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Giurisprudenza
n. 7/8-2001 - © copyright.

CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V - Sentenza 7 settembre 2001 n. 4671 - Pres. de Lise, Est. Mastrandrea - Zarro ed altro (Avv.ti L. V. Moscarini e G. De Notariis) c.  AUSL n.2 di Isernia (Avv. U. P. Bevacqua) - (conferma  T.A.R. Molise, sent. 23 maggio 1994, n. 97).

Pubblico impiego - Generalità - Rapporti di p.i. di fatto (instaurati al di fuori delle ordinarie procedure) - Sono da ritenere nulli.

Pubblico impiego - Generalità - Rapporti di p.i. di fatto (instaurati al di fuori delle ordinarie procedure) - Diritto dell'interessato alle eventuali differenze retributive ed alla regolarizzazione della posizione contributiva e previdenziale - Ex art. 2126 c.c. - Sussiste.

Qualora un soggetto assuma che un rapporto di pubblico impiego è sorto sulla base di atti o comportamenti diversi da quelli presi in considerazione dalla legge, il giudice amministrativo non può accertare un rapporto che non è sorto, non sussiste e non può giuridicamente sussistere (1).

A fronte di un rapporto che deve intendersi nullo di diritto devono, nondimeno, essere ritenuti applicabili i meccanismi di protezione, dal punto di vista retributivo e contributivo-previdenziale, previsti dall'art. 2126 c.c., per il periodo di espletamento delle prestazioni di fatto. Deve pertanto ritenersi che, qualora la P.A. ponga in essere, anche se sotto il nomen iuris di contratto di appalto ovvero d'opera, un rapporto avente in realtà le caratteristiche del lavoro subordinato, seppur nullo di diritto, atteso che si è provveduto all'assunzione senza il superamento del prescritto concorso o della eventuale prova selettiva, per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione trova comunque applicazione l'art. 2126 c.c., con conseguente diritto dell'interessato alle relative differenze retributive ed alla regolarizzazione della posizione contributiva e previdenziale (2).

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(1) Cons. Stato, V, 12 dicembre 1996, n. 1508; 13 novembre 1997, n. 1293; 7 ottobre 1998, n. 1422.

(2) Cons. Stato, V, 3 giugno 1996, n. 618; 23 giugno 1997, n. 709. V. anche Cons. Stato, A..P., 29 febbraio 1992, n. 1; Cons. Stato, V, 1° febbraio 1995, n. 157; 22 giugno 1996, n. 784, secondo cui il rapporto di lavoro instaurato con l'Amministrazione in contrasto con le disposizioni che lo disciplinano nasce dunque e vive come rapporto di fatto, rispetto al quale gli indici rilevatori del pubblico impiego assumono soltanto funzione di astratta qualificazione al fine della determinazione della giurisdizione (esclusiva del giudice amministrativo in virtù della fictio iuris di validità del rapporto nullo ai soli fini di cui all'art. 2126 c.c.) e della disciplina economica e previdenziale cui debbono essere sottoposte le prestazioni lavorative .

A tal fine occorre aver riguardo non tanto alle connotazioni formalistiche del rapporto, quanto alla presenza dei presupposti sostanziali del rapporto medesimo quali, ad esempio, la subordinazione gerarchica, la non provvisorietà della prestazione, l'inserimento del lavoratore nell'organizzazione interna dell'Ente, il rispetto di un preciso orario di lavoro (cfr. Cons. Stato, IV, 3 marzo 1997, n.176

 

 

FATTO

1. Le appellanti, già ricorrenti in primo grado, espongono di aver prestato servizio presso il consultorio familiare istituito presso la USL intimata, in qualità rispettivamente di pedagogista e di esperta in materie giuridiche.

Assunte sulla base di rapporto convenzionale, le medesime vedevano rapidamente aumentare le ore settimanali di impegno lavorativo, trovandosi ben presto inserite nell'organizzazione dell'Ente in sostanziale posizione di lavoratrici subordinate, con obbligo quindi di osservanza dell'orario anche attraverso la firma dei fogli di presenza e il controllo sulle entrate e uscite, e con soggezione diretta alle istruzioni provenienti dai superiori.

Tale è situazione è durata fino alla definitiva immissione in ruolo, avvenuta nel maggio 1986.

2. Le appellanti hanno così adito il competente TAR per vedere formalmente accertato il rapporto di pubblico impiego, sussistente con la USL molisana nel periodo settembre 1982 - maggio 1986, e sentire condannare la medesima Amministrazione sanitaria al pagamento delle differenze retributive, con ricostruzione della carriera e regolarizzazione previdenziale.

I giudici di prime cure hanno rigettato il ricorso, ritenendo nella specie carenti quegli indici rivelatori di un rapporto di lavoro subordinato già ritenuti compresenti, invece, per altro personale operante presso la stessa struttura consultoriale, anche in questo caso per il periodo antecedente alla definitiva immissione in ruolo.

