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CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V - Sentenza 19 febbraio 2003 n. 915 - Pres. Allegretta, Est. Lipari - Comune di Napoli (Avv.ti Barone, Tarallo e Ricci) c. Santagata. (Avv. Marino) - (accoglie il ricorso per revocazione della decisione della Quinta Sezione del Consiglio di Stato, 17 aprile 2002, n. 207).

1. Giustizia amministrativa - Appello - Termine per la proposizione - Notifica della sentenza nei confronti della parte personalmente invece che del suo procuratore costituito in giudizio - Non fa decorrere il termpine breve per la proposizione dell'appello.

2. Giustizia amministrativa - Appello - Termine per la proposizione - Decorrenza - Dalla data di notificazione della sentenza presso il procuratore costituito con elezione di domicilio - Fattispecie materia di notifica presso la sede dell'ufficio legale.

3. Pubblico impiego - Provvedimento disciplinare - Diverso dalla destituzione dall'impiego - Periodo di sospensione cautelare - Diritto alla restitutio in integrum - Limiti.

1. La notifica della sentenza avvenuta, in violazione degli art. 170 e 285 c.p.c., nei confronti della parte personalmente invece che del suo procuratore costituito in giudizio, non è idonea a far decorrere il termine breve per l'impugnazione della sentenza per il destinatario e nemmeno per il notificante, essendo improduttiva di effetti la conoscenza della sentenza acquisita al di fuori della specifica forma stabilita dalla legge e non essendo neppure applicabile il principio di cui all'art. 156 c.p.c. relativo alla sanatoria delle nullità per il raggiungimento dello scopo dell'atto (1).

2. Ai fini della decorrenza del termine breve d'impugnazione, la notifica della sentenza alla parte costituitasi mediante procuratore deve essere effettuata - a norma del combinato disposto di cui agli art. 170, 285, 326 c.p.c. e 58 disp. att. stesso codice - al procuratore costituito e nel domicilio del medesimo, per cui, ove l'amministrazione si sia costituto in giudizio eleggendo domicilio presso l'ufficio legale della propria sede provinciale, la notifica della sentenza eseguita presso tale ufficio, nei riguardi dell'ente, anziché del procuratore nominato, è inidonea a far decorrere il termine breve suddetto (2).

3. Ai sensi dell'art. 96, 2° comma, del d.P.R. n. 3/1957, deve ritenersi che un pubblico dipendente che - già cautelarmente sospeso dal servizio - sia stato in seguito, per i medesimi fatti, condannato in sede penale e sottoposto a procedimento disciplinare definito con l'irrogazione di una sanzione diversa dalla destituzione dall'impiego ha diritto alla restitutio in integrum, e, in particolare, alla restituzione delle retribuzioni perse durante il periodo di sospensione cautelare, limitatamente all'eventuale maggior periodo di sospensione cautelare subita rispetto a quello di effettiva sospensione dalla qualifica irrogatagli all'esito del procedimento disciplinare; dal quantum dovuto a titolo di restituzione delle retribuzioni perse durante il periodo di sospensione cautelare va dedotto solo l'importo delle retribuzioni corrispondenti al tempo della condanna penale detentiva, quand'anche questa non sia stata effettivamente scontata per intervenuta sospensione condizionale della pena, atteso che i periodi di detenzione, anche se non scontati, vanno esclusi dal riconoscimento dei benefici economici al dipendente condannato in sede penale (3).

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(1) Cass., sez. lav., 27 gennaio 2001, n. 1152.

(2) Cass., sez. lav., 4 maggio 1999, n. 4443.

(3) Cfr. Cons. Stato, Ad. Plen., 2 maggio 2002 n. 4; v. anche Ad. Plen, 6 marzo 1997, n. 8 e 16 giugno 1999, n. 15.

 

 

FATTO E DIRITTO

La decisione impugnata ha dichiarato irricevibile l'appello proposto dal comune di Napoli contro la sentenza n. 381/1995 della Quinta Sezione del T.A.R. della Campania, con la quale era stata annullata, in parte, la deliberazione della giunta municipale di Napoli n. 15 del 22 luglio 1991, relativa alla ricostruzione di carriera del Sig. Gennaro Santagata, dipendente comunale sospeso dal servizio, per il periodo 2 dicembre 1980 - 26 marzo 1991.

La pronuncia così motiva la declaratoria di irricevibilità:

"La sentenza impugnata è stata notificata al Comune appellante il giorno 11 marzo 1996."

"Il ricorso in appello è stato però notificato il 5 febbraio 1997. Deve essere, di conseguenza, dichiarato irricevibile, perché proposto oltre il termine di sessanta giorni stabilito dall'art. 28, secondo comma, della legge 6 dicembre 1971, n. 1034".

