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Giurisprudenza
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CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V - Ordinanza 19 dicembre 2000 n. 6550 - Pres. Iannotta, Est. Lipari - Benassi Anna Maria (Avv.ti Massimo Consolini e Roberto Fivizzani) c. Comune di Massa Marittima (n.c.), Regione Toscana (n.c.), U.S.L. n. 9 di Grosseto (n.c.), Istituto Giovanni Falusi (n.c.), Tribunale Amministrativo Regionale della Toscana (n.c.).

Espropriazione per p.u. - Dichiarazione di p.u. - Sospensione in sede di appello - Intervenuta allorché l'opera sia già stata eseguita - Conseguenze - Principio della c.d. "accessione invertita" - Inapplicabilità - Restituzione del bene con ordine di eliminazione dell'opera abusiva o, in alternativa, pagamento di una somma a titolo risarcitorio - Possibilità.

Nel caso in cui sia disposta la sospensione in grado di appello  di provvedimenti espropriativi che,  nelle more, sono stati già eseguiti, può ordinarsi alla amministrazione di restituire l'area occupata eliminando le opere già realizzate (nel caso di specie, eliminazione di una rete fognante); tuttavia, l'ente verso cui è ottenuto l'ordine di esecuzione della sospensiva può, in alternativa alla eliminazione dell'opera, proporre il pagamento di una somma corrispondente alla perdita di valore del bene.

La sospensione degli effetti di un atto a cui è riconnessa la dichiarazione di p.u. rende infatti priva di idoneo titolo giustificativo, sin dall'origine, l'utilizzazione dell'area privata da parte della pubblica amministrazione. In tal caso, non possono trovare applicazione i principi elaborati dalla giurisprudenza in materia di "occupazione appropriativa" per irreversibile trasformazione del fondo (pure contestati in generale, da parte della dottrina ed in ambito europeo, per la loro attitudine ad eludere il canone della effettività della tutela giurisdizionale), considerando l'inefficacia dell'atto di approvazione del progetto e la dubbia operatività del principio in relazione alle limitazioni parziali del diritto dominicale.

In tale ipotesi, quindi, previa eventuale valutazione dell'eccessiva onerosità della reintegrazione in forma specifica alla stregua dei criteri fissati dall'articolo 2058 del codice civile,  l'amministrazione, in esecuzione della ordinanza cautelare, è tenuta a restituire il fondo, eliminando le opere realizzate;  resta in ogni caso salva la facoltà dell'amministrazione stessa di proporre all'interessato, in luogo della restitutio in integrum del terreno, il pagamento di una somma corrispondente alla perdita di valore venale del bene, secondo i parametri e con gli effetti di cui all'articolo 35 del decreto legislativo n. 80/1998 (1). 

(1) Potere cautelare e restituzione degli immobili illegittimamente espropriati di Guglielmo Saporito.

La sospensiva emessa dalla V sezione del Consiglio di Stato dapprima alimenta entusiasmi sulle risorse delle sospensive, per poi deludere speranze.

Una procedura ablativa molto probabilmente illegittima (con progetto di fognatura ospedaliera approvata dal direttore generale USL), ottiene una sentenza favorevole TAR ed una (comprensibile) sospensiva della sentenza da parte del giudice di appello. Ma intanto l'opera risulta realizzata e incombe l'accessione invertita.

Viene tuttavia chiesta l'esecuzione della sospensiva della sentenza, che riguarda (per giurisprudenza costante) la sospensione dei provvedimenti impugnati in primo grado.

Il giudice dell'esecuzione, con l'ordinanza in rassegna, sottolinea che la sospensiva (anche di sentenza) ha effetto ex tunc, quindi ab initio la procedura ablativa è fuorigioco.

Seguono alcune affermazioni sull'effetto ripristinatorio e restitutorio della sospensione cautelare: affermazioni che dovrebbero preludere ad una esecuzione in forma specifica dell'obbligo di non fare (art. 2933 co. 1 cod. civ.).

Nel punto 11 della motivazione dell'ordinanza 6550/2000, si sottolinea poi che l'occupazione appropriata non opera quando l'intervento è privato della dichiarazione di pubblica utilità e quando si discute di servitù (l'attento lettore ricorda i precedenti: Cass. 25.3.1998 n. 3153; Id., 6.3.1992 n. 2698 , tra le altre).

Subito dopo, tuttavia, l'ordinanza sterza: l'art. 2058 del codice civile , consentendo al giudice di valutare l'eccessiva onerosità dell'esecuzione in forma specifica, potrebbe tramutare in risarcimento la perdita di proprietà. Ed anche se l'amministrazione controinteressata alla sospensiva non lo ha chiesto, il giudice amministrativo emette un'ordinanza bifronte.

