Giustamm.it

Giurisprudenza
n. 11-2002 - © copyright.

CONSIGLIO DI STATO, SEZ. IV - Sentenza 7 novembre 2002 n. 6078 - Pres. Trotta, Est. De Lipsis - Strangolini (Avv. A. Romano) c. Comune di Apricale (Avv.ti G. Gerbi e G. Di Gioia) - (dichiara inammissibile il ricorso per esecuzione del giudicato formatosi sulla sentenza del Consiglio di Stato, Sez. IV, 23 dicembre 1998, n. 1904).

1. Giustizia amministrativa - Esecuzione del giudicato - Sentenza che ha annullato un decreto di occupazione di urgenza - Domanda di restituzione del fondo - Nel caso in cui il fondo sia stato irreversibilmente trasformato - Non può essere accolta.

2. Espropriazione per p.u. - Accessione invertita - Irreversibile trasformazione del fondo - Nozione - Individuazione - Realizzazione ex novo di una costruzione - Non occorre necessariamente - Destinazione all'uso pubblico del bene - Sufficienza.

3. Giustizia amministrativa - Risarcimento del danno - Derivante da lesione di interessi legittimi - Annullamento di una procedura ablativa - Con sentenza passata in giudicato - Domanda di risarcimento del danno per equivalente monetario - Va proposta con ricorso ordinario innanzi al T.A.R. - Proposizione mediante giudizio di ottemperanza - Inammissibilità - Ragioni.

1. Nel caso in cui sia stato annullato in sede giurisdizionale un decreto di occupazione d'urgenza, il privato può ottenere dal giudice dell'ottemperanza la restituzione del fondo solo qualora lo stesso non sia stato irreversibilmente modificato e quindi acquisito alla mano pubblica (alla stregua del principio nella specie, tenuto conto che l'immobile de quo era ormai irreversibilmente trasformato, non è stata accolta la domanda di retrocessione dell'immobile stesso) (1).

2. L'irreversibile trasformazione dell'immobile del privato, presupposto dell'acquisto alla mano pubblica per accessione invertita, non ricorre solo nel caso di realizzazione ex novo di una costruzione, ma anche laddove l'intervento pubblico abbia inciso definitivamente, attraverso la destinazione all'uso pubblico, sulla funzione originaria del bene (2).

3. La domanda di risarcimento dei danni proposta in relazione ad un procedimento ablativo annullato in s.g., allorchè l'immobile risulta irreversibilmente trasformato, anche se rientra ormai nella giurisdizione del giudice amministrativo, va tuttavia proposta in primo grado innanzi al TAR competente, dovendosi escludere in radice che tale domanda possa essere formulata per la prima volta in sede di ottemperanza (3).

-------------------

(1) Cfr., tra le più recenti, Cons. Stato, sez. IV, 3 aprile 2001, n. 1911 e sez. IV 11 luglio 2001, n. 3882.

(2) Cfr. ex multis: Cass. Civ., SS. UU., 15 luglio 1999, n. 394; Cass. Civ., Sez. I, 3 maggio 2000, n. 5513.

(3) Ha osservato la Sez. IV con la sentenza in rassegna che, nell'ipotesi considerata (annullamento in s.g. di una procedura ablativa con sentenza passata in autorità di cosa giudicata), la domanda di risarcimento del danno è una domanda del tutto nuova, che, come tale, è sì proponibile, ma è soggetta all'ordinario vaglio - articolato su due gradi di giudizio - del giudice della cognizione, il quale dovrà in primo luogo verificare il fondamento della domanda risarcitoria con riferimento all'effettiva sussistenza, nell'an, di un danno patrimoniale risarcibile e, successivamente, per quanto possibile in tale sede, "stabilire i criteri in base ai quali l'Amministrazione o il gestore del pubblico servizio devono proporre a favore dell'avente titolo il pagamento di una somma entro un congruo termine" (art. 35, comma 2°, dec. leg.vo 31 marzo 1998, n. 80).

