CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V - Sentenza 6 giugno 2002 n. 3183 - Pres. Elefante, Est. Farina - Battistella s.r.l. (Avv.ti Cancrini, Piselli e Zgagliardich) c. Provincia di Pordenone (Avv. Manzi) e De Cecco & C. s.a.s. (n.c.) - (riforma T.A.R. Friuli - Venezia Giulia, sent. 13 marzo 2001, n. 39).
1. Contratti della P.A. - Gara - Presentazione di false dichiarazioni - Comporta l'esclusione dalla gara ex art. 17 lett. m) del d.P.R. n. 34/2000 - Presentazione di una dichiarazione attestante l'assenza di condanne penali - Nel caso di presenza di condanne ex art. 444 c.p.p. per reati in materia fiscale - Esclusione - Legittimità.
2. Contratti della P.A. - Gara - Dichiarazioni - Dichiarazione circa l'assenza di condanne penali - Prevista dall'art. 17 lett. c) del d.P.R. n. 34/2000 - Riguarda anche le condanne penali ex art. 444 c.p.p. riportate prima dell'entrata in vigore del d.P.R. citato.
1. Ai sensi dell'art. 17, lett. m), del d.P.R. 25 gennaio 2000, n. 34, l'esistenza di false dichiarazioni sul possesso dei requisiti per l'ammissione agli appalti si configura come causa di esclusione. E' pertanto legittimo il provvedimento di esclusione di una impresa che, in sede di gara, aveva dichiarato l'insussistenza delle cause di esclusione di cui all'art. 17 del d.P.R. n. 34/2000, mentre in sede di verifica dei requisiti era risultato che il legale rappresentante e direttore tecnico della ditta stessa aveva riportato due sentenze di condanna, a norma dell'art. 444 c.p.p., per reati in materia fiscale. L'omissione nella quale è incorsa l'impresa, invero, si atteggia come dichiarazione non veritiera, cui, per ciò solo, consegue l'esclusione.
2. L'obbligo di dichiarare anche le eventuali sentenze di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale (c.d. patteggiamento), previsto dall'art. 17, lettera c) del d.P.R. 25 gennaio 2000, n. 34, non può considerarsi limitato alle sole condanne riportate dopo l'entrata in vigore del d.P.R. stesso e cioè dopo la data del 1° marzo 2000, atteso che la sussistenza di un requisito, per l'accesso ad una qualsiasi posizione di vantaggio, può avere riguardo, di norma, a situazioni determinatesi nel tempo, e quindi anche preesistenti alla norma che il requisito pone (1).
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(1) Come risulta dalla motivazione della sentenza in rassegna, è stato altresì disatteso il motivo con il quale era state dedotta la violazione dell'art. 18 del d.lgs. 19 dicembre 1991, n. 406 e dell'art. 24 della direttiva n. 93/37/CEE, sotto il profilo che le disposizioni in esse contenute consentirebbero l'esclusione dalla gara soltanto di coloro che siano stati condannati "con sentenza penale passata in giudicato per un reato che incida gravemente sulla moralità professionale" dei soggetti concorrenti e che l'art. 17 del d.P.R. n. 34/2000 non può prevalere, per la sua natura regolamentare, sulle disposizioni prima indicate.
La Sez. V ha ritenuto tale censura inammissibile nella parte in cui finiva per contestare che potesse applicarsi, alla gara in questione, l'art. 17 del d.P.R. n. 34/2000, non essendo stata impugnata la lettera d'invito, che all'art. 17 faceva rinvio.
In materia di dichiarazione sulle eventuali condanne penali riportate dal legale rappresentante e dal direttore tecnico dell'impresa partecipante ad una gara d'appalto v. in questa Rivista Internet di recente TAR LIGURIA, SEZ. II - Sentenza 15 aprile 2002 n. 432.
FATTO
1. Il ricorso in appello in esame è stato notificato il 14 - 19 giugno e depositato il 25 giugno 2001.
2. E' impugnata la sentenza indicata in epigrafe, con la quale è stato dichiarato inammissibile il ricorso della s.r.l. Battistella per l'annullamento del provvedimento del 18 maggio 2000 della Provincia di Pordenone, recante diniego dell'aggiudicazione definitiva dei lavori di completamento, con opere a verde, del ponte sul torrente Cellina, nonché per l'annullamento degli atti connessi.
