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CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V - Sentenza 28 aprile 1999 n. 495 - Pres. Paleologo, Est. De Francisco - Graspugli (Avv. Stancanelli) C. Comune di Firenze (Avv.ti Clarizia e Selvaggi) - (conferma T.A.R. Toscana, Sez. I, 7 febbraio 1992, n. 37).

Edilizia e urbanistica - Concessione edilizia - Condono - Oblazione - Conguaglio - Prescrizione - Decorrenza - Dalla data di presentazione della domanda - Termine triennale di prescrizione - Computo - Criteri - Applicabilità art. 252 disp. trans. c.c.

Edilizia e urbanistica - Concessione edilizia - Condono - Oblazione - Coefficiente di maggiorazione - Applicabilità - Considerazione unitaria dell'immobile - Necessità.

E' dal momento di presentazione dell'istanza di concessione in sanatoria che decorre il dies a quo del termine di prescrizione relativo ai conguagli dell'oblazione dovuta  (1).

All'abbreviazione a tre anni del termine di prescrizione introdotta con effetto dal 14 marzo 1988 dal 12° comma dell'art. 35 della L. 13 marzo 1988 n. 68 (che ha convertito in legge il D.L. 12 gennaio 1988 n. 2), va applicato il principio generale espresso dall'art. 252 disp. trans. cod.civ., secondo cui, quando per l'esercizio di un diritto ovvero per la prescrizione, la legge sopravvenuta stabilisce un termine più breve di quello stabilito dalle leggi anteriori, il nuovo termine si applica anche all'esercizio dei diritti sorti anteriormente ed alle prescrizioni in corso, ma il nuovo termine decorre dalla data di entrata in vigore della legge che ne ha disposto l'abbreviazione, purché, a norma della legge precedente, non rimanga a decorrere un termine minore.

In sede di applicazione del coefficiente di maggiorazione per il calcolo dell'oblazione dovuta, la nozione di opera abusiva va identificata con riferimento alla unitarietà dell'immobile o del complesso immobiliare, essendo irrilevante che quest'ultimo sia suddiviso o suddivisibile ove sia stato realizzato dal medesimo costruttore o proprietario in esecuzione di un disegno unitario.

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(1) Cfr., in proposito, Cons. Stato, sez. V, 11 dicembre 1991, n. 1364, nonché, in particolare, Cass., sez. un., 19 dicembre 1990, n. 753.

 

 

DIRITTO

Il primo motivo di appello deduce la violazione dell'art. 35, 12° (ora 18°) comma, L. 28 febbraio 1985 n. 47.

Secondo l'appellante, la prescrizione di trentasei mesi prevista dalla citata disposizione normativa decorre dalla data di presentazione della domanda. Non essendo stato mai interrotto il termine prescrizionale, il 20 marzo 1989, con il decorso del triennio dal predetto momento di decorrenza, si è estinto il diritto dei comune di richiedere il pagamento di qualsivoglia conguaglio.

Il motivo in esame, riproposto in questa sede, era stato respinto in primo grado per avere il T.A.R. ritenuto che il termine di prescrizione di cui trattasi inizia a decorrere solo dalla data del provvedimento comunale che conclude il procedimento di condono edilizio, ovvero dalla data di formazione del silenzio-assenso, il quale ultimo nella specie non si sarebbe mai formato, essendo il contenuto della domanda di condono dolosamente infedele (difettavano le condizioni di cui all'art. 35, 3' comma, lett. d, della citata L. 47/85, falsamente dichiarate dal richiedente la sanatoria).

Il motivo è infondato, ma per motivi diversi da quelli indicati dal T.A.R.

Ritiene il collegio che esattamente l'appellante individua nel momento di presentazione dell'istanza di concessione in sanatoria il termine a quo della prescrizione dei diritto delle parti dei procedimento ad ottenere il pagamento dei conguagli (da dare o da avere dal privato); la norma rubricata a base dei motivo in esame ha soltanto ridotto a tre anni l'originario termine ordinario di prescrizione, avente la medesima decorrenza (cfr., in proposito, Cons. Stato, sez. V, 11 dicembre 1991, n. 1364, nonché, in particolare, Cass., sez. un., 19 dicembre 1990, n. 753).

Tuttavia, nonostante tale prima questione vada risolta nel senso prospettato dall'appellante, da ciò non deriva la fondatezza dei motivo in esame.

Devesi infatti considerare che la norma in questione è intervenuta ad abbreviare a tre anni un termine di prescrizione più lungo, la cui decorrenza era già in corso al momento di entrata in vigore della novella che ne ha ridotto la durata.

In particolare, l'abbreviazione a tre anni dei termine di prescrizione è stata introdotta - nel 12° comma (ora 18° del citato art. 35) - della L. 13 marzo 1988 n. 68, di conversione dei d.l. 12 gennaio 1988 n. 2.

