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n. 10-2000 - © copyright.

CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V - Sentenza 31 ottobre 2000 n. 5890 - Pres. Iannotta, Est. Borea - S.R.L. S.B. (Avv. . Lineo Zangrossi) c. Comune di Parma (Avv. Adriano Rossi) Ministero dell'Interno e del Comando Vigili del Fuoco di Parma Avvra dello Stato) - (conferma TAR Emilia Romagna, Sezione staccata di Parma, 30 marzo 1995 n. 140).

Commercio ed industria - Locale adibito a somministrazione di bevande  - Potere di disporre visite periodiche di accertamento sui servizi antincedio Sussiste.

Commercio ed industria - Locale adibito a somministrazione di bevande - Ordinanza contingibile ed urgente - Adottata per mancato rispetto delle norme di sicurezza antincendio - Legittimità.

I pubblici esercizi addetti alla somministrazione di alimenti e bevande sono soggetti alla normativa che prevede le visite di controllo preventive e successive dei competenti Comandi provinciali VV.FF. ai fini della prevenzione incendi, anche se gli esercizi in questione non sono ricompresi nell'elenco contenuto nel D.M. 16 febbraio 1982, attuativo (a modifica di precedente D.M. 27 settembre 1965) dell'art. 4 L. 26 luglio 1965 n. 966, (il punto 83 dell'elenco comprende infatti soltanto i locali di pubblico spettacolo e di intrattenimento in genere con capienza superiore a cento posti).

Il D.M. in questione, infatti, si limita ad individuare i casi in cui, ai fini dell'autorizzazione all'esercizio di determinate attività, e cioè del rilascio del certificato di prevenzione incendi, è necessario conseguire in via preventiva l'esame e il parere dei VV.FF., salve, naturalmente, le visite periodiche successive, la cui scadenza è fissata nell'elenco in modo variabile a seconda delle diverse pericolosità delle singole attività. Il che comporta, in buona sostanza, che le attività non comprese nell'elenco non sono soggette al preventivo rilascio del certificato di prevenzione incendi, ma non anche che l'autorità vigilante debba necessariamente con ciò disinteressarsi degli eventuali rischi che tali attività, pur escluse dall'elenco ai fini del rilascio preventivo del detto certificato di prevenzione, possano comportare.

E' legittima una ordinanza con la quale un Comune ha disposto la revoca immediata dell'autorizzazione all'esercizio dell'attività di somministrazione di alimenti e bevande di un locale seminterrato della birreria paninoteca, in conformità ad un parere espresso dal locale Comando Vigili del Fuoco con il quale si era ritenuto che "l'uscita dal piano interrato attraverso le zone condominiali non presenta i requisiti di uscita di sicurezza. per essere considerato idoneo all'uso cui è destinato" e ciò anche in relazione al fatto che, ai sensi dell'art. 5 comma 2 D.M. 17 dicembre 1992 n. 564 le comunicazioni interne fra i locali adibiti a pubblico esercizio e i locali aventi diversa destinazione devono essere chiusi a chiave durante l'orario di apertura del pubblico esercizio (1). Tale ordinanza è stata adottata a salvaguardia della pubblica incolumità e sicurezza, e cioè nell'esercizio dei poteri di ordinanza contingibile e urgente (la contestata revoca è disposta con effetto immediato) previsti dall'art. 38 L. 8 giugno 1990 n. 242.

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(1) Cfr. Cons. Stato, Sez. V, sent. n. 1247/96, che richiama l'analoga disposizione contenuta nell'art. 153 T.U. 4 febbraio 1915 n. 148.

 

 

FATTO

Con ricorso al TAR di Parma l'odierna appellante impugnava un provvedimento comunale di revoca immediata della autorizzazione all'esercizio dell'attività di somministrazione di alimenti e bevande nel locale posto al piano seminterrato della birreria paninoteca di sua proprietà, deducendo sei motivi di gravame.

I primi giudici respingevano il ricorso, ritenendo infondate le censure dedotte.

Con l'atto d'appello ora in esame si contestano le argomentazioni sulle quali si fonda la sentenza appellata, e si ribadiscono le censure dedotte n primo grado.

DIRITTO

L'appello è infondato.