Il comune ricorrente afferma che la decisione si fonda sull'unico presupposto che la sentenza di primo grado sia stata notificata al comune il giorno 11 marzo 1996.

A dire dell'amministrazione, questo assunto è frutto di un evidente errore di fatto, in quanto la notifica della sentenza del tribunale è stata effettuata presso il domicilio reale del comune, nei confronti degli organi abilitati alla ricezione degli atti e non presso l'Avvocatura comunale, presso cui l'amministrazione aveva ritualmente eletto domicilio in primo grado.

L'errata notifica della sentenza è quindi inidonea a far decorrere il termine per l'appello. Si tratterebbe, pertanto, di un errore di fatto della decisione, che giustifica la proposizione del ricorso per revocazione.

La parte intimata sostiene l'inammissibilità del ricorso, in quanto l'errore della decisione non avrebbe carattere revocatorio, costituendo, a tutto concedere, l'inesatto apprezzamento delle risultanze processuali

L'eccezione è infondata.

Nel caso di specie, l'errore in cui è incorso la decisione impugnata consiste non tanto nell'errato apprezzamento riguardante l'idoneità della notifica della sentenza presso il domicilio reale dell'amministrazione comunale, ma nella mancata considerazione della elezione di domicilio in primo grado.

Questa particolare circostanza non ha costituito "punto controverso" della pronuncia impugnata e non è stata in alcun modo valutata nel contesto motivazionale della sentenza.

Dunque, la revocazione, è certamente ammissibile, perché non mira affatto al riesame di un tema decisiorio già affrontato dalla pronuncia impugnata. Al contrario, la revocazione introduce un profilo di fatto non valutato dalla decisione, idoneo ad influire sull'esito della controversia.

Nel merito, la revocazione è fondata.

Va premesso che il termine "breve" di sessanta giorni per la proposizione dell'appello decorre dalla rituale notificazione della sentenza di primo grado, effettuata in conformità alle regole particolari che la disciplinano.

A tale fine, anche per l'appello delle sentenze dei tribunali amministrativi regionali, si applicano le regole dettate dal codice di procedura civile.

L'art. 285 del codice di procedura civile (Modo di notificazione della sentenza), allo scopo di delineare con chiarezza gli effetti del compimento dell'atto, stabilisce che "la notificazione della sentenza, al fine della decorrenza del termine per l'impugnazione, si fa, su istanza di parte, a norma dell'art. 170, primo e terzo comma".

A sua volta, l'art. 170 del codice di procedura civile (Notificazioni e comunicazioni nel corso del procedimento) prevede che "dopo la costituzione in giudizio tutte le notificazioni e le comunicazioni si fanno al procuratore costituito salvo che la legge disponga altrimenti".

Detta disposizione, quindi, chiarisce in modo puntuale che le notifiche devono essere specificamente indirizzate al procuratore costituito.

Ne deriva che, secondo un orientamento assolutamente pacifico, la notifica della sentenza avvenuta, in violazione degli art. 170 e 285 c.p.c., nei confronti della parte personalmente invece che del suo procuratore costituito in giudizio, non è idonea a far decorrere il termine breve per l'impugnazione della sentenza per il destinatario e nemmeno per il notificante, essendo improduttiva di effetti la conoscenza della sentenza acquisita al di fuori della specifica forma stabilita dalla legge e non essendo neppure applicabile il principio di cui all'art. 156 c.p.c. relativo alla sanatoria delle nullità per il raggiungimento dello scopo dell'atto (Cass., sez. lav., 27-01-2001, n. 1152).

In questo contesto interpretativo può essere compiutamente apprezzato l'errore di fatto della decisione oggetto di revocazione.

Infatti, risulta incontestabilmente dimostrato che, nel giudizio dinanzi al tribunale, il comune di Napoli ha eletto domicilio "presso l'Avvocatura Municipale, in Napoli, P.zzo San Giacomo", conferendo il mandato agli Avvocati F. De Tilla e A. Pulcini, in calce al ricorso notificato.

La sentenza di primo grado è stata notificata al comune, "in persona del legale rappresentante, domiciliato per la carica presso la casa municipale".

La relazione della notificazione attesta che l'atto è stato consegnato al "dipendente D'Onofrio Riccardo capace addetto all'Avvocatura Municipale, incaricato per la riscossione, stante la precaria assenza del legale rappresentante e di essi destinatario."

La notificazione è quindi irrituale, perché, pur essendo effettuata, materialmente, nello stesso luogo "fisico" di elezione del domicilio (la sede comunale e gli uffici dell'Avvocatura Municipale), è rivolta al legale rappresentante del comune e non ai difensori nominativamente individuati nel mandato e nella contestuale elezione di domicilio.

