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Giurisprudenza
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CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V - Sentenza 24 dicembre 2001 n. 6383 - Pres. de Lise, Est. Lipari - Tecnocostruzioni Generali S.p.A. (Avv.ti D'Esposito e Pepe) c. Comunità montana Alto Tammaro (Avv.ti Marcone e De Marinis) - (conferma T.A.R. Campania - Napoli, Sez. I, 21 aprile 1999 n. 1070).

1. Giustizia amministrativa - Procedimento giurisdizionale - Rito abbreviato - Ex art. 19 D.L. n. 67/1997 - Interpretazione estensiva - Applicabilità anche nel caso di impugnazione del bando di gara.

2. Contratti della P.A. - Trattativa privata - Affidamento di lotti successivi al primo - Disciplina prevista dall'art. 12 L. n. 1/1978 - Applicazione prima del D.P.R. n. 554 del 1999 - Presupposti - Individuazione.

3. Contratti della P.A. - Trattativa privata - Affidamento di lotti successivi al primo - Disciplina prevista dall'art. 12 L. n. 1/1978 - Costituiva una facoltà discrezionale della P.A.

4. Contratti della P.A. - Trattativa privata - Ha natura eccezionale - Disciplina prevista dalla L. n. 109/1994 - Ha comportato l'abrogazione normativa precedente - Conseguenze.

5. Contratti della P.A. - Trattativa privata - Affidamento di lotti successivi al primo - Dopo L. n. 109/1994 - Inapplicabilità in ogni caso.

1. - Il rito speciale previsto dall'art. 19 D.L. 25 marzo 1997 n. 67, convertito dalla L. 23 maggio 1997 n. 135, concerne non solo i ricorsi proposti contro gli atti conclusivi delle procedure contrattuali, ma anche quelli articolati contro gli atti iniziali od intermedi, purché lesivi delle posizioni dell'interessato ed obiettivamente incidenti sulla realizzazione dell'opera pubblica. In particolare deve ritenersi che la riduzione alla metà di tutti i termini processuali prevista dalla suddetta norma sia estensivamente applicabile a tutte le controversie originate dall'impugnazione di quegli atti (come ad es., il bando di gara) che, pur non essendo espressamente contemplati dalle norme stesse, costituiscono un segmento della procedura di aggiudicazione (1).

2. - Nel caso di appalto di lavori pubblici, la facoltà di affidare a trattativa privata lotti successivi alla stessa impresa aggiudicataria - un tempo prevista dall'art. 12 della L. 3 gennaio 1978 n. 1 (ormai abrogato dall'art. 231 del D.P.R. 21 dicembre 1999 n. 554) - era subordinata alla triplice condizione che la facoltà stessa fosse stata espressamente prevista nel bando di gara per l'appalto del primo lotto, che non fosse trascorso un triennio dalla originaria aggiudicazione e che i lavori fossero ancora in corso (2).

3. In ogni caso, nel sistema disciplinato dall'art. 12 L. 3 gennaio 1978 n. 1, la previsione del bando relativa alla possibilità di affidamento a trattativa privata dei lotti successivi, attribuiva all'amministrazione una mera facoltà e non un rigido obbligo. Dunque, pur in presenza dell'impegno dell'aggiudicatario ad assumere i lavori afferenti alla realizzazione del secondo lotto, resta ferma la facoltà dell'amministrazione di procedere alla individuazione dell'aggiudicatario secondo le ordinarie regole concorsuali.

4. - La materia della trattativa privata per l'affidamento degli appalti di opere pubbliche è stata ridisciplinata per intero dalla L. 11 febbraio 1994 n. 109, la quale, prevedendo con elencazione tassativa le ipotesi eccezionali in cui il ricorso a tale strumento è ancora consentito, ha implicitamente abrogato la normativa previgente che disponeva in senso difforme (3).

5. - Dopo l'entrata in vigore della L. 11 febbraio 1994 n. 104, l'affidamento di lotti successivi a trattativa privata all'originario aggiudicatario di un appalto di opera pubblica deve intendersi vietato anche nel caso in cui il bando relativo alla aggiudicazione originaria contempli tale possibilità.

