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CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V - Sentenza 22 maggio 2001 n. 2823 - Pres. Rosa, Est. Lipari - Dalprà e c.ti (Avv.ti Battista e Valentini) c. Comune di Trento (Avv. Stella Richter) - (conferma T.R.G.A. Trento, 28 marzo 1995 n. 100).

Atto amministrativo - Procedimento - Comunicazione di avvio - Costituisce principio generale - Norme limitative - Vanno interpretate restrittivamente - Eccezioni previste dalla legge - Individuazione.

Atto amministrativo - Procedimento - Comunicazione di avvio - Necessità - Nel caso di dichiarazione di p.u. - Sussiste - Nel caso di occupazione d'urgenza - Non sussiste.

Atto amministrativo - Procedimento - Comunicazione di avvio - Eccezioni desumibili in via interpretativa - Individuazione.

Atto amministrativo - Procedimento - Comunicazione di avvio - Necessità - Nel caso di atti vincolati - Non sussiste - Condizioni - Individuazione.

Atto amministrativo - Procedimento - Comunicazione di avvio - Necessità - Nel caso di adozione di atti di secondo grado - Sussiste a meno che non sussistano comprovate ragioni di urgenza.

Autorizzazione e concessione - Revoca - Omessa comunicazione avvio del procedimento - Legittimità - Fattispecie.

La partecipazione degli interessati al procedimento amministrativo prevista dagli art. 7 seg. l. 7 agosto 1990 n. 241 costituisce un principio generale dell'ordinamento giuridico, per cui ogni disposizione che limiti o escluda tale diritto va interpretata in modo rigoroso, al fine di evitare di vanificare od eludere il principio stesso (1). La portata generale del principio e la sua diretta correlazione con i canoni costituzionali di imparzialità e di buon andamento, non autorizzano interpretazioni arbitrariamente restrittive della norma, la quale risulta applicabile nella generalità dei procedimenti amministrativi, con le sole eccezioni stabilite dal legislatore, riguardanti, essenzialmente: a) i provvedimenti tipici cautelari e di urgenza; b) le ipotesi in cui emergano, in concreto, peculiari esigenze di speditezza del procedimento, debitamente illustrate nello stesso atto (2); c) le tipologie procedimentali sottratte alla operatività della legge n. 241/1990, per effetto dell'articolo 13; d) gli atti disciplinati da speciali normative di settore; e) le altre deroghe espressamente formulate dal legislatore.

La disciplina dettata dal capo terzo l. 241/90, in tema di partecipazione all'iter procedimentale, trova applicazione anche in materia espropriativa ed impone la comunicazione agli interessati dell'avvio del procedimento relativo alla dichiarazione (anche implicita) di pubblica utilità; l'obbligo di comunicazione dell'avvio del procedimento amministrativo non viene invece in rilievo per quel che riguarda il procedimento di occupazione d'urgenza (3).

Non occorre avviso di inizio del procedimento:

a) quando il soggetto interessato ha comunque ottenuto conoscenza del procedimento, in tempo utile per realizzare l'eventuale partecipazione all'iter istruttorio. Infatti, le norme in materia di partecipazione al procedimento amministrativo, ai sensi degli articoli 7 e seguenti della legge 7 agosto 1990 n. 241, non vanno applicate meccanicamente e formalmente, nel senso che occorra annullare ogni procedimento in cui sia mancata la fase partecipativa, dovendosi piuttosto interpretare nel senso che la comunicazione è superflua - e riprendono, pertanto, espressione i principi di economicità e di speditezza dai quali è retta l'attività amministrativa - quando l'interessato sia venuto comunque a conoscenza di vicende che conducono necessariamente all'apertura di un procedimento con effetti lesivi nei suoi confronti (4).

b) nel caso in cui il procedimento consegue, con un preciso nesso di derivazione necessaria, da una precedente attività amministrativa già conosciuta dall'interessato; poiché infatti le formalità preliminari del procedimento amministrativo di cui agli art. 7, 8 e 10 l. 7 agosto 1990 n. 241 servono all'interessato, in relazione all'eventuale pregiudizio che gli potrebbe derivare dall'emanazione dell'atto conclusivo, per partecipare al procedimento stesso in una fase idonea a consentirgli la prospettazione di fatti, documenti, memorie ed interpretazioni di cui la p.a. procedente deve tenere conto in sede d'emanazione, in materia di sanzioni edilizie la comunicazione d'avvio del procedimento può esser sostituita, per evidente raggiungimento dello stesso scopo, dall'ordine di sospensione dei lavori reputati abusivi, in quanto esso esprime l'intenzione della p.a. di procedere alla verifica definitiva della compatibilità, o meno dell'intervento edilizio in itinere alla legge ed allo strumento urbanistico, a nulla rilevando che l'ordine di sospensione non contiene anche gli elementi ex art. 8 l. n. 241 del 1990, i quali non hanno carattere essenziale e la loro eventuale omissione può implicare tutt'al più una mera irregolarità del provvedimento definitivo, non l'illegittimità dello stesso" (5).

c) nel caso di procedimenti amministrativi ad istanza di parte, nell'ambito dei quali la previsione di un autonomo obbligo di comunicazione realizzerebbe una evidente duplicazione di attività, con aggravio dell'amministrazione, non compensato da particolari utilità per i soggetti interessati.

