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n. 7/8-2000 - © copyright.

CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V - Sentenza 13 luglio 2000 n. 3904 - Est. Buonvino - Associazione Nazionale Dentisti Italiani (Avv. Chiti) c. Comune di Livorno (Avv. Narese) e Barcali (n.c.) - (conferma TAR Toscana, Sez. III, 10 marzo 1994 n. 129).

Edilizia ed urbanistica - Concessione edilizia - Impugnazione - Legittimazione - Spetta a colui che si trovi in una relazione di vicinanza rispetto all'area per la quale è stata assentita la concessione edilizia - Mera residenza o sede nel Comune in cui si svolge l'attività edilizia - Insufficienza.

L'espressione "chiunque" contenuta nell'art. 31 della legge 17 agosto 1942 n. 1150, come modificato dalla legge n. 765/1967, per identificare colui che è legittimato ad impugnare una licenza (oggi concessione) edilizia deve essere intesa nel senso che essa si riferisce a colui il quale abbia una determinata relazione di vicinanza rispetto all'area per la quale è stata assentita la concessione edilizia; conseguentemente, accertata siffatta relazione, è sussistente l'interesse all'impugnazione della concessione rilasciata al proprietario viciniore (1).

L'art. 31 della legge 17 agosto 1942 n. 1150, come modificato dalla legge n. 765/1967, che consente a "chiunque" d'impugnare le concessioni edilizie ritenute illegittime, deve essere inteso nel senso che, con l'ovvia esclusione di ogni azione popolare al riguardo, va riconosciuta una posizione di interesse legittimo in capo al proprietario di un immobile sito nella zona interessata dalla costruzione o a chi si trovi in una situazione di stabile collegamento con la zona stessa; senza che, peraltro, debba essere data dimostrazione della sussistenza di un interesse qualificato alla tutela giurisdizionale; per cui si deve ritenere sussistente la posizione legittimante al ricorso in capo a colui che si trovi in una situazione di stabile collegamento giuridico con il terreno oggetto dell'intervento costruttivo autorizzato e che faccia valere un interesse giuridicamente protetto di natura urbanistica, quale è quello all'osservanza delle prescrizioni regolatrici dell'edificazione (2).

La legittimazione al ricorso in sede giurisdizionale, nei casi previsti dall'art. 31, comma 9, della legge n. 1150/1942, presuppone un criterio di stabile collegamento tra il ricorrente e la zona interessata dalla attività edilizia assentita con la concessione edilizia che s'impugna; criterio che può derivare dalla residenza nella zona interessata, dalla proprietà, possesso o detenzione di immobili in detta zona, o da. altro titolo di frequentazione di quest'ultima; mentre non è sufficiente la mera residenza o sede nel Comune in cui si svolge l'attività edilizia (3).

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(1) Cfr., tra le altre, Cons. Stato, Sez. V, 27 settembre 1991 n. 1183.ù

(2) Cfr. 18 settembre 1998, n. 1289; 13 maggio 1997, n. 483.

(3) Cfr. Sez. IV, 15 settembre 1998, n. 1155.

 

 

FATTO

1) Con l'impugnata sentenza il TAR ha riunito e dichiarato inammissibili i ricorsi, nn. 280/92 e 758/92, proposti, il primo, avverso l'autorizzazione di agibilità n. 74 del 27 novembre 1991 e la concessione edilizia n. 33 del 15 febbraio 1991, rilasciate dal Comune di Livorno alla ditta Barcali; il secondo avverso la deliberazione della G.M. di Livorno 24 aprile 1992, n. 1324, recante approvazione del piano d'impresa presentato dalla stessa ditta Barcali, nonché avverso la deliberazione consiliare 18 febbraio 1992, n. 49, e la direttiva della G.M. 14 ottobre 1991.

Secondo il TAR l'interesse concretamente dedotto nel presente giudizio, sia in relazione al ' contenuto dei provvedimenti impugnati, sia con riferimento alle censure proposte, si configurava essenzialmente come pretesa al rispetto delle destinazioni di zona previste dagli strumenti urbanistici; e poiché l'interesse sostanziale dedotto dall'associazione ricorrente non è apparso agli stessi primi giudici come interesse collettivo, di categoria o di gruppo, di cui l'ente esponenziale dei medici dentisti fosse direttamente titolare, per ciò stesso ha dichiarato i ricorsi inammissibili per difetto di legittimazione attiva.

