CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V - Sentenza 21 maggio 1999 n. 592 - Pres. Serio, Est. Di Napoli - Comune di Cortina d'Ampezzo c. Fontana e c.ti, Regione Veneto, E.N.E.L. s.p.a. e TELECOM Italia s.p.a. (conferma T.A.R. Veneto, Sez. II, 31 maggio 1996 n. 1165).
E' ammissibile il ricorso con cui più persone impugnino lo stesso provvedimento ovvero distinti provvedimenti che abbiano uguale contenuto, avendosi in tale ipotesi ricorso collettivo, sotto il profilo soggettivo, e cumulativo, sotto il profilo oggettivo, non essendo necessario che nell'epigrafe del ricorso siano indicati distintamente tutti gli atti (aventi eguale contenuto) impugnati, ove dal contesto del ricorso si evinca comunque con assoluta chiarezza l'intendimento dei ricorrenti di gravare i rispettivi provvedimenti, adottati tutti in pari data e per identiche motivazioni ed indirizzati ai vari ricorrenti
L'attività alberghiera ha tra i propri caratteri il fatto che si esprime attraverso atti di offerte al pubblico dei servizi ad essi inerenti, per cui viene meno la destinazione alberghiera qualora il godimento degli alloggi e dei servizi connessi provenga esclusivamente dalla titolarità delle quote nelle quali il proprietario ha frazionato l'immobile (1). Deve pertanto ritenersi che si realizza un abusivo mutamento di destinazione d'uso da albergo a residenza nel caso in cui il godimento delle singole unità immobiliari avvenga in maniera permanente ed esclusivo.
Non è configurabile un rapporto di multiproprietà nel caso in cui manchi il requisito fondamentale di esso, e cioè la turnazione dei proprietari che acquistano periodi di solito vanno da 1 a 2 settimane, e risulti invece che gli interessati abbiano acquistato il diritto di godimento delle singole unità mobiliari in maniera permanente ed esclusiva.
Per ottenere il condono dell'abusivo mutamento della destinazione d'uso di un immobile è sufficiente che lo stesso sia stato completato funzionalmente entro il termine del 1 ottobre 1983 previsto dall'art. 31, 2 comma, L. 47/85; ciò significa che, entro tale data (anche se le attività costruttive siano ancora in corso), l'immobile deve essere comunque già fornito delle opere indispensabili a rendere effettivamente possibile un uso diverso da quello assentito. Debbono in particolare ritenersi completati funzionalmente gli immobili la cui destinazione sia stata mutata e che (entro il 1 ottobre 1983) siano stati dotati di luci e vedute, di impianti di servizio quali elettricità, acqua, gas e collegamento fognario; tali opere sono, infatti, preordinate al mutamento di destinazione, incompatibili con l'originaria destinazione assentita e sufficienti al completamento funzionale, ancorché non siano stati ancora realizzati gli impianti e le rifiniture di carattere complementare ed accessorio.
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(1) Cons. Stato, Sez. IV, 22 novembre 1989, n. 824.
DIRITTO: Con il terzo motivo, il cui esame riveste carattere prioritario, l'appellante sostiene che i ricorsi di primo grado sono inammissibili per non avere i ricorrenti indicato i provvedimenti da ciascuno impugnati. Il motivo è infondato. I provvedimenti di diniego di sanatoria e l'ordinanza di ripristino, sgombero e dichiarazione di inabitabilità, anche se notificati ad ognuno dei comproprietari e ad ognuno di loro singolarmente intestati, sono di identico contenuto ed emessi in unica data.
E' chiaro pertanto che con il ricorso collettivo - cumulativo ciascuno dei comproprietari ha inteso impugnare l'atto negativo riferito alla propria domanda di sanatoria. Al riguardo il Collegio osserva che è pacificamente ritenuto ammissibile il ricorso con cui più persone impugnino lo stesso provvedimento ovvero distinti provvedimenti che abbiano uguale contenuto, avendosi in tale ipotesi ricorso collettivo, sotto il profilo soggettivo, e cumulativo, sotto il profilo oggettivo.
