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n. 10-2000 - © copyright.

CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V - Sentenza 20 ottobre 2000 n. 5650 - Pres. Rosa, Est. Lipari - Azienda Sanitaria Locale Br/1 (Avv. Nicola Massari) c. Sardelli (Avv. Giuseppe Macchitella) - (conferma TAR Puglia-Lecce, 18 febbraio 1997 n. 70).

Pubblico impiego - Sanitari - Mansioni e funzioni - Mansioni superiori svolte per oltre 60 giorni - Diritto alle differenze stipendiali - Spettano - Presupposti.

Pubblico impiego - Sanitari - Mansioni e funzioni - Diritto alle differenze stipendiali - Interessi e rivalutazione - Criteri di calcolo.

Il divieto posto dall'art. 29 comma 1 d.P.R. 20 dicembre 1979 n. 761 di assegnare a mansioni superiori il dipendente per un periodo eccedente i sessanta giorni nell'anno solare, è diretto nei confronti dell'amministrazione. Ove, dunque, l'impiego del dipendente in più elevate mansioni si protragga oltre detto termine, si verifica un illegittimo comportamento dell'amministrazione che non si riflette in un giudizio di illiceità della prestazione la quale, pertanto, deve essere retribuita (1).

La retribuibilità delle mansioni superiori del sanitario non è subordinata a formali provvedimenti di incarico, essendo sufficiente la puntuale dimostrazione dell'effettivo espletamento delle funzioni corrispondenti al posto vacante (2). Ai fini del computo dei giorni effettivamente lavorati dal sanitario incaricato di mansioni superiori (nella specie, l'aiuto ospedaliero che esercita le mansioni interinali di primario), le festività ed i giorni di riposo settimanali non interrompono la necessaria continuità nell'esercizio delle predette mansioni e, quindi, il relativo trattamento retributivo differenziale dev'essere integralmente corrisposto anche per tali periodi - così come accade per tutti i casi in cui l'aiuto eserciti le funzioni supplenti del primario sostituito all'esterno della struttura sanitaria -, mentre non va concesso nel caso di congedo ordinario ed in tutte le varie ipotesi di congedo straordinario, fermo restando che l'interesse pubblico rimane sempre salvaguardato dal combinato disposto dall'art. 7 d.P.R. 27 marzo 1969 n. 128 e dall'art. 29 comma 2, d.P.R. 20 dicembre 1979 n. 761, secondo cui l'assegnazione temporanea a mansioni superiori, che non può eccedere sessanta giorni, non da' diritto a variazioni di trattamento economico (3).

L'art. 22, comma 36, secondo periodo, della legge 23 dicembre 1991, n. 724 si applica solo ai crediti sorti successivamente alla sua entrata in vigore, confermando, per il periodo precedente, il principio del cumulo tra interessi e rivalutazione (4). In particolare, in caso di tardivo pagamento al dipendente pubblico di crediti previdenziali, la rivalutazione monetaria e gli interessi, quali accessori della prestazione dovuta, vanno calcolati separatamente sull'importo nominale del credito stesso; ai sensi dell'art. 429 c.p.c., gli interessi legali e la rivalutazione monetaria per gli emolumenti corrisposti tardivamente ai lavoratori dipendenti vanno calcolati separatamente sull'importo nominale del credito, per cui sulla somma dovuta quale rivalutazione non vanno calcolati ne' gli interessi ne' la rivalutazione ulteriore e sulla somma dovuta a titolo di interessi non vanno computati ancora interessi e rivalutazione.

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(1) Cfr. C.d.S., Adunanza Plenaria n. 2 del 16 maggio 1991; Sez. V, 30 giugno 1995, n. 964; 9 marzo 1995, n. 328; 11 novembre 1994, n. 1284; 20 settembre 1994, n. 1010; 13 luglio 1994, n. 772; 9 aprile 1994, n. 267; 14 marzo 1994, n. 173; 13 gennaio 1994, n. 7 ; 6 dicembre 1993, n. 1251; 6 ottobre 1993, n. 996; 11 maggio 1993, n. 573; 14 aprile 1993, n. 493.

(2) Sez. V, 3 ottobre 1995, n. 1388; Cons. Giust. Amm. 26 aprile 1996, n. 81.

(3) Consiglio Stato sez. V, 11 dicembre 1995, n. 1684.

(4) Consiglio Stato a. plen., 15 giugno 1998, n. 3.

