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n. 7/8-2001 - © copyright.

CONSIGLIO DI STATO, SEZ. IV - Sentenza 1 febbraio 2001 n. 396 - Pres.ff. Camera, Est. de Francisco - Saturnia s.r.l. (Avv.ti I. Cacciavillani e L. Manzi) c. Comune di Udine (Avv.ti G. Martinuzzi e N. Paletti) - (dichiara inammissibile il ricorso per l'esecuzione del giudicato formatosi sulla sentenza della Sez. IV 16.3.1999, n. 288).

Giustizia amministrativa - Risarcimento del danno - Domanda - Avanzata per la prima volta in sede di giudizio di ottemperanza - Inammissibilità.

Giustizia amministrativa - Risarcimento del danno - Determinazione da parte del G.A. - Possibilità di emettere una condanna generica - Sussiste.

Giustizia amministrativa - Risarcimento del danno - Determinazione da parte del G.A. - Ricorso alla liquidazione in via equitativa ex ex artt. 2056 e 1226 c.c. - Possibilità - Ragioni.

La domanda di risarcimento del danno nei confronti di una Amministrazione pubblica non può venire per la prima volta avanzata in sede di ottemperanza, ma è soggetta all'ordinario vaglio, articolato su due gradi di giudizio, del giudice di cognizione.

A differenza del giudice civile, il giudice amministrativo, in sede di cognizione (una volta che abbia accertato la sussistenza dell'an debeatur), anziché liquidare precisamente il quantum del risarcimento dovuto dall'Amministrazione, può limitarsi a stabilire i criteri sulla cui base dovrà poi essere liquidato il danno risarcibile, ovvero a disporre "anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, il risarcimento del danno ingiusto" (pronunciando dunque, in quest'ultima ipotesi, solo una condanna generica al risarcimento del danno, ove altro egli non possa concretamente fare) (1).

In considerazione della novità della materia del risarcimento del danno da lesione di interessi legittimi, e, soprattutto, dell'oggettiva eterogeneità della consistenza di questi ultimi nelle diverse fattispecie, la liquidazione del danno risarcibile da parte del G.A., in diverse ipotesi, non può avvenire con applicazione di criteri rigorosi e predeterminati, ma facendo ricorso alla liquidazione equitativa ex artt. 2056 e 1226 del codice civile, attingendo preventivamente a ponderazioni intrinsecamente connesse al merito amministrativo per poter operare una definitiva liquidazione del danno da risarcire; ed è proprio a tali fini che risulta assai opportuno il richiamo, operato dal legislatore, ai più duttili strumenti processuali offerti dalle forme del giudizio d'ottemperanza.

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(1) V. sul punto da ult. il saggio di C. MICELLI, Richieste di risarcimento danni nel processo amministrativo e la c.d. sentenza di condanna generica, pubblicato nel n. 6-2001 di questa rivista Internet, alla pag. http://www.giustamm.it/articoli/miceli_risarcimento.htm

In giurisprudenza v. di recente TAR Friuli Venezia Giulia, sent. 23 aprile 2001 n. 179, in Giustizia Amministrativa, n. 6/2001, pag. 603 ss., che, tra l'altro, ritiene inammissibili nel giudizio amministrativo le domande di accertamento del danno con rinvio ad altro giudizio per la sua determinazione concreta.

 

 

FATTO

Viene in decisione il ricorso per l'ottemperanza alla decisione di questa Sezione indicata in epigrafe, con la quale, in accoglimento dell'appello proposto dalla società odiernamente ricorrente, sono stati annullati i seguenti provvedimenti del Comune di Udine: 1) il silenzio rifiuto formatosi sull'istanza rivolta al Comune in data 21.6.1985, a provvedere in modo conforme alla precedente delibera della Giunta municipale 8.10.1985, n. 2892, assunta coi poteri del Consiglio, ma mai da questo ratificata; 2) la delibera giuntale 28.3.1989, n. 1043; 3) la delibera consiliare 6.4.1989, n. 99, di approvazione del progetto per la realizzazione di un parco pubblico attrezzato, ed il provvedimento sindacale 27.10.1989, n. 9740.

