CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V - Sentenza 18 marzo 2002 n. 1553 - Pres. Varrone, Est. Branca - Azienda U.S.L. n. 11 di Fermo (Avv.ti Felici e Arlini) c. Vallesi e c.ti (Avv. Ortensi) - (annulla T.A.R. Marche 21 settembre 1995, n. 443).
1. Giustizia amministrativa - Appello - Legittimazione attiva - Dell'Azienda U.S.L. - In relazione a sentenze che accertino un debito per un periodo precedente all'istituzione delle aziende medesime - Sussiste.
2. Giustizia amministrativa - Appello - Legittimazione attiva - Dell'Azienda U.S.L. - In relazione a sentenze emesse nei confronti delle disciolte UU.SS.LL. - Sussiste - Gestione Liquidatoria od Autorità regionale - Sono legittimate ad intervenire quali successori a titolo particolare.
3. Pubblico impiego - Sanitari - Medici addetti al servizio di guardia medica - Natura del rapporto - Ex art. 48 L. n. 833/78 - E' di prestazione professionale - Possibilità di riconoscere sussistente un rapporto di p.i. e di riconoscere differenze retributive - Non sussiste.
1. L'azienda sanitaria locale è legittimata ad appellare la sentenza amministrativa di primo grado che accerti un debito per un periodo precedente all'istituzione delle aziende medesime, in quanto la vicenda si riverbera sull'assetto economico finanziario della nuova azienda, la quale, per effetto dell'accoglimento della domanda dell'interessato sarebbe comunque obbligata verso costui anche per il futuro (1).
2. Il ricorso in appello avverso le sentenze di primo grado pronunciate nei confronti delle disciolte UUSSLL va proposto dall'Azienda Unità Sanitaria Locale derivante dal procedimento di riorganizzazione delle precedenti strutture, che assume la veste di avente causa a titolo universale, mentre la Gestione Liquidatoria, o la Regione, hanno facoltà di intervenire nel processo, ai sensi dell'art. 111 c.p.c., nella loro qualità di successori a titolo particolare, in determinati rapporti giuridici indicati dalla disposizione (2).
3. I medici addetti al servizio di guardia medica, che hanno svolto la propria opera in forza degli incarichi disciplinati da convenzioni ai sensi dell'art. 48 della legge 23 dicembre 1978 n. 833, sono titolari, ai sensi di quest'ultima norma (che non ha subito modifiche in occasione delle successive evoluzioni della normativa sul Servizio sanitario nazionale), di un contratto di prestazione professionale; tale circostanza impedisce al giudice di dichiarare l'esistenza di una diversa figura giuridica e, in particolare, di un rapporto di lavoro subordinato, idoneo a radicare la pretesa alle differenze retributive a norma dell'art. 2126 c.c. (3).
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(1) Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 14 settembre 1999, n. 1056.
(2) Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 20 settembre 2000, n. 4865.
(3) Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 13 maggio 1991, n. 797; 29 ottobre 1992, n. 1987; 10 aprile 2000, n. 2061, secondo le quali, in virtù dell'art. 48 della legge n. 833 del 1978, i rapporti convenzionali con operatori privati esplicanti la loro attività in servizi sanitari, come quelli posti in essere con i medici addetti al servizio di guardia medica, costituiscono istituti a carattere tipico e generale, con i quali l'ordinamento fa fronte alle esigenze sanitarie della popolazione avvalendosi della collaborazione coordinata, e uniformemente disciplinata, dell'opera di liberi professionisti.
In tali casi, non è l'Amministrazione, bensì la fonte normativa posta in essere ai sensi dell'art. 48 della legge n. 833 del 1978 che definisce il rapporto in termini di contratto di prestazione professionale, con ciò impedendo al giudice di dichiarare l'esistenza di una diversa figura giuridica.
FATTO
Con il ricorso in primo grado i sanitari menzionati in epigrafe, incaricati del servizio di guardia medica aggiuntiva presso la USL n. 17 di Sant'Elpidio a Mare, hanno chiesto l'accertamento della costituzione del rapporto di pubblico impiego con detta Amministrazione, sulla base dell'asserita sussistenza dei tipici caratteri rivelatori, e la condanna dell'Ente alla corresponsione delle differenze retributive e all'assolvimento degli oneri previdenziali.