2) Per l'appellante associazione la sentenza sarebbe erronea in quanto, ai sensi dell'art. 31 della legge urbanistica, l'AMDI sarebbe stata pienamente legittimata a proporre il ricorso di primo grado, tenuto conto dell'incidenza urbanistica dell'intervento edilizio contrastato e della capacità dello stesso di incidere sugli interessi tutelati dall'Associazione medesima.

Nel merito, poi, i ricorsi di primo grado, di cui vengono riproposte, in questa sede, le censure, sarebbero pienamente fondati e da accogliere.

Resiste il Comune di Livorno che, in memoria, insiste per la conferma dell'impugnata sentenza e, comunque, per il rigetto dell'appello anche in relazione alla infondatezza dei ricorsi di primo grado.

DIRITTO

1) L'appello è infondato.

Esso è volto a contestare, in primo luogo, la declaratoria di inammissibilità dei ricorsi di primo grado; ma ciò fa solo richiamandosi alla piena applicabilità nella specie dell'art. 31 della legge n. 1150/1942, come modificato dall'art. 10 della legge n. 765 del 6 agosto 1967; secondo l'Associazione appellante, infatti, il caso sottoposto al giudizio del TAR sarebbe stato incentrato sulla legittimità di una concessione edilizia e di atti connessi e, quindi, retto dalle dette disposizioni, in virtù delle quali "chiunque può ricorrere contro il rilascio della licenza edilizia in quanto in contrasto con le disposizioni di legge o dei regolamenti o con le prescrizioni di piano regolatore o dei piani particolareggiati di esecuzione".

Sennonché solo il primo dei ricorsi di primo grado investiva direttamente anche una concessione edilizia, mentre il successivo ricorso investiva altre e distinte determinazioni in relazione alle quali il citato art. 31 non appare utilmente invocabile, non trattandosi di impugnativa di un titolo concessorio edilizio.

Con la conseguenza che in relazione alla pronuncia, da parte dei primi giudici, della inammissibilità, per difetto di legittimazione attiva, anche del secondo dei ricorsi di primo grado, l'appellante non ha svolto, in effetti, alcuna valida censura.

Non può, infatti, con riguardo alla impugnazione di provvedimenti amministrativi non aventi natura concessoria o autorizzatoria in materia edilizia, essere utilmente invocato il citato art. 31; in particolare, tale norma non può essere utilmente invocata ai fini dell'impugnazione di provvedimenti autonomi rispetto alla detta concessione edilizia, quali l'approvazione del piano di impresa presentato dalla ditta Barcali, la deliberazione consiliare recante introduzione di criteri innovativi in materia di PIP o la delibera di GM recante nuovi indirizzi in materia.

In mancanza, quindi, di ogni altra specifica censura volta a contrastare la declaratoria di inammissibilità del ricorso proposto avverso le determinazioni ora dette, in relazione alla quali nessun rilievo può assumere l'invocata applicazione dell'art. 31 della LU (unica censura, questa, svolta nei riguardi dell'impugnata sentenza, intesa a contrastare la dedotta inammissibilità dei ricorsi di primo grado), ne consegue che, sul punto, si è formato, ormai, il giudicato.

Donde l'inammissibilità del secondo dei ricorsi di primo grado, giusta quanto pronunciato, in proposito, dal TAR.

2) - Considerazioni in parte analoghe valgono anche con riguardo alla impugnazione - svolta con il primo degli originari ricorsi - dell'autorizzazione di agibilità; questa, però, è impugnata anche in via derivata, per illegittimità della concessione edilizia; con la conseguenza che l'esito dell'impugnazione di quest'ultima è in grado di riverberare i propri effetti anche sulla detta autorizzazione.

Per tale parte si tratta, quindi, di verificare se, in base al disposto dell'art. 31 LU, l'AMDI (ora ANDI) fosse o meno legittimata a proporre il ricorso contro la detta concessione edilizia e, in via derivata, avverso l'autorizzazione di agibilità.