Questi, in estrema sintesi, i fatti occorsi: la Saturnia s.r.l. aveva presentato un progetto per attrezzare una zona di sua proprietà a verde pubblico, così come previsto dal P.R.G., e tale piano era stato approvato dalla Giunta municipale con delibera 8.10.1985, n. 2892, assunta coi poteri del Consiglio, ma mai ratificata; successivamente, avendo l'Amministrazione mutato intendimenti, con delibera G.M. 28.3.1989, n. 1043, veniva revocata la prima delibera di G.M. del 1985, sopra citata, e con i successivi provvedimenti impugnati veniva avviato il procedimento espropriativo dell'area in questione per la realizzazione della previsione urbanistica direttamente da parte dell'Ente locale.

All'odierna udienza camerale la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. - La decisione ottemperanda - avendo ritenuto che la delibera di Giunta n. 1043/89, di cui alla narrativa in fatto che precede, non statuisse il mero ritiro di un precedente atto improduttivo di effetti, bensì integrasse una vera e propria revoca di un atto già dotato di efficacia - ha annullato la citata delibera della Giunta municipale di Udine per difetto di motivazione, trattandosi di atto che "poteva - e può - adottarsi solo previo confronto e ponderazione di tutti gli interessi pubblici e privati coinvolti nell'azione amministrativa, anche in relazione al loro grado di consolidamento".

Preso atto che ciò non era avvenuto, la decisione d'appello annullava "sia . la delibera di G.M. 1043/89 di revoca immotivata della delibera 2892/85 e . gli atti ad essa conseguenti . sia . il silenzio rifiuto", essendosi "comunque radicato in capo alla Saturnia una posizione differenziata e qualificata in termini di interesse legittimo, da cui derivava l'obbligo di provvedere, o quantomeno di rispondere alla parte istante".

2. - L'odierno ricorso in ottemperanza - sul presupposto, non controverso, del passaggio in giudicato della succitata decisione - prende le mosse dal rilievo che tra gli atti annullati si ascrive la delibera consiliare n. 99 del 1989, di approvazione del progetto per la realizzazione di un parco pubblico attrezzato sull'area de qua, per poi - argomentando ex artt. 34 e 35 D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80, alla luce dei principi posti dalla sentenza n. 500 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione - richiedere a questo giudice dell'ottemperanza di disporre "il risarcimento del danno c.d. urbanistico, afferente, cioè, all'uso del territorio".

La tesi della difesa di parte ricorrente è che "il procedimento di reintegrazione e risarcimento, regolato dall'art. 35 del D.L.vo 80/1998, prevede una prima fase collaborativa tra ricorrente vittorioso del giudizio della cognizione (annullatorio) e Amministrazione debitrice, la quale deve avanzare una proposta ripristinatoria e risarcitoria atta a restaurare in tutte le sue componenti la posizione giuridica del soggetto, incisa contra legem dall'atto annullato ., e, in caso di mancata accettazione della proposta da parte del creditore vittorioso (ed a fortiori in mancanza di ogni proposta), l'intervento anche condannatorio del giudice dell'ottemperanza (art. 35, secondo comma, del D.P.R. 80)".

In particolare, "la società istante ritiene che la corretta e puntuale esecuzione della decisione annullatoria debba aver luogo:

a) con la riconsegna alla medesima dell'area appresa senza titolo, stante l'effetto ex tunc dell'annullamento, con l'accessione civile delle opere ed infrastrutture abusivamente realizzatevi dal Comune, contro pagamento, che viene formalmente offerto, della minor somma intra expensum et melioratum (art. 936, secondo comma, cod. civ.), .; impegno, qui assunto e che la medesima società va a formalizzare depositando atto di assunzione d'obbligo ... di . utilizzare le strutture di obiettivo interesse pubblico, diventate "sue", secondo le modalità stabilite (o da stabilirsi dal Comune); ... di completare, entro congruo termine che sarà proposto dal Comune, la costruzione delle ulteriori infrastrutture previste dal P.R.G. e non ancora attuate e [attendere] alla loro gestione;

b) col risarcimento del danno maturato nelle lunghe more (oltre dieci anni) di illecito impedimento dell'esercizio dell'attività di impresa".

Parte ricorrente ha quindi fatto riferimento a una perizia estimativa, recante il calcolo di tale danno nella misura di £ 45.277.000.000.

