CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V - Sentenza 1 ottobre 1999 n. 1225 - Pres. Serio, Est. Di Napoli - Lacedelli (Avv.ti Manzi e Dal Piaz) c. Provincia di Belluno (Avv.ti Prada e Stella Richter)- (conferma T.A.R. Veneto, Sez. II, 30 marzo 1993 n. 250)
Ambiente - Vincolo paesaggistico - Sanzione pecuniaria prevista dall'art. 15 L. n. 1497/1939 - Lavori di ristrutturazione edilizia - Demolizione e ricostruzione dei muri perimetrali dell'edificio - Non consentiti dalla concessione edilizia - Legittimità dell'irrogazione della sanzione.
Ambiente - Vincolo paesaggistico - Sanzione pecuniaria prevista dall'art. 15 L. n. 1497/1939 - Presupposti per l'irrogazione - Violazione del vincolo - Sufficienza - Valutazione sul pregiudizio recato all'ambiente - Non occorre.
Ambiente - Vincolo paesaggistico - Sanzione pecuniaria prevista dall'art. 15 L. n. 1497/1939 - Determinazione - Valutazione in via equitativa - Sufficienza - Indagine dettagliata - Non occorre.
Ambiente - Vincolo paesaggistico - Sanzione pecuniaria prevista dall'art. 15 L. n. 1497/1939 - Mancata determinazione del danno arrecato - Impugnazione in sede giurisdizionale - Interesse a ricorrere - Non sussiste - Ragioni.
(L. 29 giugno 1939 n. 1497, art. 15)
Legittimamente viene irrogata la sanzione pecuniaria prevista dall'art. 15 L. n. 1497/1939 nel caso in cui, nel corso dei lavori di ristrutturazione di un immobile soggetto a vincolo, siano state demolite e poi ricostruite ex novo le murature perimetrali dell'immobile oggetto dell'intervento, in contrasto con le prescrizioni contenute nella concessione edilizia. Né può attribuirsi rilievo alla circostanza che la sostituzione dei muri perimetrali si sarebbe resa necessaria per scongiurare il pericolo per l'equilibrio statico dell'edificio, dato che in tal caso si sarebbe dovuto chiedere al Comune apposito sopralluogo per la verifica della affermata situazione di pericolo.
Il sistema sanzionatorio previsto dall'art. 15 L. 29 giugno 1939 n. 1497 è applicabile per il solo fatto della violazione dell'obbligo di non mutare lo stato dei luoghi, senza che sia richiesta una preventiva indagine circa il pregiudizio per la bellezza d'insieme.
La valutazione dell'indennità ex art. 15 L. 29 giugno 1939 n. 1497 non può che essere equitativa e collegata ad una stima tecnica di carattere generale, insuscettibile di una dimostrazione articolata e analitica, sfuggendo il danno paesistico per la sua natura intrinseca, ad una indagine dettagliata e minuta.
L'art. 15 L. 29 giugno 1939 n. 1497, consentendo l'imposizione di una indennità pari alla maggior somma tra il danno arrecato e il profitto conseguito, pone il trasgressore in una situazione di non interesse a dedurre in giudizio l'inosservanza di tale norma per avere l'amministrazione accertato il solo profitto conseguito, poiché, nel caso in cui il danno fosse inferiore al profitto l'indennità sarebbe commisurabile a quest'ultimo; mentre, nel caso inverso, risulterebbe un maggior onere economico per il ricorrente (1).
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(1) Cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 18 ottobre 1977 n. 796. Alla stregua di tali principi , nella specie, la Sez. V ha ritenuto che "l'operato della Provincia di Belluno si rivela pienamente legittimo, essendosi proceduto alla quantificazione della sanzione pecuniaria sulla base di un apposito conteggio eseguito dal Genio Civile, il quale ha determinato con sufficiente attendibilità e puntualità il maggior profitto conseguito dai ricorrenti con riferimento alla differenza tra i costi afferenti ai lavori di restauro e quelli inerenti ai lavori di demolizione e ricostruzione".
FATTO
Con ricorso notificato il 29 novembre 1990, i signori Lino e Leo Lacedelli esponevano di essere proprietari di un fabbricato situato in località Lacedel del Comune di Cortina d'Ampezzo, di particolare interesse storico, ambientale in quanto riconducibile ai modelli architettonici delle preesistenze rustiche tipiche della zona ampezzana e, pertanto, sottoposto, ai sensi e per gli effetti di cui al D.M. 10.6.1952, alla disciplina posta dalla legge 29.6.1939 n. 1497 per i "complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale".
