza del compenso in questione, il profilo del rapporto funzionale in luogo di quello organico (Cons. Stato, Sez. IV, 1 aprile 1996 n. 417; id., 10 luglio 1997 n. 705).

(2) Cons. Stato, Sez. V, 11 maggio 1998 n. 551; 1 aprile 1993 n. 461.

Alla stregua del principio nella specie è stato osservato che l'affermazione dell'Amministrazione secondo cui le mansioni effettivamente prestate dagli appellati non erano ricollegabili a quelle che legittimano l'erogazione dell'indennità giudiziaria, oltre ad essere generica, non trovava esplicitazione nell'indicazione di mansioni specifiche né conferma in alcun indizio probatorio, che pure incombeva alla stessa amministrazione fornire, secondo

L'Amministrazione appellante, infatti, a sostegno del motivo di impugnazione, avrebbe dovuto produrre apposita certificazione attestante le effettive mansioni svolte dai ricorrenti in primo grado al fine di mettere in luce la loro eventuale diversità da quelle per le quali è prevista l'erogazione dell'indennità giudiziaria di cui alla legge n. 221 del 1988.

 

 

FATTO

Con atto di appello notificato il 27 luglio 2001 il Ministero della Giustizia ha chiesto la riforma della sentenza n. 2012 del 13 giugno 2001 con la quale il Tribunale amministrativo regionale della Campania, sez. 4^, accogliendo il ricorso proposto dai signori Salvatore Califano e Rosa Gioia, entrambi dipendenti del Comune di Pagani, inquadrati nella VII^ qualifica funzionali e distaccati a prestare servizio presso gli uffici della Procura della Repubblica del Tribunale di Nocera Inferiore, ha annullato la nota ministeriale prot. 2088/S/DES/3933 del 2 agosto 1995, dichiarando il diritto dei ricorrenti a percepire l'indennità giudiziaria di cui alla legge 22 giugno 1988 n. 221, a far data dall'effettivo svolgimento dell'attività lavorativa presso i ricordati uffici giudiziari, comprensiva degli interessi legali e della rivalutazione monetaria.

Il gravame è affidato ad un solo motivo, con il quale l'Amministrazione ha dedotto la carenza di prova circa la ricollegabilità delle mansioni svolte dai ricorrenti presso gli uffici della Procura della Repubblica del Tribunale di Nocera Inferiore a quelle per le quali è prevista la corresponsione della predetta indennità giudiziaria.

Gli appellati, benchè ritualmente intimati, non si sono costituiti in giudizio.

All'udienza in camera di consiglio del 18 settembre 2001, alla quale la causa è stata fissata per la trattazione dell'istanza cautelare di sospensione dell'esecuzione della sentenza, ricorrendo i presupposti di cui all'art. 9 della legge 21 luglio 2000 n. 205 ed informata previamente la parte costituita, la causa stessa è stata introitata per la decisione di merito.

DIRITTO

I. La questione portata all'esame del Collegio, concernente la spettanza della indennità giudiziaria, prevista dalla legge 22 giugno 1988, n. 221, in favore del personale in servizio gli uffici giudiziari, ha già formato oggetto di numerose pronunce da parte di questa Sezione, dal cui orientamento non vi è motivo per discostarsi.

E' stato affermato che l'indennità prevista dalla legge 22 giugno 1988, n. 221, come si ricava dalla lettura dell'articolo 1, trova il suo fondamento logico-giuridico nell'art. 3 della legge 19 febbraio 1981 n. 27 (istitutiva in favore dei magistrati ordinari una speciale indennità pensionabile in relazione agli oneri incontrati nello svolgimento della loro attività) e che essa, pur trovando la sua fonte diretta ed immediata nel rapporto di lavoro che lega il dipendente alla struttura amministrativa dell'organizzazione giudiziaria, non è finalizzata a compensare direttamente ed esclusivamente tale prestazione, ma intende in modo speciale indennizzare solo il personale amministrativo delle cancellerie e segreterie giudiziarie del delicato ed oneroso servizio (sia sotto il profilo qualitativo che quantitativo) effettivamente prestato per il corretto funzionamento degli uffici giudiziari, condizione indispensabile per la corretta ed ordinata amministrazione della giustizia (C.d.S., sez. IV^, 17 ottobre 2000 n. 5511; 20 novembre 2000 n. 6162).

