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n. 12-2002 - © copyright.

CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V – Sentenza 2 dicembre 2002 n. 6606 - Pres. Quaranta, Est. Mastrandrea - Comune di Milano (Avv.ti Surano, Savasta e Pirocchi) c. Pastori (Avv.ti Nespor e Caravita di Toritto) - (conferma T.A.R. Lombardia-Milano, Sez. III, 5 dicembre 1995, n. 1432).

1. Concorso - Bando - Requisiti di accesso - Determinazione - Discrezionalità della P.A. - Limiti - Rispetto delle norme di legge e dei principi di razionalità e congruenza - Necessità.

2. Concorso - Bando - Requisiti di accesso - Determinazione - Discrezionalità della P.A. - Limiti - Rispetto dei principi di razionalità e congruenza - Va verificato in relazione alle mansioni previste per i posti da ricoprire.

3. Concorso - Bando - Requisiti di accesso - Concorso per posti di vigile urbano - Previsione di requisiti di idoneità fisica (ed in particolare di un visus naturale) superiori a quelli previsti per l’accesso alla Polizia di Stato od ai Carabinieri - Illegittimità.

1. Le prescrizioni contenute nei bandi di concorso a posti di pubblico impiego possono essere discrezionalmente determinate dall’Amministrazione; tuttavia, tali prescrizioni, oltre a non essere contrarie a disposizioni normative, non debbono essere intrinsecamente illogiche, anche sotto il profilo della superfluità, della inutilità e dell’esagerata gravosità (1).

2. Ogni prescrizione del bando, per ciò che concerne i requisiti di ammissione al concorso, deve essere concretamente valutata - per verificare se essa appaia superflua, inutile od ingiustificatamente gravosa - con riferimento alle specifiche mansioni che i vincitori saranno chiamati ad espletare (2).

3. Non appare rispondente ad un minimo di logica e va ritenuta conseguentemente illegittima una clausola di un bando di concorso a posti di vigile urbano che preveda requisiti di idoneità fisica ed in particolare una vista perfetta da entrambi gli occhi senza utilizzare mezzi di correzione, ben più severi di quelli che le rispettive specifiche norme regolamentari riservano all’ammissione nell’Arma dei Carabinieri o nella Polizia di Stato o in altri corpi assimilabili anche per grado di "operatività". In particolare è da ritenere illegittima la clausola che per il visus naturale preveda la non tolleranza di mezzi di correzione relativamente a mansioni che possono benissimo avere connotati impiegatizi e svolgersi in ambito di ufficio (3).

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(1) Cfr. C.G.A., 3 novembre 1999, n. 590; Cons. Stato, Sez. V, 23 novembre 1993 n. 1203.

(2) Sotto questo profilo, come si legge nella motivazione della sentenza in rassegna, è stata riconfermata una precedente pronuncia (Cons. Stato, sez. V, 30 marzo 1993, n. 422) che, con specifico riferimento ad un concorso a posti di vigile urbano autista o motociclista ed in considerazione della particolari mansioni che avrebbero dovuto essere svolte da parte di questi ultimi, ha ritenuto legittima una clausola del bando di concorso che richiedeva, quale requisito fisico necessario per l'ammissione al concorso, l'acutezza visiva naturale di 10/10 per ciascun occhio.

(3) E’ stato osservato in proposito che, nei concorsi a posti di vigile urbano, se è legittimo richiedere quale requisito di ammissione un visus minimo per ogni singolo occhio senza correzione di lenti, attese le peculiari mansioni attribuite ai vigili e l’ampia discrezionalità dell'Amministrazione in ordine ai requisiti attitudinali da richiedere ai candidati, tale requisito non può essere esageratamente severo (vista perfetta senza correzioni) - particolarmente ove non sia espressamente correlato a peculiari mansioni o profili - e soprattutto affatto in linea con le categorie che possono essere prese a seppur parziale raffronto (Forze dell’ordine).

