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Giurisprudenza
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CONSIGLIO DI STATO, SEZ. IV - Sentenza 1° marzo 2001 n. 1143 - Pres. Catallozzi, Est. Cappugi - C.I.M.E.P. - Consorzio Intercomunale Milanese per l'Edilizia Popolare (Avv.ti U. Ferrari e A. Pilia) c. Galbani e c.ti (Avv. A. Occhionero) - (annulla TAR Lombardia, Sez. II, 24 gennaio 2000, n. 26).

Giustizia amministrativa - Esecuzione del giudicato - Nel caso di esecuzione di un giudicato amministrativo - Poteri del giudice - Sono cumulativamente di stretta esecuzione e di attuazione del giudicato - Nel caso di esecuzione di giudicato dell'A.G.O. - Sono solo di stretta esecuzione - Fattispecie in materia di imputazione dei pagamenti nel caso di esecuzione del giudicato dell'A.G.O.

Allorché sia chiesta l'esecuzione di un giudicato formatosi su una sentenza emessa dal giudice amministrativo, il giudice dell'ottemperanza può esercitare cumulativamente, ove ne ricorrano i presupposti, sia i poteri sostitutivi attribuitigli in sede di esecuzione del giudicato, che i poteri cassatori e ordinatori che gli competono in sede di giurisdizione generale di legittimità e può integrare l'originario disposto della sentenza con statuizioni che ne costituiscano non mera "esecuzione", ma "attuazione" in senso stretto, dando così luogo al c.d. giudicato "a formazione progressiva".

Ciò è, invece, precluso quando si tratti dell'esecuzione di sentenze di un giudice appartenente ad altro ordine giurisdizionale. In tal caso, infatti, il giudice dell'ottemperanza deve limitarsi ad usare i poteri sostitutivi, di stretta "esecuzione" del giudicato, in quanto l'esercizio di poteri di "attuazione" che modificassero (sia pure arricchendolo) il giudicato verrebbe ad incidere su situazioni soggettive estranee all'ambito della sua giurisdizione e, quindi, la relativa sentenza sarebbe viziato da difetto di giurisdizione.

E' in particolare da ritenere viziata da difetto di giurisdizione una sentenza di esecuzione di un giudicato formatosi su sentenza emessa dal giudice ordinario con la quale la P.A. è stata condannata al pagamento di una somma dovuta a titolo di indennità di esproprio, nella parte in cui il giudice dell'ottemperanza, nell'accogliere il ricorso, ha stabilito che i versamenti effettuati dalla P.A. andavano imputati prima agli interessi e poi al capitale. In tale ipotesi, infatti, il giudice dell'ottemperanza non compie un mero accertamento dell'omesso adempimento dell'obbligo di eseguire il giudicato da parte dell'Amministrazione, ma compie un vero e proprio sindacato circa la legittimità del procedimento seguito, sindacato che comporta l'esame di questioni rientranti certamente nella giurisdizione del giudice ordinario.

 

 

FATTO

Con sentenza 20 febbraio12 marzo 1996, n. 753, la Corte di appello di Milano, (Sez. I civile), così disponeva:

a) determinava in complessive lire 2.322.875.950 l'indennità dovuta alle sigg.re (Caterina, Giuseppina, Maria Angela e Giovanna Galbani in relazione all'espropriazione del loro terreno (mq. 39.500) compiuta con decreto del Presidente della Giunta regionale 21 ottobre 1985, n. 70, oltre interessi legali su detta somma dalla data del decreto medesimo al deposito;

b) determinava in complessive lire 880.080.472 l'indennità per l'occupazione del terreno stesso con gli interessi legali dalla data dell'esproprio (21 ottobre 1985) al deposito;

c) condannava il C.I.M.E.P. a depositare dette somme, al netto di quanto eventualmente già depositato presso la Tesoreria provinciale dello Stato competente a favore delle sigg.re Galbani.