In sostanza il Tribunale ha ritenuto che il pur considerevole aumento dell'impegno orario non snaturasse la natura di prestazioni di consulenza riconducibili al contratto d'opera.

3. Le dott.sse Zarro e Iorio hanno interposto appello avverso la prefata sentenza, ribadendo la sussistenza degli indici rivelatori del rapporto di lavoro subordinato per il periodo sopra indicato, e quindi riproponendo le richieste di accertamento dei propri diritti e di condanna dell'Amministrazione sanitaria.

4. Quest'ultima si è costituita in giudizio per resistere all'appello, ed ha eccepito l'irricevibilità dello stesso per tardività, riproponendo altresì l'eccezione di irricevibilità del ricorso di primo grado, e comunque non mancando di controdedurre nel merito e di eccepire anche l'avvenuta prescrizione delle pretese delle istanti.

Alla pubblica udienza dell'8 maggio 2001 il ricorso in appello è stato introitato per la decisione.

DIRITTO

1. L'appello deve essere respinto, meritando integrale conferma la sentenza impugnata.

L'infondatezza dell'appello, e quindi la confermata infondatezza del ricorso di prima istanza, consentono al Collegio di prescindere dall'esame delle eccezioni di irricevibilità dell'appello, come del ricorso di primo grado.

2. I Giudici di prime cure, peraltro già altre volte interessati da vertenze analoghe instaurate da personale del medesimo consultorio, in verità decise in modo positivo per gli istanti, hanno evidenziato alcune peculiarità della genesi e dello svolgimento dei rapporti riguardanti le ricorrenti, tali da non consentire la configurabilità di un rapporto di lavoro subordinato. 

Va detto in via di premessa, ed è argomento non affrontato dal Tribunale, che non è corretto chiedere al giudice amministrativo l'accertamento della sussistenza di un rapporto di pubblico impiego.

Qualora infatti, come nella fattispecie, un soggetto assuma che un rapporto di pubblico impiego è sorto sulla base di atti o comportamenti diversi da quelli presi in considerazione dalla legge, il giudice amministrativo non può accertare un rapporto che non è sorto, non sussiste e non può giuridicamente sussistere. La nullità in senso tecnico degli atti di assunzione contra legem, sancita dalla legge (per il personale sanitario si veda l'art. 9 del DPR 761/79) e rilevabile d'ufficio dal giudice, evidenzia che il legislatore qualifica come rapporto di pubblico impiego solo quello che sia riconducibile ai provvedimenti tipici previsti dall'ordinamento, per cui se essi mancano, e cioè se manca l'atto genetico individuato come tale dalla legge (in particolare assunzione sulla base di concorso o prova selettiva), anche quando l'Amministrazione può organizzare lo svolgimento di un servizio pubblico, non si può ammettere che in concreto sussista un rapporto di pubblico impiego, né il giudice amministrativo può accertare l'esistenza di un rapporto che giuridicamente poteva essere costituito solo da uno dei provvedimenti previsti dalla normativa di settore e che non può essere costituito di fatto (Cons. Stato, V, 12 dicembre 1996, n. 1508; 13 novembre 1997, n.1293; 7 ottobre 1998, n.1422).

A fronte di un rapporto che deve intendersi nullo di diritto devono, nondimeno, essere ritenuti applicabili i meccanismi di protezione, dal punto di vista retributivo e contributivo-previdenziale, previsti dall'art. 2126 c.c., per il periodo di espletamento delle prestazioni di fatto.

Va dato atto, in effetti, che se è del tutto irrilevante, per i motivi esposti, l'esistenza in concreto degli "indici rivelatori" della sussistenza di un rapporto di pubblico impiego ai fini del riconoscimento della natura di tale rapporto in sede di giurisdizione amministrativa, occorre però riconoscere che qualora la P.A. ponga in essere, anche se sotto il nomen iuris di contratto di appalto ovvero d'opera, un rapporto avente in realtà le caratteristiche del lavoro subordinato, seppur nullo di diritto atteso che si è provveduto all'assunzione senza il superamento del prescritto concorso o della eventuale prova selettiva, per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione trova comunque applicazione l'art.2126 c.c., con conseguente diritto dell'interessato alle relative differenze retributive ed alla regolarizzazione della posizione contributiva e previdenziale (Cons. Stato, V, 3 giugno 1996, n.618; 23 giugno 1997, n.709).

Il rapporto di lavoro instaurato con l'Amministrazione in contrasto con le disposizioni che lo disciplinano nasce dunque e vive come rapporto di fatto, rispetto al quale gli indici rilevatori del pubblico impiego assumono soltanto funzione di astratta qualificazione al fine della determinazione della giurisdizione (esclusiva del giudice amministrativo in virtù della fictio iuris di validità del rapporto nullo ai soli fini di cui all'art.2126 c.c.) e della disciplina economica e previdenziale cui debbono essere sottoposte le prestazioni lavorative (Cons. Stato, A..P., 29 febbraio 1992, n.1; Cons. Stato, V, 1° febbraio 1995, n.157; 22 giugno 1996, n.784).