Quanto all'affermazione del Comune secondo la quale, pur potendo i ricorrenti proporre ricorso in forma oggettivamente complessa, sussisteva comunque per ciascuno l'onere di individuare il provvedimento reiettivo con cui era stato leso, si tratta di un onere che non ha altra finalità se non quella di consentire l'individuazione del provvedimento riferibile a ciascun ricorrente.
Nella fattispecie ciò si è indubbiamente verificato, dal momento che sia i ricorrenti sia il Comune resistente conoscevano bene di quali provvedimenti si stesse parlando.
In proposito il T.A.R. ha correttamente affermato: "Si tratta di ricorsi proposti sia sotto la forma del ricorso collettivo, in quanto proposto da una pluralità di ricorrenti accomunati dall'identità delle situazioni processuali e dell'interesse tutelato, che cumulativo in quanto rivolto contro una pluralità di atti accomunati da una pressoché totale identità di contenuto.
Non ravvisandosi alcun possibile conflitto di interessi fra i vari ricorrenti il ricorso collettivo è pacificamente ammissibile ed altrettanto è a dirsi del ricorso cumulativo posto che nel caso di specie l'oggetto del ricorso riguarda atti di pressoché identico contenuto, variando solo per l'indicazione di singoli nominativi dei richiedenti la concessione in sanatoria, del numero di protocollo delle rispettive domande di condono e del numero delle rispettive suites.
Nessuna rilevanza riveste poi il fatto che nell'epigrafe del ricorso l'oggetto dello stesso venga indicato come "provvedimento del Sindaco del Comune di Cortina d'Ampezzo avente ad oggetto la reiezione delle istanze di condono edilizio presentate dai ricorrenti" .... Si tratta di un rilievo meramente formalistico che può essere facilmente riconosciuto come mera imprecisione formale (alla stregua di un lapsus calami) non certo idonea ad incidere sulla validità del gravame. Invero da tutto il ricorso si evince comunque con assoluta chiarezza l'intendimento dei ricorrenti di gravare i rispettivi provvedimenti di diniego, adottati tutti in pari data e per identiche motivazioni ed indirizzati ai vari ricorrenti".
Prima di esaminare gli altri motivi di appello, il Collegio deve dare atto che la cospicua documentazione depositata dal Comune in esito alla decisione istruttoria si è rivelata, nel riesame, ultronea ai fini del decidere la controversia, la quale va considerata nelle sue linee essenziali e soprattutto alla luce del certificato di abitabilità rilasciato nell'agosto 1994, documento che assume un ruolo determinante nella decisione della vertenza.
Con il primo motivo, l'appellante sostiene che il Sindaco nel decidere sulle domande di sanatoria edilizia non poteva non considerare che la situazione di fatto accertata nell'agosto 1993 e posta alla base dei primi provvedimenti sanzionatori era radicalmente mutata ad opera dei medesimi proprietari, i quali proprio a causa dei provvedimenti che avevano comportato la forzata chiusura dell'albergo avevano ripristinato l'originaria destinazione alberghiera del complesso (e ciò nel periodo compreso tra la fine del 1993 e la fine del 1994, quando ancora non si sapeva che ci sarebbe stato un nuovo condono edilizio) provvedendo ad eliminare tutti gli elementi materiali dell'albergo ed a modificare il regolamento della comunione alberghiera ne senso preteso dal Comune.
I proprietari, avvedutisi che in nessun altro modo avrebbero potuto utilizzare gli appartamenti che erano stati dichiarati inagibili con l'ordinanza sindacale dell'agosto 1993, avevano provveduto spontaneamente a rimuovere gli ostacoli loro indicati dal Comune, ripristinando, anche da un punto di vista sostanziale, la destinazione alberghiera del complesso.
Il motivo è infondato.
L'Amministrazione ha negato il condono giustificando il diniego con il rilievo che l'abuso sarebbe stato spontaneamente eliminato mediante atti di ripristino e dichiarazioni di parte. Tali atti e dichiarazioni, però, la stessa Amministrazione aveva già accuratamente esaminate e valutato quando, il 4 agosto 1994, ha rilasciato il certificato di abitabilità.
