CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V - Sentenza 13 dicembre 1999 n. 2107 - Pres. Serio, Est. Cintioli Gallo (Avv.ti S. e A. Lopardi) c. Comune di L'Aquila (Avv. L. Torelli) - (conferma T.A.R. Abruzzo, L'Aquila, 16 gennaio 1999 n. 38)
Edilizia ed urbanistica - Piano regolatore generale - Vincoli di inedificabilità - Efficacia - Ex art. 2 L. n. 1187/1968 - E' quinquennale.
Edilizia ed urbanistica - Piano regolatore generale - Vincoli di inedificabilità - Sopravvenuta inefficacia - Conseguenze - Edificabilità - Limiti.
Edilizia ed urbanistica - Piano regolatore generale - Vincoli di inedificabilità - Sopravvenuta inefficacia - Reitera del vincolo - Possibilità previa previsione di indennizzo - Inerzia del comune - Rimedi giuridici del proprietario dell'area.
L'art. 2, comma 1, L. 19 novembre 1968, n. 1187, stabilisce che le indicazioni di piano regolatore generale, nella parte in cui incidono su beni determinati ed assoggettano i beni stessi a vincoli preordinati all'espropriazione od a vincoli che comportino l'inedificabilità, perdono ogni efficacia qualora entro cinque anni dalla data di approvazione del piano regolatore generale non siano stati approvati i relativi piani particolareggiati od autorizzati i piani di lottizzazione convenzionati; tale norma, anche a seguito dell'entrata in vigore della legge sull'edificabilità dei suoli (n. 10/1977) e dei successivi interventi della Corte Costituzionale (per tutti, v. sentenza n. 5 del 1980), rimane applicabile a tutti i vincoli di inedificabilità derivanti dalle prescrizioni del piano regolatore generale (1).
L'effetto della decadenza del vincolo è quello dell'applicazione dell'art. 4, ultimo comma, della legge n. 10 del 1977, il quale stabilisce entro quali limiti possa rilasciarsi una concessione di edificare nei Comuni sprovvisti degli strumenti urbanistici generali (2). Ai sensi di tale disposizione, fuori del perimetro dei centri abitati l'edificazione residenziale non può superare l'indice di metri cubi 0,03 per metro quadrato, mentre nell'ambito dei centri abitati sono consentite soltanto opere di restauro e di risanamento conservativo, di manutenzione ordinaria o straordinaria, di consolidamento statico e di risanamento igienico.
Atteso che i Comuni sono obbligati a dotarsi di uno strumento urbanistico generale che copra l'intero territorio, la situazione di inedificabilità conseguente alla sopravvenuta inefficacia di talune destinazioni di piano ha natura provvisoria, essendo destinata a durare fino all'obbligatoria integrazione del piano (o del programma di fabbricazione), divenuto parzialmente inoperante. Il Comune, dunque, alla scadenza del vincolo potrebbe anzitutto determinarsi a reiterarlo, salvo l'obbligo di indennizzo per l'avvenuto esaurimento del termine ordinario di efficacia (3). Se, tuttavia, il Comune non si attiva, mediante la reiterazione o, più in generale, mediante una rinnovata regolamentazione urbanistica dell'area, il privato che vi abbia interesse può promuovere gli interventi sostitutivi della Regione oppure agire in via giurisdizionale, seguendo il procedimento del silenzio-rifiuto.
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(1) V., ex plurimis, Corte Cost., sentenza n. 92 del 1982.
(2) Cfr. Cons. Stato, Ad. Plen., 2 aprile 1984, n. 7.
(3) Cfr. Corte Cost., sentenza n. 179 del 1999.
FATTO
La sentenza appellata ha dichiarato inammissibile il ricorso di Luigi Gallo volto ad ottenere, nei confronti del Comune di L'Aquila, l'ottemperanza alla sentenza passata in giudicato pronunziata dallo stesso T.A.R. Abruzzo in data 12.12.1997, n. 631/97.
L'appellante ha censurato la motivazione della sentenza di primo grado, chiedendone l'integrale riforma con l'accoglimento della domanda e con l'adozione dei provvedimenti necessari per l'esecuzione del giudicato, ivi compresa la nomina di un commissario ad acta.
Si è costituito in giudizio il Comune di L'Aquila, che ha resistito ai motivi di appello.
La causa è stata discussa nell'udienza del 13 luglio 1999.
DIRITTO
1. Il giudicato di cui si chiede l'esecuzione si è formato sulla citata sentenza n. 631/97 del T.A.R. Abruzzo, la quale si è pronunziata modalità di intervento, parametri e destinazioni d'uso sono fissati dall'art. 89 della legge regionale n. 18/1983 nel testo in vigore". Tale ultima disposizione, per la precisione, stabilisce che nei Comuni per qualunque ragione sforniti di strumento urbanistico generale vigente o nelle aree nelle quali siano scaduti i vincoli urbanistici ai sensi dell'art. 2 della legge 19 novembre 1968, n. 1187 sono ammessi esclusivamente gli interventi previsti dall'art. 4, ultimo comma lettere a) e b) della legge n. 10/1977.