 

 

FATTO

1. L’Amministrazione comunale di Milano, con deliberazione di Giunta n. 5596, in data 22 dicembre 1992, stabiliva di non procedere alla nomina, in qualità di Vigile Urbano del Comune di Milano, del sig. Pastori, il quale aveva utilmente partecipato al concorso pubblico, per titoli ed esami, per la copertura di n. 20 posti di vigile, V q.f. ex DPR 333/90.

L’esclusione era motivata dalla mancanza, in capo all’indicato concorrente, di uno dei particolari requisiti prescritti dal bando di concorso, ovvero quello relativo al possesso di un visus non inferiore a 10/10 senza uso di lenti.

2. Con la sentenza impugnata, in epigrafe indicata, l’attuale appellato ha visto riconosciuta la propria pretesa ad essere assunto nel posto per il quale aveva concorso, avendo il TAR adito osservato che la previsione del bando, circa il requisito minimo di visus, doveva essere necessariamente riferita non già a ciascun occhio, bensì alla somma dei visus dei due occhi e che quindi risultava soddisfatta dal reclamante (in possesso di visus di 5/10 per occhio).

3. Il Comune di Milano ha interposto l’appello in trattazione avverso la prefata pronunzia, lamentando l’assoluta originalità ed illogicità della tesi sostenuta nella sentenza contestata.

4. L’appellato si è costituito in giudizio per resistere all’appello, ed ha controdedotto.

Alla pubblica udienza del 25 giugno 2002 il ricorso in appello è stato introitato per la decisione.

DIRITTO

1. L’appello comunale non può essere favorevolmente definito, meritando conferma, seppur con motivazione integrata, il responso di accoglimento del ricorso introduttivo formulato in prime cure.

Il bando di concorso oggetto dell’attuale controversia, relativo a posti di vigile urbano nel Comune di Milano, prevedeva al punto 6) dei requisiti particolari per l’ammissione alla selezione, circa la vista, che non sarebbero stati "ritenuti fisicamente idonei al posto i candidati che, senza uso di lenti, [avevano] un visus inferiore a 10/10".

Orbene, non sembra in torto l’Amministrazione appellante a sostenere che non esistevano nella formulazione del bando molti appigli per affermare che, ai fini della misurazione dell’efficienza visiva di un soggetto, si dovesse operare la somma aritmetica dei decimi di acutezza visiva di ciascun occhio, come invece sostenuto dal TAR Lombardia, che all’uopo ha anche richiamato alcuni precedenti in termini.

Trattasi, infatti, di interpretazione particolarmente problematica, non rispettosa, almeno a primo acchitto, della stringente dizione della lex specialis (dove non si parlava di visus complessivo) e che porterebbe tra l’altro, in extremis, a dover giudicare automaticamente idoneo anche un soggetto affetto da cecità assoluta ad un solo occhio (in quanto 10+0=10).

2. In disparte le doverose considerazioni di cui sopra, il ricorso di primo grado merita comunque accoglimento, seppur sotto un diverso assorbente profilo.

Il sig. Pastori, con censura dichiarata assorbita dai primi giudici in quanto "confluente in quella accolta", non si è lagnato solamente dell’interpretazione della clausola di ammissione fornita dall’Amministrazione, ma, alla bisogna, è insorto anche avverso il bando stesso, esplicitamente fatto oggetto di impugnazione quale atto presupposto fin dalle premesse del gravame, e tacciato, tra l’altro, di contraddittorietà ed illogicità, considerando anche che il requisito della vista perfetta non è richiesto nemmeno alle forze dell’ordine ed ai corpi di pubblica sicurezza, sicuramente non tenuti a mansioni meno impegnative ed "operative" dei vigili urbani comunali.

La doglianza è fondata.

