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Giurisprudenza
n. 8-1999 - © copyright.

CONSIGLIO DI STATO, SEZ. VI - Sentenza 10 agosto 1999 n. 1028 - Pres. de Lise, Est. Balucani - Rossi c. Ministero della Marina mercantile (conferma T.A.R. Lazio, Sez. III, 16 novembre 1991 n. 1964).

Giustizia amministrativa - Ricorso gerarchico - Formazione del silenzio-rigetto - Impugnativa immediata - Può riguardare solo il provvedimento orginario - Impugnativa del silenzio rigetto - Inammissibilita.

Giustizia amministrativa - Ricorso gerarchico - Formazione del silenzio-rigetto - Alternative possibili - Impugnativa immediata o procedura del silenzio-rifiuto - Ammissibilità - Cumulabilità dei due rimedi - Inammissibilità.

Il ricorrente in via gerarchica (interessato a far valere anche censure di merito), una volta formatosi il silenzio-rigetto ai sensi dell'art. 6 D.P.R. n. 1199/1971, può proporre ricorso giurisdizionale solo contro il provvedimento originario e non anche direttamente contro il comportamento inerte della Amministrazione concretatosi in un silenzio-rigetto.

Invero, secondo l'insegnamento della Adunanza Plenaria (1), il ricorrente in via gerarchica può reagire in due forme diverse dinanzi al silenzio della Amministrazione: a) da un lato con il ricorso giurisdizionale avverso l'atto di base al fine di ottenere l'annullamento per motivi di legittimità; b) dall'altro, con la procedura del silenzio-rifiuto e la conseguente impugnativa giurisdizionale al fine di costringere l'Amministrazione a pronunciarsi sul ricorso amministrativo e pertanto anche sulle censure di merito ivi dedotte.

I due rimedi non sono cumulabili tra di loro e una volta che sia stata scelta la via del ricorso giurisdizionale, non viene più in questione la legittimità del silenzio, bensì direttamente quella del provvedimento inutilmente sottoposto al vaglio gerarchico.

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(1) Dec. n. 16/1989.

 

 

DIRITTO

Con la sentenza appellata il TAR Lazio, decidendo parzialmente il ricorso proposto dalla Sig.ra Rossi avverso la ordinanza di sgombero emessa dalla Capitaneria di Porto di Roma, lo ha dichiarato improponibile per la parte in cui era diretto a far dichiarare la illegittimità del silenzio-rigetto formatosi sul ricorso gerarchico avanzato dalla ricorrente; ha invece disposto incombenti istruttori relativamente alle censure dedotte nei confronti della anzidetta ordinanza.

La questione che viene dunque sottoposta all'esame della Sezione, attraverso la impugnativa della suindicata pronuncia di improponibilità (o inammissibilità), è se il ricorrente in via gerarchica (interessato a far valere anche censure di merito), una volta formatosi il silenzio-rigetto ai sensi dell'art. 6 D.P.R. n. 1199/1971, possa proporre ricorso giurisdizionale, oltre che contro il provvedimento originario, anche direttamente contro il comportamento inerte della Amministrazione concretatosi in un silenzio-rigetto.

Al quesito così posto deve essere data risposta negativa e deve essere pertanto confermata la pronuncia di primo grado.

Al riguardo conviene muovere dalla osservazione che - alla stregua del dettato normativo (art. 6 D.P.R. n. 1199) - consumatosi lo spatium deliberandi di novanta giorni per la decisione del ricorso gerarchico, questo "si intende respinto a tutti gli effetti" e l'interessato può esperire il ricorso giurisdizionale (o in alternativa il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica) "contro il provvedimento impugnato in via amministrativa".

E' noto come nella decisione n. 4/1978 la Adunanza Plenaria, sul presupposto che l'art. 6 cit. esprimesse la disciplina completa del fenomeno della mancata pronuncia sui ricorsi amministrativi, abbia ritenuto che il silenzio equivalga ad una "vera e propria decisione di rigetto", traendone una serie di conseguenze, tra le quali la inutilizzabilità del generale rimedio del silenzio-rifiuto per ovviare alla omessa pronuncia sul ricorso gerarchico, e conseguentemente la privazione di ogni tutela in sede giurisdizionale per le censure di merito dedotte in via amministrativa.

E altresì noto come la successiva decisione della Adunanza Plenaria n. 16/1989, configurando il silenzio-rigetto non più come provvedimento tacito (o fittizio) che conclude il procedimento contenzioso, bensì come "presupposto processuale per la proposizione del ricorso giurisdizionale o straordinario contro l'unico atto effettivamente emanato dalla Amministrazione", abbia tratto da ciò i seguenti corollari:

a) che l'autorità investita del ricorso gerarchico, una volta formatosi il silenzio-rigetto, non perde per ciò solo la potestà di decidere;

b) che l'interessato ha la scelta tra il ricorrere in sede giurisdizionale (o straordinaria) avverso il provvedimento di base, ai sensi dell'art. 6 D.P.R n. 1199, o successivamente contro la eventuale decisione gerarchica ove lesiva, in base alle norme generali; e può anche azionare i rimedi normali contro il silenzio-rifiuto qualora intenda contrastare la perdurante inerzia della Autorità decidente.

