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n. 7/8-2001 - © copyright.

CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V - Sentenza 28 agosto 2001 n. 4526 - Pres. Quaranta, Est. Mastrandrea - I.CO.P. S.p.A. (Avv. G. B. Verbari) c. Bonatti S.p.A. (Avv.ti S. A. Romano e G. Cugurra) e Provincia di Pordenone (Avv. F. Vampa) - (annulla T.A.R. Friuli-Venezia Giulia, sent. 8 giugno 1998, n. 783).

Giustizia amministrativa - Ricorso giurisdizionale - In materia di appalti di oo.pp. e di espropriazioni per p.u. - Dimidiazione dei termini processuali - Ex art. 19 D.L. n. 67/1997 - Si applicava anche al termine per ricorrere.

Atto amministrativo - Generalità - Indicazione dell'Autorità e del termine per la proposizione del ricorso - Ex art. 3 L. n. 241/1990 - Mancanza - Conseguenze - Concessione del beneficio dell'errore scusabile - Presupposti e condizioni.

Deve ritenersi il dimezzamento dei termini processuali previsto dall'art. 19 del decreto legge 25 marzo 1997, n. 67, convertito dalla legge 23 maggio 1997, n. 135, si applicava, sin dalla data di entrata in vigore del decreto legge, anche al termine di proposizione del ricorso (1).

Anche se la notifica del ricorso non è sufficiente per la sua proposizione (giacché è poi necessario che il ricorso stesso, con la prova delle avvenute notifiche, venga depositato presso la segreteria dell'organo giurisdizionale), ciò non significa che la notifica (assieme al deposito del ricorso) sia atto al di fuori del processo. Essa costituisce momento indefettibile per la costituzione del rapporto processuale ed il termine che ne scandisce il compimento è senz'altro processuale, perché nell'esistenza del processo trova nel contempo il proprio fondamento e la propria ragione (2).

Le ipotesi in cui l'Amministrazione, venendo meno al dovere di cooperazione, ometta di indicare nel provvedimento finale i termini e l'Autorità cui ricorrere (così come prescritto dall'art. 3, comma 4, della L. 241/90) possono sì costituire presupposto per l'integrazione di un errore scusabile in sede processuale, a patto che, però, nei singoli casi risulti apprezzabile una oggettiva incertezza sugli strumenti di tutela utilizzabili da parte del destinatario dell'atto. Tale inadempimento formale si risolverebbe altrimenti in un'assoluzione indiscriminata dall'onere di ottemperare alle prescrizioni vincolanti delle leggi dello Stato, assistite dalla presunzione legale di conoscenza, posta questa a sua volta a fondamento dell'indefettibile principio dell'obbligo di osservanza dei precetti giuridici (3).

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(1-3) Commento di

GIOVANNI VIRGA

L'art. 3, 4° comma della L. n. 241/90 da norma minus quam perfecta a prescrizione priva di sanzione.

Con la pronuncia in rassegna la Sez. V segue l'orientamento espresso di recente dall'Adunanza Plenaria, con sentenza 14 febbraio 2001, n. 2, in www.giustamm.it, n. 2/2001, pag. http://www.giustamm.it/cds1/cdsadplen_2001-2.htm con nota di G. BACOSI, La Plenaria tra il vecchio e il nuovo in materia di opere pubbliche e connesso "rito accelerato". , con la quale è stato ritenuto che il dimezzamento dei termini previsto dal c.d. decreto salvacantieri si applicava fin dall'origine anche al termine per l'impugnazione, dato che questo è da ritenere come un vero e proprio "termine processuale".

Tale conclusione ermeneutica, ad opinione della Sez. V, viene ad essere corroborata, e niente affatto vulnerata, dalla circostanza che in sede di conversione in legge del decreto, a dirimere ogni residuo dubbio, è stato aggiunto un significativo quanto inequivocabile "tutti". L'introduzione del predetto aggettivo voleva evidentemente sancire in via legislativa quello che era però già ricavabile dalla lettera della legge, che non lasciava soverchi spazi a dubbi interpretativi.