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Quinta Sezione ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello n. 5605/1997 proposto dalla Azienda Sanitaria Locale Br/1, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentato e difeso dall'Avvocato Nicola Massari ed elettivamente domiciliato presso lo studio del Prof. Giampaolo Cogo, in Roma, Via Savoia, n. 78.

CONTRO

Raffaele Sardelli, rappresentato e difeso dall'Avvocato Giuseppe Macchitella ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell'Avvocato Giuseppe Del Vecchio, in Roma, Via L. Mancinelli, n. 60.

per l'annullamento

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Puglia, Sezione Staccata di Lecce, n. 70 pubblicata in data 18 febbraio 1997.

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio e l'appello incidentale della parte appellata;

Esaminate le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti tutti gli atti di causa;

Relatore alla pubblica udienza del 27 giugno 2000, il Consigliere Marco Lipari;

Uditi l'Avvocato SANINO, su delega dell'Avv. MASSARI, per la parte appellante e l'Avvocato MACCHITELLA per l'appellato;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

FATTO

La sentenza impugnata ha accolto, in parte, il ricorso proposto dal Dott. Raffaele Sardelli, medico dipendente della USL BR/2, con la qualifica di aiuto, per l'accertamento del diritto al compenso per lo svolgimento delle mansioni superiori di primario nel periodo compreso tra il 12 luglio 1985 ed il 30 settembre 1991.

L'amministrazione contesta la decisione di primo grado.

L'appellato resiste al gravame e propone un'impugnazione incidentale.

DIRITTO

Con un primo motivo, l'amministrazione sostiene che la sentenza di primo grado ha erroneamente individuato il termine iniziale del periodo utile ai fini della determinazione del compenso per le funzioni primariali. La censura è fondata: infatti, non può essere considerato il periodo di mera assenza del primario, ma solo quello di effettiva vacanza del posto, iniziato a decorrere il 30 agosto 1985, e non il 12 luglio 1985.

Con un secondo mezzo, l'appellante sostiene che il termine finale doveva essere individuato nel 30 aprile 1991 (indicato nel ricorso introduttivo) e non nel 30 settembre 1991 (indicato in memoria non notificata). Il motivo è infondato. La domanda proposta dall'interessato ha un contenuto unitario, essendo rivolta all'accertamento del diritto alla retribuzione corrispondente alle funzioni primariali, sulla base delle mansioni svolte. Pertanto, il tribunale ha correttamente definito l'ambito temporale della pretesa, sulla base degli elementi istruttori acquisiti nel corso del giudizio. D'altro canto, l'appellante non contesta che, in linea di fatto, il Dottor Sardelli ha continuato a prestare servizio in una struttura ospedaliera priva del titolare del posto apicale.

Con un terzo motivo, l'appellante deduce che la pretesa dell'interessato non poteva essere accolta in riferimento al periodo successivo all'entrata in vigore del D.P.R. n. 384/1990. La censura è infondata. La Sezione ha già chiarito che al sanitario incaricato di mansioni superiori su posto vacante e disponibile spetta comunque il trattamento retributivo differenziato ex art. 29 comma 2, d.P.R. 20 dicembre 1979 n. 761, ancorche' tale incarico continuativo si protragga oltre il termine all'uopo stabilito dall'art. 121, d.P.R. 28 novembre 1990 n. 384 o non venga attivata dalla p.a. datrice di lavoro il procedimento concorsuale in vista del quale l'incarico stesso sia conferito (Consiglio Stato sez. V, 18 agosto 1998, n. 1270).

Con un quarto motivo, l'amministrazione contesta in radice la fondatezza della pretesa dell'interessato alla retribuzione delle mansioni superiori. Il motivo è infondato.

