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n. 11-2000 - © copyright.

CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V - Sentenza 3 novembre 2000 n. 5899 - Pres. Iannotta, Est. Borea - Zambetti (Avv. Giuseppe Matassa) c. Comune di Bari (Avv.ti Renato Verna e Leone Paradiso) - (dichiara il giudizio interrotto).

Giustizia amministrativa - Procedimento giurisdizionale - Interruzione del processo - Nel caso di volontaria cancellazione dell'Albo dell'avvocato difensore - Va dichiarata - Ragioni.

Nel caso in cui il difensore del ricorrente abbia informato di aver chiesto e ottenuto la cancellazione dall'Albo degli avvocati, deve farsi luogo all'interruzione del processo.

L'art. 24 L. 6 dicembre 1971 n. 1034, richiamando l'analoga formulazione contenuta nell'art. 301 c.p.c., prevede infatti l'immediata interruzione del giudizio in caso di morte, radiazione o sospensione del procuratore o dell'avvocato, e cioè in ogni caso di impedimento, materiale o anche soltanto di natura giuridico-formale (radiazione o sospensione dall'albo) all'esercizio della difesa della parte patrocinata

E' vero che la previsione normativa ricollega l'interruzione solo ad eventi non dipendenti dalla volontà del procuratore, escludendola espressamente per i casi riconducibili a comportamenti volontari della parte o del procuratore stesso (revoca o rinuncia al mandato); ma in tal caso l'art. 85 c.p.c., al fine anche qui di evitare un pregiudizio alla parte, e cioè il verificarsi di una vacatio nello jus postulandi, dispone che la revoca o la rinuncia non hanno effetto sino alla avvenuta sostituzione del difensore. Ciò che non può evidentemente avvenire in caso di cancellazione, sia pur volontaria, dall'albo, dato che in tale ipotesi si verifica automaticamente una decadenza dall'ufficio di procuratore, e quindi, con il venir meno della legittimazione a compiere o a ricevere atti processuali, risulta evidente anche il pregiudizio al diritto di difesa e al contraddittorio della parte (1).

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(1) Come si dà atto lealmente nella motivazione sotto riportata, in precedenza il C.d.S., IV Sezione, di questo Consiglio, sulla base della distinzione tra comportamenti volontari e non, aveva escluso in fattispecie analoga che si potesse far luogo all'interruzione del processo ex art. 24 L. n. 1034/71 e art. 301 c.p.c. (dec. 20 gennaio 1998 n. 15), ma aveva solo disposto il rinvio della causa.

 

 

FATTO

Con ricorso al T.A.R. della Puglia, sede di Bari, l'odierno appellante impugnava il provvedimento 9 maggio 1991, prot. 25420, dell'assessore all'edilizia privata del comune di Bari recante diniego di condono edilizio di un fabbricato uso residenziale, per esser questo localizzato in area destinata dal P.R.G. a verde privato e nei 300 metri dalla costa.

Avverso il suddetto provvedimento si denunciavano varie censure:

1) difetto di motivazione;

2) il vincolo a verde privato imposto dal P.R.G. è scaduto per trascorso quinquennio;

3) il vincolo ex art. 51 L. R. Puglia n. 56/80 non è assoluto, bensì relativo, essendo rimuovibile ad opera dei piani territoriali previsti da detta disposizione;

4) rimane comunque possibile l'adozione di una variante di recupero;

5) si è comunque formato sulla domanda il silenzio assenso;

6) mancano i pareri della Commissione edilizia e dell'Ufficio tecnico comunale;

7) è mancato l'avvio di procedimento e non è stato indicato il termine per l'impugnazione.

Si era costituito e aveva depositato controricorso il Comune di Bari, contestando le dedotte censure.

Con la sentenza appellata i primi giudici hanno respinto il ricorso.

Con l'atto di appello ora in esame l'riginario ricorrente ripropone le censure dedotte in primo grado, contestando le argomentazioni di rigetto opposte dai primi giudici.

Anche nel giudizio d'appello si è costituito e ha presentato controricorso il Comune di Bari, ribadendo le proprie difese in appoggio alle motivazioni date nella sentenza appellata.