E’ vero che il bando di concorso a posti di pubblico impiego, quale lex specialis della procedura, possa contenere prescrizioni discrezionalmente individuate dall’Amministrazione, ma queste, oltre a non essere contrarie a disposizioni normative, non devono essere intrinsecamente illogiche, anche sotto il profilo della superfluità, della inutilità e, occorre aggiungere, dell’esagerata gravosità (cfr., in tema, C.G.A.R.S. 3 novembre 1999, n. 590; Cons. Stato, V, 23 novembre 1993 n. 1203).

Ogni prescrizione deve essere dunque concretamente valutata con riferimento alle specifiche mansioni da espletare; ne consegue che la posizione assunta tempo addietro dalla Sezione - in fattispecie dai connotati analoghi - ed invocata dal Comune appellante, non va necessariamente, e meditatamente, rivista, siccome espressa con riferimento a posti di vigile urbano autista o motociclista (per i quali, dunque, è stata ritenuta legittima la norma del bando di concorso che richiedeva quale requisito fisico l'acutezza visiva naturale di 10/10 per ciascun occhio, attese le peculiari mansioni da svolgere e l’ampia potestà discrezionale che ha l’Amministrazione in ordine ai requisiti attitudinali da richiedere ai candidati: Cons. Stato, V, 30 marzo 1993, n. 422).

Tanto premesso, non appare di certo rispondente ad un minimo di logica, e come tale è dunque aspetto sindacabile dal giudice adito, che un bando di concorso a posti di vigile urbano (nella loro genericità e pertanto non in relazione a specifiche mansioni operative) preveda requisiti di idoneità fisica, ed in particolare una vista perfetta da entrambi gli occhi senza utilizzare mezzi di correzione, ben più severi di quelli che le rispettive specifiche norme regolamentari riservano all’ammissione nell’Arma dei Carabinieri o nella Polizia di Stato (in quest’ultimo caso per la nomina ad allievo agente è richiesto un visus naturale non inferiore a 12/10 "complessivi" - qui è specificato - quale somma del visus dei due occhi, con non meno di 5/10 nell’occhio in cui si vede di meno), o in altri corpi assimilabili anche per grado di "operatività".

La esagerata gravosità è insita, particolarmente, nella non tolleranza di mezzi di correzione, peraltro relativamente a mansioni che possono benissimo avere connotati impiegatizi e svolgersi in ambito di ufficio.

In definitiva, può concludersi nel senso che se nei concorsi a posti di vigile urbano è legittimo richiedere quale requisito di ammissione un visus minimo per ogni singolo occhio senza correzione di lenti, attese le peculiari mansioni attribuite ai vigili e l’ampia discrezionalità dell'Amministrazione in ordine ai requisiti attitudinali da richiedere ai candidati, tale requisito non può essere esageratamente severo (vista perfetta senza correzioni) - particolarmente ove non sia espressamente correlato a peculiari mansioni o profili - e soprattutto affatto in linea con le categorie che possono essere prese a seppur parziale raffronto (Forze dell’ordine).

3. Alla stregua delle considerazioni che precedono, meritando il gravame di prime cure comunque accoglimento, seppur nei suddetti termini, l’appello in epigrafe non può essere oggetto di favorevole definizione.

Le spese di lite, relative al presente grado di giudizio, seguono, come di regola, la soccombenza dell’appellante e vengono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sul ricorso in appello in epigrafe, lo rigetta, nei sensi di cui in motivazione.

Condanna il Comune appellante alla rifusione, in favore dell’appellato, delle spese del presente grado di giudizio, liquidate in € 2.000,00 (duemila/00).

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, il 25 giugno 2002, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), in camera di consiglio, con l'intervento dei seguenti Magistrati:

Alfonso Quaranta Presidente

Paolo Buonvino Consigliere

Aldo Fera Consigliere

Francesco D’Ottavi Consigliere

Gerardo Mastrandrea Consigliere est.

L'ESTENSORE                          IL PRESIDENTE

f.to Gerardo Mastrandrea        f.to Alfonso Quaranta

Depositata in segreteria in data 2 dicembre 2002.

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