Il Gallo ha ritenuto che siffatta risposta non costituisse idoneo atto esecutivo del giudicato, essendo l'Amministrazione obbligata a dettare un nuovo regime urbanistico del suolo, e che, dunque, non potesse in essa ravvisarsi un contegno idoneo a fornire "gli indici di edificabilità pertinenti allo scopo richiesto".
Il T.A.R. ha, tuttavia, dichiarato inammissibile il ricorso proposto dall'interessato nel giudizio di ottemperanza, affermando che la nota comunale ha dato correttamente esecuzione alla sentenza di annullamento del silenzio-rifiuto, "poiché i richiesti indici di edificabilità risultano chiaramente dalle norme (artt. 21 e 30 N.T.A. e art. 89 L.R. 18/1983) allegate".
3. L'appellante deduce un unico motivo, articolato nei termini di cui in ricorso, col quale, in sintesi, afferma che il T.A.R. avrebbe disconosciuto il reale significato del giudicato, per la ragione che l'annullamento del silenzio rifiuto avrebbe costituto a carico dell'Amministrazione un preciso vincolo ad adottare una nuova disciplina urbanistica, sciogliendo la situazione di precarietà ed incertezza seguita alla decadenza del vincolo di inedificabilità. Sicché la nota di risposta, limitandosi a comunicare ciò che era già noto, ossia la destinazione di piano cui si collegava il vincolo ormai decaduto, e risolvendosi nel richiamo di una legge regionale sicuramente destinata a fronteggiare una situazione di precarietà nel regime urbanistico dell'area, non sarebbe stata affatto conforme alle previsioni del giudicato da ottemperare.
4. L'art. 2, comma 1, L. 19 novembre 1968, n. 1187, stabilisce che le indicazioni di piano regolatore generale, nella parte in cui incidono su beni determinati ed assoggettano i beni stessi a vincoli preordinati all'espropriazione od a vincoli che comportino l'inedificabilità, perdono ogni efficacia qualora entro cinque anni dalla data di approvazione del piano regolatore generale non siano stati approvati i relativi piani particolareggiati od autorizzati i piani di lottizzazione convenzionati. Questa norma, anche a seguito dell'entrata in vigore della legge sull'edificabilità dei suoli (n. 10/1977) e dei successivi interventi della Corte Costituzionale (per tutti, v. sentenza n. 5 del 1980), rimane applicabile a tutti i vincoli di inedificabilità derivanti dalle prescrizioni del piano regolatore generale. (v., ex plurimis, Corte Cost., sentenza n. 92 del 1982).
L'effetto della decadenza del vincolo è quello dell'applicazione dell'art. 4, ultimo comma, della legge n. 10 del 1977, il quale stabilisce entro quali limiti possa rilasciarsi una concessione di edificare nei Comuni sprovvisti degli strumenti urbanistici generali (v. Cons. Stato, Ad. Plen., 2 aprile 1984, n. 7). Ai sensi di tale disposizione, fuori del perimetro dei centri abitati l'edificazione residenziale non può superare l'indice di metri cubi 0,03 per metro quadrato, mentre nell'ambito dei centri abitati sono consentite soltanto opere di restauro e di risanamento conservativo, di manutenzione ordinaria o straordinaria, di consolidamento statico e di risanamento igienico.
Atteso che i Comuni sono obbligati a dotarsi di uno strumento urbanistico generale che copra l'intero territorio, la situazione di inedificabilità conseguente alla sopravvenuta inefficacia di talune destinazioni di piano è stata ritenuta per sua natura provvisoria, essendo destinata a durare fino all'obbligatoria integrazione del piano (o del programma di fabbricazione), divenuto parzialmente inoperante. Il Comune, dunque, alla scadenza del vincolo potrebbe anzitutto determinarsi a reiterarlo, salvo l'obbligo di indennizzo per l'avvenuto esaurimento del termine ordinario di efficacia (v. Corte Cost., sentenza n. 179 del 1999). Se, tuttavia, il Comune non si attiva, mediante la reiterazione o, più in generale, mediante una rinnovata regolamentazione urbanistica dell'area, il privato che vi abbia interesse può promuovere gli interventi sostitutivi della Regione oppure agire in via giurisdizionale, seguendo il procedimento del silenzio-rifiuto.
Proprio in questo ambito, secondo gli intendimenti dell'appellante, si sarebbe verosimilmente l'istanza notificata al Comune dell'Aquila al fine di costituire il silenzio-rifiuto, successivamente oggetto di annullamento giurisdizionale.