La Sezione, applicando i principi ermeneutici espressi dalla decisione dell'Adunanza Plenaria n. 2 del 16 maggio 1991, ha costantemente affermato che nel caso di svolgimento da parte del dipendente della USL di mansioni superiori per sostituzione in un posto vacante e disponibile, senza che l'amministrazione abbia provveduto a coprirlo, qualora il trasferimento alle mansioni superiori si protragga oltre il termine di 60 giorni nell'anno solare ed anche indipendentemente dall'esistenza di un formale atto di assegnazione, spetta al prestatore di lavoro, sulla base dell'art. 29 comma 2 d.P.R. 20 dicembre 1979 n. 761 e in via di applicazione diretta dell'art. 36 cost. e dell'art. 2126 comma 1 c.c., il trattamento economico corrispondente all'attività concretamente svolta. Infatti, non rileva in tal caso la disposizione di cui all'art. 29 comma 1 d.P.R. n. 761 del 1979, dal momento che il divieto, ivi previsto, di essere assegnato alle mansioni superiori rende illegittimo non già il comportamento del dipendente ospedaliero il quale, essendo vacante il posto superiore, svolge anche di solo fatto le mansioni corrispondenti per un periodo eccedente 60 giorni nell'anno solare, ma il comportamento dell'amministrazione che, dopo essersi giovata della facoltà concessale dalla norma in esame (esercizio delle funzioni superiori senza retribuzione), mantiene l'assegnazione, o tollera l'esercizio delle mansioni, oltre il termine ivi previsto (Sez. V, 30 giugno 1995, n. 964; 9 marzo 1995, n. 328; 11 novembre 1994, n. 1284; 20 settembre 1994, n. 1010; 13 luglio 1994, n. 772; 9 aprile 1994, n. 267; 14 marzo 1994, n. 173; 13 gennaio 1994, n. 7 ; 6 dicembre 1993, n. 1251; 6 ottobre 1993, n. 996; 11 maggio 1993, n. 573; 14 aprile 1993, n. 493;).

Infatti, il divieto posto dall'art. 29 comma 1 d. P.R. 20 dicembre 1979 n. 761 di assegnare a mansioni superiori il dipendente per un periodo eccedente i sessanta giorni nell'anno solare, è diretto nei confronti dell'amministrazione. Ove, dunque, l'impiego del dipendente in più elevate mansioni si protragga oltre detto termine, si verifica un illegittimo comportamento dell'amministrazione che non si riflette in un giudizio di illiceità della prestazione la quale, pertanto, deve essere retribuita (Consiglio Stato sez. V, 24 luglio 1993, n. 793).

Questa conclusione, poi, si armonizza perfettamente con l'indirizzo ermeneutico della Corte Costituzionale, secondo la quale l'art. 29 comma 2 d.P.R. 20 dicembre 1979 n. 761 va interpretato nel senso che la maggiorazione della retribuzione all'aiuto ospedaliero che esercita le funzioni di primario e all'assistente che esplichi quelle di aiuto, non spetta solo quando l'assegnazione temporanea non ecceda i 60 giorni restando fermo che, ove l'incarico ecceda tale termine, al prestatore di lavoro spetta il trattamento corrispondente all'attività svolta ai sensi dell'art. 2126 comma 1 c.c.; pertanto il cit. art. 29 comma 2 d.P.R. n. 761 del 1979 non è in contrasto con l'art. 36 cost. essendo erroneo il presupposto che l'articolo stesso abbia inteso negare la maggiorazione della retribuzione anche nel caso di prestazioni eccedenti i 60 giorni (Corte costituzionale 23 febbraio 1989 n. 57; 19 giugno 1990 n. 296; 26 marzo 1991 n. 130; 23 luglio 1993, n. 337; 31 marzo 1995, n. 101).

Definendo la esatta individuazione degli elementi costitutivi del diritto alla retribuzione delle mansioni superiori, la Sezione ha chiaramente definito il rilievo dell' "atto formale", uniformandosi, anche sotto questo profilo, agli indirizzi espressi dalla Corte Costituzionale e dalla Adunanza Plenaria.

Secondo i giudici della Consulta (sentenza 19 giugno 1990, n. 296), non è sempre necessario un "atto formale, ancorché illegittimo, di assegnazione a determinate funzioni". D'altro canto non è sufficiente il semplice riscontro dell'effettivo espletamento delle mansioni superiori, ma è indispensabile che il servizio sia svoltato "in conformità di una disposizione impartita dall'organo amministrativo dell'ente pubblico nell'esercizio del suo potere direttivo".

Pertanto, la retribuibilità delle mansioni superiori del sanitario non è subordinata a formali provvedimenti di incarico, essendo sufficiente la puntuale dimostrazione dell'effettivo espletamento delle funzioni corrispondenti al posto vacante (Sez. V, 3 ottobre 1995, n. 1388; Cons. Giust. Amm. 26 aprile 1996, n. 81).