L'art. 4, 6' comma, dei citato d.l. dispone infatti che «al 12° comma dell'art. 35 L. 28 febbraio 1985 n. 47, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: "ed alla presentazione all'ufficio tecnico erariale della documentazione necessaria all'accatastamento". "Trascorsi trentasei mesi si prescrive l'eventuale diritto al conguaglio o al rimborso spettanti"».

Tale ultimo periodo del 6° comma del citato art. 4 - che è poi quello che rileva ai fini della decisione in ordine al motivo di appello in esame - è stato aggiunto dalla legge di conversione 13 marzo 1988 n. 68, la quale è stata pubblicata nella G.U. 14 marzo 1988, n. 61, ed è entrata in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione.

Ne consegue che l'ordinario termine originario di prescrizione è stato ridotto a tre anni con effetto dal 14 marzo 1988 (ferma restando la sua decorrenza dalla data della domanda di condono: v. la decisione 1364/91, cit.).

Orbene, in tale situazione di successione dì previsioni normative, non può non trovare applicazione il principio generale espresso dall'art. 252 disp. trans. c.c.

Secondo tale principio generale dell'ordinamento giuridico dello Stato - di cui la norma da ultimo citata è espressione - quando per l'esercizio di un diritto ovvero per la prescrizione la legge sopravvenuta stabilisce un termine più breve di quello stabilito dalle leggi anteriori, il nuovo termine si applica anche all'esercizio dei diritti sorti anteriormente ed alle prescrizioni in corso, ma il nuovo termine decorre dalla data di entrata in vigore della legge che ne ha disposto l'abbreviazione, purché, a norma della legge precedente, non rimanga a decorrere un termine minore.

Né può seguirsi la tesi - isolatamente sostenuta da Cons. Stato, sez. IV, 31 ottobre 1997, n. 1246 - secondo cui l'abbreviazione del termine prescrizionale (nel caso di specie, a trentasei mesi) si applicherebbe retroattivamente anche ai rapporti pendenti (cioè, nella specie, alle domande di condono presentate prima dei 14 marzo 1988), perché essa implicherebbe una sorta di incostituzionale retroattività della prescrizione comportante l'estinzione immediata, alla data di entrata in vigore della legge sopravvenuta (c.d. effetto ghigliottina), di tutti i diritti sortì anteriormente e per i quali, alla data predetta, sia già decorso il nuovo termine prescrizionale più breve.

Applicando invece correttamente il principio di diritto sopra enunciato, il diritto del comune di Firenze al conguaglio non si può considerare estinto per prescrizione alla data dei provvedimento impugnato, non essendo ancora decorsi il 25 luglio 1990 trentasei mesi dall'entrata in vigore della citata novella legislativa (il termine sarebbe spirato solo il 14 marzo 1991).

Alla stregua di quanto detto, il primo motivo di appello deve rigettarsi.

Con il secondo motivo di appello si deduce violazione dell'art. 34, 5° comma, della stessa L. 47/85: secondo l'appellante, la riduzione dei cinquanta per cento di cui al primo periodo della norma citata si applicherebbe a prescindere dalla certificazione della camera di commercio, questa occorrendo solo per le ulteriori riduzioni previste dalle successive lett. a), b), e), d) ed e) dei comma medesimo.

Anche tale motivo non è fondato, in quanto l'art. 35, 3° comma, lett. d), riferisce la necessità dei certificato di iscrizione alla camera di commercio, di data non anteriore a tre mesi, a tutte «le ipotesi previste dal 5° comma dell'art. 34».

Ne consegue che non è possibile operare alcuna distinzione o esclusione nell'ambito delle predette ipotesi; il certificato è cioè necessario per beneficiare delle previsioni dell'art. 34, 5' comma, legge cit., e, in sua mancanza, si applica il 2' comma dello stesso articolo, come quest'ultimo testualmente prevede.

Il terzo motivo di appello deduce violazione dell'art. 35, 2° e 5° comma, per avere il comune sommato la superficie delle diciotto unità immobiliari, di cui alla narrativa in fatto che precede.

Anche questo motivo non è fondato, in quanto questa sezione ha già avuto modo di affermare (con decisione 22 novembre 1996, n. 1388, cit.) che «ai fini dell'applicabilità del coefficiente di maggiorazione previsto dall'art. 34 1. 28 febbraio 1985 n. 47, per il calcolo dell'oblazione, la nozione di "opera abusiva" va identificata (secondo quanto specifica la circolare ministeriale 30 luglio 1985, n. 3357, punto 6) con riferimento all'unitarietà dell'immobile o del complesso immobiliare, essendo irrilevante che quest'ultimo sia suddiviso o suddivisibile ove sia stato realizzato dal medesimo costruttore o proprietario in esecuzione di un disegno unitario».