Posto dunque che, secondo l'insegnamento della Adunanza Plenaria, il ricorrente in via gerarchica può reagire in due forme diverse dinanzi al silenzio della Amministrazione (da un lato con il ricorso giurisdizionale avverso l'atto di base al fine di ottenere l'annullamento per motivi di legittimità; dall'altro, con la procedura del silenzio-rifiuto e la conseguente impugnativa giurisdizionale al fine di costringere l'Amministrazione a pronunciarsi sul ricorso amministrativo e pertanto anche sulle censure di merito ivi dedotte), va però ribadito che i due rimedi non sono cumulabili tra di loro.

Come ha chiarito la stessa Adunanza Plenaria (nella decisione n. 16/1989), il principio generale della prevalenza della funzione giurisdizionale su quella amministrativa (desumibile dall'art. 20, 2° comma, L. n. 1034/1971 che disciplina le impugnazioni in sede diversa di una pluralità di interessati), unitamente ai principi di non contraddizione e di economia dei mezzi giuridici "esclude che due procedimenti di tipo contenzioso aventi lo stesso oggetto, l'uno giurisdizionale e l'altro amministrativo, possano concorrere, e postula invece che il secondo, istituzionalmente subordinato, si arresti quando la controversia è stata portata al livello del primo".

Una soluzione siffatta, necessariamente caratterizzata dalla alternatività tra i due rimedi (onde evitare conflitti di decisioni), appare pienamente conforme alla esigenza di apprestare ogni possibile tutela alle censure di merito spiegate in sede amministrativa, anche se deve riconoscersi che tale tipo di tutela - contrariamente a quanto prospettato nell'allo di appello - non è garantita affatto a livello costituzionale.

Il delineate quadro di principi consente di valutare nei suoi esatti termini la fattispecie in esame.

Con riguardo alla quale, va osservato che l'odierna appellante ben avrebbe potuto intraprendere la procedura del silenzio-rifiuto per giungere alla decisione del ricorso gerarchico; avendo però optato di impugnare in sede giurisdizionale l'atto gia gravato in via amministrativa (ai sensi dell'art. 6 D.P.R. n. 1199), le era ormai precluso di agire per ottenere una pronuncia sul ricorso gerarchico.

Tantomeno poteva farlo impugnando contestualmente, con il ricorso giurisdizionale, sia il provvedimento di base (in vista del suo annullamento), che il silenzio dell'Amministrazione (al fine di ottenere la pronuncia anzidetta), giacché una iniziativa siffatta appare inconciliabile con il vigente ordinamento processuale.

Invero, se il tenore letterale dell'art. 6 D.P.R. n. 1199 non impedisce di utilizzare (in via alternativa) la procedura del silenzio-rifiuto nel senso già precisato, nondimeno, scelta la via del ricorso giurisdizionale, non viene più in questione la legittimità del silenzio, bensì direttamente quella del provvedimento inutilmente sottoposto al vaglio gerarchico: in definitiva, per quanto espressamente sancito nel citato art. 6, il ricorso giurisdizionale è solo proponibile "contro il provvedimento" impugnato in via amministrativa.

Ma la inammissibilità di una impugnativa giurisdizionale rivolta, come nel caso in questione, nei confronti del silenzio della Amministrazione (oltre che del provvedimento già gravato in via amministrativa), deriva anche da un altro autonomo ordine di considerazioni, e segnatamente dal rilievo, del tutto ovvio, che oggetto specifico della impugnativa giurisdizionale non può essere la semplice inerzia o il mero silenzio della Amministrazione, sebbene il silenzio-rifiuto ritualmente formatosi nei modi previsti dall'ordinamento, che si estrinsecano necessariamente in un formale atto di diffida e nell'inutile decorso del termine assegnato per l'adempimento.

Orbene l'assenza nella fattispecie in esame, degli elementi necessari a connotare la formazione del silenzio-rifiuto rende improponibile, anche per tale profilo, la impugnativa proposta dalla odierna appellante avverso il "silenzio" della Amministrazione.

Per quanto precede risultano prive di fondamento le censure di violazione di legge e di difetto di motivazione prospettate nell'atto di appello, che deve essere pertanto respinto; per l'effetto deve essere confermata la dichiarazione di inammissibilità contenuta nella sentenza parziale del TAR Lazio sopra richiamata.

Non occorre provvedere in ordine alle spese di rito stante la mancata costituzione in giudizio delle parti appellate.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, respinge il ricorso in appello indicato in epigrafe.

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