La Corte di cassazione, con sentenza 14 gennaio 1998 - 5 maggio 1998, n. 4498 della I Sezione civile, confermava la suddetta pronunzia, per la parte relativa alla determinazione dell'indennità di esproprio, mentre riformava la stessa per la parte relativa alla determinazione dell'indennità di occupazione d'urgenza.

Il 5 maggio 1998 le Galbani notificavano al C.I.M.E.P. apposito atto di messa in mora per il pagamento presso la Tesoreria provinciale di Milano della somma di lire 4.402.526.606 a titolo di indennità di esproprio.

Il C.I.M.E.P. provvedeva a versare un primo acconto di lire 549.876.830 e, quindi, ulteriori lire 3.607.528.031 (lire 465.847.430 in data 13 dicembre 1990 e lire 3.607.528.031 in data 8 aprile 1999) a definizione di quanto spettante alle interessate al medesimo titolo.

Le Galbani proponevano ricorso al T.A.R. Lombardia per l'ottemperanza al suddetto giudicato sull'assunto che i versamenti effettuati nel tempo dall'Ente debitore, dovendo essere imputati prima agli interessi e poi al capitale, non avrebbero estinto l'intero debito, residuando una quota capitale di lire 335.618.786, oltre agli interessi dall'8 aprile 1999 al saldo. Il T.A.R. accoglieva il ricorso.

Ricorre in appello il C.I.M.E.P. deducendo il seguente articolato motivo:

Violazione e falsa applicazione dell'art. 37 l. 6 dicembre 1971, n. 1034 e dell'art. 27, n. 4, R.D. 26 giugno 1924, n. 1054. Violazione e falsa applicazione art. 1194 c.c. Travisamento. Difetto dei presupposti. Difetto di motivazione.

Il T.A.R. avrebbe errato nel ritenere di poter esercitare sia i poteri sostitutivi attribuitigli in sede di giudizio di ottemperanza che i poteri cassatori e ordinatori che gli competono in sede di giurisdizione generale di legittimità. Infatti, qualora si tratti dell'esecuzione di sentenze di un giudice appartenente ad altro ordine giurisdizionale, il giudice dell'ottemeperanza deve limitarsi ad usare i poteri sostitutivi di stretta esecuzione del giudicato. Nel merito, peraltro, sarebbe contestabile che nella specie sussistessero i presupposti per l'applicazione dell'art. 1194 c.c.

Si sono costituite in giudizio le originarie ricorrenti chiedendo il rigetto dell'appello e, in via subordinata, la condanna dell'Amministrazione al pagamento della minor somma di lire 88.831.367, oltre interessi dall'8 aprile 1999 al saldo.

DIRITTO

L'appello è fondato.

Come è noto, nel giudizio di ottemperanza il giudice amministrativo deve compiere non una valutazione di legittimità, ma l'accertamento dell'esistenza di un comportamento omissivo od elusivo, adottando le eventuali necessarie misure sostitutive.

L'esercizio di tale limitata funzione incontra alcune deroghe nel caso che si tratti dell'esecuzione di sentenza dello stesso giudice amministrativo.

Questi, infatti, potendo esercitare cumulativamente, ove ne ricorrano i presupposti, sia i poteri sostitutivi attribuitigli in sede di giudizio di ottemperanza, che i poteri cassatori e ordinatori che gli competono in sede di giurisdizione generale di legittimità, può integrare l'originario disposto della sentenza con statuizioni che ne costituiscano non mera "esecuzione", ma "attuazione" in senso stretto, dando così luogo al c.d. giudicato a formazione progressiva.

Ciò è, invece, precluso quando si tratti dell'esecuzione di sentenze di un giudice appartenente ad altro ordine giurisdizionale.

