CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V - Sentenza 20 dicembre 2001 n. 6309 - Pres. Quaranta, Est. Cerreto - Vanore (Avv.ti G. Marone, A. Tommaselli e A. Lamberti) c. Comune di Caserta (Avv. S. A. Violante) e Ditta Bar Stelvio (n.c.) - (annulla T.A.R. Campania, sez. IV, 20 luglio 1995, n. 402).
1. Commercio ed industria - Generalità - Principio della liberta di commercio - Limitazioni - Possibilità - Limiti.
2. Commercio ed industria - Autorizzazione commerciale - Diniego - Per vicinanza di esercizi commerciali consimili - Illegittimità - Ragioni.
3. Commercio ed industria - Autorizzazione commerciale - Disciplina prevista dall'art. 26 D.L. 28.12.1993 n.542 - Potere del Sindaco di fissare un parametro numerico per gli esercizi commerciali consimili - Potere di determinare le distanze tra i detti esercizi - Non sussiste.
4. Commercio ed industria - Generalità - Principio della liberta di iniziativa economica ex art. 41 Cost. - Norme comportanti restrizioni e vincoli all'attività commerciale privata - Vanno interpretate, in caso di dubbio, nel senso di consentire il più ampio svolgimento in concreto dell'iniziativa.
1. La libertà di commercio può subire delle limitazioni solo per esigenze di utilità sociale, individuabili non nella tutela di posizioni corporative dei commercianti, ma nelle specifiche esigenze dei consumatori e nell'equilibrio dell'apparato distributivo (1), dovendosi considerare irrilevanti gli eventuali danni che potrebbero subire i titolari di preesistenti esercizi a seguito di una maggiore concorrenza (2).
2. La vicinanza e la contiguità di esercizi congeneri non sono elementi idonei per giustificare un diniego di autorizzazione all'apertura di un nuovo esercizio commerciale, atteso che da ciò i consumatori possono ricevere utilità purchè l'equilibrio del mercato distributivo non venga turbato da un aumento disordinato (3).
3. L'art. 26 del D.L. 28.12.1993 n. 542, ha previsto il potere, di carattere provvisorio, del Sindaco di fissare un parametro numerico che assicuri la migliore funzionalità e produttività da rendere al consumatore, con equilibrato rapporto tra gli esercizi e la popolazione (residente e fluttuante), tenendo anche conto del reddito e delle abitudini di tale popolazione; in tale potere non può ritenersi compreso anche quello di determinare le distanze minime tra gli esercizi di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande.
4. In base al principio di libertà dell'iniziativa economica privata di cui all'art. 41 Cost., pur nella piena legittimità degli interventi legislativi per finalità di utilità sociale e di programmazione, le norme comportanti restrizioni e vincoli all'attività commerciale privata vanno interpretate, in caso di dubbio, nel senso di consentire il più ampio svolgimento in concreto dell'iniziativa (4).
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(1) Cons. Stato, Sez. V, 21 marzo 1975, n. 375 e 16 novembre 1976, n. 1364.
(2) Cons. Stato, Sez. V, 6 dicembre 1974, n. 601.
(3) Cons. Stato, Sez. V, 14 dicembre 1976, n. 1498.
(4) Cons. Stato, Sez. V, 24 ottobre 1980, n. 871 e 29 aprile 2000, n. 2551.
FATTO
Con l'appello in epigrafe, l'istante ha fatto presente che era titolare di autorizzazione per commercio a posto fisso per la somministrazione di alimenti e bevande, rilasciatagli dal sindaco di Caserta in data 16.4.1991 e relativa all'esercizio commerciale sito in Piazza Vanvitelli, Palazzo Leonetti; che, a seguito di ordinanza di sfratto da tali locali ed avendone reperiti altri in via Mazzini n.51, aveva presentato istanza di trasferimento al Comune, ma il Sindaco, richiamando l'art. 13 della sua determinazione n.2052 del 26.1.1994, l'aveva rigettata con provvedimento n.362 del 31.5.1994, per mancanza della distanza regolamentare di metri 40 rispetto all'ingresso del bar Stelvio, prevista per gli esercizi similari ricadenti nella prima zona; che avverso detti provvedimenti aveva proposto ricorso al TAR Campania, che lo aveva respinto con la sentenza appellata.