Va tuttavia osservato che la legge n. 205/2000, all'art. 4, pur prevedendo - per i c.d. procedimenti speciali (tra cui rientrano espressamente anche "i provvedimenti relativi a procedure di affidamento di incarichi di progettazione e di attività tecnico-amministrative ad esse connesse" ed "i provvedimenti relativi alle procedure di aggiudicazione, affidamento ed esecuzione di opere pubbliche o di pubblica utilità, ivi compresi i bandi di gara e gli atti di esclusione dei concorrenti, nonchè quelli relativi alle procedure di occupazione e di espropriazione delle aree destinate alle predette opere"), che "i termini processuali previsti sono ridotti alla metà", ha espressamente escluso dalla dimidiazione i termini "per la proposizione del ricorso".

Tale disposizione, ancorchè sopravvenuta,  ha quindi espressamente escluso il termine per la proposizione del ricorso dalla dimidiazione dei termini processuali in origine prevista dal decreto "salvacantieri", considerando tale termine evidentemente troppo ridotto per un efficace esercizio del diritto di difesa.

Alla luce di questa disposizione, che ha finito per prevedere un regime speciale per il termine per la proposizione del ricorso, il Consiglio di Stato avrebbe potuto concedere il beneficio dell'errore scusabile, senza trincerarsi dietro un orientamento che, anche in considerazione dell'obiettiva equivocità dell'originaria dizione impiegata dal decreto legge (meglio poi specificata in sede di conversione), sembra troppo rigido e formalistico.

Non è superfluo ricordare che è stata proprio la giurisprudenza del Consiglio di Stato che ha elaborato la teorica della rimessione in termini per errore scusabile, vera e propria valvola di sfogo del sistema che consente di superare una applicazione troppo rigida di nuove norme dal significato equivoco e non facilmente interpretabili.

La dizione originariamente impiegata dal decreto salvacantieri era obiettivamente equivoca, al punto che il legislatore ha sentito la necessità di modificarla in sede di conversione in legge del decreto stesso. Onde la concessione del beneficio dell'errore scusabile poteva nella specie trovare applicazione, tenuto peraltro conto del sopravvenuto regime ex art. 4 L. n. 205/2000, che ha espressamente escluso dall'applicazione della dimidiazione dei termini processuali, proprio il termine per la proposizione del ricorso, finendo per considerare  quest'ultimo come un termine, ancorchè processuale, che abbisogna di una disciplina differenziata rispetto a tutti gli altri termini.

Criticabile sembra la decisione in rassegna - al pari di quella dell'Adunanza Plenaria sopra richiamata, alla quale la Sez. V finisce per conformarsi - soprattutto nella parte in cui finisce per non attribuire alcuna conseguenza all'omesso rispetto dell'art. 3, comma 4, della L. 241/90 (indicazione nel provvedimento finale del termine per ricorrere e dell'autorità innanzi alla quale è possibile proporre ricorso).

Se è vero infatti che l'omissione di tale indicazione, secondo l'orientamento costante della giurisprudenza (che è pienamente da condividere) non rende illegittimo ex se il provvedimento finale, tuttavia tale omissione non può rimanere del tutto senza conseguenze.

L'unica conseguenza che finora la giurisprudenza aveva attribuito nel caso di violazione dell'art. 3, $° comma cit., era quella della concessione in tali casi del beneficio dell'errore scusabile, dato che il comune cittadino, in mancanza di indicazione del termine per impugnare, può facilmente incorrere nella sanzione della tardività. L'art. 3, 4° comma cit., quindi, secondo questa interpretazione, costituiva una norma minus quam perfecta, la cui violazione, pur non dando luogo all'applicazione della sanzione che solitamente si applica agli atti illegittimi (annullamento per violazione di legge), dava luogo alla previsione di conseguenze favorevoli per il destinatario dell'atto (concessione del beneficio della rimessione in termine per errore scusabile).

L'avere subordinato la concessione del beneficio in questione alla ulteriore condizione che "nei singoli casi risulti apprezzabile una oggettiva incertezza sugli strumenti di tutela utilizzabili da parte del destinatario dell'atto", finisce per rendere del tutto priva di conseguenze la violazione dell'art. 3, 2° comma, L. n. 241/90.