L'Adunanza Plenaria (16 maggio 1991, n. 2), ha chiarito che "le spettanze retributive con gli accessori previdenziali trovano giustificazione nella mera prestazione di fatto delle mansioni espletate". Detto principio di diritto, è stato elaborato proprio con specifico riferimento all'ipotesi (perfettamente corrispondente a quella oggetto del presente giudizio) in cui l'aiuto svolge le funzioni di primario e non è estensibile a diverse fattispecie, come quella in cui l'assistente medico espleta le mansioni di aiuto.

La Sezione ha anche, di recente (decisione 7 dicembre 1996 n. 1475), puntualizzato la netta differenza tra le due eventualità. Di norma, lo svolgimento delle funzioni primariali assume rilievo ai fini retributivi, indipendentemente da ogni atto organizzativo della amministrazione, poiché non sembra concepibile che la struttura sanitaria affidata alla direzione del primario resti priva dell'organo di vertice, che assume la responsabilità dell'attività esercitata nell'ambito della divisione.

Di contro, la vacanza del posto di aiuto non implica alcuna automatica investitura dell'assistente nell'esercizio delle mansioni superiori, potendo l'amministrazione adottare una pluralità di soluzioni organizzative, secondo la previsione dell'art. 7 del D.P.R. 27 marzo 1969, n. 128 ("in caso di assenza o di impedimento dell'aiuto, le sue funzioni sono esercitate dall'assistente con maggiori titoli o dall'assistente di turno"). Inoltre, nulla impedisce che le mansioni proprie dell'aiuto siano esercitate, anziché da un assistente, dal primario, con ampliamento dei propri compiti e responsabilità (Sez. V, 29 gennaio 1996, n. 100).

Con un quinto motivo, l'appellante deduce che il tribunale ha erroneamente quantificato la misura delle competenze economiche spettanti all'interessato, determinandole nella differenza tra il trattamento iniziale di aiuto ed il trattamento iniziale di primario. Il motivo è fondato. Le differenze retributive vanno calcolate detraendo dal trattamento economico iniziale di primario quello maturato dall'interessato, sulla base dell'anzianità di servizio.

Con un sesto motivo, l'amministrazione sostiene che il ricorrente di primo grado non ha adeguatamente provato i fatti costitutivi della domanda, con riferimento al requisito della idoneità primariale. Il mezzo è infondato, poiché il requisito indicato dalla Azienda non condiziona la pretesa alle retribuzioni superiori.

Con il settimo motivo, l'amministrazione sostiene che la pretesa economica dell'interessato non può estendersi ai periodi di assenza per ferie e per congedi. Il motivo è fondato.

La Sezione ha chiarito che ai fini del computo dei giorni effettivamente lavorati dal sanitario incaricato di mansioni superiori (nella specie, l'aiuto ospedaliero che esercita le mansioni interinali di primario), le festivita' ed i giorni di riposo settimanali non interrompono la necessaria continuita' nell'esercizio delle predette mansioni e, quindi, il relativo trattamento retributivo differenziale dev'essere integralmente corrisposto anche per tali periodi - cosi' come accade per tutti i casi in cui l'aiuto eserciti le funzioni supplenti del primario sostituito all'esterno della struttura sanitaria -, mentre non va concesso nel caso di congedo ordinario ed in tutte le varie ipotesi di congedo straordinario, fermo restando che l'interesse pubblico rimane sempre salvaguardato dal combinato disposto dall'art. 7 d.P.R. 27 marzo 1969 n. 128 e dall'art. 29 comma 2, d.P.R. 20 dicembre 1979 n. 761, secondo cui l'assegnazione temporanea a mansioni superiori, che non puo' eccedere sessanta giorni, non da' diritto a variazioni di trattamento economico (Consiglio Stato sez. V, 11 dicembre 1995, n. 1684).

Con un ultimo motivo, l'amministrazione sostiene che l'interessato non ha fornito la prova delle prestazioni che danno diritto alla indennità medico specialistica e di dirigenza medica e primariale ed al lavoro straordinario. Il motivo è in parte fondato. All'interessato spettano tutte le voci retributive ed indennitarie comunque connesse all'espletamento dell'attività di primario. La retribuzione delle ore di straordinario è invece dovuta solo in relazione alle ore effettivamente svolte, sulla base della preventiva autorizzazione dei competenti organi della USL, conformemente alle procedure previste dalla contrattazione collettiva.

Con l'appello incidentale, l'interessato sostiene di aver diritto alla rivalutazione monetaria ed agli interessi legali sulle competenze economiche maturate.