Ha rilevato che detta sentenza era illegittima ed ingiusta:
-in quanto il diniego era stato adottato sulla base di disposizioni di decreti legge, che non erano stati convertiti in legge;
-in quanto la distanza minima di 40 metri nella specie era stata osservata, mentre per il comune sussisterebbe solo la distanza di m.36,70;
-in ogni caso era illegittima la determinazione sindacale n.2052/1994, in quanto in violazione dell'art. 26 D.L. n.542/93, invece di limitarsi a stabilire un parametro numerico (ovvero i numero di esercizi consentiti), erano stati previsti anche altri criteri, tra cui quello della distanza tra esercizi; in quanto era stata emanata una normativa generale, che invece era riservata al Comune e non al Sindaco e previa adozione da parte della Regione dei criteri e parametri atti a determinare il numero delle autorizzazioni consentite; in quanto la nuova normativa aveva perfino modificato, senza alcuna motivazione, le distanze del previgente regolamento portandole da 30 a 40 metri e modificando i criteri di misurazione delle distanze; in quanto era stata prevista una distanza minima fissa, senza alcuna diversificazione tra le varie zone; che in realtà il criterio della distanza era contenuto in un allegato alla determinazione sindacale che non era neppure riferibile al Sindaco in quanto non sottoscritta, né era sufficiente per riferirla al Sindaco il richiamo operato nel provvedimento di diniego impungato;
-nella sentenza non erano state esaminate le censure poste ai numeri 2,3 e 4 del ricorso originario;
-il diniego era stato adottato senza richiedere il parere alla Conmmissione ex art. 6 L.n.287/91;
- era stata violata la circolare ministeriale n.3728/91, che consentiva i trasferimenti nel caso di forza maggiore (ad es. sfratti o calamità naturali);
-l'istruttoria effettuata non era adeguata, atteso che si era tenuto conto solo di atti istruttori riferiti ad altra pratica precedente.
Il Comune di Caserta, costituitosi in giudizio, ha chiesto il rigetto dell'appello, rilevando in particolare che il diniego si fondava sulla determinazione sindacale n. 2052/94, adottata sulla base dell'art. 26 D.L. 29.12.1993 n.542.
Con memoria conclusiva, l'appellante ha ulteriormente illustrato le censure proposte, insistendo sulla questione di costituzionalità dei numerosi decreti legge intervenuti in materia, che avevano reiterato disposizioni senza adeguata motivazione e con conseguente illegittimità costituzionale per violazione art. 77 Cost. anche dell'art. 10 L. n.25/96, che ne aveva sanato gli effetti.
Alla pubblica udienza del 22.6.2001, l'appello è passato in decisione.
1.Con sentenza T.A.R. Campania, sez. 4°, n.402 del 20.7.1994 è stato respinto il ricorso avanzato dall'istante avverso il diniego di trasferimento dell'esercizio commerciale per la somministrazione di alimenti e bevande di cui al provvedimento del Sindaco di Caserta n.362 del 31.5.1994, per mancanza della distanza regolamentare di metri 40 rispetto all'ingresso del bar Stelvio, prevista dalla determinazione sindacale n.2052 del 26.1.1994 per gli esercizi similari ricadenti nella prima zona.
2.L'appello è fondato nei limiti di cui in motivazione.
2.1.Priva di pregio è la prima censura, con la quale si contesta i potere del Sindaco di adottare una nuova disciplina della materia sulla base di decreti legge non convertiti.
Il Sindaco di Caserta ha ritenuto di ridisciplinare la materia dell'apertura e del trasferimento di sede degli esercizi di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande con apposito provvedimento del 26.1.1994, sulla base dell'art. 26 D.L. 28.12.1993 n.542, il quale all'epoca consentiva di farlo, in attesa dell'entrata in vigore del regolamento di esecuzione della L. 25.8.1991 n.287 e comunque fino al 30.6.1994 , previa fissazione, su conforme parere della Commissione di cui all'art. 6 L. n.267/91, "di un parametro numerico che assicuri, in relazione alla tipologia degli esercizi, la migliore funzionalità e produttività del servizio da rendere al consumatore ed il più equilibrato rapporto tra gli esercizi e la popolazione residente e fluttuante, tenuto anche conto del reddito di tale popolazione, dei flussi turistici e delle abitudini di consumo extradomestico".
Né poteva costituire preclusione all'esercizio di tale potere la circostanza che la norma legittimante fosse un decreto legge, attesa l'immediata efficacia di tale fonte normativa ex art. 77 Cost., salvo a perderla fin dall'inizio ove non convertito in legge nei sessanta giorni dalla pubblicazione e sempre che le Camere non intervengano a regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base del decreto legge non convertito.