3. Questi i motivi dell'appello:
3.1. la clausola della lettera d'invito, che prescriveva la dichiarazione di insussistenza di cause di esclusione ex art. 17 del d.P.R. 25 gennaio 2000, n. 34, non era da considerare immediatamente lesiva, come invece ha ritenuto il primo giudice;
3.2. la dichiarazione di insussistenza di cause di esclusione, fatta dall'impresa, è da considerare corretta, perché il reato, per il quale vi era stata condanna, pronunciata a norma dell'art. 444 c.p.p., non rientra fra quelli attinenti alla moralità professionale. E', invece, in materia fiscale;
3.3. il citato art. 17 non può essere applicato retroattivamente, per reati e connessi patteggiamenti, anteriori all'entrata in vigore del d.P.R. n. 34 del 2000;
3.4. non esistono irregolarità dell'impresa definitivamente accertate;
3.5. non sono state mai presentate dichiarazioni false da parte dell'impresa;
3.6. l'esclusione viola l'art. 24 della direttiva 93/37/CEE e l'art. 18 del d. lgs. 406/1991, perché può essere pronunziata soltanto per condanne con sentenza passata in giudicato, per un reato che incida sulla moralità professionale, non per sentenze a seguito di patteggiamento;
3.7. l'esclusione dalla gara è illegittima per violazione dell'art. 166 c.p.; dell'art. 685, n. 5, c.p.p.; del d.P.R. 403/1998; degli artt. 3, 24, 25, 27, 35 e 41 Cost.
E' avanzata richiesta di risarcimento dei danni.
Sono stati depositati documenti il 12 novembre ed il 24 dicembre 2001. Nella stessa data è stata presentata memoria illustrativa.
4. La Provincia di Pordenone, costituitasi in giudizio il 7 dicembre 2001, chiede, con memoria del 27 dicembre, la conferma della sentenza impugnata e confuta tutte le censure dell'appellante.
5. All'udienza del giorno 8 gennaio 2002, dopo la discussione, il ricorso è passato in decisione.
DIRITTO
1. Con la sentenza impugnata, il T.A.R. Friuli - Venezia Giulia ha dichiarato inammissibile il ricorso, proposto dalla Società appellante, per l'annullamento del provvedimento della Provincia di Pordenone, in data 18 maggio 2000, che reca diniego di aggiudicazione definitiva dei lavori di completamento, mediante opere a verde, del ponte sul torrente Cellina. Sono impugnati, con formula generica, anche gli atti connessi. Espressamente è stato chiesto l'annullamento del sopravvenuto atto di aggiudicazione, se intervenuto, all'impresa che seguiva in graduatoria.
Per tali lavori, con un importo a base d'asta di 174.841 euro, era stata prevista, con lettera d'invito inviata ad undici imprese, una trattativa privata previa gara ufficiosa. Fra le clausole contenute nella lettera, assume rilievo, in questa controversia, quella, di cui alla lettera B, n. 1 c), che richiedeva, nell'ambito di una serie di dichiarazioni, l'attestazione che, nei confronti dell'impresa, dei suoi amministratori e soci, muniti dei poteri di rappresentanza, e dei direttori tecnici, non sussistevano le cause di esclusione di cui all'art. 17 del d.P.R. 25 gennaio 2000, n. 34.
E' stata la dichiarazione, fornita dalla Società ricorrente, che ha determinato il diniego impugnato.
Il primo giudice ha basato la rilevata inammissibilità su due considerazioni: a) le prescrizioni di bando che incidono direttamente sulla posizione dei concorrenti sono immediatamente ed autonomamente lesive. Tale è la clausola suindicata, della quale si faceva questione col ricorso; b) anche ad ammettere che la clausola fosse ambigua, sta di fatto che l'impresa non ha impugnato che il provvedimento che ne faceva applicazione, non già la lettera d'invito.
2. Sembra necessario un cenno a come si sono svolti i fatti.
La Società aveva dichiarato l'insussistenza delle cause di esclusione di cui all'art. 17 del d.P.R. n. 34/2000, ripetendo pedissequamente la formula della lettera d'invito.
La Provincia richiedeva, d'ufficio, certificazione per la verifica dei requisiti dell'impresa ricorrente, aggiudicataria in via provvisoria (verbale del 10 maggio 2000). In relazione alle predette cause di esclusione, rilevava, nei riguardi del legale rappresentante e direttore tecnico della Società, la pronunzia di due sentenze di condanna, a norma dell'art. 444 c.p.p., per reati in materia fiscale.
Nel provvedimento impugnato si considera, in parte motiva, che i fatti integrano la fattispecie di cui all'art. 17, co.1, citato. E precisamente: previsione della lett. c), per l'esistenza di sentenze di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell'art. 444 c.p.p.; previsione della lett. e), in quanto irregolarità definitivamente accertate, rispetto agli obblighi relativi al pagamento di imposte e tasse secondo la legislazione italiana; previsione della lett. m), configurandosi l'esistenza di false dichiarazioni circa il possesso dei requisiti per l'ammissione agli appalti.