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(1) V. in senso contrario Cons. Stato, Sez. IV, 29 maggio 1998 n. 789, secondo cui la riduzione alla metà di tutti i termini processuali (sia di notificazione e deposito del ricorso, sia interni al processo), operata dall'art. 19 d.l. 25 marzo 1997 n. 67, convertito dalla l. 23 maggio 1997 n. 135, si applica ai soli tassativi casi espressamente contemplati al 1º comma del citato art. 19, e, pertanto, non può trovare applicazione nel caso dell'impugnazione di un bando di gara.

Secondo la Sez. V, invece, il carattere settoriale dell'intervento legislativo, che ha introdotto il rito speciale solo nell'ambito della materia delle opere pubbliche, non impone affatto una rigida interpretazione letterale del dettato normativo, il quale, al contrario, deve essere ricostruito in sintonia con la specifica funzione della norma, diretta a dettare particolari regole processuali, di carattere acceleratorio, nell'ambito del microsistema degli appalti di opere pubbliche e dei procedimenti a questi connessi.

Pertanto, ad avviso della stessa Sezione, il rito speciale previsto dall'art. 19 d.l. 25 marzo 1997 n. 67concerne non solo i ricorsi proposti contro gli atti conclusivi delle procedure contrattuali, ma anche quelli articolati contro gli atti iniziali od intermedi, purché lesivi delle posizioni dell'interessato ed obiettivamente incidenti sulla realizzazione dell'opera pubblica.

(2) Nella specie è stato rilevato che sussiste solo la prima condizione, in quanto il bando di gara aveva effettivamente previsto la possibilità di affidare il lotto successivo allo stesso aggiudicatario, mentre difettavano, invece, il secondo ed il terzo presupposto oggettivo, considerando il lunghissimo tempo trascorso dalla ultimazione dei lavori relativi al primo lotto.

(3) Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 18 settembre 1998 n. 1312, in Il Cons. Stato 1998, I, 1296. Ha osservato in proposito la Sez. V che la nuova previsione dell'articolo 24 della legge n. 109/1994, disciplinando in modo organico la trattativa privata, individua in modo puntuale le ipotesi tassative in cui è possibile affidare l'appalto di opre pubbliche senza il preventivo svolgimento di una procedura concorsuale. Dunque, la nuova normativa non lascia più alcuno spazio alla possibilità di applicare la particolare normativa in materia di affidamento diretto dei lavori afferenti ai lotti successivi.

Tale tesi interpretativa, che è ora confermata dall'elenco delle norme legislative abrogate contenute nel regolamento di attuazione della legge n. 109/1994 (il quale, in questa parte, assume valenza essenzialmente ricognitiva del nuovo assetto legislativo), è condivisa anche dall'Autorità di vigilanza dei lavori pubblici, la quale ha esaminato il problema nella determinazione n. 1/2000 del 13 gennaio 2000.

 

 

FATTO

La sentenza appellata, pronunciata nella camera di consiglio fissata per l'esame della domanda cautelare, secondo la previsione contenuta nell'articolo 19 del decreto legge n. 67/1997, ha respinto il ricorso proposto dall'attuale appellante contro gli atti adottati dalla Comunità Montana Alto Tammaro, concernenti l'aggiudicazione dell'appalto per la realizzazione della strada di collegamento "Fondo Valle Tammaro S. Croce del Sannio".

L'appellante ripropone le censure disattese dal tribunale.

L'amministrazione resiste al gravame.

DIRITTO

Con deliberazione n. 551 del 27 agosto 1990, la Comunità Montana Alto Tammaro indiceva la licitazione privata per i lavori di costruzione della strada di collegamento "Fondo Valle Tammaro S. Croce del Sannio - Castelpagano, tratto Fondo Valle Tammaro S. Croce del Sannio".

Il bando prevedeva, al punto 3, lettera c), che "i concorrenti dovranno presentare offerta per la intera opera (lire 44.964.590.000) e per il primo stralcio finanziato (lire 22.592.960.580)".