Intendendo procedere al recupero di detto fabbricato, i ricorrenti presentavano al Comune di Cortina d'Ampezzo domanda per il rilascio di concessione di ristrutturazione.
Il progetto otteneva, in data 9.7.1985, il previo parere favorevole della competente Commissione Consultiva per i BB.AA., sicché il Sindaco del Comune di Cortina d'Ampezzo lo assentiva con la concessione n. 1/86, nella quale peraltro venivano riportate le prescrizioni provinciali, con particolare riferimento al mantenimento delle murature perimetrali e delle partiture interne portanti, per le quali erano ammesse solo operazioni di consolidamento e restauro, nonché di tutte le strutture lignee esistenti, con la sola sostituzione degli elementi deteriorati.
Iniziati i lavori, parte delle murature e delle strutture portanti risultarono gravemente compromesse con pericolo per l'equilibrio statico dell'edificio, e quindi fu necessario sostituire quelle parti maggiormente lesionate nel rispetto dei limiti imposti dalla natura della concessione assentita tramite opere edilizie riconducibili al metodo del "cuci/scuci".
Senonché l'Ufficio Beni Ambientali di Belluno, a seguito di sopralluogo in data 27.4.1987, rilevava una difformità delle opere realizzate rispetto alla concessione assentita e ordinava la sospensione dei lavori.
Il Presidente della Provincia di Belluno, con provvedimento n. 10633 del 21 agosto 1987, accertava l'avvenuta produzione di danno ambientale e, non essendo possibile la restituzione in pristino, con successivo provvedimento n. 41943 del 29 settembre 1990 ingiungeva il pagamento della somma di L. 48.000.000 a titolo di sanzione ex art. 15 legge 29.6.1939 n. 1497.
Avverso quest'ultimo provvedimento e la perizia di stima in esso richiamata, redatta dall'Ufficio del Genio Civile di Belluno, deducono i seguenti motivi:
I) Violazione e falsa applicazione della legge 29.6.1939 n. 1497. Eccesso di potere sotto il profilo del travisamento dei fatti, del difetto dei presupposti e dello sviamento.
Il Presidente della Provincia di Belluno ha comminato la sanzione di cui all'art. 15 della cennata legge n. 1497/1939 ed ha, conseguentemente, ingiunto il pagamento della somma di L. 48.400.000 nel presupposto che i ricorrenti avessero realizzato l'assentito intervento edilizio di ristrutturazione mediante una demolizione e successiva ricostruzione del fabbricato, in difformità rispetto alle modalità esecutive imposte dalla concessione stessa e venendo così a compromettere l'interesse ambientale tutelato dalla vigente normativa.
Tutto ciò non risponde al vero. In primo luogo perché i lavori non sono stati realizzati in difformità dal titolo autorizzativo e dal progetto approvato, essendo stata operata non una totale demolizione, ma solo la sostituzione di quelle parti delle strutture portanti ormai integralmente inutilizzabili.
Dallo stesso processo verbale del sopralluogo, del tutto generico in ordine al punto qui valutato, dando unicamente atto della circostanze che parte delle murature "risultano di recente costruzione", non si può inferire che ciò ha necessariamente comportato la demolizione del fabbricato.
Ci si è in sostanza limitati ad una generica enunciazione priva di ogni supporto documentale e tecnico.
Ciò assume maggiore evidenza anche ove si voglia qualificare come restauro l'intervento assentito.
Poiché il Sindaco aveva assentito il rinnovo delle murature perimetrali e delle partiture interne, tali operazioni devono ritenersi consentite.
In secondo luogo, si denuncia l'assoluta inesistenza del danno ambientale lamentato dalla P.A.
Nella fattispecie, la norma non può dirsi violata in quanto, come riconosciuto dalla stessa relazione a cura dell'Ufficio del Genio Civile di Belluno posta a base della sanzione "risulta che il fabbricato è stato ricostruito in base al progetto, sia per quanto riguarda l'ubicazione, le dimensioni in pianta, l'altezza dei piani, l'altezza del colmo, la distribuzione interna dei locali, nonché la posizione e dimensione dei fori e dei poggioli" e che "la ricostruzione è avvenuta comunque mantenendo invariato, anche rispetto al primo progetto approvato, il numero degli appartamenti e l'aspetto planivolumetrico".