La comunicazione del provvedimento inoltre non occorre, sembrando superflua, nel caso di atti vincolati a condizione che: a) l'adozione del provvedimento finale sia doverosa (oltre che vincolata) per l'amministrazione; b) i presupposti fattuali dell'atto risultino assolutamente incontestati dalle parti; c) il quadro normativo di riferimento non presenta margini di incertezza sufficientemente apprezzabili; d) l'eventuale annullamento del provvedimento finale, per accertata violazione dell'obbligo formale di comunicazione non priverebbe l'amministrazione del potere (o addirittura del dovere) di adottare un nuovo provvedimento di identico contenuto (anche in relazione alla decorrenza dei suoi effetti giuridici).

Ogni volta che l'Amministrazione intenda emanare un atto di secondo grado (annullamento, revoca, decadenza) incidente su posizioni giuridiche originate dal precedente atto, oggetto della nuova determinazione amministrativa di rimozione, è necessario l'avviso di avvio del procedimento, ai sensi dell'art. 7 L. 7 agosto 1990 n. 241, ove non sussistano ragioni di urgenza da esplicitare adeguatamente nella motivazione del provvedimento.

Posto che l'obbligo di informazione sancito dall'art. 7 L. 7 agosto 1990 n. 241 è strumentale ad esigenze di conoscenza effettiva e, conseguentemente, di partecipazione all'azione amministrativa da parte del cittadino nella cui sfera l'atto conclusivo è destinato a incidere - in modo che egli sia in grado di influire sul contenuto del provvedimento - l'omissione di tale formalità non vizia il procedimento quando il contenuto del provvedimento sia interamente vincolato, anche con riferimento ai presupposti di fatto, nonché tutte le volte in cui la conoscenza sia comunque intervenuta, sì da ritenere comunque raggiunto in concreto lo scopo cui tende siffatta comunicazione (alla stregua del principio nella specie è stata ritenuta non necessaria la comunicazione di avvio del relativo procedimento nel caso di revoca di concessione di bene demaniale - si trattava di un passo carrabile - quando il provvedimento conclusivo non assume carattere discrezionale o sanzionatorio, ma costituisce atto meramente ricognitivo del mutamento sostanziale dei luoghi, che abbia determinato una trasformazione dell'assetto fattuale così radicale da comportare la sopravvenuta inesistenza - od inidoneità dello stesso oggetto materiale dell'originario provvedimento).

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(1) Cons. Stato, Sez. IV, 25 settembre 1998 n. 569, in Foro amm. 1998, 2339.

(2) Cons. Stato, Sez. IV, 3 novembre 1998, n. 1429, in Foro amm. 1998,f. 11-12 ed in Il Cons. Stato 1998, I, 1719 secondo cui la comunicazione di avvio del procedimento, a norma dell'art. 7 l. 7 agosto 1990 n. 241, è dovuta in relazione a ciascun procedimento e il relativo obbligo non è escluso dalla pretesa sussistenza di ragioni di urgenza che non risultano dall'atto e che comunque non sono di gravità tale da non consentire la comunicazione senza che risulti compromesso il soddisfacimento dell'interesse pubblico.

(3) Cons. Stato, Ad. Plen., 15 settembre 1999, n. 14, in www.giustamm.it pag. http://www.giustamm.it/private/cds/cdsadplen_1999-14.htm  con nota di G. BORGO, Il giusto procedimento espropriativo, pag. http://www.giustamm.it/articoli/borgo_adplen44-99.htm 

(4) Cons. Stato, Sez. IV, 18 maggio 1998, n. 836, in Il Cons. Stato 1998, I, 791.

(5) Cons. Stato, Sez. V, 30 dicembre 1998, n. 1968, in Il Cons. Stato 1998, I, 1950.

 

 

FATTO

La sentenza appellata ha respinto il ricorso proposto dagli attuali appellanti contro il provvedimento adottato dal Sindaco del Comune di Trento, n. 7946 del 28 febbraio 1994, recante la "revoca" della concessione del passo carrabile precedentemente rilasciata in favore degli interessati, gravante sul marciapiede della strada pubblica, situato in viale Rovereto n. 7.