Nella lettera di invito, l'amministrazione puntualizzava che "l'assegnazione riguarda l'intera opera, mentre l'aggiudicazione riguarderà il 1° stralcio dei lavori nei limiti dell'importo finanziato di lire 22.592.960.580".

"Pertanto, pur restando l'appalto unico, il contratto sarà stipulato per parti in base all'importo disponibile in modo da permettere la stipula del contratto per ognuno di essi e ciò in attuazione dell'art. 5 della legge n. 584/1977 e dell'articolo 12 della legge n. 1/1978 e successive modifiche ed integrazioni. L'aggiudicataria nulla potrà pretendere in caso di mancato o ritardato finanziamento dell'opera, neppure a titolo di rimborso spese".

All'esito della procedura selettiva, l'appalto veniva aggiudicato all'associazione temporanea di imprese capeggiata dalla Zecchina Costruzioni S.p.A., poi confluita nella società Tecnocostruzioni, attuale appellante e ricorrente in primo grado.

Il contratto stipulato dall'amministrazione con l'ATI aggiudicataria prevedeva diverse clausole volte a definire l'oggetto del contratto e la portata degli obblighi delle parti.

In particolare, l'art. 1 stabiliva che: "la Comunità Montana, mentre assegna all'impresa l'appalto inerente l'esecuzione delle opere di costruzione della strada per l'importo complessivo netto "a forfait - chiavi in mano" di lire 44.169.618.596, limita la stipula del presente contratto al solo importo netto disponibile di aggiudicazione, ammontante a lire 21.625.123.491 offerto dalla medesima impresa con il progetto in variante di lire 23.556.779.402. depurato del ribasso dell'8,20%".

L'articolo 24, poi, ribadiva che "il presente contratto è limitato al solo importo disponibile di lire 22.592.960.580 a base di appalto. (.) Al verificarsi, quindi, del richiesto cofinanziamento C.E.E. per lire 31.000.000.000, o minore somma, si procederà all'integrazione del presente contratto".

Successivamente, con bando pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 25 febbraio 1999, la Comunità Montana indiceva un'asta pubblica per l'aggiudicazione del secondo lotto funzionale.

L'appellante, ricorrente in primo grado, contesta la legittimità degli atti di indizione della nuova gara, riproponendo le censure disattese dal tribunale ed affermando l'erroneità della pronuncia impugnata.

In primo luogo, l'appellante sostiene che "la impugnata sentenza è stata emessa in violazione dell'articolo 19 del decreto legge 25 marzo 1997, n. 67, convertito nella legge n. 135/1997, in quanto "la riduzione dei termini processuali si applica ai soli casi tassativamente previsti dal comma 1 e non opera nel caso dell'impugnazione di un bando di gara".

Secondo l'amministrazione appellata, la censura è inammissibile, in quanto la parte ricorrente non avrebbe dimostrato la concreta lesione del diritto di difesa.

L'eccezione è priva di pregio.

L'applicazione dell'articolo 19 si è concretizzata, nel presente giudizio, nella definizione del merito del ricorso nella stessa camera di consiglio fissata per la discussione della domanda cautelare proposta dalla parte ricorrente.

In tal modo, la scelta del tribunale di procedere secondo il particolare rito immediato delineato dall'articolo 19 ha comportato la inoperatività dei termini dilatori per la trattazione dei ricorsi in udienza pubblica.

Tale circostanza evidenzia, dunque, l'interesse strumentale dell'appellante a dedurre il vizio riguardante la corretta applicazione del rito speciale in materia di opere pubbliche.

A tal fine, è sufficiente indicare la potenzialità della lesione del diritto di difesa, senza alcuna necessità di specificare la concreta incidenza sulla posizione processuale vantata dalla parte.

Nel merito la censura è infondata.

Il collegio non ignora che in una precedente occasione, la Quarta Sezione ha affermato che la riduzione alla metà di tutti i termini processuali (sia di notificazione e deposito del ricorso, sia interni al processo), operata dall'art. 19 d.l. 25 marzo 1997 n. 67, convertito dalla l. 23 maggio 1997 n. 135, si applica ai soli tassativi casi espressamente contemplati al 1º comma del citato art. 19, e, pertanto, non può trovare applicazione nel caso dell'impugnazione di un bando di gara (C. Stato, sez. IV, 29-05-1998, n. 789).