E' stato quindi riconosciuto il diritto a percepire tale indennità al personale che assicuri effettivamente l'indicata funzione, indipendentemente dalla sua appartenenza ai ruoli dell'amministrazione giudiziaria (ex pluribus, C.d..S., sez. IV, 2 settembre 1992, n. 714; 30 marzo 1994, n. 307; 15 aprile 1996, n. 495; per ipotesi di esclusione 7 febbraio 2001 n. 500; 19 aprile 2001 n. 2361).

E' stato anche precisato che il comma 60 dell'articolo 3 della legge 24 dicembre 1993 n. 537 ha ulteriormente valorizzato, ai fini dell'effettiva spettanza del compenso in questione, il profilo del rapporto funzionale in luogo di quello organico (C.d.S., sez. IV, 1 aprile 1996 n. 417; 10 luglio 1997 n. 705).

II. Nel caso di specie, non è contestato che i signori Califano Salvatore e Gioia Rosa prestino effettivamente servizio presso gli uffici della Procura della Repubblica del Tribunale di Nocera Inferiore (peraltro in virtù di appositi provvedimenti dell'amministrazione comunale di Pagani dai quali dipendono); l'Amministrazione ha dedotto però che le mansioni effettivamente prestate non sarebbero ricollegabili a quelle che legittimano l'erogazione dell'indennità giudiziaria.

Osserva la Sezione che tale doglianza, oltre ad essere generica, non trova esplicitazione nell'indicazione di mansioni specifiche né conferma in alcun indizio probatorio, che pure incombeva alla stessa amministrazione fornire, secondo il principio generale stabilito dall'articolo 2697 del codice civile, pienamente applicabile al giudizio amministrativo, essendo certamente nella sua disponibilità gli elementi atti a sostenere la eventuale infondatezza della domanda giudiziale avanzata in primo grado (C.d.S., sez. V, 11 maggio 1998 n. 551; 1 aprile 1993 n. 461). L'Amministrazione appellante, infatti, a sostegno dell'unico motivo di impugnazione, avrebbe dovuto produrre apposita certificazione attestante le effettive mansioni svolte dai ricorrenti in primo grado al fine di mettere in luce la loro eventuale diversità da quelle per le quali è prevista l'erogazione dell'indennità giudiziaria di cui alla legge n. 221 del 1988.

Ciò non è avvenuto con la conseguenza che l'appello deve essere respinto.

E' poi il caso di rilevare che la stessa amministrazione appellante non ha contestato l'ulteriore decisiva circostanza che i sopra indicati dipendenti del comune di Pagani sono inquadrati nella settima qualifica funzionale, in cui evidentemente rientra lo svolgimento di mansioni impiegatizie che, ragionevolmente e comunque in mancanza di contrari elementi di giudizio, sono del tutto compatibili con l'attività svolta nelle cancellerie e nelle segreterie giudiziarie, cui è legata l'erogazione dell'indennità giudiziaria. Tali mansioni sembrano invece difficilmente compatibili con attività estranee ai fini dell'ufficio di applicazione.

III. Per completezza espositiva la Sezione ritiene di dover sottolineare che il comma 63, dell'art. 3 della legge 24 dicembre 1993 n. 537 ha introdotto il divieto di cumulo delle indennità erogate ai pubblici dipendenti a decorrere dal 1° gennaio 1994.

Da tale data, pertanto, in omaggio al principio della effettività della prestazione lavorativa alla quale è direttamente collegato l'obbligo di retribuzione, ad ogni dipendente pubblico spetta soltanto l'indennità accessoria legata alla specifica prestazione di lavoro svolta, salva la facoltà di optare per l'indennità economicamente più vantaggiosa. Quest'ultima facoltà, sebbene non espressamente prevista, deve considerarsi ammissibile in base al canone fondamentale del divieto di reformatio in peius del trattamento economico del pubblico dipendente (C.d.S., IV Sez., 6 aprile 2000, n. 1971). L'Amministrazione appellante deve dunque adottare gli opportuni accertamenti, al fine di evitare ingiustificati pagamenti di indennità non dovute in favore degli appellati.

IV. In conclusione l'appello deve essere respinto.

Non vi è luogo a pronuncia sulle spese del presente grado di giudizio, stante la mancata costituzione degli appellati.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione quarta), respinge l'appello.

Nulla per le spese del secondo grado.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 18 settembre 2001, con l'intervento dei seguenti Magistrati:

PALEOLOGO GIOVANNI - Presidente

SALVATORE COSTANTINO Consigliere

DI NAPOLI ANSELMO Consigliere

BORIONI MARCELLO Consigliere

SALTELLI CARLO Consigliere, estensore

L'ESTENSORE IL PRESIDENTE

Depositata in cancelleria il 12 novembre 2001.

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