Sul punto si osserva che in più occasioni la Sezione ha ritenuto che l'espressione "chiunque" contenuta nell'art. 10 della legge 6 agosto 1965 n. 765, deve essere intesa nel senso che essa si riferisce a colui il quale abbia una determinata relazione di vicinanza rispetto all'area per la quale è stata assentita la concessione edilizia; conseguentemente, accertata siffatta relazione, è sussistente l'interesse all'impugnazione della concessione rilasciata al proprietario viciniore (cfr., tra le altre, 27 settembre 1991 n. 1183).

Muovendo da tale premessa, la Sezione ha anche ritenuto che l'art. 31 della legge 17 agosto 1942 n. 1150, come modificato dalla legge n. 765/1967, che consente a "chiunque" d'impugnare le concessioni edilizie ritenute illegittime, deve essere inteso nel senso che, con l'ovvia esclusione di ogni azione popolare al riguardo, va riconosciuta una posizione di interesse legittimo in capo al proprietario di un immobile sito nella zona interessata dalla costruzione o a chi si trovi in una situazione di stabile collegamento con la zona stessa; senza che, peraltro, debba essere data dimostrazione della sussistenza di un interesse qualificato alla tutela giurisdizionale; per cui si deve ritenere sussistente la posizione legittimante al ricorso in capo a colui che si trovi in una situazione di stabile collegamento giuridico con il terreno oggetto dell'intervento costruttivo autorizzato e che faccia valere un interesse giuridicamente protetto di natura urbanistica, quale è quello all'osservanza delle prescrizioni regolatrici dell'edificazione (cfr. 18 settembre 1998, n. 1289; 13 maggio 1997, n. 483).

Questo Consiglio ha anche osservato, comunque, che la legittimazione al ricorso in sede giurisdizionale, nei casi previsti dall'art. 31, comma 9, della legge n. 1150/1942, presuppone un criterio di stabile collegamento tra il ricorrente e la zona interessata dalla attività edilizia assentita con la concessione edilizia che s'impugna; criterio che può derivare dalla residenza nella zona interessata, dalla proprietà, possesso o detenzione di immobili in detta zona, o da. altro titolo di frequentazione di quest'ultima; mentre non è sufficiente la mera residenza o sede nel Comune in cui si svolge l'attività edilizia (cfr. Sez. IV, 15 settembre 1998, n. 1155).

Ebbene, nel caso dell'ANDI non sussiste alcuna relazione diretta tra l'immobile di cui viene contestata (con riguardo alla collocazione, in esso, anche di studi professionali odontoiatrici di supporto all'attività di produzione di protesi dentistiche) la realizzazione, e sedi o altre strutture dell'ANDI o di suoi affiliati lesi, in tale qualità, dalla realizzazione di detto intervento; non sussiste, quindi, alcuno stabile collegamento tra l'associazione ricorrente e la zona interessata dalla attività edilizia assentite con la concessione che s'impugna.

Stabile collegamento che va apprezzato, come si è visto, in termini di oggettiva prossimità o vicinanza fisica delle opere, oggetto dell'intervento edilizio contestato, con beni immobili di proprietà della parte ricorrente, ovvero in relazione alla residenza di essa nella zona interessata, al possesso o detenzione di immobili in detta zona o ad altro titolo di frequentazione di quest'ultima; poiché, inoltre, ai fini di cui all'art. 31 LU non è sufficiente la mera residenza o sede nel Comune in cui si svolge l'attività edilizia, deve escludersi che la semplice presenza, in Livorno, di una sezione dell'associazione possa legittimare la stessa ad avvalersi di tale norma; ché, altrimenti, l'azione offerta dall'ari 31 si trasformerebbe in vera e propria azione popolare. Per tali motivi 1' appello in epigrafe appare infondato e, per l'effetto, deve essere respinto. Le spese del grado seguono la soccombenza e sono liquidate nel dispositivo.

P.Q.M.

il Consiglio di Stato, Sezione quinta, respinge l'appello in epigrafe.

Condanna l'appellante al pagamento, a favore del Comune appellato, delle spese del grado, che liquida in complessive lire 10.000.000(diecimilioni).

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Depositata in cancelleria il 13 luglio 2000.

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