Gli appellanti ripropongono le censure disattese dal tribunale.

Il comune resiste al gravame.

DIRITTO

1. Gli appellanti, ricorrenti, in primo grado, espongono che:

con domanda del 14 dicembre 1979, i fratelli Dalprà, titolari della omonima ditta esercente attività di produzione e vendita di pane, in Viale Rovereto n. 57, chiesero ed ottennero dal comune di Trento il permesso di realizzare una soglia carraia larga circa 3,00 metri;

con il provvedimento impugnato in primo grado, il comune di Trento disponeva la revoca della concessione precedentemente rilasciata, in base alla motivazione secondo cui "la legge n. 360/1993 definisce passo carrabile l'accesso ad un'area laterale idonea allo stazionamento dei veicoli" e che, attualmente "in fregio al sopracitato passo carrabile è presente un negozio; da ciò deriva il venir meno dei presupposti per la concessione del passo carrabile".

2. Con un primo, complesso, mezzo di gravame, gli appellanti ripropongono la censura riguardante l'asserita violazione dell'articolo 13 della legge della Regione Trentino Alto Adige 31 luglio 1993 n. 13 e dell'articolo 7 della legge statale n. 241/1990, sostenendo che il provvedimento impugnato è stato adottato senza rispettare la garanzia della previa comunicazione di avvio del procedimento.

La disposizione regionale, in sostanziale conformità alla norma statale prevede che "ove non sussistano ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità del procedimento, l'avvio del procedimento stesso è comunicato ai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento è destinato a produrre effetti diretti".

L'articolo 16 della stesa legge regionale individua le facoltà assicurate ai destinatari della comunicazione, consistenti nel diritto di accesso agli atti del procedimento e nel potere di depositare "memorie scritte e documenti relativi all'oggetto del procedimento che l'amministrazione ha il dovere di valutare ove siano pertinenti all'oggetto del procedimento".

La sentenza impugnata ha ritenuto infondata la censura, in base alla seguente motivazione: "la legge sulla trasparenza chiama i cittadini alla partecipazione ai procedimenti attraverso i quali l'amministrazione incide sulle posizioni giuridiche tutelate con scelte discrezionali. In tali casi è evidente l'utilità dell'apporto degli stessi soggetti interessati, i quali hanno la possibilità di indicare forse migliori soluzioni di quelle ritenute allo stato dall'amministrazione come idonee alla cura dell'interesse pubblico, con questo tutelando anche i propri interesssi col vantaggio di evitare, ove possibile, inutili ed evitabili sacrifici eccessivi all'interesse privato e, nello stesso tempo, il coinvolgimento dell'amministrazione in dispendiose attività giurisdizionali. Da tutto questo esula evidentemente l'attività vincolata dell'amministrazione intesa ad ottenere dal cittadino il rispetto delle norme di comportamento obbligatorie".

3. Il motivo di appello è infondato, per le ragioni di seguito specificate.

La regola espressa dall'articolo 7 della legge n. 241/1990, sostanzialmente riprodotta dalla legge regionale del Trentino Alto Adige n. 13/1993, esprime il fondamentale principio nella necessaria partecipazione dei soggetti destinatari dell'atto conclusivo del provvedimento allo svolgimento istruttorio dell'attività amministrativa.

La norma afferma e sviluppa, nella sua massima ampiezza, il principio della trasparenza, che governa i rapporti tra cittadini e pubblica amministrazione, assicurando la piena visibilità e la verificabilità del potere amministrativo, nello stesso momento della sua formazione.

Al riguardo, risulta pienamente condivisibile l'affermazione secondo cui la partecipazione degli interessati al procedimento amministrativo prevista dagli art. 7 seg. l. 7 agosto 1990 n. 241 costituisce un principio generale dell'ordinamento giuridico, per cui ogni disposizione che limiti o escluda tale diritto va interpretata in modo rigoroso, al fine di evitare di vanificare od eludere il principio stesso (C. Stato, sez. IV, 25-09-1998, n. 569).

La portata generale del principio e la sua diretta correlazione con i canoni costituzionali di imparzialità e di buon andamento, non autorizzano interpretazioni arbitrariamente restrittive della norma, la quale risulta applicabile nella generalità dei procedimenti amministrativi, con le sole eccezioni stabilite dal legislatore, riguardanti, essenzialmente:

  1. i provvedimenti tipici cautelari e di urgenza;

  2. le ipotesi in cui emergano, in concreto, peculiari esigenze di speditezza del procedimento, debitamente illustrate nello stesso atto (secondo C. Stato, sez. IV, 03-11-1998, n. 1429, la comunicazione di avvio del procedimento, a norma dell'art. 7 l. 7 agosto 1990 n. 241, è dovuta in relazione a ciascun procedimento e il relativo obbligo non è escluso dalla pretesa sussistenza di ragioni di urgenza che non risultano dall'atto e che comunque non sono di gravità tale da non consentire la comunicazione senza che risulti compromesso il soddisfacimento dell'interesse pubblico);

  3. le tipologie procedimentali sottratte alla operatività della legge n. 241/1990, per effetto dell'articolo 13;

  4. gli atti disciplinati da speciali normative di settore;

  5. le altre deroghe espressamente formulate dal legislatore.