Il carattere settoriale dell'intervento legislativo, che ha introdotto il rito speciale solo nell'ambito della materia delle opere pubbliche non impone affatto una rigida interpretazione letterale del dettato normativo, il quale, al contrario, deve essere ricostruito in sintonia con la specifica funzione della norma, diretta a dettare particolari regole processuali, di carattere acceleratorio, nell'ambito del microsistema degli appalti di opere pubbliche e dei procedimenti a questi connessi.

Pertanto, il collegio ritiene preferibile l'opposta tesi interpretativa, che risulta ora nettamente prevalente in giurisprudenza: l'articolo 19 del decreto legge n. 67/1997 presenta un raggio operativo ampio, riguardante tutte le controversie originate dall'impugnazione di un atto che si inserisce in uni dei procedimenti in materia di procedure di aggiudicazione di appalti di opere pubbliche.

Il rito speciale concerne non solo i ricorsi proposti contro gli atti conclusivi delle procedure contrattuali, ma anche quelli articolati contro gli atti iniziali od intermedi, purché lesivi delle posizioni dell'interessato ed obiettivamente incidenti sulla realizzazione dell'opera pubblica.

La formula letterale della disposizione non autorizza arbitrarie interpretazioni restrittive, le quali, oltretutto, si porrebbero in contrasto con la ratio acceleratoria perseguita dal legislatore del 1997, in quanto il rito speciale verrebbe escluso proprio in relazione alle controversie riguardanti gli atti iniziali delle procedure, pregiudicando la sollecita attuazione dell'opera di pubblico interesse.

Questa tesi ermeneutica riceve ora un ulteriore supporto dalla nuova previsione dell'articolo 23-bis della legge n. 1034/1971, introdotto dalla legge n. 205/2000, che menziona espressamente anche i bandi di gara, nella prospettiva di una più chiara definizione del raggio operativo del rito speciale.

Con un secondo gruppo di motivi, l'appellante ripropone la tesi secondo cui l'originario contratto di appalto, pur stipulato con riferimento alla esecuzione del primo stralcio dei lavori, aveva già individuato nell'impresa aggiudicataria, in modo definitivo, l'esecutrice del secondo lotto, precludendo all'amministrazione la facoltà di indire una nuova gara.

Il motivo è infondato, per tre concorrenti ragioni:

le clausole del contratto e della lex specialis di gara non attribuiscono all'aggiudicatario del primo lotto il diritto incondizionato alla esecuzione della seconda parte dei lavori;

nel contesto normativo vigente al momento della conclusione della prima gara di appalto, la possibilità di affidare a trattativa privata i lotti successivi di un'opera precedentemente appaltata, pur ammessa, è subordinata a precise condizioni, che, in concreto, difettano;

la legge n. 109/1994, tipizzando e circoscrivendo le ipotesi della trattativa privata, ha definitivamente abrogato, per incompatibilità, le disposizioni legislative che consentivano l'affidamento allo stesso aggiudicatario dei lotti successivi di un'opera precedentemente appaltata.

Occorre considerare, in particolare, che nella vigenza dell'articolo 12 della legge 3 gennaio 1978, n. 1 (ora abrogato dall'art. 231, D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554), la possibilità di affidare a trattativa privata l'appalto dei lavori relativi a lotti successivi di progetti generali esecutivi approvati e parzialmente finanziati, pur ammessa, era comunque subordinata a rigorosi presupposti, di seguito indicati.

"L'appalto dei lavori relativi a lotti successivi di progetti generali esecutivi approvati e parzialmente finanziati può essere affidato alla stessa impresa esecutrice del lotto precedente, mediante trattativa privata, per il valore non superiore al doppio dell'importo iniziale di assegnazione del lotto precedente, con la procedura del presente articolo, a condizione che:

1) i nuovi lavori consistano nella ripetizione di opere simili a quelle che hanno formato oggetto del primo appalto;

2) i lavori del lotto precedente siano ancora in corso;

3) l'impresa sia in possesso dei prescritti requisiti di idoneità generale e tecnica per eseguire nuovi lavori".