In linea con la tesi ora sostenuta, già nell'atto di messa in mora con cui aveva richiesto l'esecuzione del giudicato "la società annunciò che in mancanza della formulazione di congrua proposta "a favore dell'avente titolo al pagamento di una somma entro congruo termine" ... avrebbe adito il giudice dell'ottemperanza sia ai sensi dell'ultima parte del secondo comma del citato art. 35 del D.L.vo 80/1998, che ai sensi dell'art. 90 del Reg. proc. n. 642 del 1907".

In forza di tali premesse, la Saturno s.r.l. ha formulato una serie di richieste istruttorie, altresì instando per lo svolgimento di consulenza tecnica d'ufficio per stabilire sia il valore attuale delle opere realizzate dal Comune con materiali propri sull'area della società, sia l'ammontare del danno d'impresa, come sopra descritto, in tutte le sue componenti indicate nella summenzionata perizia di parte.

Ha concluso, quindi, chiedendo che "nel merito, voglia il Consiglio di Stato emanare tutti gli atti ritenuti opportuni a dare alla decisione annullatoria l'effetto pienamente ripristinatorio della posizione giuridica della Società, illecitamente incisa dagli atti annullati, come indicati e formalmente richiesti sopra . e conseguentemente:

a) condannare il Comune alla restituzione e ai pagamenti di quanto risultante a suo debito operata la compensazione col debito della Società da accessione delle opere costruite dal Comune sulla sua area;

b) dichiarare irriti e nulli eventuali rapporti di concessione della gestione delle infrastrutture di proprietà della Società, che fossero stati stipulati dal Comune con terzi ... , dichiarando pienamente legittimata la Società a gestire le dette infrastrutture e quelle che, in attuazione della previsione del P.R.G., andrà a realizzare sull'area, secondo quanto esposto".

3. - La domanda di ottemperanza - che, così come formulata nel presente giudizio, risulta rivolta ad ottenere, alla stregua di quello che si è appena trascritto, la restituzione dell'area (con accessione di quanto realizzatovi) ed il risarcimento dei danni asseritamente subiti - è inammissibile, in quanto palesemente esorbitante dall'effetto (dichiarativo e costitutivo) del giudicato formatosi inter partes sulla decisione n. 288/99 di questa Sezione.

Due sono le considerazioni da svolgere.

3.1. - La prima, attinente alla domanda di restituzione, è che il giudicato si è formato su di una decisione di annullamento degli atti sopra indicati, per difetto di motivazione della delibera giuntale n. 1043 del 1989, con conseguente illegittimità sia del silenzio rifiuto sull'istanza del 1985, sia dei successivi atti per vizi derivati, in quanto tutti adottati sulla base della citata deliberazione n. 1043.

La corretta esecuzione del giudicato, dunque, passa attraverso l'adozione di un provvedimento comunale espresso che tenga luogo dell'annullato silenzio rifiuto (con eventuale riadozione, emendati dai riscontrati vizi, degli altri provvedimenti che sono stati caducati dalla decisione della cui ottemperanza si tratta); è, d'altronde, nell'ambito dello svolgimento di siffatte attività che andrà valutato (in prima battuta da parte dell'Amministrazione e quindi, se del caso, del giudice amministrativo) se e quali siano stati gli effetti prodotti dagli ulteriori provvedimenti che sono stati medio tempore adottati dal Comune di Udine e che non sarebbero stati mai impugnati.

Tuttavia, nessuna istanza in tal senso è stata formulata dalla società ricorrente: sicché non v'è luogo, da un lato, allo svolgimento delle predette attività ad opera di questo giudice dell'ottemperanza in sostituzione dell'Amministrazione inerte; né, d'altronde, v'è spazio in questa sede, stanti i ricordati limiti oggettivi del giudicato, per ordinarsi la restituzione del fondo di cui trattasi alla Saturnia s.r.l. (con eventuale accessione), in quanto tale esito della vicenda in esame è solo uno tra quelli possibili, ma non già l'unico cui necessariamente debba condurre la decisione ottemperanda.

3.2. - La seconda considerazione attiene, invece, alla domanda di risarcimento dei danni asseritamente subiti dalla società ricorrente.