Va ricordato in fatto che il Comune di Parma è pervenuto all'adozione (9 luglio 1993) del provvedimento impugnato in primo grado, di revoca immediata dell'autorizzazione all'esercizio dell'attività di somministrazione di alimenti e bevande di un locale seminterrato della birreria paninoteca di proprietà dell'appellante, in conformità ad un parere (1° luglio 1993) espresso dal locale Comando Vigili del Fuoco con il quale in via definitiva (dopo una altalenante serie di altri pareri di contenuto a volte negativo e a volte positivo) si era ritenuto, sulla base di apposita relazione dell'ingegnere a ciò incaricato, che "l'uscita dal piano interrato attraverso le zone condominiali non presenta i requisiti di uscita di sicurezza. per essere considerato idoneo all'uso cui è destinato", e ciò anche in relazione al fatto, come si precisa nella suddetta relazione, che, ai sensi dell'art. 5 comma 2 D.M. 17 dicembre 1992 n. 564 le comunicazioni interne fra i locali adibiti a pubblico esercizio e i locali aventi diversa destinazione devono essere chiusi a chiave durante l'orario di apertura del pubblico esercizio.

Ciò premesso in fatto, la questione di fondo che la sezione è chiamata a decidere, come già esattamente ritenuto dai primi giudici, è quella posta nel quinto motivo dell'atto introduttivo in primo grado, ribadita in appello, concernente l'asserita estraneità dei pubblici esercizi addetti alla somministrazione di alimenti e bevande alla normativa che prevede le visite di controllo preventive e successive dei competenti Comandi provinciali VV.FF. ai fini della prevenzione incendi, in quanto i detti pubblici esercizi non sono ricompresi nell'elenco contenuto nel D.M. 16 febbraio 1982, attuativo (a modifica di precedente D.M. 27 settembre 1965) dell'art. 4 L. 26 luglio 1965 n. 966, il quale, appunto, demanda ad apposita regolamentazione la determinazione delle attività soggette ai controlli sulla prevenzione incendi. Da ciò traendo argomento, oltre che dal tenore del citato D.M. nel quale si ribadisce che i locali e le attività soggetti al preventivo parere dei comandi provinciali dei VV.FF nonché alle visite successive sono quelli determinati nell'allegato elenco, l'appellante trae la conclusione che l'elenco stesso deve considerarsi, per espressa voluntas legis, tassativo, con conseguente inoperatività nei confronti del locale di sua proprietà della vigilanza antincendio.

Tale radicale tesi, pur basata su di un indiscutibile dato di fatto (il punto 83 dell'elenco comprende soltanto i locali di pubblico spettacolo e di intrattenimento in genere con capienza superiore a cento posti) non può essere seguita.

Come esattamente osserva controparte in memoria, il D.M. in questione, a ben vedere, si limita ad individuare i casi in cui, ai fini dell'autorizzazione all'esercizio di determinate attività, e cioè del rilascio del certificato di prevenzione incendi, è necessario conseguire in via preventiva l'esame e il parere dei VV.FF., salve, naturalmente, le visite periodiche successive, la cui scadenza è fissata nell'elenco in modo variabile a seconda delle diverse pericolosità delle singole attività. Il che comporta, in buona sostanza, che la invocata tassatività significa soltanto che le attività non comprese nell'elenco non sono soggette al preventivo rilascio del certificato di prevenzione incendi, ma non anche che l'autorità vigilante debba necessariamente con ciò disinteressarsi degli eventuali rischi che tali attività, pur escluse dall'elenco ai fini del rilascio preventivo del detto certificato di prevenzione, possano comportare, ove di tali rischi si ritenga di fatto che ricorrano i presupposti: a ragione quindi, nella appellata sentenza si richiama l'art. 1 del D.P.R. 29 luglio 1982 n. 577 (regolamento attuativo dell'art. 2 L. 18 luglio 1980 n. 406 sull'espletamento dei servizi di prevenzione e vigilanza antincendi affidati al Corpo dei VV.FF.) nel quale si afferma che la prevenzione incendi costituisce servizio di interesse pubblico per il conseguimento degli obiettivi di sicurezza della vita umana e di tutela dei beni e dell'ambiente, secondo una formulazione che, per la sua ampiezza e generalità, implica necessariamente che la vigilanza non può che riguardare qualunque attività umana in ipotesi idonea a generare rischio di incendi, senza che a ciò costituisca limite l'elenco di cui sopra, la cui tassatività, si ripete, riguarda soltanto il rilascio preventivo del certificato di prevenzione incendi (come del resto già rilevato da questa stessa Sezione, cfr. dec. n. 1247 del 18 ottobre 1996, richiamata da controparte, nella quale, in un caso analogo, si è affermato che, se pur è vero che ai fini dell'esercizio di un'attività di intrattenimento in un locale con capienza inferiore a cento posti non è necessario il rilascio del certificato antincendi, ciò non esclude che la P.A. possa intimare la cessazione dell'attività ove accerti che il locale comporta pericoli per la possibilità di incendi e per la difficoltà di rapida uscita da esso).