Entro 60 giorni l'amministrazione deve eseguire la sospensiva della sentenza ed "eliminare le opere esistenti sul fondo"; la stessa amministrazione può tuttavia proporre all'interessato una somma corrispondente alla perdita di valore venale del bene.

In effetti l'art. 35 del D. lgs. 80/1998, quale modificato dall'art. 7 della legge 205/2000, prevede il pagamento di somme per il risarcimento del danno ingiusto: ma ciò quando il danno è assolutamente irreversibile e cioè quando la sospensiva non può essere accordata. Ma quando - come nel caso esaminato dalla V Sezione - esiste un danno da realizzazione di fognatura illegittima per difetto di motivazione su percorsi alternativi proposti dal privato, la scappatoia del risarcimento del danno non sembra debba essere suggerita dal giudice.

In altri termini, non è possibile accordare una sospensiva e poi reintegrare il (solo) danno: la tutela urgente (poche righe prima esaminata) viene svuotata e resa inutile.

Più delicato era stato il caso esaminato dalla stessa V Sezione del Consiglio di Stato con decisione 12 luglio 1996 n. 874: nella massima si legge che un marciapiede divenuto abusivo non può essere eliminato perchè vi osta l'art. 2933 co. 2 cod. civ. (distruzione di pregiudizio per l'economia nazionale). L'attento lettore che indugi sul testo integrale della decisione 874 ha tuttavia una lieta sorpresa: il marciapiede non può esser eliminato ".. Fino a quando non sia giuridicamente e materialmente possibile realizzare il marciapiede dall'altro lato della strada".

In altri termini: se l'amministrazione sbaglia, deve restituire e può giovarsi dell'ombrello dell'interesse generale se non vi sono alternative per soddisfare tale interesse. Quindi, il privato può sollecitare la adozione di un progetto alternativo che liberi la propria area (realizzando altrove il marciapiede o, come nel caso deciso dalla ordinanza 6550/2000 in rassegna, una diversa condotta fognaria). In tale scenario, il risarcimento del danno deve essere solo l'ultima strada percorribile: soprattutto, in sede cautelare, non si può con uno stesso provvedimento ordinare la restituzione e nel rigo successivo suggerire all'amministrazione di pagare una somma "corrispondente alla perdita di valore venale del bene". Un suggerimento del genere può venire solo dopo la verifica dell'impossibilità di restituzione in pristino, o solo dopo la verifica dell'abnorme costo della riduzione in pristino.

Diversamente, diventa inutile ed illusoria la tutela cautelare.

Più originale e condivisibile è, in altri campi, lo sforzo di adeguamento della presenza del giudice rispetto al procedimento sottoposto a verifica di legittimità: la decisione della VI sezione 19 dicembre 2000 n. 6838 accorda al soggetto illegittimamente scavalcato in una gara per concessione di costruzione e gestione, la possibilità (una volta costruita da altri l'opera) di limitarsi a gestire l'impianto. Un principio analogo era stato adottato dalla stessa Sezione con la decisone 27 maggio 1991 n. 874, separando in una concessione di costruzione e gestione le varie componenti del rapporto economico.

Ma se la pronuncia giurisdizionale ha l'effetto di rendere reversibile un complesso rapporto economico, separando le utilità della concessione da quelle della gestione, non si comprende perchè in materia di diritti reali non si riesca a restituire al privato ciò che si è grossolanamente sottratto. Del resto, è stata proprio la rigidità del meccanismo giudiziale nei confronti della proprietà a far intervenire la CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL'UOMO (pronuncia SEZ. II, 30 maggio 2000, in questa Rivista con nota di commento), censurando l'impossibilità di restituzione o di soddisfazione nei casi di apprensione illecita. 

La ordinanza della V Sezione accresce tale rigidità, poichè consente il paragone - nello stesso contesto di motivazione - tra una sospensiva restitutoria ed un provvedimento poco più che contabile che indica la strada del risarcimento (25.01.2001).

 

 

(omissis)

Udito il relatore Con. Marco Lipari e uditi, altresì, per la parte appellante l'avv.to M.Consolini;

Ritenuto in fatto ed in diritto

1. L'ordinanza cautelare di cui si chiede l'attuazione ha sospeso l'esecuzione della sentenza appellata e dei provvedimenti impugnati in primo grado, concernenti:

a) l'approvazione da parte del direttore generale della azienda sanitaria locale n. 9 di Grosseto del progetto relativo al collegamento della rete fognante del plesso ospedaliero "Nuovo Istituto Falusi", comportante l'attraversamento di un'area di proprietà privata dell'appellante, "previa istituzione di una servitù permanente";

b) i provvedimenti del competente dirigente del comune di Massa Marittima, adottati sul presupposto che l'approvazione del progetto avesse determinato gli effetti della dichiarazione di pubblica utilità dell'opera implicita, ai sensi della legge n. 1 del 1978, concernenti l'occupazione di urgenza dell'area.