Contrariamente a quanto assume la difesa di quest'ultima, non è esatto l'assunto che l'art. 35, II comma, del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80, preveda "l'intervento anche condannatorio del giudice dell'ottemperanza" in caso di fallimento della "prima fase collaborativa tra ricorrente vittorioso del giudizio della cognizione (annullatorio) e Amministrazione debitrice".

Invero il giudice dell'ottemperanza, anche ai sensi della citata norma recentemente introdotta nell'ordinamento italiano, è chiamato ad un intervento primieramente esecutivo del contenuto del giudicato formatosi nel corso del giudizio di cognizione; solo entro limitati ambiti il giudizio di ottemperanza è idoneo ad aggiungere un ulteriore contenuto cognitivo (cioè sostanziale) al giudicato già formatosi.

Deve escludersi in radice, perciò, la possibilità che la domanda di risarcimento del danno possa venire per la prima volta formulata in sede di ottemperanza.

Essa sarebbe, in tali ipotesi, una domanda del tutto nuova che, come tale, è bensì proponibile, ma è soggetta all'ordinario vaglio, articolato su due gradi di giudizio, del giudice della cognizione.

Questi dovrà, in primo luogo, verificare il fondamento della domanda risarcitoria relativamente all'effettiva sussistenza, nell'an, di un danno patrimoniale risarcibile.

In secondo luogo, dopo aver accertato la sussistenza dell'obbligazione risarcitoria per quanto attiene, appunto, all'an della pretesa del ricorrente (rendendo, quantomeno, una pronunzia equivalente alla c.d. condanna generica del processo civile), è ancora il giudice della cognizione che, per quanto sia in tale sede effettivamente possibile, dovrà altresì "stabilire i criteri in base ai quali l'amministrazione pubblica o il gestore del pubblico servizio devono proporre a favore dell'avente titolo il pagamento di una somma entro un congruo termine" (art. 35, II comma, D.Lgs. 80/98): il giudice, in tale ipotesi, è chiamato a fissare in sede di cognizione anche i criteri sulla cui base dovrà avvenire, sull'accordo delle parti o, in difetto, in sede, questa volta, di ottemperanza, la "determinazione della somma dovuta" a titolo di risarcimento (vale a dire la determinazione, anche nel quantum, dell'obbligazione risarcitoria).

L'erroneità della tesi di parte consiste, insomma, nell'ascrivere alla fase dell'ottemperanza anche le attività di cui al I comma e quelle di cui al primo periodo del II comma del citato art. 35; esse sono invece di competenza del "giudice amministrativo" in sede di cognizione, essendo riservato al giudizio "previsto dall'art. 27, primo comma, numero 4, del testo unico approvato con regio decreto 26 giugno 1924, n. 1054" solamente il compimento delle attività di cui al secondo periodo del II comma del medesimo art. 35.

Nel sistema, così ricostruito, vi sono bensì alcune divergenze, anche significative, rispetto al giudizio risarcitorio civile, senza tuttavia che si debba dar adito a quel totale stravolgimento dei suoi principi cardinali (tra cui, appunto, la pronuncia sulla domanda risarcitoria alla fase cognitoria del giudizio) che sarebbe invece insito nelle tesi svolte dalla difesa della società odiernamente ricorrente.

Le divergenze consistono, dunque, nella possibilità che il giudice, in sede di cognizione (una volta che abbia accertato la sussistenza dell'an debeatur), anziché liquidare precisamente il quantum del risarcimento dovuto dall'Amministrazione si limiti a stabilire i criteri sulla cui base dovrà poi essere liquidato il danno risarcibile; ovvero a disporre "anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, il risarcimento del danno ingiusto" (pronunciando dunque, in quest'ultima ipotesi, solo una condanna generica al risarcimento del danno, ove altro egli non possa concretamente fare).

Siffatte divergenze rispetto al giudizio civile si spiegano, però, con le differenze che concretamente esistono tra il danno patrimoniale che si produce tra privati, e quello, parimenti "ingiusto" alla luce dei menzionati sviluppi normativi e giurisprudenziali, che può essere prodotto dalla pubblica amministrazione nello svolgimento della sua attività amministrativa (che, per lo più, incide su interessi legittimi degli amministrati).