Né vale opporre in appello che la norma richiamata aggiunge che la vigilanza deve essere effettuata "secondo criteri applicativi uniformi per tutto il territorio nazionale", e ciò per trarne la conseguenza ancora una volta che il principio affermato troverebbe la sua limitazione nella necessità di passare attraverso le strettoie di un criterio applicativo, quale sarebbe appunto il più volte invocato D.M. 16 febbraio 1982.

Premesso che il citato D.P.R. n. 577/82 che contiene la ricordata norma di principio è successivo al suddetto D.M., oltre che al medesimo sovraordinato nella gerarchia delle fonti normative, pare opportuno in proposito richiamare la disposizione contenuta nell'art. 14 stesso D.P.R., sotto il titolo "Visite tecniche", ove, a conferma della generalità del principio affermato nell'art. 1 si esplicita che il Corpo VV.FF. può effettuare accertamenti sopraluogo, tra l'altro, (lett. c) "per procedere al controllo di situazioni di potenziale pericolo segnalate o comunque rilevate". E ciò è appunto quanto nella specie accaduto, dato che, come risulta in atti, il Comando provinciale di Parma si è mosso sulla base di esposti di privati cittadini. Il che significa che l'uniformità di criteri applicativi voluta dalla norma va intesa in tutt'altro senso da quello che vorrebbe l'appellante, e cioè nel senso che nel caso previsto dalla lett. c) dell'art. 14, si dovranno semplicemente evitare disparità di criteri, anche soltanto d'ordine logico, nella valutazione dei singoli casi, al di fuori di qualunque elencazione preventiva, non potendosi prefigurare a monte tutte le innumerevoli e imprevedibili fattispecie idonee a creare pericolo d'incendi che di volta in volta si possono realizzare.

Le considerazioni sopra svolte consentono di replicare agevolmente alle ulteriori argomentazioni contenute nel quinto motivo dell'atto introduttivo così come riprodotto in appello e nel primo motivo d'appello contro la sentenza impugnata.

Innanzi tutto non ha rilevanza la dedotta contraddittorietà tra il parere negativo ora reso dai VV.FF. e un precedente parere viceversa favorevole; a prescindere dal fatto che ben può la P.A., re melius perpensa, tornare sulle proprie decisioni, pare assorbente considerare che nel precedente parere si era semplicemente detto che "il locale in oggetto non rientra tra quelli soggetti al controllo. ai fini del rilascio del certificato prevenzione incendi", e si è visto come ciò non precluda interventi ove questi risultino necessari.

Ancora, non ha pregio invocare un'asserita disparità di trattamento, sia con riguardo ad un preteso ben diverso comportamento di altri comandi provinciali, e sia, nell'ambito della stessa provincia di Parma, nei confronti di altri locali aanaloghi che non avrebbero mai sofferto sopraluoghi da parte dei VV.FF.

E' sufficiente infatti considerare, quanto al primo profilo, che la censura risulta del tutto generica oltre fondata sull'errato presupposto che la P.A. abbia operato un'interpretazione estensiva della normativa di cui al cit. D.M. 16 febbraio 1982, mentre invece, come si è visto, rimanendo pacifico che l'esercizio di proprietà della interessata non è soggetto a certificazione preventiva, l'intervento dei VV.FF, trova legittimo presupposto nel generale potere di vigilanza del quale si è detto.

Quanto poi al secondo profilo della dedotta disparità di trattamento, si è detto come la P.A. sia intervenuta a seguito di esposti, e tanto basta, anche a prescindere che non risulta dimostrata l'identità delle situazioni poste a confronto, per giustificare l'intervento in questione.

Infine, sempre con riguardo alle doglianze contenute nel primo motivo d'appello avverso la sentenza impugnata, nella parte in cui questa, in aggiunta alle argomentazioni sopra esaminate e condivise, in sostanza arriva poi anche a concludere nel senso che l'esercizio in questione, per le sue caratteristiche, si configura come un locale di intrattenimento con capienza superiore a cento posti (e quindi sarebbe comunque soggetto al preventivo rilascio del certificato di prevenzione incendi, vedasi punto 83 dell'elenco), se ne deve rilevare, come giustamente osserva controparte, l'irrilevanza, una volta riconosciuto alla P.A. un generale potere di intervento a prescindere dal fatto che l'attività sottoposta a vigilanza sia o meno ricompresa tra quelle per le quali è necessario il rilascio del suddetto certificato.

Può ora passarsi all'esame degli altri motivi di ricorso, ugualmente privi di fondamento.