Nella parte dispositiva del provvedimento, il diniego di aggiudicazione è pronunciato "avendo il legale rappresentante della ditta . falsamente autocertificato, ai fini della partecipazione alla trattativa privata . l'insussistenza delle cause di esclusione di cui all'art. 17, comma 1, lett. c) ed e) del d.P.R. 34/2000, come successivamente accertato sulla base del certificato del casellario giudiziale del medesimo."
3. Per una corretta impostazione delle censure da esaminare, va, quindi, in primo luogo, precisato che sono state ravvisate dall'amministrazione tre distinti ed autonomi motivi di esclusione: l'esistenza di sentenze di condanna ex art. 444 c.p.p.; l'esistenza di irregolarità fiscali definitivamente accertate; l'esistenza di false dichiarazioni circa il possesso di requisiti per partecipare. Ciascuna di queste circostanze è, secondo l'art. 17 citato, ragione di esclusione dalla gara, e perciò ciascuna, da sola, può essere legittimamente posta a base del diniego di aggiudicazione.
Inoltre, l'esame del ricorso in appello non può prescindere dalla verifica della corrispondenza delle censure proposte in questo grado con quelle dell'atto introduttivo del giudizio. E, poiché, come si vedrà oltre, sono invece, in parte, dedotte nuove doglianze, si procederà, qui di seguito, all'esame di quelle avanzate in prime cure, sostanzialmente riprodotte nell'atto d'appello, per poi indicare quelle che, per il divieto di ius novorum, sono, invece, inammissibili. Tale modo di procedere consente anche di verificare la fondatezza del primo motivo dell'appello, col quale si critica, condivisibilmente, la pronuncia del primo giudice, che ha dichiarato, per le ragioni sopra sintetizzate, inammissibile il ricorso introduttivo.
4.1. Con il primo motivo, era stato lamentato che le sentenze pronunciate ex art. 444 c.p.p. non possono "costituire presupposto per un giudizio di responsabilità", ma "al più costituire strumento dal quale ricavare elementi di valutazione ai fini della formazione del libero convincimento del giudice". La non del tutto chiara tesi sembra doversi intendere specificata in un successivo passo del motivo, dove si afferma che il provvedimento di esclusione è illegittimo, perché emanato "sul presupposto, assolutamente non provato, della colpevolezza" della persona condannata "per i reati ascrittigli".
La censura riferita è in parte inammissibile ed in parte infondata.
E' inammissibile, in quanto pone in discussione non solo la legittimità del provvedimento impugnato, ma anche dell'art. 17 del d.P.R. 25 gennaio 2000, n. 34, manifestamente non impugnato.
Invero, l'art. 17 citato fissa i requisiti di ordine generale per la qualificazione delle imprese che eseguono lavori pubblici. Il successivo art. 29, comma 3, ha stabilito tuttavia che, fino all'entrata in vigore del regolamento generale - vale a dire del regolamento previsto dall'art. 3 della l. 11 febbraio 1994, n. 109 (v. il d.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554, ed il d.P.R. 30 agosto 2000, n. 412) - le cause di esclusione dalle gare per l'affidamento di lavori pubblici, di qualsiasi importo, dovevano essere determinate con riferimento a quanto previsto dal citato art. 17, commi 1 e 3. E' nel comma 1, lett. c), che è statuito che requisito per partecipare alle gare è, fra l'altro, l'inesistenza di sentenze di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell'art. 444 c.p.p., a carico di determinati soggetti, per reati che incidono sulla moralità professionale. Ne segue che era precluso discutere della legittimità non della lettera d'invito, come ha ritenuto il primo giudice, ma degli artt. 29 e 17 del regolamento n. 34 del 2000.
La censura è invece infondata nella parte in cui intende asserire che non si applica l'art. 17 e quindi le cause di esclusione in esso elencate, ivi compresa quella riconducibile all'esistenza di sentenze di applicazione della pena su richiesta. Si è, infatti, visto che l'art. 17 contempla espressamente l'esclusione per detta ragione, sia pure a determinate condizioni.
In ordine, infine, alla necessità di valutare i fatti, se ne tratterà, con riguardo alla specificità del caso, con l'esame della seconda censura dell'atto introduttivo.
4.2. Con questa doglianza era stato denunciato che doveva farsi applicazione dell'art. 18 del d. lgs. 19 dicembre 1991, n. 406, e dell'art. 24 della direttiva n. 93/37/CEE, nella considerazione che queste disposizioni consentirebbero l'esclusione dalla gara soltanto di coloro che siano stati condannati "con sentenza penale passata in giudicato per un reato che incida gravemente sulla moralità professionale" dei soggetti concorrenti. Si aggiungeva che l'art. 17 non può avere prevalenza sulle disposizioni suindicate e, infine, in subordine, che questa norma non può applicarsi per sentenze pronunciate prima della sua entrata in vigore.