Vuoi in ragione della novità della materia del risarcimento del danno da lesione di interessi legittimi, vuoi, soprattutto, per l'oggettiva eterogeneità della consistenza di questi ultimi nelle diverse fattispecie, in non pochi casi l'esatta liquidazione del danno risarcibile non può avvenire con applicazione di criteri rigorosi e predeterminati.

Se, da un lato, in un maggior numero di ipotesi potrà aprirsi la via alla liquidazione equitativa ex artt. 2056 e 1226 del codice civile, d'altro canto in molti casi occorrerà attingere preventivamente a ponderazioni intrinsecamente connesse al merito amministrativo per poter operare, anche ai sensi delle citate norme codicistiche, una definitiva liquidazione del danno da risarcire: è proprio a tali fini che risulta assai opportuno il richiamo, operato dal legislatore, ai più duttili strumenti processuali offerti dalle forme del giudizio d'ottemperanza.

Le cennate divergenze rispetto al giudizio risarcitorio civile non possono giungere, tuttavia, fino al punto di comportare la traslazione in sede di ottemperanza di tutto il giudizio risarcitorio, indifferentemente per l'an e per il quantum (come invece avverrebbe seguendo le argomentazioni svolte dalla difesa di parte ricorrente).

È sin troppo chiaro che, se così fosse (oltre a risultare violata la chiara dizione, in senso contrario, del citato art. 35, I e II comma, del D.Lgs. n. 80/98), verrebbe ad essere del tutto pretermessa la verifica di sussumibilità della situzione concreta nell'astratta fattispecie complessa di cui all'art. 2043 cod. civ. - che è applicabile, mutatis mutandis, anche al danno ingiusto prodotto dalle pubbliche amministrazioni, e che postula, tra l'altro, l'accertamento di un pregiudizio effettivo, patrimonialmente valutabile, che sia collegato da un nesso di causalità immediata e diretta con l'illegittimità del provvedimento amministrativo da cui la lesione sia derivata - con sostanziale trasformazione del risarcimento del danno in una sorta di sanzione patrimoniale il cui versamento consegue, in modo quasi automatico, all'annullamento di un atto amministrativo; laddove è invece necessario accertare l'effettiva sussistenza di tutti gli elementi della fattispecie aquiliana (cui si è parzialmente accennato), in una con il più complesso ed articolato vaglio dell'effettivo contenuto e della specifica consistenza dell'interesse legittimo che, nel singolo caso, sia stato leso dall'atto o dal comportamento amministrativo illegittimo.

È superfluo, dunque, ribadire ancora una volta che per tutto questo complesso accertamento - se non si voglia stravolgere immotivatamente il ruolo del giudizio esecutivo rispetto a quello cognitivo - debba necessariamente affermarsi la competenza funzionale del giudice della cognizione; non importa se ciò avvenga nell'ambito dello stesso giudizio annullatorio, ovvero in separata sede (purchè entro il limite quinquennale di prescrizione del diritto), ma comunque pur sempre nell'ambito di un giudizio ordinario articolato sul doppio grado (salvo casi di espressa deroga legislativa, che attualmente non si ravvisano) ed a cognizione piena sull'an nonché, se possibile, sul quantum delle pretese risarcitorie del danneggiato.

4. - In conclusione, il ricorso in esame deve essere dichiarato inammissibile, essendo teso ad ottenere in sede di ottemperanza una pronuncia che trascende radicalmente i limiti oggettivi e contenutistici del giudicato effettivamente formatosi tra le parti.

Le spese del presente giudizio d'ottemperanza, liquidate nella misura indicata in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale - Sezione IV - dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna la Saturnia s.r.l. a rifondere al Comune di Udine le spese del presente giudizio d'ottemperanza, che liquida in complesive £ 5.000.000 (cinquemilioni).

Così deciso in Roma, addì 28 novembre 2000, dalla Sezione Quarta del Consiglio di Stato, riunita in camera di consiglio con l'intervento dei signori:

Andrea Camera - Presidente f.f.

Anselmo Di Napoli - Consigliere

Pietro Falcone - Consigliere

Dedi Rulli - Consigliere

Ermanno de Francisco - Consigliere, estensore. 

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