Invero, a ben vedere, la situazione di "oggettiva incertezza" costituiva - ancor prima della L. n. 241/90 - la condizione per la concessione del beneficio dell'errore scusabile. L'avere richiamato tale condizione nel caso di omessa indicazione del termine per impugnare, finisce - si ripete - per svuotare del tutto di contenuto la sopravvenuta norma di cui all'art. 3 della L. n. 241/90.

La conseguenza inevitabile di tale orientamento è infatti che l'omessa indicazione del termine per ricorrere e dell'autorità competente a decidere rimane priva di conseguenze pratiche e di apposita sanzione, dato che da un lato, non rende ex se illegittimo l'atto e che, dall'altro, non consente neppure di ottenere il beneficio della rimessione in termine, dato che tale beneficio è subordinato anche nel caso in cui si sia verificata l'omissione, alla condizione generale che "nei singoli casi risulti apprezzabile una oggettiva incertezza sugli strumenti di tutela utilizzabili da parte del destinatario dell'atto".

La prescrizione dell'art. 3, 4° comma, sarebbe così una norma "imperfecta" (nel senso che i romani attribuivano a quest'ultimo termine) e cioè una norma pressoché priva di sanzione.

Tutto ciò sembra non solo in contrasto con le esigenze di trasparenza che hanno animato il legislatore del 1990, il quale aveva previsto attraverso la norma in parola un mezzo per assicurare ulteriormente la trasparenza della P.A. e per tutelare l'affidamento dell'ignaro cittadino, ma appare anche anacronistico, specie in un momento in cui le controversie in materia di pubblico impiego - a seguito del loro trasferimento all'A.G.O. - non sono più soggette al termine di decadenza e si assiste ad un ampliamento della giurisdizione esclusiva, nell'ambito della quale le pretese (sia pure aventi natura e consistenza di diritto soggettivo) sono soggette all'ampio termine di prescrizione.

Arroccarsi dietro al dimezzamento del termine ambiguamente previsto dal decreto salvacantieri (il quale, così come interpretato, imponeva la proposizione del ricorso entro il ridottissimo termine di 30 giorni), senza nemmeno riconoscere (nè in considerazione della già evidenziata ambiguità della formula legislativa, nè alla luce della sopravvenuta L. n. 205/2000, nè soprattutto per l'omessa indicazione del termine per l'impugnazione, pur prescritta dalla L. n. 241/90), al fine di non esaminare nel merito la controversia, in definitiva non rende neanche un buon servizio al cittadino, il quale - non è superfluo a questo punto ricordare - si rivolge ai giudici per ottenere una qualche tutela nei confronti della P.A. ed ha diritto di sapere entro che termini ed innanzi a quale autorità ha la possibilità di far valere gli interessi legittimi di cui è titolare.

 

 

FATTO

1. Con bando di gara pubblicato sulla Gazzetta della Comunità Europea in data 11 gennaio 1998 la Provincia di Pordenone indiceva un pubblico incanto, con un importo a base d'asta di oltre 12 miliardi di lire, per l'affidamento dei lavori di costruzione di un viadotto sul torrente Cellina.

Il criterio di aggiudicazione prescelto era il sistema del massimo ribasso, da applicarsi sia all'elenco prezzi per le opere a misura sia all'importo delle opere a corpo poste a base di gara, con valutazione delle offerte anomale ai sensi della normativa allora vigente.

L'avviso di gara, nel capo (n.13) dedicato ai requisiti richiesti ai partecipanti, prevedeva espressamente che l'offerta dovesse "essere corredata da giustificazioni relative alle seguenti voci di prezzo più significative concorrenti a formare un importo non inferiore al 75 % di quello posto a base d'asta: tutte le opere con prezzo a corpo e la seguente voce di prezzo per opere a misura: pali trivellati di grande diametro".

Alla gara partecipavano, con offerte valide, n.11 ditte.

All'apertura delle buste l'offerta più vantaggiosa risultava essere quella dell'Impresa Bonatti, attuale appellata, con un ribasso del 28,80% sull'importo a base d'asta.

La soglia di anomalia veniva individuata nel 22,215%, cosicché le offerte sia della ditta Bonatti che dell'ATI appellante (- 22,80%), oltre che della società Romagnoli di Milano, venivano sottoposte a verifica.