4. In questa cornice ricostruttiva, si colloca l'indirizzo espresso dall'Adunanza Plenaria, riguardante l'applicazione dell'articolo 7 nell'ambito dei procedimenti espropriativi: "la disciplina dettata dal capo terzo l. 241/90, in tema di partecipazione all'iter procedimentale, trova applicazione anche in materia espropriativa ed impone la comunicazione agli interessati dell'avvio del procedimento relativo alla dichiarazione (anche implicita) di pubblica utilità" (C. Stato, ad. plen., 15-09-1999, n. 14). Secondo tale pronuncia, invece, l'obbligo di comunicazione dell'avvio del procedimento amministrativo non viene in rilievo per quel che riguarda il procedimento di occupazione d'urgenza.

5. Al tempo stesso, tuttavia, le regole della partecipazione, anche al di fuori dei limiti sopra definiti, non possono essere interpretate ed applicate in modo formalistico ed acritico, ma vanno lette alla luce dei criteri generali che governano lo svolgimento dell'attività amministrativa ed individuano i contenuti fondamentali del rapporto tra esercizio della potestà pubblica e tutela delle posizioni delle parti interessate: ragionevolezza, proporzionalità, logicità ed adeguatezza.

In particolare, secondo questa corretta prospettiva, la pretesa partecipativa dei soggetti interessati va razionalmente correlata all'interesse strumentale del destinatario dell'atto ed alla peculiarità della vicenda procedimentale in cui essa si colloca.

Si tratta di un canone interpretativo di portata generale, costantemente affermato dalla giurisprudenza del Consiglio, per definire la rilevanza della riscontrata difformità tra l'atto amministrativo e le regole che ne disciplinano l'emanazione. L'accertato contrasto tra la fattispecie concreta ed il pardigma astratto delineato dalla norma non determina, per ciò solo, l'invalidità dell'atto. L'illegittimità può essere affermata solo quando la violazione della regola provoca una lesione dell'interesse, ancorché meramente strumentale, perseguito dal ricorrente.

Questa impostazione ricostruttiva trova ulteriore sostegno nella conformazione assunta dal giudizio amministrativo, specie dopo gli interventi normativi portati dal decreto legislativo n. 80/1998 e dalla legge n. 205/2000, volto alla definizione del rapporto controverso, mediante il veicolo dell'impugnazione del provvedimento e la specifica deduzione di vizi propri dell'atto, piuttosto che al riscontro estrinseco della legalità formale dell'atto.

E non può essere trascurato che la stessa legge n. 241/1990 (nonché le successiva normativa ad essa direttamente correlata) afferma con chiarezza i principi di efficacia ed efficienza dell'azione amministrativa, di semplificazione dell'istruttoria, di divieto di aggravio del procedimento, di valorizzazione del risultato concreto perseguito dal titolare della potestà pubblica, di tutela effettiva della posizione sostanziale del soggetto interessato.

Non si può trascurare, in questa prospettiva, che l'articolo 9, comma 3, della proposta di legge n. 6844-a (Atti Camera) contenente "norme generali sull'attività amministrativa", approvata dalla Camera il 25 ottobre 2000 e trasmessa al Senato per l'approvazione definitiva, prevede che "non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma il cui contenuto non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato".

Dunque, in sede legislativa è già presente (ma non ancora compiutamente attuata), la convinzione secondo cui la illegittimità "formale" assume rilievo, ai fini dell'annullamento, solo quando essa riverbera i propri effetti, diretti od indiretti, sul contenuto del provvedimento conclusivo.

6. Nel contesto della normativa attualmente vigente, diviene quindi indispensabile la individuazione del punto di equilibrio fra le esigenze garantistiche codificate dall'articolo 7 della legge n. 241/1990 (e dalle analoghe norme regionali e degli enti locali) e la necessità di assicurare l'efficace svolgimento dell'attività amministrativa. In questo modo è possibile delineare, in modo articolato, le ipotesi in cui l'assenza formale della preventiva comunicazione non determina l'illegittimità dell'atto finale adottato dall'amministrazione.