Né sarebbe possibile una eventuale "conversione" del giudizio di ottemperanza in giudizio di cognizione, in quanto ciò si risolverebbe in una violazione del doppio grado di giudizio (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 27 marzo 2001, n. 1774).

Pertanto, la domanda risarcitoria proposta nel giudizio de quo con ricorso per esecuzione del giudicato è stata dichiarata inammissibile, essendo tesa ad ottenere in sede di ottemperanza una pronuncia che trascende radicalmente i limiti oggettivi e contenutistici del giudicato effettivamente formatosi tra le parti.

 

 

FATTO

1) Con sentenza n. 1904/98 del 23 dicembre 1998 la IV Sezione di questo Consiglio di Stato, in parziale accoglimento dell'atto di appello presentato dalla sig.ra Rosa Cassini- nella qualità di proprietaria di gran parte di un immobile di valore storico-tradizionale, sito nel Comune di Apricale e indicato come "Antico Castello"- riformava la decisione del TAR Liguria n.107/92, annullando una serie di atti della procedura espropriativa avviata al fine di acquisire il citato castello alla "mano" municipale, per la costruzione di una attrezzatura polivalente per attività artistiche, culturali e congressuali.

Poiché il soccombente Comune non ottemperava al giudicato formatosi sulla predetta decisione , la dott.ssa Anna Strangolini, nominata erede universale con testamento olografo e, quindi, subentrata nella proprietà del citato castello alla sig.ra Cassini Ardizzone, previa notifica dell'atto di diffida all'Ente, chiedeva - con il presente ricorso - la concreta esecuzione della menzionata sentenza, invocando il diritto alla retrocessione dell'immobile espropriato e, in subordine, il risarcimento del danno subito.

In particolare, la ricorrente sosteneva che " l'immobile espropriato non era un fondo sul quale la P.A. aveva realizzato una opera pubblica, ma un <castello> già esistente e sul quale il Comune è intervenuto senza apportarvi quel <quid novi>, che solo avrebbe legittimato il procedimento di espropriazione, per di più realizzato con la procedura accelerata di cui all'art. 1 della legge 1/78".

E poiché il Comune avrebbe speso solo cento milioni per interventi conservativi, ospitando nell'immobile la biblioteca comunale, l'interessata sosteneva che l'opera non aveva subito alcuna trasformazione reale e strutturale; pertanto, insisteva per la retrocessione del bene e per il risarcimento, previa quantificazione dei danni ad opera di un C.T.U. nominato dal Consiglio di Stato.

2) Resisteva al ricorso il Comune di Apricale, il quale- premesso che la sentenza di cui si chiede l'esecuzione ha, comunque, riconosciuto legittimo il decreto del Ministro dei Beni Culturali ed Ambientali 24 aprile 1990, recante la dichiarazione di pubblica utilità dell'immobile ai sensi degli artt. 54 e 55 della legge 1 giugno 1939, n.1089- rappresentava l'impossibilità del Comune di restituire l'immobile espropriato alla ricorrente, in quanto " il castello è stato trasformato dall'amministrazione comunale ed è da anni utilizzato per fini pubblici, in quanto ospita il museo civico e molti uffici comunali".

Con particolare riguardo alla domanda di risarcimento dei danni, il Comune sosteneva che essa- essendo stata formulata per la prima volta nel presente giudizio- sarebbe da considerare domanda del tutto nuova e, quindi, inammissibile in questa sede.

DIRITTO

1) Il ricorso è infondato.

Come diffusamente rappresentato in narrativa, l'annosa vicenda giudiziaria, ancora una volta all'attenzione della Sezione, deve essere ora esaminata sotto il profilo della asserita mancata esecuzione del giudicato, formatosi sulla decisione di questa Sezione n.1904/1998, ritenuta dalla ricorrente non eseguita.