Essi, sebbene siano stati ritenuti sufficienti al fine del rilascio di detto certificato, non sono stati ritenuti idonei ad eliminare l'abuso, soprattutto in relazione al fatto che persisteva il frazionamento della proprietà dell'edificio in tante unità immobiliari distinte utilizzate ciascuna direttamente dal rispettivo proprietario.
Nella memoria 13 dicembre 1993 l'Amministrazione - resistendo all'appello presentato dai proprietari avverso l'ordinanza del T.A.R. Veneto n. 1043 del 1993, con cui era stata respinta la richiesta di sospensiva avverso l'ordinanza n. 97/1993 di inabitabilità e sgombero - ancora sosteneva che i ricorrenti nulla avevano fatto per rimediare alle carenze riscontrate: "neppure dopo l'emanazione del provvedimento di sgombero dell'immobile alberghiero e pretendono ora una pronuncia che premi la loro inattività".
Al 31 dicembre 1993, la situazione di fatto e di diritto nei suoi tratti essenziali era quella stessa che il Comune aveva accertato negli atti del 1992 e del 1993, ciò anche in quanto i ricorrenti erano potuti rientrare nel godimento delle loro unità immobiliari in virtù di un provvedimento cautelare del Giudice Amministrativo (e precisamente l'ordinanza 14 dicembre 1993, che ha sospeso fino al marzo 1994 la revoca dell'agibilità dell'agosto 1993).
Alla data predetta, quindi, i ricorrenti erano rientrati nel godimento delle loro unità immobiliari senza bisogno di nessun ripristino, cessandone nel marzo 1994 a seguito dello scadere del termine della sospensiva concessa e rientrandone nell'agosto 1994, dopo il rilascio del certificato di abitabilità. Riguardo ai documenti che attesterebbero il mutamento di destinazione d'uso, il Collegio osserva quanto segue.
Dalla relazione tecnica allegata all'istanza di sanatoria presentata nel novembre 1993 emerge che i ripristini effettuati a quella data erano di carattere marginale. La comunicazione inviata dalla Soc. Cortina Executive Club al Comune nel gennaio 1994, con cui si precisava che l'albergo era sempre stato gestito in forma unitaria, in conformità all'art. 19 delle N.T.A., non è stata fatta dagli odierni appellati ed è palesemente inattendibile per il fatto che nella specie non v'è mai stata una effettiva destinazione alberghiera.
Quanto alla modifica della convenzione alberghiera, deliberata dai proprietari nell'assemblea del 27 ottobre 1993, a prescindere da ogni altra considerazione, è assorbente il rilievo che l'impegno inserito in detta convenzione, e cioè quello di affittare le suites, diveniva operativo solo se il proprietario segnalava al gestore la propria disponibilità e conseguente rinuncia ad utilizzare per un certo periodo la suite.
Dal registro delle presenze alberghiere emerge che buona parte delle suites non è stata mai locata, essendo stata sempre occupata dai rispettivi proprietari, e che in ogni caso la cessione in locazione non contrasta con l'utilizzazione individuale e personale da parte di ciascun proprietario, così come rilevato dal Pretore Penale con la sentenza del 1993 ("Il Verokay non è stato gestito in regime di multiproprietà, essendo evidente dal contegno degli acquirenti che ciascuno si riteneva proprietario esclusivo della suite ad ogni effetto, salvo a decidere, uti dominus, di affittarla tramite il gestore (ed il teste Bond ha appunto confermato che i comproprietari avevano inteso acquistare una struttura residenziale...)".
Con riferimento alla gestione unitaria alberghiera ed alla convenzione alberghiera il Collegio condivide l'inquadramento operatone dal T.A.R.: "Quello che ne era scaturito era invece un condominio di abitazioni a gestione un po' particolare, posto che in comune vi era anche il ristorante e che la finzione alberghiera rendeva necessaria la costante presenza di un portiere (ma anche i condomini possono avere i portieri) e di un gestore alberghiero (la cui figura riveste connotati assai simili a quelli di un amministratore condominiale)" (pagg. 24-25 della sentenza di primo grado).