A tale riguardo, possono essere indicate, in primo luogo, alcune fattispecie in cui, tenendo conto degli indirizzi formulati dalla giurisprudenza dominante, appare pacifica l'inapplicabilità dell'obbligo di comunicazione di avvio del procedimento.

La prima ipotesi si verifica quando il soggetto interessato ha comunque ottenuto conoscenza del procedimento, in tempo utile per realizzare l'eventuale partecipazione all'iter istruttorio. Infatti, le norme in materia di partecipazione al procedimento amministrativo, ai sensi degli articoli 7 e seguenti della legge 7 agosto 1990 n. 241, non vanno applicate meccanicamente e formalmente, nel senso che occorra annullare ogni procedimento in cui sia mancata la fase partecipativa, dovendosi piuttosto interpretare nel senso che la comunicazione è superflua - e riprendono, pertanto, espressione i principi di economicità e di speditezza dai quali è retta l'attività amministrativa - quando l'interessato sia venuto comunque a conoscenza di vicende che conducono necessariamente all'apertura di un procedimento con effetti lesivi nei suoi confronti (C. Stato, sez. IV, 18-05-1998, n. 836).

La seconda ipotesi è rappresentata dal caso in cui il procedimento consegue, con un preciso nesso di derivazione necessaria, da una precedente attività amministrativa già conosciuta dall'interessato; in tal senso si è giustamente ritenuto che "poiché le formalità preliminari del procedimento amministrativo di cui agli art. 7, 8 e 10 l. 7 agosto 1990 n. 241 servono all'interessato, in relazione all'eventuale pregiudizio che gli potrebbe derivare dall'emanazione dell'atto conclusivo, per partecipare al procedimento stesso in una fase idonea a consentirgli la prospettazione di fatti, documenti, memorie ed interpretazioni di cui la p.a. procedente deve tenere conto in sede d'emanazione, in materia di sanzioni edilizie la comunicazione d'avvio del procedimento può esser sostituita, per evidente raggiungimento dello stesso scopo, dall'ordine di sospensione dei lavori reputati abusivi, in quanto esso esprime l'intenzione della p.a. di procedere alla verifica definitiva della compatibilità, o meno dell'intervento edilizio in itinere alla legge ed allo strumento urbanistico, a nulla rilevando che l'ordine di sospensione non contiene anche gli elementi ex art. 8 l. n. 241 del 1990, i quali non hanno carattere essenziale e la loro eventuale omissione può implicare tutt'al più una mera irregolarità del provvedimento definitivo, non l'illegittimità dello stesso" (C. Stato, sez. V, 30-12-1998, n. 1968).

La terza ipotesi è costituita dai procedimenti amministrativi ad istanza di parte, nell'ambito dei quali la previsione di un autonomo obbligo di comunicazione realizzerebbe una evidente duplicazione di attività, con aggravio dell'amministrazione, non compensato da particolari utilità per i soggetti interessati.

7. Al di fuori di queste eventualità, la giurisprudenza, in modo più incerto, ha prospettato anche la possibilità di individuare ulteriori ipotesi in cui risulterebbe inoperante l'obbligo di comunicazione preventiva dell'avvio del procedimento.

In questo senso, attribuendosi valore decisivo al profilo funzionale della partecipazione procedimentale, si è ritenuto, talvolta, che non sussiste l'obbligo della comunicazione dell'avvio del procedimento, previsto dall'art. 7 l. 7 agosto 1990 n. 241, qualora non vi sia alcuna utilità all'azione amministrativa che scaturisca dalla comunicazione stessa; l'obbligo è sancito in funzione dell'arricchimento che deriva dall'azione amministrativa, sul piano del merito e della legittimità, dalla partecipazione del destinatario al provvedimento, e, qualora questo non sussista, tale comunicazione sarebbe superflua e quindi l'obbligo non sussiste (T.a.r. Lazio, sez. III, 17-06-1998, n. 1405).

Analogamente, si è ritenuto che l'omissione della comunicazione di inizio del procedimento prevista dall'art. 7 l. n. 241/90 comporta l'illegittimità dell'atto conclusivo soltanto nel caso in cui il soggetto non avvisato possa poi provare che, ove avesse potuto tempestivamente partecipare al procedimento stesso, avrebbe potuto presentare osservazioni ed opposizioni che avrebbero avuto la ragionevole possibilità di avere un'incidenza causale nel provvedimento terminale (T.a.r. Sicilia, 28-01-1998, n. 74; T.a.r. Puglia, sez. I, 15-09-1997, n. 546).

8. Una versione attenuata di questa linea ermeneutica, ispirata, comunque, ad analoghe premesse ricostruttive, sostiene che l'ambito applicativo dell'articolo 7 è circoscritto alla sola attività amministrativa discrezionale, mentre tale obbligo non avrebbe ragione di operare in relazione all'attività vincolata dei soggetti pubblici.