Al riguardo, giova, preliminarmente, accertare - da un lato - il preciso contenuto dell'adempimento posto a carico del Comune di Apricale per effetto del significato della sentenza di cui viene richiesta oggi l'esecuzione, ricostruendo il senso e la portata della statuizione del giudice, intesa non come un astratto comando, bensì come un concreto atto di volontà, espresso in ragione del contrasto di interessi definito e, dall'altro, verificare se la successiva attività di materiale trasformazione dell'immobile e di destinazione all'uso pubblico, seguita all'occupazione d'urgenza, sia tale da impedire la (richiesta) retrocessione dell'immobile.

2) La citata sentenza di cui viene chiesta l'ottemperanza ha annullato una serie di provvedimenti (il decreto sindacale di occupazione d'urgenza, gli atti relativi all'adozione di una variante urbanistica, la delibera consiliare di approvazione del progetto di ristrutturazione, la deliberazione della Giunta municipale dichiarativa della pubblica utilità dell'intervento ex lege n.1/1978), regolati da diversi gruppi di norme per il conseguimento di interessi pubblici specifici, finalizzati all'acquisizione in mano pubblica dell'edificio denominato "Antico Castello di Apricale". Non è stato, però, annullato- ancorché regolarmente impugnato- il decreto del Ministro per i beni culturali ed ambientali 24 aprile 1990, con il quale era stata dichiarata la pubblica utilità dell'intervento comunale, in base agli artt. 54 e 55 della legge 1° giugno 1939, n.1089.

Non può, quindi, revocarsi in dubbio che la decisione in esame - contrariamente a quanto sembra assumere l'odierna ricorrente - ha annullato tutta la procedura espropriativa successiva all'adozione del citato decreto ministeriale, il quale, invece, è stato dichiarato legittimo, in quanto "la dichiarazione di pubblica utilità, ai fini dell'espropriazione dell'immobile a favore del Comune di Apricale, è supportata da finalità di restauro e valorizzazione, cioè da obiettivi concorrenti, pienamente perseguiti dagli artt. 54 e 55 L. 1° giugno 1939, n.1089, destinati, da un lato, a soddisfare l'esigenza della conservazione o dell'incremento del patrimonio nazionale e, dall'altro, ad agevolare il godimento da parte del pubblico e a facilitarne l'accesso" (pag. 23 della sentenza).

Vero è che, nella specie, non sembra che l'Amministrazione abbia completato l'iter espropriativo, adottando, poi, il successivo decreto di esproprio, però tale profilo della questione può essere demandato alla valutazione del Comune, che- in via autonoma- può decidere se procedere o meno al completamento della procedura de qua.

Ciò che, comunque, preme evidenziare ai fini che ne occupa, è che la sentenza in esame ha ribadito la presenza di una valida dichiarazione di pubblica utilità, la quale consente di qualificare l'opera come pubblica.

3) Quanto sopra acclarato, bisogna, ora, esaminare se, nella specie, ci sia stata una attività di materiale trasformazione dell'immobile e di destinazione all'uso pubblico (seguita all'occupazione d'urgenza), tale da paralizzare la domanda di retrocessione del bene, formulata dall'odierna ricorrente, proprietaria dell'immobile per disposizione testamentaria.

Sostiene, al riguardo, l'interessata che l'immobile espropriato è " un castello già esistente e sul quale il Comune di Apricale è intervenuto senza apportarvi quel quid novi che solo avrebbe legittimato il procedimento di espropriazione".

Tale assunto non può essere condiviso.

Risulta dalla documentazione in atti che- a seguito dell'occupazione d'urgenza- il Castello ha subito una ristrutturazione funzionale, tale da comportare una sua irreversibile destinazione unitaria all'uso pubblico. Infatti, il complesso risulta oggi trasformato, in parte in museo civico e centro congressi e, in parte, a sede di uffici comunali e tale irreversibile modificazione non consente l'accoglimento della domanda di retrocessione della ricorrente.

E' noto, al riguardo, quel consolidato orientamento giurisprudenziale- dal quale non si ravvedono motivi per discostarsi nel caso di specie- secondo il quale, annullato in sede giurisdizionale un decreto di occupazione d'urgenza, il privato può ottenere dal giudice dell'ottemperanza la restituzione del fondo solo qualora lo stesso non sia stato irreversibilmente modificato e quindi acquisito alla mano pubblica ( tra le più recenti: C.d.S. IV: Sez. 3 aprile 2001, n.1911; IV Sez.: 11 luglio 2001, n.3882).