E quanto alla modifica del regolamento di comunione, la stessa è stata definita dal T.A.R. come non in grado di spostare la situazione "perché il diritto di proprietà mantiene sempre i connotati sopra descritti e legittima qualunque ulteriore cambiamento". Infine, per quanto attiene alla diffida notificata il 24 marzo 1994 all'Amministrazione Comunale, con cui si chiedeva il nuovo rilascio del certificato di abitabilità sostenendo l'effettuazione di ripristini, deve rilevarsi che anche detto atto è stato sottoscritto esclusivamente dalla società Cortina Executive.
Si tratta comunque di ripristini di elementi materiali di arredo, in relazione ai quali il T.A.R. ha esattamente affermato: "In ogni caso, come si è già detto, tutto ciò non ha rilevanza alcuna perché dimostra soltanto che i proprietari delle suites avevano effettuato delle modifiche dell'arredamento rinunciando a talune comodità personali". Pertanto, non sussistono, ad avviso del Collegio, elementi incontrovertibili dai quali risulti che al 31 dicembre 1993 la struttura si presentava come un albergo tradizionale ovvero al più come un residence turistico-alberghiero a proprietà frazionata.
Se con detto riferimento si vuole accennare alla formula della multiproprietà, è agevole rilevare che la stessa non è in alcun modo assimilabile a quanto verificatosi nella fattispecie, giacché della multiproprietà manca il requisito fondamentale: la turnazione dei proprietari che acquistano periodi di solito vanno da 1 a 2 settimane, mentre invece gli appellati hanno acquistato il diritto di godimento delle singole suites in maniera permanente ed esclusiva.
Al riguardo, il Comune afferma che "l'oggetto del condono avrebbe dovuto essere la particolare forma di gestione alberghiera attuata, imperniata sul diritto di prenotazione accordato agli assegnatari delle singole suite e proprietari pro quota dell'intero complesso... dal momento che in ciò consisteva l'abusivo mutamento di destinazione effettivamente operato, non già nella trasformazione dell'albergo in un complesso tout court residenziale". Deve però osservarsi che l'essenza dell'abuso edilizio contestato ai proprietari e per il quale essi hanno chiesto il condono è di aver mutato la destinazione d'uso di un albergo, sottraendolo all'offerta al pubblico, frazionandolo in tante unità abitative, ognuna nella disponibilità esclusiva e piena di un singolo proprietario.
La difesa comunale afferma poi che in ogni caso la sanatoria non avrebbe potuto essere concessa in quanto per poter essere sanate, le opere o le trasformazioni abusive non devono soltanto essere realizzate prima di tale data, ma devono anche essere state mantenute dopo di essa. Pertanto, poiché tra i mesi di aprile ed agosto 1994, gli odierni appellati avrebbero provveduto a rimuovere dalle camere opere, arredi e dispositivi incompatibili con la destinazione alberghiera del complesso, la sanatoria non avrebbe appunto potuto essere concessa.
La migliore replica all'eccezione è data dal certificato di abitabilità rilasciato il 4 agosto 1994, il quale smentisce inconfutabilmente la pretesa insussistenza dell'abuso dopo il 31 dicembre 1993. Si tratta di un documento che - ad avviso del Collegio - è risolutivo dell'intera vicenda, sia perché rilasciato dopo il 31 dicembre 1993, termine ultimo per la realizzazione dell'abuso alla stregua della legge n. 724/1994, sia perché rilasciato dopo l'eliminazione di alcuni elementi materiali, ma senza che il ripristino della destinazione alberghiera fosse mai effettivamente avvenuto, non essendo mai intervenuta alcuna modifica degli atti materiali d'acquisto, né in particolare, alcuna rinuncia da parte dei singoli proprietari al godimento personale ed esclusivo della propria unità immobiliare.