Con la sentenza in epigrafe è stata respinta la domanda principale in considerazione del divieto risultante dall'art. 9, u.c., del d.P.R. 20 dicembre 1979 n. 761, che stabilisce la nullità dei provvedimenti di assunzione di personale sanitario in forme diverse da quelle espressamente disciplinate.
Il ricorso è stato invece accolto quanto alla rivendicazione delle differenze retributive, in conformità alla consolidata giurisprudenza amministrativa che ammette la rilevanza a tali fini dei rapporti di lavoro subordinato di fatto, allorché, come nella specie si è ritenuto, ne sussistano tutte le caratteristiche rivelatrici.
Avverso la decisione ha proposto appello la Azienda USL n. 11 di Fermo sostenendone l'erroneità e chiedendone la riforma.
L'appellante sostiene che, ferma restando la impossibilità di pervenire al riconoscimento del rapporto di pubblico impiego, nella specie neppure poteva legittimamente parlarsi di un rapporto di lavoro subordinato ai fini di cui all'art. 2126 c.c., posto che, contrariamente a quanto affermato nella sentenza appellata, il rapporto degli appellati si inquadrava in una specifica tipologia di rapporto convenzionale, e inoltre difettava il carattere dell'esclusività, in quanto tutti gli interessati erano comunque legati al Servizio sanitario nazionale dal diverso rapporto convenzionale per la medicina di base.
Alla pubblica udienza del 20 novembre 2001 la causa veniva trattenuta in decisione.
DIRITTO
Va esaminata in primo luogo l'eccezione di difetto di legittimazione in capo alla Azienda USL di Fermo a proporre appello avverso una sentenza pronunciata nei confronti di altra USL, successivamente disciolta. Gli appellati sostengono che l'appello avrebbe dovuto essere esplicato dalla Regione, ed in particolare dalla Gestione Liquidatoria.
L'eccezione è infondata.
La giurisprudenza amministrativa ha già avuto modo di rilevare che l'azienda sanitaria locale è legittimata ad appellare la sentenza amministrativa di primo grado che accerti un debito per un periodo precedente all'istituzione delle aziende medesime, in quanto la vicenda si riverbera sull'assetto economico finanziario della nuova azienda, la quale, per effetto dell'accoglimento della domanda dell'interessato sarebbe comunque obbligata verso costui anche per il futuro (Cons. St. Sez. V, 14 settembre 1999, n. 1056). Per tale ragione il ricorso in appello avverso le sentenze di primo grado pronunciate nei confronti delle disciolte UUSSLL va proposto dall'Azienda Unità Sanitaria Locale derivante dal procedimento di riorganizzazione delle precedenti strutture, che assume la veste di avente causa a titolo universale, mentre la Gestione Liquidatoria, o la Regione, hanno facoltà di intervenire nel processo, ai sensi dell'art. 111 c.p.c., nella loro qualità di successori a titolo particolare, in determinati rapporti giuridici indicati dalla disposizione (Sez. V, 20 settembre 2000, n. 4865).
Con riguardo al merito, si rivela fondato il motivo di appello con il quale si denuncia l'erroneità della conclusione, cui è pervenuto il primo giudice, circa la costituzione, nella specie, di un rapporto di lavoro subordinato, idoneo a radicare la pretesa alle differenze retributiva, a norma dell'art. 2126 c.c., sebbene gli appellati fossero titolari degli incarichi disciplinati da convenzioni ai sensi dell'art. 48 della legge 23 dicembre 1978 n. 833.