La norma, per quale risulta dall'esegesi operatane dalla sezione, non presenta alcun profilo d'incostituzionalità, del tutto logica e dunque ragionevole essendone la relativa ratio, già rilevata dalla motivazione della citata decisione 1388/96: «infatti, stante l'evidente scopo sanzionatorio della norma, intesa a colpire con maggiore rigore gli interventi abusivi di maggior rilievo sotto il profilo urbanistico, è alla presenza di un obiettivo disegno unitario che occorre avere riguardo nei casi di dubbia configurazione, più che alla materiale coesione o separazione degli elementi del complesso immobiliare in più unità abitative».

Il quarto motivo di appello ripropone la censura di eccesso di potere per difetto di motivazione sul quantum dell'oblazione richiesta al Graspugli.

Ritiene in proposito il collegio che - al contrario - il provvedimento impugnato e i relativi atti procedimentali indichino esattamente e chiaramente il criterio di calcolo seguito dal comune, che infatti risulta svolto nel documento allegato n. 3 al fascicolo di primo grado della parte pubblica; avverso il quale nessun rilievo di inesattezza, né sul piano logico né contabile ha svolto l'appellante.

Il motivo non può quindi trovare accoglimento.

Il quinto motivo di appello deduce eccesso di potere per travisamento dei fatti, e difetto di legittimazione passiva di Giaspugli Maria Teresa relativamente alle quote dell'oblazione di pertinenza degli altri coeredi del defunto Graspugli Guido.

Il T.A.R. ha disatteso tali censure, sulla base dei rilievo che la liquidazione e l'ingiunzione contenute nel provvedimento impugnato erano rivolte al de cuius, e non direttamente alla coerede (tenuta, dunque, solo pro quota).

Rileva in proposito la sezione - richiamando lo svolgimento dei fatti occorsi durante la pendenza del secondo grado dei giudizio, come è stato esposto nella precedente narrativa - che Graspugli Maria Teresa, pagando l'intero debito del de cuius dopo la sentenza del T.A.R. (che sul punto è corretta anche sotto il profilo motivazionale), ha evidentemente pagato - pro parte - un debito consapevolmente altrui: ne consegue che, a tenore degli art. 1180 e 2036, 1' comma, c.c., non può ora ripetere dal comune di Firenze le somme versate per gli altri coeredi, salvi gli eventuali diritti di ripetizione o di regresso sussistenti sul piano civilistico tra i coeredi ai sensi degli art. 2036, 3' comma, e 1203 c.c., diritti la cui cognizione ovviamente esula dalla presente controversia.

Pertanto, neppure il quinto motivo di appello può ritenersi fondato.

Il sesto motivo deduce vizi di illegittimità derivata, e di violazione dell'art. 35, 9° comma, 1. 47/85.

Devesi in primis rilevare il difetto di ogni illegittimità derivata, relativamente alla sospensione degli effetti della sanatoria fino al «versamento della suindicata somma», disposta dal provvedimento impugnato. Essa, secondo l'appellante, sarebbe ravvisabile «non essendo dovuto alcun conguaglio (per i motivi precedenti)».

C agevole osservare, in contrario, che - per effetto del rigetto di tutti i motivi rubricati dal n. 1 al n. 5, sopra esaminati - non risulta fondato l'assunto della non debenza del conguaglio, e dunque va esclusa ogni illegittimità derivata per il profilo che si è testé esposto.

In secondo luogo, non può essere accolta neppure la censura relativa alla dedotta violazione dell'art. 35, 9° comma, cit. (consistente - in tesi di parte appellante - nel fatto che, «quand'anche un conguaglio fosse dovuto, l'integrale corresponsione dell'oblazione non costituisce presupposto per il rilascio della concessione in sanatoria»).

Pur a prescindere dal rilievo che in ordine alla possibilità della subordinazione del rilascio della concessione edilizia in sanatoria al pagamento dell'oblazione vi è stato - al più - un contrasto giurisprudenziale (ma la sezione recentemente sembra propendere per la soluzione positiva: cfr. le decisioni 14 dicembre 1994, n. 1481 e 18 gennaio 1996, n. 53), nel caso di specie è assorbente il rilievo che, nelle more del giudizio di appello, è consapevolmente intervenuto il pagamento - sia pure tardivo, ma integrale, in quanto comprensivo degli interessi - dell'oblazione richiesta dal comune di Firenze.

Atteso che, per le ragioni di diritto che sono state esposte in sede di confutazione del quinto motivo di appello, tale pagamento non è più ripetibile dalla Graspugli nei confronti dei comune appellato, ne deriva la cessazione di ogni interesse dell'appellante all'accoglimento del profilo in esame del sesto motivo di appello, dato che dal suo eventuale accoglimento nessun concreto beneficio potrebbe ormai derivare alla parte privata.

Per questo profilo, dunque, il sesto motivo di appello è divenuto improcedibile.

In conclusione, l'appello deve essere disatteso in ogni suo motivo.

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