Ed invero, nel detto certificato l'Amministrazione comunale ha ribadito che esso "Non incide sulla validità dell'ordinanza n. 97/93, né vale a costituire sanatoria per la violazione dell'art. 19 N.T.A. con specifico riguardo all'abusivo mutamento di destinazione d'uso alberghiero, attuato con la vendita frazionata del complesso alberghiero".
Del resto che il godimento in maniera permanente ed esclusivo delle singole unità sia di per sé sufficiente a concretizzare l'abusivo mutamento di destinazione d'uso da albergo a residenza, ha già avuto conferma nella giurisprudenza di questo Consiglio di Stato: "L'attività alberghiera ha tra i propri caratteri il fatto che si esprime attraverso atti di offerte al pubblico dei servizi ad essi inerenti, per cui viene meno la destinazione alberghiera qualora il godimento degli alloggi e dei servizi connessi provenga esclusivamente dalla titolarità delle quote nelle quali il proprietario ha frazionato l'immobile" (così IV Sezione, 22 novembre 1989, n. 824).
Per completezza si ricorda che l'art. 2, comma 53, della legge n. 662/1996 ha previsto che: "La tipologia di abuso di cui al n. 4 deva tabella allegata alla L. 28 febbraio 1985 n. 47 deve intendersi applicabile anche agli abusi consistenti in mutamenti di destinazione d'uso eseguiti senza opere edilizie". Dal che implicitamente si ricava che il mutamento di destinazione d'uso può essere attuato anche senza opere edilizie e quindi anche con soli atti giuridici. La giurisprudenza innanzi citata consente di dissentire dall'ulteriore affermazione dell'appellante, secondo cui il condono edilizio sarebbe diretto a sanare situazioni di fatto in contrasto con la vigente normativa urbanistica e non già abusi potenziali ovvero legati alla sola predisposizione di atti giuridici di natura privatistica.
La tesi, peraltro, è smentita proprio dai provvedimenti emessi dall'Amministrazione comunale negli anni 1992/1993, nei quali si contestava l'avvenuta destinazione residenziale. Neppure può condividersi l'affermazione secondo cui di residenzialità si potrebbe eventualmente parlare solo dopo la definitiva eliminazione della gestione alberghiera affidata alla ditta Grigolon.
Anche detta gestione rientrava in quegli elementi di fictio a cui esattamente il T.A.R. non ha riconosciuto alcun valore, affermando in proposito quanto segue: "Né maggiore pregnanza può rivestire il registro delle presenze alberghiere (tra l'altro anche da questo si rilevano dati non univoci e, in ogni caso, non dimostra che l'affitto di talune suites non fosse stato previamente autorizzato dai proprietari, non diversamente da quanto avviene per qualsiasi abitazione in luogo di vacanza, e gestito per il tramite della gestione "alberghiera", che funzionava in pratica come una qualsiasi agenzia di affittanze).
In definitiva non sono altro che adempimenti formali che non dimostrano né possono in alcun modo dimostrare che l'uso alberghiero era stato ripristinato, non essendo stato mutato il contenuto del diritto di proprietà acquistata con gli atti di compravendita i cui punti focali parimenti sono stati sopra riportati". Il Comune, per dimostrare il carattere alberghiero e non residenziale della struttura, punta sulla presenza del c.d. gestore alberghiero, ma dimentica che, a fronte del fatto incontestabile che ogni proprietario continuava ad utilizzare la sua unità immobiliare a titolo personale sottraendola quindi alla c.d. offerta al pubblico, tale elemento è stato considerato formale e non è stato ritenuto sufficiente dal Pretore (quando condannò i costruttori e il venditore per abuso edilizio) né dallo stesso Comune nelle sue contestazioni, per riconoscere alla struttura il carattere sostanziale di albergo e per escludere l'abusivo mutamento dello stesso in una struttura residenziale privata.