"L'appalto è fatto agli stessi patti e condizioni del contratto stipulato per il primo lotto, salvo che per il prezzo, il quale va determinato tenendo conto della variazione media dei prezzi intervenuta a partire dalla precedente aggiudicazione per la categoria nella quale l'opera rientra e, in ogni caso, in misura non superiore alle variazioni dei costi rilevati dagli organi competenti, secondo le norme vigenti in materia di revisione dei prezzi contrattuali. Al prezzo così determinato si applica un miglioramento del ribasso stabilito tenendo presenti le economie ottenibili per effetto del carattere ripetitivo e dell'aumentata quantità dei lavori da eseguire, e comunque non inferiore al cinque per cento".

"Per gli appalti banditi successivamente all'entrata in vigore della presente legge, la procedura di cui ai commi precedenti è consentita quando tale possibilità sia stata indicata nei bandi di gara per l'appalto dei lavori del primo lotto e non sia trascorso un triennio dalla data di aggiudicazione dei lavori del lotto precedente".

Fra le diverse condizioni previste dalla legge si segnalano, fra l'altro, le circostanze che tale facoltà dell'amministrazione sia espressamente prevista nell'originario bando, che "non sia trascorso un triennio dalla data di aggiudicazione dei lavori del lotto precedente" e che i lavori siano ancora in corso.

Ora, nel caso di specie, sussiste solo la prima condizione, in quanto il bando di gara ha effettivamente previsto la possibilità di affidare il lotto successivo allo stesso aggiudicatario. Difettano, invece, il secondo ed il terzo presupposto oggettivo, considerando il lunghissimo tempo trascorso dalla ultimazione dei lavori relativi al primo lotto.

In ogni caso, poi, la previsione del bando relativa alla possibilità di affidamento a trattativa privata dei lotti successivi, attribuisce all'amministrazione una mera facoltà e non un rigido obbligo.

Dunque, pur in presenza dell'impegno dell'aggiudicatario ad assumere i lavori afferenti alla realizzazione del secondo lotto, resta ferma la facoltà dell'amministrazione di procedere alla individuazione dell'aggiudicatario secondo le ordinarie regole concorsuali.

Nella specie, gli atti della precedente gara e le clausole del contratto evidenziano che l'amministrazione ha inteso assoggettare l'eventuale stipulazione di un contratto per l'affidamento del secondo lotto alla disciplina contenuta nella legge n. 3/1978.

Dunque, l'amministrazione non ha affatto assunto un obbligo incondizionato ad affidare l'appalto del secondo lotto all'originario aggiudicatario, ma ha semplicemente richiamato l'applicazione della normativa di rango legislativo applicabile alla fattispecie.

Anche prescindendo da queste considerazioni, va rilevato che la possibilità di affidare a trattativa privata l'appalto per l'esecuzione di lotti funzionali connessi ai lavori oggetto della precedente aggiudicazione è definitivamente venuta meno in seguito alla nuova previsione dell'articolo 24 della legge n. 109/1994.

La disposizione, disciplinando in modo organico la trattativa privata, individua in modo puntuale le ipotesi tassative in cui è possibile affidare l'appalto di opre pubbliche senza il preventivo svolgimento di una procedura concorsuale.

Dunque, la nuova normativa non lascia più alcuno spazio alla possibilità di applicare la particolare normativa in materia di affidamento diretto dei lavori afferenti ai lotti successivi.

Detta tesi interpretativa è ora confermata dall'elenco delle norme legislative abrogate contenute nel regolamento di attuazione della legge n. 109/1994, il quale, in questa parte, assume valenza essenzialmente ricognitiva del nuovo assetto legislativo.

Questa linea interpretativa è condivisa anche dall'Autorità di vigilanza dei lavori pubblici, la quale ha approfonditamente esaminato il problema nella determinazione n. 1/2000 del 13 gennaio 2000.