II) Eccesso di potere sotto il profilo del difetto di istruttoria, della carenza assoluta di motivazione e della illogicità manifesta.
La sanzione pecuniaria è stata determinata in relazione al profitto conseguito dai trasgressori mediante l'abuso, il quale è stato calcolato nella somma di L. 48.400.000; profitto che è stato determinato in relazione alla "differenza tra il costo del restauro ed il costo della ricostruzione". Peraltro, nell'indicare una somma forfettariamente valutata in L. 220.000/mq di maggiori oneri, l'Amministrazione non dà alcuna ragione dei calcoli effettuati, proponendo tale cifra in maniera aprioristica e immotivata come, d'altronde, immotivata appare la determinazione delle voci prese quale indice di riferimento.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, Sezione Seconda, con sentenza 30 marzo 1993 n. 250, ha respinto il ricorso.
Con ricorso depositato il 24 dicembre 1993, i signori Lino e Leo Lacedelli hanno proposto appello avverso l'anzidetta sentenza, denunciandone l'erroneità e riproponendo, con più ampie argomentazioni, le censure già formulate con il ricorso introduttivo, integrate da specifiche censure riguardanti le argomentazioni che compongono il ragionamento del primo giudice.
La Provincia di Belluno si è costituita in giudizio e, con memoria depositata il 27 maggio 1999, ha chiesto il rigetto dell'appello.
Con memoria depositata il 31 maggio 1999, gli appellanti hanno insistito per l'accoglimento del ricorso.
DIRITTO
Con il primo motivo, gli appellanti sostengono che la ritenuta difformità delle opere realizzate - individuata nel presunto integrale abbattimento dei muri perimetrali e sulla base della quale è stata irrogata la sanzione pecuniaria per violazione della legge n. 1497/1939 - è in realtà insussistente, giacché non è stata effettuata nessuna integrale demolizione e ricostruzione, ma soltanto la sostituzione di singole parti di muratura che non potevano essere recuperate, mantenendo inalterate tutte le caratteristiche tipologiche, architettoniche e planivolumetriche dell'edificio.
Il motivo è infondato.
Il T.A.R. ha correttamente desunto dalla valutazione complessiva della documentazione acquisita al giudizio la circostanza che i ricorrenti avevano demolito e poi ricostruito ex novo le murature perimetrali dell'immobile oggetto dell'intervento. Ciò in contrasto con le puntuali prescrizioni stabilite nell'atto di assenso n. 1960 del 9 luglio 1985 della Provincia di Belluno ("che l'intervento sia condotto secondo i più rigidi criteri del restauro con particolare riferimento: - al mantenimento delle murature perimetrali ed partiture interne portanti per le quali sono ammesse solo operazioni di consolidamento e restauro; - al mantenimento delle quote di colmo e di gronda; al mantenimento di tutte le strutture lignee esistenti con la sola sostituzione degli elementi deteriorati; . . ."), prescrizioni trascritte dal Comune di Cortina d'Ampezzo nel successivo provvedimento concessorio n. 1/86.
Gli elementi considerati dal primo giudice sono i seguenti: la relazione di sopralluogo (effettuato in data 27 aprile 1987) dagli architetti Paolo Centelleghe, funzionario dell'Ufficio Beni Ambientali della Provincia di Belluno, e Gianfranco Tesolin, funzionario della Regione Veneto e membro della Commissione Consultiva per i Beni Ambientali, e la perizia del Genio Civile di Belluno redatta (su richiesta della Provincia e finalizzata alla quantificazione della sanzione pecuniaria) dall'architetto Adolfo Majer.
Nella prima si legge che "si è potuto verificare che le murature perimetrali risultano di recente costruzione, il che ha di fatto comportato la demolizione del fabbricato esistente...", nella seconda che "appare evidente che la vecchia muratura è stata demolita e ricostruita con nuova muratura portante in mattoni semipieni e malta cementizia ...".
Né appare censurabile l'aver presunto l'avvenuta demolizione dalla recente ricostruzione dei muri perimetrali: si tratta di una deduzione plausibile secondo norme di comune esperienza.
L'avvenuta demolizione, del resto, è esplicitamente ammessa dagli stessi ricorrenti, i quali, dopo l'instaurazione del procedimento sanzionatorio, hanno chiesto espressamente la sanatoria per la costruzione delle murature dissestate (sanatoria concessa con atto sindacale n. 25/89 del 17.3.1989 - peraltro subordinato al pagamento della sanzione - e che ha prodotto la cessazione della materia del contendere in relazione al ricorso avverso l'ordinanza di sospensione dei lavori n. 3 del 26 maggio 1987).