Né risponde al vero l'affermazione che il carattere residenziale non si sarebbe comunque ancora attuato, perché alcuni assegnatari avrebbero rinunciato a chiedere la sanatoria o ad imputare il diniego di condono. I proprietari invece si sono attivati a mezzo dell'allora Amministratore Dott. Bond, sostituito poi dal Sig. Sidro, ed hanno presentato la richiesta di sanatoria anche per le due suites per le quali il costruttore Ferretto non aveva fatto la relativa domanda e cioè la n. 1 e n. 4 ed hanno - a mezzo degli amministratori - successivamente impugnato il relativo diniego.
E', quindi, infondato l'assunto del Comune che oggetto del condono doveva essere una sorta di "albergo speciale" con un diritto di prenotazione accordato agli assegnatari delle singole suites, anziché la trasformazione di un albergo in un condominio residenziale. Né modifica i termini della questione il verbale di ispezione del 21 aprile 1995, in cui si legge che nelle stanze era stata rilevata la presenza di una nota in cui si affermava: "Dal 1° aprile 1995 la struttura Verokay funzionerà come un condominio". E' chiaro infatti che, avendo ormai inoltrato nel dicembre 1994 la domanda di condono, i proprietari non avevano più remore a presentarsi anche all'esterno per quello che in effetti erano stati sin dall'origine.
In conclusione, nella fattispecie, l'abuso di che trattasi, consistente in un mutamento di destinazione d'uso da alberghiero a residenziale, si è attuato con gli atti di acquisto e tale è rimasto nel tempo, giacché immutati sono rimasti gli atti di acquisto delle singole suites ed il godimento esclusivo delle stesse da parte dei rispettivi proprietari.
Considerato quindi che il mutamento di destinazione d'uso si è nella specie attuato attraverso gli atti di acquisto e per questo non è mai venuto meno, non appare appropriato l'esempio fatto dalla difesa del Comune, secondo cui gli appellati si troverebbero nella stessa posizione di coloro che avendo realizzato un fabbricato prima del 31 dicembre 1993 ed avendolo poi demolito in quanto abusivo, pretendono di poterlo successivamente condonare per averlo nel frattempo ricostruito come era in precedenza.
L'edificio, infatti, anche dopo l'eliminazione a seguito delle intimazioni del Comune, di alcuni elementi materiali, è sempre rimasto un edificio completo ed ultimato in tutte le sue parti, funzionante ed abitabile, ed è noto che per essere ammessi al condono si considerano ultimati addirittura gli edifici nei quali sia stato semplicemente eseguito il rustico e completata la copertura (v. art. 31, 2 comma, L. 47/85). Né appare calzante l'invocata sentenza di questa Sezione 6 maggio 1995 n. 718, in cui si è affermato che per avere il completamento funzionale, laddove tale funzionalità attenga alla residenza, è necessaria non solo la predisposizione degli allacci all'impianto condominiale della proprietà individuale, ma altresì la concreta realizzazione degli impianti all'interno di quest'ultima. Infatti la menzionata sentenza si riferisce a due mansarde, per le quali esisteva soltanto la predisposizione per gli allacci a quello che era l'impianto condominiale.
Diverso è il caso delle singole unità del Verokay, in cui gli impianti di acqua ed energia elettrica sono sempre esistiti ed hanno sempre regolarmente funzionato e, per quanto attiene agli allacci del gas per gli angoli cottura, ogni singola suite ne è stata dotata sin dall'origine. Al ritardo il T.A.R. ha condivisibilmente rilevato che: "... prima ancora dell'installazione dei vari elettrodomestici, lavelli, piani cottura ecc.., erano state effettuate opere per così dire strutturali, ancorché non immediatamente visibili ma percepibili solo a seguito dell'ulteriore attività di installazione dei vari elettrodomestici: si tratta infatti della predisposizione delle varie condutture e prese dell'acqua e del gas che hanno reso possibile il successivo arredo come sopra descritto.
E' evidente che in un immobile a destinazione alberghiera non sarebbe stato necessario predisporre le condutture per i vari allacciamenti autonomi, ma qui è stato fatto, segno evidente del fatto che la modifica di destinazione era stata predisposta già durante l'esecuzione dei lavori, adottando gli accorgimenti costruttivi necessari per permettere la successiva vendita delle singole suites come entità residenziali autonomamente utilizzabili".