Di recente, questa opinione è stata espressa dalla Quarta Sezione, sia pure nell'ambito di un percorso motivazionale che mette in evidenza la specificità del procedimento considerato e della sua disciplina positiva. Da tale angolo visuale, si è affermato che il carattere vincolato del provvedimento di espulsione dal territorio nazionale di un cittadino extracomunitario privo del permesso di soggiorno esclude la necessità del previo avviso dell'avvio del procedimento previsto dall'art. 7 l. 7 agosto 1990 n. 241 (C. Stato, sez. IV, 26-10-1999, n. 1625).

Detta tesi è ampiamente elaborata in alcune pronunce dei TAR, a mente delle quali il principio della partecipazione del privato al procedimento amministrativo, assicurato dalla comunicazione prevista dall'art. 7 l. n. 241 del 1990, non ha senso quando l'adozione del provvedimento non implichi valutazioni di natura discrezionale o, almeno, l'accertamento di circostanze di fatto suscettibili di vario apprezzamento; quando si tratta, infatti, di provvedimenti vincolati e basati su presupposti verificabili in modo immediato ed univoco, ed incontestabili, le esigenze di garanzia e di trasparenza, cui sovviene il principio predetto, non sussistono e riprendono piena espansione i criteri di economicità e di speditezza dai quali è retta l'azione amministrativa (T.a.r. Lazio, sez. II, 21-04-1998, n. 636).

Si tratta di un indirizzo tutt'altro che consolidato e che appare, allo stato, contraddetto dagli orientamenti prevalenti della Sezione, secondo la quale la natura vincolata di un provvedimento amministrativo non esclude l'obbligo per la p.a. di comunicare l'avvio del relativo procedimento ai sensi dell'art. 7 l. n. 241 del 1990: infatti, la ragion d'essere della partecipazione al procedimento sussiste anche quando i presupposti del provvedimento da adottare, pur se stabiliti in modo preciso e puntuale delle norme, richiedano comunque un accertamento, nel cui ambito deve essere garantita al privato la possibilità di prospettare fatti e argomenti in suo favore (C. Stato, sez. V, 23-04-1998, n. 474).

In questa direzione, da parte degli interpreti si prospettano i seguenti ulteriori argomenti:

  1. il criterio non è sempre di agevole applicazione, considerando le difficoltà della concreta distinzione tra attività discrezionale e vincolata;

  2. la formulazione letterale dell'articolo 7 non attribuisce rilievo al tipo di potere esercitato ed ai referenti normativi (rigidi od elastici) della sua attuazione;

  3. anche nell'attività vincolata, la partecipazione dell'interessato svolge una funzione utile, contribuendo a definire l'accertamento dei presupposti fattuali del provvedimento finale e l'interpretazione (non sempre scontata) delle norme giuridiche che regolano il potere.

9 Nello stesso senso è orientata la Cassazione, secondo la quale, l'art. 7 l. n. 241 del 1990, nel prescrivere che l'avvio del procedimento amministrativo venga comunicato ai soggetti nei cui confronti il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti e a quelli che per legge debbono intervenirvi nonché agli altri soggetti, individuati o facilmente individuabili, che possano subirne pregiudizio, pone come unica eccezione il caso che sussistano «ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità del procedimento»; pertanto, detto obbligo sussiste anche nel caso di provvedimenti vincolati e basati su presupposti verificabili in modo immediato ed univoco (Cass., sez. un., 1 aprile 2000, n. 82).

Analogo atteggiamento interpretativo, favorevole ad una ampia estensione dell'obbligo di comunicazione di avvio del procedimento, è espresso da una parte consistente della giurisprudenza, con riferimento ai provvedimenti di secondo grado. Ogni volta che l'amministrazione intenda emanare un atto di secondo grado (annullamento, revoca, decadenza), incidente su posizioni giuridiche originate dal precedente atto, oggetto della nuova determinazione amministrativa di rimozione, è necessario l'avviso di avvio del procedimento, ai sensi dell'art. 7 l. 7 agosto 1990 n. 241, ove non sussistano ragioni di urgenza da esplicitare adeguatamente nella motivazione del provvedimento (Cons. giust. amm. sic., sez. giurisdiz., 20-04-1998, n. 242).

10 Si è anche prospettata una tesi intermedia, secondo la quale, l'obbligo di comunicazione del procedimento non sussiste quando ricorrono, congiuntamente, le seguenti condizioni:

  1. il provvedimento ha contenuto e presupposti vincolati;

  2. l'accertamento delle condizioni fattuali per l'emanazione dell'atto non richiede apprezzamenti complessi, ma è correlato, automaticamente, al riscontro obiettivo di un fatto strutturalmente semplice.