Dalla valutazione complessiva delle tre analisi giustificative delle offerte emergeva che la ditta Bonatti aveva presentato analisi dei prezzi con evidenti difformità in diminuzione rispetto a quelli previsti dalla tabella n.138 dell'Ufficio del Genio Civile di Pordenone e con riferimento ad una squadra tipo non adeguata alla difficoltà delle lavorazioni previste nel progetto dell'opera (mancando in particolare un capo squadra di IV livello).

Ritenuti dunque non motivati ragionevolmente i prezzi offerti, la Commissione di gara escludeva le offerte presentate dalle imprese Bonatti e Romagnoli, aggiudicando invece l'appalto in questione all'ATI appellante, che aveva presentato un'analisi giustificativa puntuale e corretta, sia per i costi orari sia per la formazione della squadra tipo, con la previsione di tutte le figure professionali da ritenersi indispensabili per questa specifica opera.

2. Investito della controversia dalla ditta Bonatti, il TAR Friuli V.G., disattesa l'eccezione di irricevibilità del gravame per tardività, e comunque ritenuta integrabile la fattispecie dell'errore scusabile, riteneva nel merito fondata, e decisiva, la censura di tipo procedurale, visto che, contrariamente a quanto previsto dall'art.30 della direttiva 93/37 CEE, non erano state chieste specifiche giustificazioni ai fini della valutazione dell'anomalia dell'offerta, ma si era fatto riferimento alle giustificazioni dei prezzi presentate da tutte le ditte partecipanti all'atto dell'offerta.

3. L'ATI ICOP-Vidoni ha, dunque, interposto l'appello in trattazione, e, oltre a eccepire diversi vizi di forma e nuovamente l'irricevibilità del ricorso di primo grado, ha nel merito contestato le argomentazioni e le conclusioni raggiunte dal Giudice di prime cure.

4. La ditta appellata si è costituita in giudizio per resistere all'appello, mentre la Provincia di Pordenone si è costituita in questo giudizio per aderire all'appello dell'ATI appellante. In verità la medesima Amministrazione provinciale ha anche proposto separato ricorso (con il numero 6366/98) avverso la medesima sentenza, ma il gravame è stato cancellato dal ruolo.

Con ordinanza della Sezione n. 1575 del 29 luglio 1998 è stata rigettata l'istanza di sospensione dell'efficacia della sentenza di primo grado.

Alla pubblica udienza del 5 giugno 2001 il ricorso in appello è stato introitato per la decisione.

DIRITTO

1. L'appello merita accoglimento, dovendo in effetti dichiararsi irricevibile, in riforma della sentenza impugnata, il ricorso proposto dinanzi al TAR Friuli dalla ditta appellata.

Ad avviso del Tribunale, pur essendo intervenuta la notificazione del ricorso alla ditta controinteressata (attuale appellante) pacificamente oltre i trenta giorni ricavabili dalla legge, il termine per proporre ricorso non andrebbe compreso tra i termini processuali dimidiati ai sensi dell'art.19, comma 3, del d.l. 67/97, convertito, con modificazioni, dalla l.135/97.

Infatti, sempre secondo i primi Giudici, in una interpretazione letterale e logica (oltre che costituzionalmente corretta) della norma citata, i termini processuali ridotti sarebbero solo quelli interessanti la fase di merito del giudizio definibile immediatamente con sentenza stesa in forma abbreviata.

L'oggettiva incertezza interpretativa e le oscillazioni giurisprudenziali sul punto renderebbero, inoltre, accettabile la richiesta di concessione dell'errore scusabile.

2. Le esposte argomentazioni non possono essere condivise.

La Sezione, al riguardo, intende fare propria la trama argomentativa caratterizzante la recente pronunzia dell'Adunanza Plenaria di questo Consiglio (Cons. Stato, A.P., 14 febbraio 2001, n. 1).