DIRITTO

Deve in via preliminare ricordare il Collegio che, nell'immediata imminenza della data fissata per la discussione della causa, con nota 29 giugno 2000, depositata il 1° luglio successivo, il difensore del ricorrente, avv. Giuseppe Matassa, informa di aver chiesto e ottenuto la cancellazione dall'Albo degli avvocati, segnalando altresì che per tale ragione non è più in grado di assicurare la difesa del ricorrente stesso.

Ciò posto, si ritiene che ricorrano i presupposti per far luogo all'interruzione del processo. L'art. 24 L. 6 dicembre 1971 n. 1034, richiamando l'analoga formulazione contenuta nell'art. 301 c.p.c., prevede l'immediata interruzione del giudizio in caso di morte, radiazione o sospensione del procuratore o dell'avvocato, e cioè in ogni caso di impedimento, materiale o anche soltanto di natura giuridico-formale (radiazione o sospensione dall'albo) all'esercizio della difesa della parte patrocinata. Il tutto all'evidente fine di evitare che quest'ultima si trovi all'improvviso menomata nel suo diritto di difesa in giudizio. Ciò che è quanto accade nella fattispecie, essendo venuto meno al ricorrente il diritto di difesa e al contraddittorio nella conclusiva fase della discussione della causa.

E' bensì vero che la previsione normativa ricollega l'interruzione solo ad eventi non dipendenti dalla volontà del procuratore, escludendola espressamente per i casi riconducibili a comportamenti volontari della parte o del procuratore stesso (revoca o rinuncia al mandato); ma in tal caso l'art. 85 c.p.c., al fine anche qui di evitare un pregiudizio alla parte, e cioè il verificarsi di una vacatio nello jus postulandi, dispone che la revoca o la rinuncia non hanno effetto sino alla avvenuta sostituzione del difensore. Ciò che non può evidentemente avvenire in caso di cancellazione, sia pur volontaria, dall'albo, dato che in tal caso si verifica automaticamente una decadenza dall'ufficio di procuratore, e quindi, con il venir meno della legittimazione a compiere o a ricevere atti processuali, risulta evidente anche il pregiudizio al diritto di difesa e al contraddittorio della parte. Il Collegio non ignora che di recente la IV Sezione di questo Consiglio, sulla base della sopra indicata distinzione tra comportamenti volontari e non, ha escluso in fattispecie analoga che si potesse far luogo all'interruzione del processo ex art. 24 L. n. 1034/71 e art. 301 c.p.c. (dec. 20 gennaio 1998 n. 15); tale soluzione peraltro non ha comportato il passaggio all'esame di merito del ricorso, contrariamente a quanto sarebbe avvenuto in caso di revoca o rinuncia al mandato, dato che, di fronte all'evidente pregiudizio arrecato alla parte rimasta priva di difensore, nella specie la parte appellata, la Sezione ha ordinato all'appellante di disporre una nuova notifica dell'atto di appello: in sostanza rinviando il giudizio per consentire alla parte di nominare un nuovo difensore, e cioè perseguendo la stessa finalità cui è preordinato l'istituto della interruzione. Poiché peraltro nel caso in esame la parte rimasta priva dello jus postulandi e delegittimata a stare in giudizio è la parte appellante, nell'impossibilità di ordinare alla parte appellata (vincitrice in primo grado e quindi non interessata, a differenza di quanto avvenuto nel caso di cui alla decisione della IV Sezione richiamata, alla prosecuzione in appello del giudizio) ulteriori atti d'impulso dell'iter processuale da notificare alla controparte, non previsti dalla legge, il Collegio ritiene che l'unica soluzione per evitare il ricordato pregiudizio sia quella di far luogo all'interruzione del processo, rimettendone la riassunzione alla parte più diligente.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in s.g. (Sez. V), dichiara l'interruzione del giudizio.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dalla Autorità Amministrativa.

Così deciso in Roma, addì 4 luglio 2000, dal Consiglio di Stato in s.g. (Sez. V), riunito in Camera di Consiglio con l'intervento dei seguenti Magistrati:

Raffaele Iannotta - Presidente

Piergiorgio Trovato - Consigliere

Paolo Buonvino - Consigliere

Claudio Marchitiello - Consigliere

Vincenzo Borea - Consigliere est.

L'ESTENSORE IL PRESIDENTE

F.to Raffaele Iannotta F.to Vincenzo Borea

Depositata il 3.11.2000.

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