2.2.Manifestamente infondata è poi la questione di costituzionalità dei numerosi decreti legge intervenuti in materia, che avrebbero reiterato disposizioni di decreti legge senza adeguata motivazione sui presupposti di necessità e urgenza (decreti legge n.48/93, n.130/93, n. 212/93, n.330/93, n.542/93 ed altri) con conseguente illegittimità costituzionale per violazione art. 77 Cost. anche dell'art. 10 L. n. 5.1.1996 n.25, che ne aveva sanato gli effetti.
Come è noto, la Corte costituzionale ha recentemente ammesso (V. Corte Cost. n. 29 del 27.1.1995) la sindacabilità ex art. 77 Cost. dei decreti legge reiterati, quando sostanzialmente riproducano, in assenza di nuovi e sopravvenuti presupposti straordinari di necessità ed urgenza, il contenuto di un decreto legge che abbia perso efficacia per mancata conversione in legge. Peraltro, la stessa Corte ha precisato che il vizio di costituzionalità derivante dalla reiterazione attiene unicamente al procedimento di formazione del decreto legge in quanto provvedimento provvisorio che deve possedere i prescritti requisiti di necessità ed urgenza, con la conseguenza che l'eventuale mancanza di detti presupposti può ritenersi sanata allorquando le Camere, attraverso la legge di conversione o quella di sanatoria, abbiano assunto come propri i contenuti della disciplina adottata dal Governo in sede di decreto legge (V. Corte cost. n.360 del 24.10.1996 e n. 419 del 13.10.2000).
Per cui, essendo intervenuto nel frattempo l'art. 10 L. n.25/96, che ha confermato la validità degli atti e fatti salvi gli effetti prodotti sulla base tra l'altro del D.L. n.542/93, l'eventuale mancanza dei presupposti di necessità e d urgenza deve ritenersi ormai sanata.
2.3.Va condivisa invece la censura con la quale si sostiene che nell'ambito del potere attribuito in via transitoria al Sindaco per la determinazione di "un parametro numerico" sulla base dell'art. 26 D.L. n.542/93 (la cui disciplina è stata poi reintrodotta con l'art. 2 L.n.25/96, fino alla data di entrata in vigore del regolamento di esecuzione della L. n.287/91) non possa comprendersi anche il criterio della distanza minima tra esercizi commerciali, con particolare riguardo al caso di trasferimento di esercizi.
2.3.1. In via preliminare, si rende necessario indicare il quadro normativo di riferimento.
La prima normativa da prendere in considerazione è quella di cui alla L. 11.6.1971 n.426, che è appunto intervenuta per mettere ordine al settore del commercio. Essa, per quanto interessa, ha previsto che i Comuni, a seguito dell'accertamento della consistenza delle rete distributiva in atto, procedessero alla formazione di un piano di sviluppo e di adeguamento della rete di vendita, con la possibilità di determinare, anche con riferimento a singole zone, il limite massimo in termini di superficie globale, separatamente per settori merceologici, della rete di vendita per generi di largo e generale consumo, in modo da promuovere lo sviluppo e la produttività del sistema e da assicurare il rispetto della libera concorrenza ed un adeguato sviluppo delle varie forme distributive (artt. 11 e 12).
2.3.2.In tale contesto normativo, la giurisprudenza di questa Sezione ha costantemente ritenuto che la libertà di commercio poteva subire delle limitazioni solo per esigenze di utilità sociale, individuabili non nella tutela di posizioni corporative dei commercianti, ma nelle specifiche esigenze dei consumatori e nell'equilibrio dell'apparato distributivo (v. le decisioni n.375 del 21.3.1975 e n. 1364 del del 16.11.1976), mentre erano stati considerati irrilevanti gli eventuali danni che potrebbero subire i titolari di preesistenti esercizi a seguito di una maggiore concorrenza (V. la decisione n.601 del del 6.12.1974). In particolare, è stato precisato che la vicinanza e la contiguità di esercizi congeneri non erano elementi idonei per giustificare un diniego di autorizzazione all'apertura di un nuovo esercizio commerciale, atteso che da ciò i consumatori potevano ricevere utilità purchè l'equilibrio del mercato distributivo non venisse turbato da un aumento disordinato (V. la decisione di questa Sezione, n.1498 del 14.12.1976).