Pertanto, nella fattispecie trova applicazione quella giurisprudenza che ha ribadito che: "Per ottenere il condono dell'abusivo mutamento della destinazione d'uso di un immobile è sufficiente che lo stesso sia stato completato funzionalmente entro il termine del 1 ottobre 1983 [nel nostro caso 31 dicembre 1993], vale a dire che entro tale data (anche se le attività costruttive siano ancora in corso) l'immobile deve essere comunque già fornito delle opere indispensabili a rendere effettivamente possibile un uso diverso da quello assentito.
Tale condizione può ritenersi realizzata nell'ipotesi di locali originariamente destinati a sottotetto e trasformati in abitazione, quando gli stessi (entro il 1 ottobre 1983) siano stati dotati di luci e vedute, di impianti di servizio quali elettricità, acqua, gas e collegamento fognario. Tali opere sono infatti preordinate al mutamento di destinazione, incompatibili con l'originaria destinazione assentita e sufficienti al completamento funzionale, ancorché non siano stati ancora realizzati gli impianti e le rifiniture di carattere complementare ed accessorio....
L'interpretazione qui accolta è del resto l'unica che consente di non incorrere nell'evidente disparità di trattamento tra le ipotesi di nuova costruzione totalmente abusiva anche di rilevanti dimensioni, per la sanabilità della quale sarebbe sufficiente avere eseguito il rustico e completata la copertura (cfr. Cons. Stato, V Sez., 6 luglio 1992, n. 627 e 19 luglio 1989 n. 44), da quelle opere interne con mutamento di destinazione, per le quali il completamento funzionale, secondo l'erronea tesi del primo giudice e dell'amministrazione, dovrebbe equivalere alla completa funzionalità ed abitabilità della parte abusiva dell'immobile." (Così testualmente Cons. Stato V, 14 luglio 1995 n. 1071).
Sostiene il Comune che i responsabili dell'abuso volevano evidentemente trarre dal condono edilizio il massimo vantaggio ed ottenere, mediante la richiesta sanatoria, più di quanto la legge non consentisse loro e cioè il completo svincolo dell'immobile ed il riconoscimento della sua definitiva trasformazione in un condominio residenziale. Rimozione del vincolo alberghiero negata con la delibera della G.R. n. 5262 del 2 ottobre 1990.
Tale delibera, però, è superata, dal momento che la Regione - con delibera G.R. 4852 del 29 ottobre 1996, indirizzata in data 27 novembre 1996 oltre che ai proprietari del Verokay anche al Comune di Cortina - ha affermato "di assumere la determinazione che le istanze di condono edilizio, la cui competenza è affidata alle Amministrazioni Comunali ai sensi della L. 47/85 e successive modifiche ed integrazioni, accolte o in via amministrativa o in via giudiziale, con sentenza passata in giudicato, non danno luogo ad alcun provvedimento formale da parte della Giunta regionale del Veneto ai sensi e per gli effetti degli artt. 15 e 16 della L.R. 24/88, in base alle motivazioni e considerazioni esposte in premessa; di dare altresì atto che le domande presentate ai sensi degli artt. 15 e 16 della L.R. 24/88, corredate di autocertificazione in ordine all'avvenuto accoglimento della istanza di condono edilizio ai sensi della L. 47/85 e successive integrazioni e modifiche, non danno luogo ad alcuna autorizzazione".
Con il secondo motivo, l'appellante, con riferimento al capo in cui la sentenza appellata si è occupata del secondo provvedimento impugnato e cioè dell'ordinanza di ripristino, inabitabilità e sgombero, dichiarandone l'automatico e consequenziale travolgimento derivante dall'annullamento del diniego di condono, l'appellante deduce che il T.A.R. ha errato nel ritenere detto provvedimento consequenziale al diniego di condono.