2. L'ordinanza ha ritenuto non manifestamente infondati i motivi di ricorso, relativi alla inidoneità dell'atto dell'Azienda a produrre gli effetti della dichiarazione di pubblica utilità implicita ed al difetto di motivazione in ordine alle soluzioni progettuali alternative indicate dall'interessata mediante la produzione di una analitica perizia di parte.

3 . Nelle more del giudizio le opere in questione sono state compiutamente realizzate.

4. La sospensione dell'esecuzione dei provvedimenti impugnati deve intendersi riferita anche alla efficacia giuridica degli stessi.

5. Infatti, l'ordinanza cautelare di sospensione, pronunciata ai sensi degli articoli 21 o 33 della legge n. 1034/1971, pur essendo provvisoria e temporanea (fino alla pronuncia della decisione di merito) priva di efficacia ex tunc i provvedimenti impugnati, determinando conseguenze corrispondenti a quelle della retroattività propria delle pronunce di annullamento.

6. L'effetto ripristinatorio e restitutorio della sospensione cautelare si manifesta, in particolare, nelle ipotesi in cui i provvedimenti impugnati sono portati ad esecuzione nel corso del giudizio.

7. Le conseguenze restitutorie della pronuncia di sospensiva, poi, devono essere affermate nel contesto del nuovo processo cautelare delineato dall'articolo 21 della legge Tar (come modificato dall'articolo 3 della legge n. 205/2000), volto ad assicurare effettività di tutela alla parte ricorrente.

8. Nella presente vicenda, l'interessata ha chiesto, con il ricorso introduttivo del giudizio, il risarcimento del danno lamentato, anche in forma specifica. Pertanto la tutela cautelare deve essere assicurata in modo coerente alla utilità finale conseguibile all'esito del processo di merito.

9. Al riguardo, sussiste la giurisdizione amministrativa, ancorché il ricorso di primo grado sia stato proposto in epoca antecedente l'entrata in vigore della legge n. 205/2000 e la controversia non parrebbe rientrare nel concetto di edilizia ed urbanistica delineato dall'articolo 34 del decreto legislativo n. 80/1998. Infatti, nella specie trovano applicazione i principi ermeneutici concernenti la giurisdizione sopravvenuta.

10. Ne consegue che, anche prescindendo dalla inattitudine della determinazione della ASL a produrre gli effetti della dichiarazione di pubblica utilità implicita, la sospensione degli effetti di tale atto rende priva di idoneo titolo giustificativo, sin dall'origine, l'utilizzazione dell'area privata da parte della pubblica amministrazione.

11. Nella vicenda in esame, quindi non possono trovare applicazione i principi elaborati dalla giurisprudenza in materia di "occupazione appropriativa" per irreversibile trasformazione del fondo (pure contestati in generale, da parte della dottrina ed in ambito europeo, per la loro attitudine ad eludere il canone della effettività della tutela giurisdizionale), considerando l'inefficacia dell'atto di approvazione del progetto e la dubbia operatività del principio in relazione alle limitazioni parziali del diritto dominicale.

12. Non può peraltro escludersi che la pretesa restitutoria del soggetto interessato possa essere valutata anche alla luce dei criteri generali (applicabili ai soggetti pubblici e privati) fissati dall'articolo 2058 del codice civile, concernenti l'eccessiva onerosità della reintegrazione in forma specifica (anche nella fase cautelare). Tuttavia, nella concreta vicenda le amministrazioni convenute, non costituite, hanno omesso qualsiasi difesa sul punto.

13. Ne deriva che l'amministrazione, in esecuzione della ordinanza cautelare, è tenuta ad eliminare le opere realizzate sul fondo dell'appellante nel termine di sessanta giorni, decorrenti dalla comunicazione della presente ordinanza.

14. In difetto, procederà, in via sostitutiva, su richiesta dell'interessata, il competente funzionario della Regione Toscana designato dall'assessore regionale ai lavori pubblici, nel termine di sessanta giorni dalla richiesta.

15. Resta salva la facoltà dell'amministrazione di proporre all'interessata, in luogo della restituzione in integrum del terreno il pagamento di una somma corrispondente alla perdita di valore venale del bene, secondo i parametri e con gli effetti di cui all'articolo 35 del decreto legislativo n. 80/1998. A tale scopo, le amministrazioni potranno avvalersi dell'apporto degli uffici tecnici della Regione Toscana.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, nei limiti e nei sensi di cui in motivazione, ordinando al comune di Massa Marittima ed alla ASL n. 9 di Grosseto, per quanto di rispettiva competenza, l'esecuzione degli adempimenti indicati in premessa, nel termine di sessanta giorni decorrenti dalla conoscenza legale della presente pronuncia.

La presente ordinanza sarà eseguita dalla Amministrazione ed è depositata presso la segreteria della Sezione che provvederà a darne comunicazione alle parti.

Roma, 19 dicembre 2000.

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