Il motivo è fondato.

Occorre premettere che, dopo alcune oscillazioni interpretative, la giurisprudenza del Consiglio di Stato (conforme, sotto questo profilo all'orientamento espresso dalla Corte di Cassazione), è pervenuta alla conclusione secondo cui in forza dell'art. 429, terzo comma cod. proc. civ., come modificato dalla legge 11 agosto 1973, n. 533 (qualificata come "norma sostanziale e innovativa ad efficacia anche retroattiva") la somma corrispondente al maggior danno da svalutazione monetaria dei crediti di lavoro si aggiunge per intero agli interessi legali e non per la sola parte che ne eccede l'ammontare.

In sostanza, pur in presenza di ripetute critiche di una parte della dottrina, si era consolidata una lettura ermeneutica (tradotta in una vera e propria regola di "diritto vivente") sintetizzata nell'affermazione che in caso di ritardo nella corresponsione di di crediti retributivi opera il principio del "cumulo di interessi e rivalutazione", in luogo della meno efficace tutela apprestata dall'art. 1224, cod. civ.

La vigenza di tale regola era comunque posta a base della sentenza n. 156 del 1991, con cui la Corte Costituzionale, dichiarando la illegittimità dell'art. 442 cod. proc. civ., per contrasto con gli articoli 3 e 38 della Cost., nella parte in cui non consentiva l'operatività del cumulo di interessi e rivalutazione anche nell'ipotesi di ritardata corresponsione di emolumenti di natura previdenziale.

Peraltro, la regola del cumulo è ora superata per effetto di due successivi interventi legislativi.

L'art. 16, comma 6 della legge 30 dicembre 1991, n. 412 stabilisce che "gli enti gestori di forme di previdenza obbligatoria sono tenuti a corrispondere gli interessi legali, sulle prestazioni dovute, a decorrere dalla data di scadenza del termine previsto per l'adozione del provvedimento sulla domanda. L'importo dovuto a titolo di interessi è portato in detrazione dalle somme eventualmente spettanti a ristoro del maggior danno subito dal titolare della prestazione per la diminuzione del valore del suo credito".

L'art. 22, comma 36, secondo periodo, della legge 23 dicembre 1991, n. 724, prevede, poi, che " l'articolo 16, comma 6, della legge 30 dicembre 1991, n. 412, si applica anche agli emolumenti di natura retributiva, pensionistica ed assistenziale, per i quali non sia maturato il diritto alla percezione entro il 31 dicembre 1994, spettanti ai dipendenti pubblici e privati in attività di servizio o in quiescenza. I criteri e le modalità di applicazione del presente comma sono determinati con decreto del Ministro del tesoro, da emanare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge".

Al riguardo, la Sezione osserva che la nuova normativa si applica solo ai crediti sorti successivamente alla sua entrata in vigore, confermando, per il periodo precedente, il principio del cumulo tra interessi e rivalutazione (Consiglio Stato a. plen., 15 giugno 1998, n. 3).

La stessa pronuncia ha definito puntualmente i criteri di calcolo degli accessori ai crediti pecuniari, stabilendo che:

- in caso di tardivo pagamento al dipendente pubblico di crediti previdenziali, la rivalutazione monetaria e gli interessi, quali accessori della prestazione dovuta, vanno calcolati separatamente sull'importo nominale del credito stesso;

- ai sensi dell'art. 429 c.p.c., gli interessi legali e la rivalutazione monetaria per gli emolumenti corrisposti tardivamente ai lavoratori dipendenti vanno calcolati separatamente sull'importo nominale del credito, per cui sulla somma dovuta quale rivalutazione non vanno calcolati ne' gli interessi ne' la rivalutazione ulteriore e sulla somma dovuta a titolo di interessi non vanno computati ancora interessi e rivalutazione.

Conclusivamente, quindi, l'appello principale e quello incidentale devono essere accolti, nei limiti sopra specificati.

Le spese del grado possono essere compensate, considerando la soccombenza reciproca.

per questi motivi

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, accoglie l'appello principale e quello incidentale nei sensi di cui in motivazione, compensando le spese;

ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 27 giugno 2000, con l'intervento dei signori:

Salvatore Rosa - Presidente

Stefano Baccarini - Consigliere

Corrado Allegretta - Consigliere

Marco Lipari - Consigliere Estensore

Marco Pinto - Consigliere

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