La disciplina di cui all'art.19 del decreto legge 25 marzo 1997, n.67, convertito dalla legge 23 maggio 1997, n.135, che era in vigore da oltre un anno all'epoca della proposizione del ricorso di primo grado, prevedendo il dimezzamento dei termini processuali non poteva non estendersi anche alla proposizione del ricorso. Tale conclusione ermeneutica viene ad essere corroborata, e niente affatto vulnerata, dalla circostanza che in sede di conversione in legge del decreto, a dirimere ogni residuo dubbio, sia stato aggiunto un significativo quanto inequivocabile "tutti".

L'introduzione del predetto aggettivo voleva evidentemente sancire in via legislativa quello che era però già ricavabile dalla lettera della legge, che non lasciava soverchi spazi a dubbi interpretativi.

Come già evidenziato in altra occasione dalla Sezione il termine per l'impugnazione è il primo di quelli processuali. Trattasi di un termine che ha la sua ragion d'essere esclusivamente in relazione alla introduzione del processo. L'effetto che determina la mancata proposizione del ricorso giurisdizionale nel periodo fissato è quello dell'irricevibilità dell'impugnativa, perché la notifica del ricorso segna il momento in cui il privato manifesta la volontà di reagire nella sede giudiziaria all'atto che egli reputa illegittimo. E' vero che la notifica non è sufficiente, giacché è poi necessario che il ricorso, con la prova delle avvenute notifiche, venga depositato presso la segreteria dell'organo giurisdizionale; ma ciò non implica che gli adempimenti anzidetti (la notifica del ricorso prima ed il deposito poi) siano atti al di fuori del processo. Essi costituiscono momenti indefettibili per la costituzione del rapporto processuale. Sono compiuti con il ministero di un soggetto abilitato professionalmente a rappresentare e difendere il privato nel processo. Sono volti esclusivamente ad introdurre il giudizio, ed i termini che ne scandiscono il compimento sono senz'altro processuali perché nell'esistenza del processo trovano nel contempo il proprio fondamento e la propria ragione (cfr. Cons. Stato, V, 13 aprile 1999, n.182).

Che poi tra "tutti i termini processuali" debba essere fatto rientrare anche il termine per proporre ricorso è significativamente confermato anche dalla specifica norma sulla sospensione, nel periodo feriale, dei termini definiti processuali (art. 1 l. 742/69), relativamente alla quale mai si sono avanzati dubbi in merito all'applicabilità al termine di proposizione del gravame.

L'orientamento suddetto, presto consolidatosi nella giurisprudenza di questo Consiglio, non è stato sconfessato dalla Corte Costituzionale, la quale anzi, con la ben nota pronunzia n.427 del 1999, ha escluso recisamente la sussistenza dei prospettati dubbi di legittimità costituzionale, ritenendo sufficientemente giustificata la deroga al regime ordinario del processo, anche relativamente al dimezzamento di tutti i termini processuali, in base alla diversità e peculiarità della materia.

La circostanza poi che il legislatore, nell'introdurre con l. 205/2000 l'art.23-bis della l. 1034/71, in un ambito di materie ben più ampio ma comunque comprendente i provvedimenti relativi alle procedure di aggiudicazione, affidamento ed esecuzione di opere pubbliche o di pubblica utilità, abbia voluto espressamente prevedere, questa volta, che la dimidiazione dei termini non concerne la proposizione del ricorso, tenendo conto probabilmente del fatto che la riduzione di trenta giorni del termine per proporre ricorso determinava un vantaggio non particolarmente decisivo ai fini della ratio acceleratoria, a fronte di un pregiudizio ben più evidente recato alle ragioni della difesa, non cambia formalmente il quadro sopra delineato.

Trattasi infatti, nel caso del citato art. 23-bis, di norma innovativa di carattere processuale, che pur essendo, come tutte le norme processuali, di immediata applicazione non può rivestire efficacia retroattiva, soggiacendo la validità degli atti processuali, in assenza di espresse disposizioni in senso contrario, alla regola del tempus regit actum. Del resto il tenore della richiamata novella legislativa in realtà conferma che, in mancanza di previsione espressa di esclusione, il termine di notifica del ricorso fa parte a pieno titolo dei "termini processuali".

Il ricorso di primo grado risulta, dunque, tardivamente proposto, in quanto pacificamente notificato alla ditta controinteressata oltre il trentesimo giorno dalla conoscenza del provvedimento di aggiudicazione impugnato.