Come la giurisprudenza ha avuto modo di affermare (Cons. St., Sez. V, 13 maggio 1991, n. 797; 29 ottobre 1992, n. 1987; 10 aprile 2000, n. 2061) in virtù dell'art. 48 della legge n. 833 del 1978, che non ha subito modifiche in occasione delle successive evoluzioni della normativa sul Servizio sanitario nazionale, i rapporti convenzionali con operatori privati esplicanti la loro attività in servizi sanitari, come quelli posti in essere con i medici addetti al servizio di guardia medica, costituiscono istituti a carattere tipico e generale, alla pari dei rapporti di impiego, con i quali l'ordinamento fa fronte alle esigenze sanitarie della popolazione avvalendosi della collaborazione coordinata, e uniformemente disciplinata, dell'opera di liberi professionisti.
La circostanza che la disciplina risultante dagli specifici accordi collettivi nazionali presenti alcuni tratti caratteristici del lavoro subordinato, quali la retribuzione predeterminata o l'obbligo del rispetto di determinati orari, non è sufficiente a dar vita ad un rapporto di pubblico impiego, ma neppure a formare titolo per la rivendicazione di differenze retributive quale effetto della realizzazione di un rapporto di fatto.
Occorre osservare, in primo luogo, che gli accordi collettivi recano disposizioni espressive di una rigida sinallagmaticità tra l'erogazione del corrispettivo e l'effettuazione della prestazione professionale. Si veda, ad esempio, l'art. 11 del d.P.R. 25 gennaio 1991 n. 41, a norma del quale il medico incaricato, nelle indicate ipotesi di assenze giustificate, conserva l'incarico ma non ha diritto a retribuzione. Neppure è previsto il diritto a ferie retribuite, tipico dell'inserimento stabile nell'organizzazione dell'ente.
Per altro verso, l'utilizzazione della figura del rapporto di fatto, ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 2126 c.c., cui ha fatto ricorso la giurisprudenza amministrativa quando il rapporto di lavoro subordinato sia stato posto in essere dall'Amministrazione in violazione della normativa del settore, si rivela nella specie non praticabile in quanto incompatibile con la sussistenza di un rapporto che dispone di una propria peculiare natura e sostanza giuridica.
Gli odierni appellanti, infatti, non espongono di aver svolto un servizio con modalità diverse da quelle previste dall'accordo nazionale di categoria, e, come tali, corrispondenti ad un diverso tipo di rapporto, qualificabile come di lavoro subordinato, sia pure di fatto. Essi sostengono che il contratto posto in essere secondo le norme del d.P.R. n. 41 del 1991, dà origine ad un rapporto che presenta in sé le caratteristiche del lavoro subordinato tipico del restante personale sanitario, e ne pretendono il relativo trattamento economico e previdenziale.
Sembra allora evidente che la pretesa non ha fondamento perché nella specie manca la possibilità giuridica di attribuire al contratto posto in essere, che gode di una precisa qualificazione di rapporto professionale in quanto rispondente al modello stabilito dalla normativa, un diversa natura giuridica, che potrebbe farsi derivare solo da circostanze di fatto allo stato non sussistenti.
In altri termini, i pretesi indici rivelatori del rapporto del rapporto di impiego, in base ai quali la giurisprudenza ammette che la prestazione, configurata contrattualmente come professionale, possa, al di là del nomen juris, assumere nei fatti una natura diversa, risultano irrilevanti allorché il rapporto si presenti come la fedele realizzazione dello schema tipico previsto dalla normativa di rango regolamentare che disciplina tali prestazioni.
In tali casi, infatti, non è l'Amministrazione, bensì la fonte normativa posta in essere ai sensi dell'art. 48 della legge n. 833 del 1978 che definisce il rapporto di quel contenuto in termini di contratto di prestazione professionale, con ciò impedendo al giudice di dichiarare l'esistenza di una diversa figura giuridica.
In conclusione l'appello deve essere accolto, ma le spese possono essere compensate.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, accoglie l'appello in epigrafe, e, per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, rigetta il ricorso;
dispone la compensazione delle spese;
ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità Amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 20 novembre 2001 con l'intervento dei magistrati:
Claudio Varrone Presidente
Giuseppe Farina Consigliere
Paolo Buonvino Consigliere
Goffredo Zaccardi Consigliere
Marzio Branca Consigliere est.
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
f.to Marzio Branca f.to Claudio Varone
Depositata in segreteria il 18/03/2002.