Nello stesso ricorso di primo grado si ammette comunque che si è proceduto "alla sostituzione di quelle parti delle strutture portanti ormai integralmente inutilizzabili".
Infine, la stessa relazione di parte dell'arch. F. Verderi, pur argomentando in modo ampio sulla mancanza di pregiudizio alle bellezze naturali, non spende una sola parola per affermare la non avvenuta demolizione dei muri perimetrali, Anzi, limitandosi ad assumere che in fatto la ricostruzione è avvenuta in modo fedele, implicitamente ammette che la demolizione vi è stata.
Né può attribuirsi rilievo alla affermazione di parte ricorrente secondo cui la sostituzione dei muri perimetrali si sarebbe resa necessaria per scongiurare il pericolo per l'equilibrio statico dell'edificio. In relazione a tale evenienza avrebbe dovuto essere chiesto al Comune apposito sopralluogo per la verifica della affermata situazione di pericolo; ma di una tale richiesta non v'è traccia.
Nemmeno possono condividersi le argomentazioni degli appellanti in ordine alla qualificazione dell'intervento assentito, atteso che il titolo concessorio conteneva esplicite prescrizioni, che non potevano essere disattese. Tantomeno le argomentazioni circa la mancanza di danno ambientale, giacché nella fattispecie il danno, sostanziandosi nella perdita di una preesistenza non più recuperabile, è immanente in re ipsa.
A quest'ultimo riguardo è pacifico in giurisprudenza che il sistema sanzionatorio previsto dall'art. 15 L. 29 giugno 1939 n. 1497 è applicabile per il solo fatto della violazione dell'obbligo di non mutare lo stato dei luoghi, senza che sia richiesta una preventiva indagine circa il pregiudizio per la bellezza d'insieme.
Con il secondo motivo di gravame gli appellanti contestano la sanzione pecuniaria inflitta, determinata in relazione al profitto conseguito, calcolato in relazione alla "differenza tra il costo del restauro ed il costo della ricostruzione". Peraltro, nell'indicare una somma forfettariamente valutata in L. 220.000/mq, l'Amministrazione non dà alcuna ragione dei calcoli effettuati, stabilendo tale cifra in maniera aprioristica e immotivata come, d'altronde, immotivata appare la determinazione delle voci prese quale indice di riferimento.
Il motivo è infondato.
La giurisprudenza amministrativa, in ordine ai criteri di determinazione e motivazione sulla entità della sanzione pecuniaria, ha chiarito che la valutazione dell'indennità ex art. 15 L. n. 1497/1939 non può che essere equitativa e collegata ad una stima tecnica di carattere generale, insuscettibile di una dimostrazione articolata e analitica, sfuggendo il danno paesistico per la sua natura intrinseca, ad una indagine dettagliata e minuta. Ha precisato, altresì, che l'art. 15 citato, consentendo l'imposizione di una indennità pari alla maggior somma tra il danno arrecato e il profitto conseguito, pone il trasgressore in una situazione di non interesse a dedurre in giudizio l'inosservanza di tale norma per avere l'amministrazione accertato il solo profitto conseguito, poiché, nel caso in cui il danno fosse inferiore al profitto l'indennità sarebbe commisurabile a quest'ultimo; mentre, nel caso inverso, risulterebbe un maggiore onere economico per il ricorrente (C.d.S., VI, 18 ottobre 1977 n. 796).
Alla luce di tali principi giurisprudenziali, l'operato della Provincia di Belluno si rivela pienamente legittimo, essendosi proceduto alla quantificazione della sanzione pecuniaria sulla base di un apposito conteggio eseguito dal Genio Civile, il quale ha determinato con sufficiente attendibilità e puntualità il maggior profitto conseguito dai ricorrenti con riferimento alla differenza tra i costi afferenti ai lavori di restauro e quelli inerenti ai lavori di demolizione e ricostruzione.
Per le considerazioni che precedono l'appello è infondato e deve essere respinto.
Sussistono, tuttavia, giusti motivi per compensare fra le parti le spese del secondo grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Quinta Sezione, respinge il ricorso in appello proposto, come in epigrafe, da Lino e Leo Lacedelli e conferma la sentenza appellata.
Compensa fra le parti le spese del secondo grado di giudizio.