3. Né, ad avviso del Collegio, sussistono margini per la concessione dell'errore scusabile, e questo sia dal punto di vista della mancata indicazione del termine per ricorrere, sia relativamente alle difficoltà interpretative o alle incertezze degli indirizzi giurisprudenziali.

E' noto che gli arresti giurisprudenziali più recenti, comprensivamente della sopra citata decisione dell'Adunanza Plenaria, hanno decisamente, e avvedutamente ad avviso del Collegio, rivisitato la tesi per cui la mancanza, nell'atto impugnato, delle indicazioni prescritte dall'art.3, comma 4, della l.241/90, comporterebbe, di per sé, la concessione del beneficio dell'errore scusabile.

Tale tesi, nella sua assolutezza, si rivela non conciliabile con la rigorosa disciplina dettata, in materia di termini per la proposizione del ricorso, dalla normativa processuale di settore.

Deve, infatti, affermarsi che le ipotesi in cui l'Amministrazione, venendo meno al dovere di cooperazione, ometta di indicare al privato i termini e l'Autorità cui ricorrere possono sì costituire presupposto per l'integrazione di un errore scusabile in sede processuale, a patto che, però, nei singoli casi risulti apprezzabile una oggettiva incertezza sugli strumenti di tutela utilizzabili da parte del destinatario dell'atto. Tale inadempimento formale si risolverebbe altrimenti in un'assoluzione indiscriminata dall'onere di ottemperare alle prescrizioni vincolanti delle leggi dello Stato, assistite dalla presunzione legale di conoscenza, posta questa a sua volta a fondamento dell'indefettibile principio dell'obbligo di osservanza dei precetti giuridici (Cons. Stato, A.P., 1/2001; cfr. anche VI, 24 ottobre 2000, n. 5714, nonché, da ultimo, IV, 12 marzo 2001, n.1407).

Tanto premesso, nel caso che interessa, tenendo conto anche della data di proposizione del ricorso di primo grado, non si ravvisano quegli elementi oggettivi di incertezza che potevano giustificare la concessione dell'errore scusabile, considerato anche che l'integrazione della formula legislativa, apportata in sede di conversione del decreto in argomento, non lasciava ulteriori spazi ad apprezzabili margini di dubbio interpretativo, come la pressoché univoca giurisprudenza di questo Consiglio non ha mancato di rilevare, seppur pronunciandosi in epoca per lo più successiva alla proposizione del gravame di primo grado.

Va, inoltre, rilevato che l'atteggiamento tenuto dalla ditta originaria ricorrente, che ha evidentemente tentato di notificare il gravame di primo grado nel termine di trenta giorni desumibile dal citato art. 19 anche nei confronti della controinteressata, oltre che dell'Amministrazione provinciale intimata - tentativo non andato a buon fine solo per l'erronea individuazione della sede legale della ditta attuale appellante - depone nel senso di un atteggiamento soggettivo di consapevolezza dell'applicazione del dimezzamento dei termini anche alla fase della proposizione del ricorso.

4. Alla stregua delle considerazioni sopra riportate l'appello merita accoglimento nei suddetti termini e pertanto, in riforma dell'appellata sentenza, il ricorso di primo grado deve essere dichiarato irricevibile per tardività della notifica nei confronti della ditta controinteressata, attuale appellante.

Possono essere compensate le spese di lite, relativamente ad entrambi i gradi di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sul ricorso in appello in epigrafe, lo accoglie e, per l'effetto, in riforma della sentenza appellata, dichiara irricevibile il ricorso di primo grado.

Compensa le spese di lite relativamente ad entrambi i gradi di giudizio.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, il 5 giugno 2001, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), in camera di consiglio, con l'intervento dei seguenti Magistrati:

Alfonso Quaranta Presidente

Andrea Camera Consigliere

Pier Giorgio Trovato Consigliere

Aldo Fera Consigliere

Gerardo Mastrandrea Consigliere est.

L'ESTENSORE IL PRESIDENTE

f.to Gerardo Mastrandrea f.to Alfonso Quaranta

DEPOSITATA IN SEGRETERIA il 28 agosto 2001.

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