Questa conclusione non deve considerarsi eccessivamente rigorosa e formalistica. Al contrario, è realistico ipotizzare che il "percorso interno" dell'atto notificato, anche in relazione ai ristretti termini per la proposizione dell'appello, possa risultare molto diverso a seconda che esso sia rivolto genericamente al comune, oppure indichi specificamente i difensori incaricati del patrocinio, ponendoli in grado di utilizzare l'intero arco del termine breve di sessanta giorni, per assumere le opportune determinazioni processuali.

Si tratta, del resto, dell'indirizzo interpretativo costantemente seguito dalla cassazione civile, secondo la quale, ai fini della decorrenza del termine breve d'impugnazione, la notifica della sentenza alla parte costituitasi mediante procuratore deve essere effettuata - a norma del combinato disposto di cui agli art. 170, 285, 326 c.p.c. e 58 disp. att. stesso codice - a tale procuratore e nel domicilio del medesimo, per cui, ove l'amministrazione si sia costituto in giudizio eleggendo domicilio presso l'ufficio legale della propria sede provinciale, la notifica della sentenza eseguita, presso tale ufficio, nei riguardi dell'ente, anziché del procuratore nominato, è inidonea a far decorrere il termine breve suddetto" (Cass., sez. lav., 04-05-1999, n. 4443).

L'accoglimento del ricorso per revocazione e l'annullamento della decisione di irricevibilità dell'appello comporta la necessità di esaminare il merito dell'appello. A tale scopo è opportuno riassumere i tratti essenziali della vicenda sostanziale e processuale all'origine della presente controversia.

Il Sig. Gennaro Santagata, ricorrente in primo grado e dipendente del comune di Napoli, era sospeso cautelarmente dal servizio, a seguito dell'arresto intervenuto in data 2 dicembre 1980 e, successivamente, a partire dal 1987, era destituito di diritto dall'impiego.

In seguito all'annullamento giurisdizionale del provvedimento di destituzione automatica, l'amministrazione attivava il procedimento disciplinare nei confronti del dipendente, concludendolo con l'irrogazione della sanzione della sospensione dalla qualifica per mesi sei.

Con il provvedimento impugnato in primo grado, l'amministrazione comunale ha stabilito di non computare, ai fini della ricostruzione della carriera, il periodo trascorso fuori servizio, compreso nell'arco temporale dal 2 dicembre 1980 al 26 marzo 1991.

La sentenza appellata ha accolto in parte il ricorso, affermando che all'interessato compete la richiesta ricostruzione di carriera, con la sola esclusione dei seguenti periodi:

- il semestre di durata della sospensione dalla qualifica inflittagli all'esito del procedimento disciplinare;

- il periodo di espiazione della pena accessoria di interdizione temporanea dai pubblici uffici inflittagli dal giudice penale, nella parte eventualmente non condonata.

L'amministrazione appellante sostiene l'erroneità della sentenza impugnata, in base ad una pluralità di argomenti:

- il principio generale in materia di pubblico impiego è quello della sinallagmaticità delle prestazioni: in tanto il dipendente acquista il diritto al trattamento economico, in quanto svolga effettivamente le dovute prestazioni lavorative;

- le disposizioni restituorie degli articoli 96 e 97 del testo unico n. 3/1957 hanno carattere derogatorio rispetto al principio generale della sinallagmaticità delle prestazioni;

- la deroga al principio della corrispettività non opera nei casi in cui il procedimento penale si concluda con esito non pienamente assolutorio dell'impiegato.

L'appello è infondato.

La Sezione non ha motivo di discostarsi dall'orientamento di recente espresso dall'adunanza Plenaria 2 maggio 2002 n. 4, secondo cui, ai sensi dell'art. 96, 2° comma, del d.P.R. n. 3/1957, deve ritenersi che un pubblico dipendente che - già cautelarmente sospeso dal servizio - sia stato in seguito, per i medesimi fatti, condannato in sede penale e sottoposto a procedimento disciplinare definito con l'irrogazione di una sanzione diversa dalla destituzione dall'impiego ha diritto alla restitutio in integrum, e, in particolare, alla restituzione delle retribuzioni perse durante il periodo di sospensione cautelare, limitatamente all'eventuale maggior periodo di sospensione cautelare subita rispetto a quello di effettiva sospensione dalla qualifica irrogatagli all'esito del procedimento disciplinare.