Detta tesi è espressa, fra l'altro, in sede consultiva (C. Stato, commiss. spec., 12-01-1998, n. 1404/97): la comunicazione dell'avvio del procedimento amministrativo prevista dall'art. 7 l. 7 agosto 1990 n. 241, non integra un obbligo di natura formale; pertanto, non sussiste violazione del suddetto obbligo ogniqualvolta, in concreto, l'interessato abbia partecipato al procedimento, ovvero nel caso di provvedimenti interamente vincolati anche nei presupposti di fatto.

Anche la Sezione ha seguito la stessa tesi interpretativa, sostenendo che, poiché l'obbligo di comunicazione dell'avvio del procedimento amministrativo ex art. 7 l. 7 agosto 1990 n. 241 è strumentale ad esigenze di conoscenza effettiva e, conseguentemente, di partecipazione all'azione amministrativa da parte del cittadino nella cui sfera giuridica l'atto conclusivo è destinato ad incidere - in modo che egli sia in grado d'influire sul contenuto del provvedimento - l'omissione di tale formalità non vizia il procedimento quando il contenuto di quest'ultimo sia interamente vincolato, pure con riferimento ai presupposti di fatto, nonché tutte le volte in cui la conoscenza sia comunque intervenuta, sì da ritenere già raggiunto in concreto lo scopo cui tende siffatta comunicazione (C. Stato, sez. V, 24-11-1997, n. 1365).

11. Una puntuale applicazione di tale criterio risulta compiuta, poi, da una più recente decisione della Sezione, la quale presenta notevoli punti di somiglianza con la vicenda attualmente in contestazione, nella parte in cui si definisce la portata dell'obbligo di comunicazione nell'ambito dei procedimenti a carattere meramente dichiarativo, originati da comportamenti dello stesso destinatario dell'atto ed incidenti su rapporti amministrati ad efficacia durevole.

Si è affermato, in tal senso, che "poiché l'avviso di avvio del procedimento ex art. 7 l. 7 agosto 1990 n. 241 intende assicurare l'apporto partecipativo dei destinatari dell'atto conclusivo - affinché quest'ultimo realizzi un assetto ragionevole degli interessi, pubblici e privati, coinvolti e confliggenti - tale possibilità non sussiste nel caso di decadenza dalla concessione edilizia per mancato inizio dei lavori edilizi entro il termine stabilito, in quanto tale atto, che viene emanato per il sol fatto del verificarsi di tale evento indicato dalla legge, e come tale sottratto alla disponibilità delle parti, non ha natura costitutiva, ma meramente dichiarativa di un effetto direttamente discendente dalla norma, nei cui riguardi il concessionario, anche se fosse tempestivamente avvertito dell'avvio del relativo procedimento, non avrebbe alcuna possibilità d'influirvi a proprio vantaggio (C. Stato, sez. V, 16-11-1998, n. 1615).

12 Il Collegio ritiene che tale ultimo indirizzo meriti attenta considerazione, perché, superando il discutibile criterio della contrapposizione tra attività vincolata ed attività discrezionale, attribuisce rilevanza decisiva all'apprezzamento della singola vicenda in contestazione.

Sviluppando questa linea interpretativa, si può affermare che la comunicazione del provvedimento dovrebbe diventare superflua quando:

  1. l'adozione del provvedimento finale è doverosa (oltre che vincolata) per l'amministrazione;

  2. i presupposti fattuali dell'atto risultano assolutamente incontestati dalle parti;

  3. il quadro normativo di riferimento non presenta margini di incertezza sufficientemente apprezzabili;

  4. l'eventuale annullamento del provvedimento finale, per accertata violazione dell'obbligo formale di comunicazione non priverebbe l'amministrazione del potere (o addirittura del dovere) di adottare un nuovo provvedimento di identico contenuto (anche in relazione alla decorrenza dei suoi effetti giuridici).

13 Svolte queste premesse, è opportuno concentrare l'attenzione sui particolari contenuti del provvedimento impugnato in primo grado e sul contesto procedimentale in cui esso si colloca.

Con l'atto in contestazione, il comune di Trento ha accertato che l'immobile servito dalla concessione di passo carrabile su area pubblica stradale è stato radicalmente trasformato, per effetto di una modifica della sua destinazione d'uso, realizzata dagli stessi interessati.

Il provvedimento, pur qualificato dall'amministrazione come "revoca" della precedente concessione, non assume carattere discrezionale o sanzionatorio, ma costituisce l'atto meramente ricognitivo del mutamento sostanziale dei luoghi. Si tratta, all'evidenza, di una trasformazione dell'assetto fattuale, così radicale da comportare la sopravvenuta inesistenza (od inidoneità) dello stesso oggetto materiale dell'originario provvedimento.