In tal caso, infatti, il giudice dell'ottemperanza deve limitarsi ad usare i poteri sostitutivi, di stretta "esecuzione" del giudicato, in quanto l'esercizio di poteri di "attuazione" che modificassero (sia pure arricchendolo) il giudicato verrebbe ad incidere su situazioni soggettive estranee all'ambito della sua giurisdizione e, quindi, sarebbe viziato da difetto di giurisdizione.

Nella specie, la Corte di appello di Milano, con la sentenza al cui giudicato è stata chiesta dalle signore Galbani l'ottemperanza, si era limitata a determinare in lire 2.322.875.950 l'indennità dovuta alle medesime in relazione al terreno espropriato, oltre agli interessi legali dalla data del decreto di espropriazione fino a quella del deposito presso la Cassa depositi e prestiti, senza nulla stabilire in ordine all'imputazione delle somme anticipatamente versate dal C.I.M.E.P.; né, peraltro, alcuna domanda giudiziale volta all'applicazione dell'art. 1194 c.c. era stata avanzata a tale riguardo.

Il T.A.R. ha ritenuto di poter senz'altro accogliere il ricorso, stabilendo che i versamenti effettuati dal C.I.M.E.P. andavano imputati prima agli interessi e poi al capitale.

Tale determinazione è oggetto di censura da parte del C.I.M.E.P. il quale sostiene, citando la giurisprudenza considerata pertinente, che: a) il principio espresso dall'art. 1194 c.c. appare di dubbia applicazione nel caso di specie, attesa la particolarità del procedimento contabile ed amministrativo seguito; b) la disposizione in questione presuppone che tanto il credito per il capitale, quanto quello accessorio per gli interessi siano contemporaneamente liquidi ed esigibili, mentre nel caso di specie è da escludere che fino alla sentenza della Corte d'appello potesse parlarsi di credito liquido ed esigibile; c) i criteri di cui agli artt. 1193 e 1194 c.c. si applicano solo ai pagamenti eseguiti volontariamente e non anche a quelli coattivi per i quali le parti non possono che adeguarsi alla predeterminazione giudiziale.

Le originarie ricorrenti controdeducono puntualmente ad ogni doglianza e, comunque, formulano, in via subordinata, qualora il giudice di appello dovesse ritenere che il punto non è coperto da giudicato e che per far luogo all'applicazione dell'art. 1194 c.c. sia necessaria la liquidità del credito, la richiesta di considerare il credito per indennità di esproprio liquido alla data del 13 dicembre 1990 (data del 2° deposito), nella misura del secondo versamento (lire 465.847.430), e come tale produttivo di interessi ex art. 1282 c.c.

E' evidente che, nella specie, quello che si chiede al giudice dell'ottemperanza non è un mero accertamento dell'omesso adempimento dell'obbligo di eseguire il giudicato da parte dell'Amministrazione (la quale ha provveduto al pagamento dell'indennità di esproprio nella misura determinata dalla Corte d'appello di Milano, con gli interessi legali dalla data del decreto di espropriazione al deposito). Si chiede, infatti, un vero e proprio sindacato circa la legittimità del procedimento seguito, sindacato che comporta l'esame di questioni rientranti certamente nella giurisdizione del giudice ordinario.

Per le considerazioni sopra esposte l'appello proposto dal C.I.M.E.P. deve essere accolto e la sentenza impugnata deve essere annullata per difetto di giurisdizione.

Le spese di due gradi di giudizio possono essere compensate tra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, accoglie l'appello indicato in epigrafe e, per l'effetto: 1) annulla la impugnata sentenza per difetto di giurisdizione del Giudice amministrativo; 2) dichiara inammissibile il ricorso proposto in primo grado.

Spese compensate

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma il 24 ottobre 2000 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), in camera di consiglio, con l'intervento dei Signori:

Presidente Walter CATALLOZZI

Consigliere Pietro FALCONE

Consigliere Cesare LAMBERTI

Consigliere Filoreto D'Agostino

Consigliere Maria Grazia CAPPUGI, estensore

Depositata il 1° marzo 2001.

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