Secondo detta pronuncia, dal quantum dovuto a titolo di restituzione delle retribuzioni perse durante il periodo di sospensione cautelare va dedotto solo l'importo delle retribuzioni corrispondenti al tempo della condanna penale detentiva, quand'anche questa non sia stata effettivamente scontata per intervenuta sospensione condizionale della pena, atteso che i periodi di detenzione, anche se non scontati, vanno esclusi dal riconoscimento dei benefici economici al dipendente condannato in sede penale.

Del resto, sul medesimo problema interpretativo il Consiglio di Stato si è pronunciato ripetutamente in termini positivi. L'Adunanza Plenaria ha ribadito tale orientamento con decisioni n. 8 del 6 marzo 1997 e n.15 del 16 giugno 1999.

A favore di questo tesi depongono vari argomenti.

In primo luogo, si deve considerare la formulazione letterale dell'art. 96, secondo comma del DPR n. 3/1957, che esplicitamente dispone per la corresponsione di "tutti gli assegni non percepiti, escluse le indennità o compensi per servizi e funzioni di carattere speciale o per prestazioni di carattere straordinario, per il tempo eccedente la durata della punizione o per effetto della sospensione "nei casi - come quello in esame - in cui sia stata inflitta la sanzione della sospensione dalla qualifica per una durata inferiore al periodo di sospensione cautelare ovvero una sanzione meno grave o per l'ipotesi in cui il procedimento disciplinare si chiuda con il proscioglimento del dipendente.

Non esiste in tale disposizione alcun elemento testuale che consenta all'interprete di non applicarla quando la sospensione cautelare segua un procedimento penale anziché l'adozione di una sanzione disciplinare a conclusione di apposito procedimento.

Da altra angolazione è stato riconosciuto il carattere tipico dell'ordinamento del pubblico impiego che corrisponde nel regime delineato dal D.P.R. 3/1957 sia all'esigenza di garanzia dei dipendenti che, in special modo, a quella del miglior funzionamento possibile della complessa organizzazione che assicura l'adempimento delle più significative funzioni dello Stato.

La tesi, condivisa dalla Corte dei Conti, secondo cui l'art.97 recherebbe una eccezione alla regola dettata dall'art. 96 escludendo del tutto il diritto alla corresponsione degli arretrati non percepiti durante il periodo di sospensione cautelare quando sia intervenuta una condanna in sede penale del dipendente non persuade anche per una ulteriore ragione indicata con chiarezza nella Adunanza Plenaria n.15 del 16 giugno 1999: le due norme riguardano aspetti diversi del procedimento disciplinare, anche temporalmente.

L'argomento logico su cui si regge l'orientamento giurisprudenziale qui condiviso - ben evidenziato dall'ordinanza di rimessione richiamando significative pronunce del Consiglio di Stato - è nella natura cautelare della sospensione di cui si discute il che comporta la temporaneità della misura e la sua strumentalità rispetto ai provvedimenti chiamati a dare un assetto definitivo al rapporto di servizio.

Può essere utile precisare ancora un altro argomento che sostiene in modo decisivo la tesi qui accolta: che essendo la sospensione cautelare dal servizio adottata in base ad una valutazione discrezionale dell'Amministrazione (con eccezione della ipotesi della emissione del mandato o ordine di cattura nei confronti del dipendente) non è corretto ritenere la non imputabilità della interruzione del rapporto sinallagmatico all'Amministrazione medesima posto che è la stessa Amministrazione che valuta i presupposti per l'adozione della misura e ne determina i contenuti. Quando poi nella sede propria degli accertamenti definitivi emerga che la sospensione non era giustificata,in tutto o in parte, non può essere addebitabile al dipendente la interruzione del rapporto di servizio ed il mancato adempimento della prestazione dovuta a tenore dell'art 1218 del codice civile.

La sentenza appellata ha affermato principi interpretativi sostanzialmente conformi a quelli enunciati dall'Adunanza Plenaria. L'amministrazione comunale non introduce alcun elemento nuovo, idoneo a mettere in discussione gli argomenti giuridici posti a base dell'indirizzo ermeneutico ormai consolidatosi.

Ne deriva il rigetto dell'appello.

Le spese possono essere compensate.

Per Questi Motivi

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, accoglie il ricorso per revocazione e, pronunciandosi sull'appello, lo respinge, compensando le spese;

ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 10 dicembre 2002, con l'intervento dei signori:

Corrado Allegretta - Presidente

Filoreto D'Agostino - Consigliere

Marco Lipari - Consigliere Estensore

Marzio Branca - Consigliere

Aniello Cerreto - Consigliere

L'ESTENSORE IL PRESIDENTE

F.to Marco Lipari F.to Corrado Allegretta

Depositata in segreteria in data 19 febbraio 2003.

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