I primi tre motivi dell'atto introduttivo, riprodotti in appello, e rivolti avverso il provvedimento comunale di revoca, possono essere trattati congiuntamente in quanto basati sull'erroneo presupposto che il provvedimento stesso costituisca applicazione della L. 25 ottobre 1991 n. 287, contenente norme sulla disciplina dei pubblici esercizi adibiti alla somministrazione di alimenti e bevande, mentre invece la P.A., come risulta chiaramente dalle premesse dell'atto impugnato, si è mossa a salvaguardia della pubblica incolumità e sicurezza, e cioè nell'esercizio dei poteri di ordinanza contingibile e urgente (la contestata revoca è disposta con effetto immediato) previsti dall'art. 38 L. 8 giugno 1990 n. 242: il tutto legittimamente, come insegna la già ricordata decisione di questa Sezione n. 1247/96, che richiama l'analoga disposizione contenuta nell'art. 153 T.U. 4 febbraio 1915 n. 148.

Cadono pertanto le varie censure che contestano la competenza comunale a revocare le autorizzazioni per ragioni diverse da quelle previste nell'art. 4 L. n. 287/91 cit. (primo motivo atto introduttivo), ovvero la mancata preventiva acquisizione del parere della commissione prevista dall'art. 6 (cui peraltro è spetta di interloquire solo con riguardo agli aspetti commerciali della disciplina dell'attività, secondo motivo, ribadito nel secondo motivo avverso la sentenza appellata), ovvero infine l'incompetenza del comune, spettando al questore adottare provvedimenti in materia di sicurezza pubblica ex art. 100 T.U. P.S. adottato con R.D. 18 giugno 1931 n. 773 (norma che peraltro, se pur affida al questore la vigilanza sui pubblici esercizi per ciò che attiene alla tutela dell'ordine pubblico e del buon costume, oltre che della sicurezza dei cittadini, non esclude, in tale ultima materia, la competenza del sindaco, in veste di ufficiale di governo, ad adottare provvedimenti contingibili e urgenti: terzo motivo, anche questo ribadito nel secondo motivo avverso la sentenza).

Con la precisazione che nessuna rilevanza può attribuirsi alla censura secondo la quale, ammesso anche che la P.A. si sia legittimamente attivata ex art. 38 L. n. 142/90, la relativa competenza spetterebbe comunque al sindaco, e non già, contrariamente a quanto risulta, ad un dirigente delegato, essendo il sindaco stesso delegato dallo Stato in veste di Ufficiale di governo. Infatti tale censura non risulta dedotta né in primo grado né in appello ed è contenuta in memoria non notificata: la censura è quindi inammissibile.

Neppure può essere condivisa poi la censura contenuta nel quarto motivo, sempre dell'atto introduttivo, di violazione sotto altro profilo dell'art. 100 del citato T.U. P.S., nella parte in cui si prevede solo la sospensione dell'attività (la revoca intervenendo soltanto qualora i fatti che hanno portato alla sospensione si ripetano).

E' sufficiente considerare che nella fattispecie non tanto si trattava di sanzionare fatti o comportamenti di durata temporanea e reiterabili, quanto invece della necessità di porre rimedio immediato ad una situazione permanente di fondato timore di pericolo per l'incolumità pubblica, dovuto al fatto che l'uscita dal piano interrrato era stata considerata inidonea alla scopo, in quanto (come risulta in atti dalla relazione del C.T.U. nominato dalla Procura della Repubblica di Parma) si apriva non verso l'esterno, bensì su di una scala condominiale di accesso alle cantine per poi portare ad un cortile interno, sempre di proprietà condominiale.

Venendo al sesto e ultimo motivo, con il quale si deduce difetto di motivazione e di istruttoria per aver l'amministrazione comunale recepito passivamente il parere dei VV.FF., a prescindere dall'inconferenza del richiamo, anche qui, alla citata L. n. 287/91, non si vede quale istruttoria, in aggiunta a quella svolta in via ispettiva

dai tecnici dei VV.FF. oltre dal C.T.U. avanti ricordato, avrebbe dovuto disporre il comune, a ciò incompetente, e neppure può ritenersi immotivato il provvedimento adottato, essendo sufficiente a giustificarne l'adozione il richiamo al parere dei VV.FF. e l'urgenza di provvedere.

In conclusione l'appello deve essere respinto.

Sussistono comunque validi motivi per compensare tra le parti le spese del grado d'appello.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in s.g. (Sez. V), definitivamente pronunciando:

Rigetta l'appello proposto come in epigrafe dalla S.R.L./S.B.

Compensa le spese del presente grado di giudizio.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dalla Autorità Amministrativa.

Così deciso in Roma, addì 11 luglio 2000, dal Consiglio di Stato in s.g. (Sez. V), riunito in Camera di Consiglio con l'intervento dei seguenti Magistrati:

Raffaele Iannotta - Presidente

Stefano Baccarini - Consigliere

Piergiorgio Trovato - Consigliere

Claudio Marchitiello - Consigliere

Vincenzo Borea - Consigliere est.

Depositata in cancelleria il 31.10.2000.

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