Anche questa censura è inammissibile nella parte in cui contesta che potesse applicarsi, nella gara in questione, l'art. 17 più volte citato, per la ragione che dovevano essere impugnati l'art. 29 del medesimo d.P.R., che, come s'è visto ne imponeva l'applicazione, e la lettera d'invito che all'art. 17 faceva rinvio. In difetto, non è consentito l'esame della censura, che porterebbe ad una non ammissibile disapplicazione delle regole della gara.
La stessa censura deve essere disattesa, invece, nella parte in cui lamenta che, con riguardo alle sentenze di applicazione della pena su richiesta, pronunciate in epoca anteriore all'entrata in vigore dell'art. 17, sarebbe illegittima la regola ivi contenuta.
E', in contrario, da rilevare che né la precedente censura, né quella in esame, né quelle che seguono, rilevano e contestano che il provvedimento impugnato si configura come esercizio del potere di annullamento dell'aggiudicazione, previsto nella lettera d'invito per effetto dell'esito negativo degli accertamenti e delle verifiche, anche d'ufficio, dei requisiti per la partecipazione. E neppure valgono a sostenere la tesi che il concorrente non dovesse dichiarare di aver riportato condanne. Invero, la non rilevanza di certi fatti non era rimessa all'apprezzamento soggettivo dell'impresa concorrente, che aveva, perciò, in ogni caso, l'obbligo di dichiarare l'esistenza delle sentenze in discussione. Era riservato, poi, all'amministrazione fare queste valutazioni.
Deve, perciò, riconoscersi legittimo il riferimento alla falsa autocertificazione, contenuto nella parte motiva, con il richiamo all'art. 17, lett. m), e nella parte dispositiva del provvedimento. La norma stabilisce che l'esistenza di false dichiarazioni sul possesso dei requisiti per l'ammissione agli appalti si configura come causa di esclusione. L'omissione, nella quale è incorsa l'impresa, si atteggia appunto come dichiarazione non veritiera, cui, per ciò solo, come si è sopra anticipato, consegue l'esclusione.
Né l'obbligo in esame può considerarsi limitato alle sole condanne riportate dopo l'entrata in vigore del d.P.R. 25 gennaio 2000, n. 34, cioè alla data del 1° marzo 2000. La sussistenza di un requisito, per l'accesso ad una qualsiasi posizione di vantaggio, può avere riguardo, di norma, a situazioni determinatesi nel tempo, e quindi anche preesistenti alla norma che il requisito pone. Nella specie, la disposizione fa riferimento alla moralità professionale dei soggetti concorrenti o di quelli che operano per essi. Si tratta, dunque, di una condizione acquisita nel corso dell'attività dispiegata da tali soggetti e le sentenze, sia se seguite ad un procedimento, per così dire, ordinario, sia se seguite alla richiesta di applicazione della pena, come previsto dall'art. 444 c.p.p., sono sintomatiche dell'esistenza di fatti che devono essere valutati dalla P.A., sicché non possono essere sottaciute, quale che sia l'epoca della loro pronuncia.
4.3. Il terzo ed il quarto motivo del ricorso di primo grado, nei quali si denuncia il contrasto del provvedimento impugnato con altre norme di legge o con norme costituzionali, non sfuggono, neanch'esse, all'osservazione che è stata, prima di tutto, omessa la dichiarazione dovuta.
4.4. Il ricorso in appello propone altre censure che non sono state dedotte in primo grado. Sono quelle contrassegnate con i nn. 3.2, 3.4, e 3.5 dell'esposizione in fatto. Esse sono inammissibili per il divieto di ius novorum.
4.5. Infondata è, infine, la domanda di risarcimento dei danni, perché è infondata la domanda di annullamento del provvedimento impugnato.
5. In conclusione, in riforma della sentenza impugnata, il ricorso introduttivo, in parziale accoglimento dell'appello, va dichiarato ammissibile, ma va respinto nel merito.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta) accoglie in parte l'appello e, in riforma della sentenza impugnata, dichiara ammissibile il ricorso introduttivo e, nel merito, lo respinge.
Condanna la parte appellante al pagamento in favore della parte resistente delle spese del grado, che liquida in tremila euro.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), nella camera di consiglio del giorno 8 gennaio 2002, con l'intervento dei Signori:
Agostino Elefante Presidente
Giuseppe Farina, Rel. est. Consigliere
Goffredo Zaccardi Consigliere
Aldo Fera Consigliere
Filoreto D'Agostino Consigliere
IL RELATORE IL PRESIDENTE
Depositata in segreteria il 6 giugno 2002.