Secondo l'Autorità, l'articolo 24 della legge 11 febbraio 1994, n. 109 stabilisce al comma 1 i casi in cui è ammesso l'affidamento di lavori a trattativa privata e aggiunge l'avverbio "esclusivamente", indicativo della tassatività dei casi previsti. Al comma 7 dello stesso articolo è previsto che "qualora un lotto funzionale appartenente ad un'opera sia stato affidato a trattativa privata, non può essere assegnato con tale procedura altro lotto da appaltare in tempi successivi e appartenente alla medesima opera".

L'articolo 12 della legge 3 gennaio 1978, n. 1 consentiva al ricorrere di specifiche condizioni, l'affidamento dell'appalto dei lavori relativi a lotti successivi di progetti generali esecutivi approvati e parzialmente finanziati mediante trattativa privata alla stessa impresa esecutrice del lotto precedente. L'articolo 9 del decreto legislativo 19 dicembre 1991, n. 406, poi, stabiliva una complessa disciplina di casi in cui era consentito l'affidamento dei lavori a trattativa privata, dei quali, in particolare, la lettera e) del comma 2 era relativa a "nuovi lavori consistenti nella ripetizione di opere similari affidate all'impresa titolare di un primo appalto dalla medesima amministrazione".

Va considerato che i casi di ricorso alla trattativa privata di cui all'articolo 9 del decreto legislativo 406/91 sono gli stessi disciplinati dall'articolo 5 della legge 584/77. La previsione di cui all'articolo 12 della legge n.1/78, riproduce l'articolo 5 lettera g) della L. 584/77, ma se ne discosta per un aspetto significativo, vale a dire omette la condizione "che i nuovi lavori siano conformi ad un progetto di base che sia stato oggetto di un primo appalto aggiudicato secondo le procedure della presente legge" e "che la somma complessiva prevista per i nuovi lavori sia stata tenuta in considerazione del primo appalto ai fini di cui agli artt. 1 e 2 della presente legge".

Infine, nella stessa legge quadro, prima della modifica introdottavi con il provvedimento legislativo del 1998, era contenuto un comma (oggi abrogato) il quale stabiliva che "l'interferenza tecnica, o di altro tipo, di lavori da affidare con lavori in corso di esecuzione non è compresa fra i motivi tecnici di cui alla lettera b) del comma 2 dell'articolo 9 del decreto legislativo n. 406/91. In tali casi il contratto in esecuzione è risolto e si procede ad affidare i nuovi lavori congiuntamente a quelli oggetto del contratto risolto non ancora eseguiti".

E' da tener presente che il Regolamento, di cui all'articolo 3 della Legge quadro, contiene l'espressa abrogazione sia dell'articolo 12 della legge 1/78 che dell'articolo 9 del decreto legislativo n. 406/91, a ciò autorizzato da espressa disposizione contenuta nel comma 4 dello stesso articolo 3.

Questa abrogazione segue, peraltro, ad una situazione di incompatibilità, con la normativa oggi vigente in materia di trattativa privata, della disciplina precedente, situazione che deve far considerare già priva di efficacia detta disciplina, anche prima della sua espressa abrogazione.

Ciò in quanto, come ha ritenuto la Corte Costituzionale (sentenza n. 482 del 1995) la legge quadro "stabilisce, negli appalti di opere pubbliche, il principio della gara per la selezione del contraente cui affidare la realizzazione delle opere. L'esigenza di fondo è quella di assicurare la massima trasparenza nella scelta del contraente e la concorrenza tra diverse imprese.

La trattativa privata è ammessa solo in ambiti più ristretti e rigorosi di quanto non preveda la normativa comunitaria, che peraltro configura il ricorso alla "procedura negoziata" come eccezione rispetto alla regola della "procedura aperta" o della "procedura ristretta", le quali implicano una gara tra imprese concorrenti. La norma nazionale assicura in modo ancor più esteso la concorrenza e non determina una lesione del diritto comunitario, che consente, ma non impone, la trattativa privata.

Anche la Sezione (Consiglio di Stato, Sez. V 18 settembre 1998 n. 1312) ha affermato, anteriormente alla legge n. 415/98, che la materia della trattativa privata per l'affidamento degli appalti di opere pubbliche è stata ridisciplinata per intero dalla L. 109/94 che ha previsto con elencazione tassativa le ipotesi eccezionali in cui il ricorso a tale strumento è ancora consentito, implicitamente abrogando la normativa previgente che disponeva il senso difforme.