2.3.3.Con riferimento agli esercizi pubblici di vendita e consumo di alimenti e bevande è stata poi adottata una specifica disciplina con la L. 14.10.1974 n. 524, la quale da una parte ha ribadito che i Comuni dovevano precisare, mediante l'approvazione di appositi piani, il limite massimo in termini di superficie degli esercizi pubblici in cui si svolgeva tale attività, dall'altra ha previsto che con detti piani fossero determinate le distanze minime tra gli esercizi in questione e tra tali esercizi e gli ospedali, le scuole, le caserme e le chiese e gli altri luoghi di culto (art. 2).
E' poi intervenuto il regolamento di esecuzione della L. n.426/71 di cui al D.M. 4.8.19988 n.475, il quale ha confermato per i piani di sviluppo ed adeguamento della rete distributiva la necessità di determinare la superficie globale della rete di vendita per generi di largo e generale consumo, vietando di stabilire nei piani stessi limiti numerici e distanze minime tra i vari esercizi (artt. 30 e 31) .
La disciplina di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande è stata poi aggiornata con la L. 25.8.1991 n.287, la quale- abrogata la menzionata L. n. 524/74- ha previsto il rilascio della relativa autorizzazione da parte del Sindaco sulla base di criteri e parametri fissati periodicamente, sentite le organizzazioni sindacali di categoria maggiormente rappresentative, dalla Regione (che a sua volta deve tener conto di direttive ministeriali) atti a determinare il numero delle autorizzazioni rilasciabili nelle aree interessate (artt. 1 e 3).
2.3.4.Con la conseguenza che prima del D.L. n.542/93 (e poi dell'art. 2 L.n.25/96) per la somministrazione al pubblico di alimenti e bevande vigeva una disciplina la quale consentiva di fissare criteri e parametri al fine di determinare il numero delle autorizzazioni rilasciabili, senza prevedere limiti di distanza tra tali esercizi (essendo stata abrogata la L.n.524/74, che lo consentiva espressamente).
2.3.5.Intervenuto l'art. 26 D.L. 28.12.1993 n.542, il potere, di carattere provvisorio, attribuito al Sindaco è quello di fissare un parametro numerico che assicuri la migliore funzionalità e produttività da rendere al consumatore, con equilibrato rapporto tra gli esercizi e la popolazione (residente e fluttuante). tenendo anche conto del reddito e delle abitudini di tale popolazione.
Evidentemente, in tale potere non può ritenersi compreso anche quello di determinare le distanze minime tra gli esercizi di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande, in quanto tale criterio non era stato ritenuto idoneo per la disciplina dell'attività commerciale in genere ed era stato all'epoca anche abbandonato con riferimento alla specifica attività commerciale in questione, e comunque non era in grado di assicurare la migliore funzionalità e produttività da rendere al consumatore, secondo quanto precisato dalla giurisprudenza riportata al punto 2.3.2.
D'altra parte, in base al principio di libertà dell'iniziativa economica privata di cui all'art. 41 Cost., pur nella piena legittimità degli interventi legislativi per finalità di utilità sociale e di programmazione, le norme comportanti restrizioni e vincoli all'attività commerciale privata vanno interpretate, in caso di dubbio, nel senso di consentire il più ampio svolgimento in concreto dell'iniziativa (V. le decisioni di questa Sezione, n. 871 del 24.10.1980 e n. 2551 del 29.4.2000) ed il dubbio nella specie indubbiamente sussiste in relazione alla menzionata evoluzione normativa che ha subìto la materia del commercio ( evoluzione che infine è sfociata nel D.L.vo 31.3.1998 n.114, comportante una relativa liberalizzazione dell'attività commerciale).
3.Quanto detto vale a maggior ragione nel caso di trasferimento di esercizi.
3.Per quanto considerato, assorbite le altre censure, il ricorso in appello va accolto, con conseguente accoglimento del ricorso originario e per l'effetto va annullata, nei limiti dell'interesse fatto valere, la determinazione sindacale n.2052/94 nella parte in cui ha previsto distanze minime per autorizzare il trasferimento di esercizi, con conseguente annullamento per illegittimità derivata anche del provvedimento sindacale n.362/94.
Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti spese, competenze ed onorari di entrambi i gradi di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sez. V)
Accoglie l'appello indicato in epigrafe nei limiti di cui motivazione.
Spese compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 22.6.2001 con l'intervento dei Sigg.
Alfonso Quaranta presidente,
Andrea Camera consigliere
Giuseppe Farina consigliere
Corrado Allegretta consigliere,
Aniello Cerreto consigliere rel. est.
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
f.to Aniello Cerreto f.to Alfonso Quaranta
Depositata il 20 dicembre 2001.