Al riguardo, è opportuno precisare che la concessione del passo carrabile (anche prima dell'entrata in vigore del nuovo codice della strada), determinando una compressione dell'uso pubblico della sede stradale (veicolare o pedonale) è subordinata alla verifica di precise e tassative condizioni di carattere oggettivo. In particolare, il provvedimento presuppone sempre la correlazione funzionale con un'area laterale idonea allo stazionamento dei veicoli. Mancando questo elemento, il provvedimento resta privo di qualsiasi base giustificativa.

14 Correttamente determinata la reale natura giuridica del provvedimento impugnato, è possibile rilevare che non assume peso significativo, nel presente giudizio, l'affermazione secondo cui l'obbligo di comunicare all'interessato l'avvio del procedimento dettato dall'art. 7 l. n. 241 del 1990, trova applicazione anche in materia di revoca di concessione di bene demaniale, trattandosi di regola generale imposta dalla legge in tutti i casi di adozione di atti restrittivi della sfera giuridica dei privati e finalizzati ad assicurare all'interessato la facoltà di prospettare fatti e ragioni in suo favore che anche l'amministrazione stessa ha interesse a prendere in considerazione prima di sentirseli eventualmente esporre in sede contenziosa (C. Stato, sez. VI, 11-05-1998, n. 692).

15. Ora, in tale quadro di circostanze emerge che:

  1. l'accertamento della sopravvenuta inefficacia della concessione di passo carrabile (impropriamente qualificata dal comune come "revoca"), per difetto del suo presupposto essenziale, è atto dovuto e vincolato per l'amministrazione;

  2. infatti, l'ente proprietario e gestore dalla strada ha l'obbligo di assicurare alla collettività l'uso pubblico dell'area, una volta venute meno le particolari condizioni che ne limitavano l'utilizzazione;

  3. l'accertamento dei presupposti fattuali del nuovo atto non presenta alcuna incertezza istruttoria ed ha struttura rigorosamente oggettiva, senza rilievo apprezzabile di valutazioni tecniche od a carattere scientificamente opinabile;

  4. l'eventuale annullamento del provvedimento non recherebbe alcuna utilità agli appellanti, considerando l'obbligo giuridico dell'amministrazione comunale di rendere effettivo l'uso pubblico dell'area interessata dalla concessione di passo carrabile;

  5. il fatto materiale da cui è derivato il provvedimento adottato dall'amministrazione comunale è stato originato da un comportamento volontario dagli stessi ricorrenti, pienamente consapevoli (in base al principio dell'autoresponsabilità) dell'obiettiva incidenza della modifica della destinazione d'uso dell'immobile sulla effettiva funzione del passo carrabile;

  6. la materiale soppressione dell'essenziale presupposto del provvedimento originario di concessione doveva rendere evidente la certezza (o quanto meno la altissima probabilità) delle conseguenti iniziative dell'amministrazione comunale;

  7. nella vicenda in esame non è invocabile il principio della buona fede da parte degli interessati, sia perché la radicale trasformazione del luogo è stata realizzata da parte degli stessi titolari della concessione, sia perché il comune non ha assunto alcun atteggiamento ambiguo, ingenerando incolpevoli affidamenti, ma, al contrario, ha adottato il provvedimento oggetto immediatamente dopo aver conosciuto la nuova situazione di fatto.

16. Con un secondo mezzo, l'appellante censura il capo della sentenza di primo grado concernente la statuizione sulle spese.

Anche mettendo da parte i dubbi sulla ammissibilità della impugnativa di un capo della pronuncia contrassegnato da amplissimi margini di discrezionalità del giudice di primo grado, le censure sono destituite di fondamento nel merito.

Il tribunale ha correttamente applicato il principio processuale della soccombenza, evidenziando anche, in modo del tutto ragionevole, i motivi ostativi ad una eventuale compensazione delle spese, anche solo parziale.

17 In definitiva, quindi, l'appello deve essere rigettato.

Le spese del grado possono essere compensate, considerando la complessità delle questioni affrontate.

Per questi motivi

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, respinge l'appello, compensando le spese;

ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 20 febbraio 2001, con l'intervento dei signori:

Salvatore Rosa - Presidente

Piergiorgio Trovato - Consigliere

Filoreto D'Agostino - Consigliere

Claudio Marchitiello - Consigliere

Marco Lipari - Consigliere Estensore

L'ESTENSORE IL PRESIDENTE

F.to Marco Lipari F.to Salvatore Rosa

Depositata il 22 maggio 2001.

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