A tal fine occorre aver riguardo non tanto alle connotazioni formalistiche del rapporto, quanto alla presenza dei presupposti sostanziali del rapporto medesimo quali, ad esempio, la subordinazione gerarchica, la non provvisorietà della prestazione, l'inserimento del lavoratore nell'organizzazione interna dell'Ente, il rispetto di un preciso orario di lavoro (cfr. Cons. Stato, IV, 3 marzo 1997, n.176).

3. Ebbene la ricostruzione, anche mediante la documentazione in atti, del concreto atteggiarsi del rapporto instaurato nei confronti delle attuali appellanti, porta ad affermare, con apprezzabile sicurezza, l'insussistenza di un dissimulato rapporto di lavoro subordinato, accostabile al pubblico impiego.

A tal proposito l'iter argomentativo seguito dai primi giudici merita completa adesione.

In effetti appare evidente come, fin dall'inizio, il rapporto lavorativo nei confronti delle appellanti sia nato e si sia sviluppato secondo cardini e con modalità non facilmente omologabili a quello riguardante il restante personale del consultorio.

Se infatti anche per le appellanti si è assistito alla tendenziale anticipazione, mediante uno schema convenzionale, di un rapporto di lavoro consolidatosi con la definitiva immissione in ruolo in sanatoria, non possono essere pretermesse le peculiari connotazioni del rapporto stesso, nato con un ridottissimo impegno orario (rispettivamente sei e quattro ore settimanali) e instaurato con modalità del tutto proprie del rapporto privatistico di consulenza e non certo del lavoro subordinato.

L'identità dell'approdo finale, costituito, per tutto il personale del consultorio, dall'immissione in ruolo in sanatoria, e la generica assimilazione di tutti i rapporti in un unico coacervo astrattamente ricondotto dalla stessa Amministrazione sanitaria al pubblico impiego (si veda il riconoscimento generalizzato della natura subordinata dei rapporti di lavoro effettuato con delibera del Comitato di Gestione della USL n.369/85, richiamato espressamente dalle appellanti), non possono certo precludere, come sostiene efficacemente il Tribunale, l'accertamento - caso per caso - degli elementi caratterizzanti la fattispecie, in una controversia che riguarda la reale consistenza del rapporto di lavoro nel periodo anteriore all'immissione in ruolo.

Tanto premesso, le appellanti, in qualità rispettivamente di pedagogista e di esperta di materie giuridiche, fin dall'inizio, a differenza del restante personale, non sono state inserite nella struttura in un'ottica di presenza continuativa, bensì sulla base di un tipico rapporto convenzionale esterno orario, alla cui configurazione formale non corrispondeva, visto il limitatissimo impegno temporale e l'assenza di una vera e propria subordinazione gerarchica che andasse oltre la mera osservanza delle direttive del committente (propria di un qualsiasi rapporto di lavoro autonomo), una realtà sostanziale dissimulata riconducibile alla subordinazione.

Né l'aumento dell'impegno orario, seppur sostanzioso (prima a venti poi a trenta ore settimanali), risulta decisivo nel denotare un'evoluzione contenutistica e qualitativa del rapporto di lavoro in argomento.

Anzi viene ad essere ulteriormente corroborata la configurazione iniziale di prestazioni di consulenza sulla base di contratto d'opera, atteso che l'aumento dell'orario di lavoro delle appellanti, che peraltro continuavano ad essere retribuite su base oraria, ha tratto esplicitamente motivo dall'opportunità di garantire le consulenze anche nei confronti del restante personale del consultorio e non quindi della sola utenza esterna.

La circostanza che le due figure professionali in questione siano state, dal momento dell'incremento dell'orario, formalmente contemplate nella pianta organica del consultorio sembra rivestire rilevanza solo in previsione della trasformazione del rapporto in rapporto di pubblico impiego, puntualmente avvenuta, non risultando mutato alcunché dal punto di vista sostanziale, per il periodo di cui si verte, se non la dimensione quantitativa delle ore di lavoro.

4. Alla stregua delle considerazioni sopra riportate, meritando conferma la sentenza appellata, il ricorso in appello in epigrafe deve essere rigettato.

Sussistono, nondimeno, ad avviso del Collegio i giusti motivi per disporre la compensazione tra le parti delle spese di lite, relativamente al presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sul ricorso in appello in epigrafe, lo respinge.

Spese del grado compensate.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, l'8 maggio 2001,  dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), in camera di consiglio, con l'intervento dei seguenti Magistrati:

Pasquale de Lise               Presidente

Pier Giorgio Trovato            Consigliere                                         

Corrado Allegretta              Consigliere

Claudio Marchitiello             Consigliere

Gerardo Mastrandrea            Consigliere est.

L'ESTENSORE                                                    IL PRESIDENTE

f.to Gerardo Mastrandrea                                  f.to Pasquale de Lise

Depositata il 7 settembre 2001.

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