Esso invece è stato emesso in relazione alla reintroduzione da parte dei ricorrenti nelle loro suites di quei dispositivi (angoli cottura) vietati dall'art. 19 delle N.T.A. del Piano Regolatore, che impone appunto al Sindaco, qualora ne venga riscontrata la presenza, la dichiarazione di inabitabilità; norma che, comunque, gli stessi ricorrenti si sono ben guardati dall'impugnare.
Il motivo è infondato.
Il carattere consequenziale del provvedimento in questione, rispetto al diniego di sanatoria, si evince anzitutto dal tenore stesso del provvedimento che si apre proprio con il riferimento a detto diniego. La circostanza poi che i ricorrenti non abbiano impugnato la normativa di cui all'art. 19 delle N.T.A. si spiega con il fatto che è la violazione di detta norma ad aver costituito oggetto della domanda di condono, sicché nessun senso avrebbe avuto, in questa fase, la relativa impugnativa. Cosa questa che invece i ricorrenti fecero quando, non essendo ancora uscita la normativa sul condono, dovevano quindi difendersi in ogni modo dai provvedimenti emanati dall'Amministrazione Comunale.
Infondata è anche l'ulteriore affermazione contenuta nel secondo motivo di ricorso ed in base alla quale l'ordinanza emessa dal Sindaco appariva doverosa anche alla luce dell'art. 35, comma 14, della L. n. 47/1985, relativo al completamento, in quanto non sarebbero stati rispettati le forme, i termini e gli adempimenti prescritti da detta norma.
E' sufficiente rilevare, in proposito, che tutt'al più si potrebbe discutere sulla legittimità di detto specifico procedimento, ma non certo su quello della domanda di condono che era e resta perfettamente valida e legittima. In conclusione, il Collegio osserva che l'abuso sussisteva ancora al 31 dicembre 1993: a quella data era in atto l'uso permanente, personale ed esclusivo delle singole unità immobiliari da parte dei proprietari, sulla base degli atti di acquisto, mai modificati.
Ciò, infatti, il Comune contestava ancora nel certificato di abitabilità dell'agosto 1994, rilevando che l'abusivo mutamento di destinazione d'uso alberghiera si era essenzialmente attuato con la vendita frazionata del complesso alberghiero e che l'abuso, all'epoca, ancora doveva essere eliminato. Come si è dianzi visto, alla data del 31 dicembre 1993, senza bisogno di nessun ripristino, i proprietari erano rientrati nel godimento delle loro unità immobiliari uscendone nel marzo 1994 e rientrandone nell'agosto 1994, dopo il rilascio del certificato di abitabilità. Prima di ottenere detto certificato furono eliminati solo alcuni elementi materiali di tipo accessorio, ma non le colonne montanti interne alle pareti, presenti sin dall'origine dei lavori di ristrutturazione dell'edificio.
In ogni caso non era avvenuta l'eliminazione radicale dell'abuso, costituito, nel suo nucleo essenziale, dall'uso esclusivo consacrato negli atti di acquisto. Intervenuta la legge sul condono i proprietari hanno smesso ogni apparenza di ripristino ed hanno chiesto la sanatoria. Con riguardo al secondo presupposto addotto a diniego del condono, vale a dire la mancanza del "prescritto parere ai sensi della legge n. 1497/1939", è sufficiente rilevare che, nel caso di specie, il mutamento di destinazione d'uso non ha in alcun modo inciso sull'aspetto esteriore dell'immobile.
Prima di concludere, il Collegio non può fare a meno di osservare che il comportamento dei proprietari è stato certamente riprovevole, non solo e principalmente per aver commesso l'abuso, ma anche per aver negato a fini defensionali di averlo commesso.
Correttamente e con apprezzabile rigore il Comune di Cortina d'Ampezzo lo ha perseguito, nondimeno deve osservarsi che la legge sul condono è stata emanata proprio al fine di sanare e recuperare alla legalità fatti contrari al diritto.
Per le considerazioni che precedono l'appello va respinto, con la conseguente conferma della sentenza impugnata.
Sussistono, tuttavia, giusti motivi per compensare fra le parti le spese del grado di giudizio.