D'altra parte, come affermato costantemente dalla suprema Corte di Cassazione, l'irreversibile trasformazione dell'immobile del privato, presupposto dell'acquisto alla mano pubblica per accessione invertita, non ricorre solo nel caso di realizzazione ex novo di una costruzione, ma anche laddove l'intervento pubblico abbia inciso definitivamente, attraverso la destinazione all'uso pubblico, sulla funzione originaria del bene (ex multis: Cass. Civ., SS. UU. 15 luglio 1999, n.394; Cass. Civ., Sez.I, 3 maggio 2000, n.5513).

Pertanto, sotto l'esaminato profilo, non può accogliersi la domanda di retrocessione dell'immobile, avanzata dall'odierna ricorrente.

4) In via gradata, l'interessata chiede il risarcimento dei danni, sia con riferimento alla illegittima occupazione del bene sia con riferimento al valore venale che l'immobile aveva al momento dell'esproprio. La quantificazione di tali danni - peraltro già individuata in euro 759.446.000, con stima di parte ai fini di un concomitante giudizio civile in atto innanzi alla Corte d'Appello di Genova - viene definitivamente richiesta al Consiglio di Stato attraverso la nomina di un apposito consulente tecnico d'ufficio. Osserva, al riguardo, il Collegio che la suddetta domanda - in quanto afferente alla materia del risarcimento del danno ingiusto derivante da procedura espropriativa - rientra, oggi, nella giurisdizione del giudice amministrativo. Essa, però, va comunque proposta in primo grado innanzi al TAR competente, dovendosi escludere in radice che tale domanda possa essere formulata per la prima volta in sede di ottemperanza.

In altri termini, la domanda di risarcimento del danno è una domanda del tutto nuova, che, come tale, è si proponibile, ma è soggetta all'ordinario vaglio- articolato su due gradi di giudizio- del giudice della cognizione, il quale dovrà in primo luogo verificare il fondamento della domanda risarcitoria con riferimento all'effettiva sussistenza, nell'an, di un danno patrimoniale risarcibile e, successivamente, per quanto possibile in tale sede, " stabilire i criteri in base ai quali l'Amministrazione o il gestore del pubblico servizio devono proporre a favore dell'avente titolo il pagamento di una somma entro un congruo termine" (art. 35, comma 2°, dec. leg.vo 31 marzo 1998, n.80).

Né sarebbe possibile una eventuale "conversione" del giudizio di ottemperanza in giudizio di cognizione, in quanto ciò si risolverebbe in una violazione del doppio grado di giudizio (cfr.C.d.S. Sez. VI, 27 marzo 2001, n.1774).

Pertanto, la domanda risarcitoria deve essere dichiarata inammissibile, essendo tesa ad ottenere in sede di ottemperanza una pronuncia che trascende radicalmente i limiti oggettivi e contenutistici del giudicato effettivamente formatosi tra le parti.

5) Alla stregua delle su esposte considerazioni il ricorso per la mancata esecuzione del giudicato formatosi sulla decisione di questa Sezione n.1904/1998 va respinto.

Sussistono, tuttavia, giusti motivi per compensare tra le parti le spese del grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sez. IV), definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo respinge.

Compensa integralmente tra le parti le spese del presente grado di giudizio.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma dalla Sezione IV del Consiglio di Stato, nella camera di consiglio del 9 luglio 2002, con l'intervento dei signori:

Gaetano Trotta - Presidente

Raffaele Maria De Lipsis - Consigliere estensore

Carmine Volpe - Consigliere

Marinella Dedi Rulli - Consigliere

Giuseppe Carinci - Consigliere

L'ESTENSORE             IL PRESIDENTE

Depositata in segreteria il 7 novembre 2002.

Copertina Stampa il documento Clicca qui per segnalare la pagina ad un amico