La questione centrale della presente controversia, tuttavia, consiste nell'accertare il valore giuridico del giudicato amministrativo de quo, al fine di stabilire se esso abbia una portata sostanziale ovvero solo formale: nel primo caso esso comporterebbe un giudizio di fondatezza della pretesa del privato a che il Comune provveda a dettare una nuova disciplina di dettaglio, con concrete previsioni circa l'edificabilità delle aree, cui si collegherebbe l'inevitabile obbligo di ottemperare; nel secondo caso, invece, esso avrebbe il più modesto effetto di imporre al Comune l'obbligo di rispondere alla richiesta del privato, comunicando il regime attuale di edificabilità dell'area a seguito della sopravvenuta scadenza del vincolo di inedificabilità.
Il collegio ritiene che il dubbio debba sciogliersi a vantaggio della seconda ipotesi e che, pertanto, ne discenda il rigetto dell'appello e la conferma della sentenza impugnata.
Il primo argomento che sorregge questa tesi è quello che si desume dal contenuto dell'istanza rivolta dal Gallo all'Amministrazione, la quale appare prevalentemente diretta a conoscere solo "gli indici di edificabilità" dell'area, anziché a richiedere, con maggior precisione, il rinnovato esercizio del potere di pianificazione, al fine di darvi un diverso assetto urbanistico, con previsioni che valgano a colmare, con sufficiente livello di approfondimento, la lacuna provocata dalla decadenza del vincolo di inedificabilità. Gli indici di edificabilità dell'area a seguito di tale decadenza, a ben vedere, sono stati comunicati dall'Amministrazione con la citata nota del 20.5.1998, e ciò non tanto con il riferimento alle indicazioni delle N.T.A., costituenti il fondamento del vincolo ormai esauritosi, quanto con il richiamo della legislazione regionale mirata a risolvere proprio la questione pratica di interesse del ricorrente, sulla base di un'opzione normativa che ha interamente recepito gli orientamenti giurisprudenziali in materia.
Il secondo argomento si incentra nel più attento esame dei contenuti della sentenza di cui si chiede l'esecuzione.
In primo luogo essa pone a base dell'accoglimento del ricorso il disposto dell'art. 2, della legge n. 241/1990, che disciplina il termine del procedimento: l'inosservanza del termine per provvedere sull'istanza in una violazione di natura meramente procedimentale, per sua natura estranea ai profili di fondatezza sostanziale della pretesa.
In secondo luogo la sentenza, pur incidentalmente richiamando le difese del Comune circa l'asserita inutilizzabilità dell'area a scopo edificatorio, a causa di un parere contrario della Regione, e circa l'enunciata inapplicabilità dello stesso art. 4 della legge n. 10/1977, dichiara espressamente di prescindere dalla fondatezza di tali argomenti, per l'impossibilità di integrare in giudizio la carente motivazione dell'atto. La questione di merito relativa alle effettive ragioni del ricorrente ancora una volta appare, dunque, sottratta alla cognizione del giudice. E' parimenti significativa la conclusione della sentenza, con cui si afferma l'obbligo del Comune "di pronunciarsi" a favore dell'interessato.
Da ultimo, si osserva che l'art. 4, ultimo comma, della legge n. 10/1977, prevede che il limitato regime di edificabilità più sopra richiamato concerne i Comuni sprovvisti degli strumenti urbanistici generali "in mancanza di norme regionali e fino all'entrata in vigore di queste". Sicché, nel caso di specie, la questione sostanziale che il ricorrente pretenderebbe già risolta dal giudicato si estende ad un ulteriore profilo. Posto, invero, che l'art. 4, ultimo comma, detta un regime urbanistico comunque provvisorio per le aree sulle quali è ormai decaduto il vincolo di inedificabilità, accompagnandosi ad esso l'obbligo del Comune di attivarsi nel predisporre una nuova disciplina di dettaglio, è da verificare se siffatto obbligo permanga (ed in quale misura) nei confronti dei Comuni che debbano osservare una legge regionale che disciplina autonomamente l'assetto urbanistico di tali aree. Una disciplina specifica è, per l'appunto, quella risalente all'art. 89, legge Regione Abruzzo 12.4.1983, n. 18, successivamente modificata, che, a sua volta, richiama il disposto dell'art. 4 in questione. Il problema in oggetto, sul quale il collegio non è chiamato ad esprimere apposita valutazione, è rimasto estraneo al giudicato da ottemperare; sicché se ne desume un ulteriore indice a conforto della tesi che gli assegna una portata meramente formale.
Ne segue il rigetto dell'appello.
Sussistono giusti motivi per compensare interamente tra le parti le spese del secondo grado di giudizio.
P.Q.M.
il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Quinta Sezione, definitivamente pronunziando, rigetta l'appello.
Dichiara interamente compensate tra le parti le spese processuali.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Depositata in cancelleria il 13 dicembre 1999.