Comunque, con l'abrogazione del comma 8 dell'articolo 24 della legge quadro ad opera della detta legge n. 415/98 è venuto meno ogni argomento esegetico, quale poteva trarsi dal richiamo al decreto legislativo n. 406/91, già contenuto in detta disposizione.

Occorre aggiungere che la disposizione contenuta nel comma 7 dell'articolo 24, sopra integralmente riportato, nel caso opposto a quello in essa previsto, e cioè nel caso in cui un lotto funzionale appartenente ad un'opera sia stato affidato con un sistema di gara e si debba appaltare altro lotto successivo e appartenente alla medesima opera, non può indurre a ritenere consentito, il ricorso alla trattativa privata, anche in ipotesi diverse da quelle tassativamente elencate al comma 1 dello stesso articolo 24. In questo caso devono sempre ricorrere i presupposti indicati nella suddetta elencazione tassativa contenuta alle lettere a) b) e c) del detto comma 1 perché sia possibile applicare il nuovo lotto dei lavori a trattativa privata.

La funzione della norma contenuta nel comma 7 è diversa; quella di introdurre un rigoroso, ulteriore divieto. Nel caso in cui il precedente lotto funzionale (per il ricorrere dei presupposti di legge) sia stato affidato a trattativa privata, non è consentito assegnare con tale procedura il lotto successivo, anche quando ricorrano le condizioni cui si è subito prima fatto riferimento, cioè quelle del 1 comma dell'articolo 24.

La portata abrogativa della legge n. 109/1994 riguarda i nuovi affidamenti a trattativa privata, ancorché correlati a lotti iniziali affidati sulla base di bandi pubblicati prima dell'entrata in vigore della legge.

Infatti, per risolvere i problemi di diritto intertemporale in materia di affidamento dei lotti successivi a trattativa privata occorre far riferimento non alla data di pubblicazione del bando che prevede la facoltà di avvalersi di tale particolare procedura, ma al diverso e successivo momento in cui l'amministrazione appaltante stabilisce di aggiudicare le opere connesse funzionalmente a quelle già assegnate ad un precedente aggiudicatario.

Nel caso di specie, poi, non potrebbe obiettarsi che esiste una previsione contrattuale, ormai irrevocabile ed insensibile ai successivi mutamenti legislativi, concernente l'affidamento dei lotti successivi.

Il contenuto delle clausole contrattuali evidenzia che l'appellante non ha acquisito il diritto incondizionato all'affidamento delle opere, ma solo l'aspettativa a che l'amministrazione si avvalga della facoltà indicata nel bando e richiamata negli atti negoziali.

L'appellante sostiene, ancora, che gli atti della Comunità Montana sono viziati perché non preceduti dalla prescritta comunicazione di avvio del procedimento.

La censura è infondata.

È pacifico che l'amministrazione non ha alcun obbligo di comunicare preventivamente la propria intenzione di indire una nuova gara.

D'altro canto, la legittima determinazione di bandire una nuova procedura concorsuale non contiene affatto una implicita decisione di revocare un precedente affidamento dello stesso appalto.

Per analoghe ragioni, è priva di consistenza la censura relativa alla asserita mancanza di adeguata motivazione.

La determinazione di bandire una nuova gara risulta congruamente motivata in rapporto alla esigenza di realizzare l'opera pubblica programmata, non occorrendo affatto la valutazione dell'interesse dell'originario aggiudicatario ad eseguire anche i lavori del secondo lotto.

In definitiva, quindi, l'appello deve essere rigettato.

Le spese possono essere compensate.

Per Questi Motivi

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, respinge l'appello, compensando le spese;

ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 19 giugno 2001, con l'intervento dei signori:

Pasquale de Lise - Presidente

Andrea Camera - Consigliere

Piergiorgio Trovato - Consigliere

Filoreto D'Agostino - Consigliere

Marco Lipari - Consigliere Estensore

Depositata il 24 dicembre 2001.

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