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n. 3-1999 - © copyright.

CONSIGLIO DI STATO, SEZIONE VI - Sentenza 3 marzo 1999 n. 243 - Pres. de ROBERTO, Est. MINICONE - Ministero del lavoro e della previdenza sociale (Avv.ra Stato) c. Gardoni e c.ti (Avv. Marco M. Prosperetti), e Confindustria (Avv.ti Flammia e Napolitano), ANASIN (Associazione Nazionale Aziende Servizi Informatica e Telematica) (n.c.) e Consiglio Provinciale di Roma dei Consulenti del Lavoro (Avv.ti W. Prosperetti e L. Grassi) - (conferma T.A.R. Lazio, Sez. I, 14 agosto 1997 n. 1913).

Processo amministrativo - Appello - Atto di intervento - Termine per il deposito - E' di 2 giorni dall'ultima notifica - Mancata osservanza - Inammissibilità.

Processo amministrativo - Atto impugnabile o no - Circolare - Con la quale si dettano disposizioni integrative dell'ordinamento - Impugnativa immediata ed autonoma - Ammissibilità - Atto applicativo - Non occorre.

Professioni - Consulenti del lavoro - Disciplina prevista dalla legge 11 gennaio 1979, n. 12 - Circolare del Ministero del Lavoro n. 82 del 12 luglio 1986 - Previsione della possibilità per i consulenti di avvalersi di centri di calcolo esterni - Illegittimità - Ragioni.

Posto che la L. 6 dicembre 1971 n. 1034 non disciplina autonomamente la materia dell'intervento in appello, deve ritenersi applicabile, in relazione al deposito di tale atto, l'art. 28 R.D. 17 agosto 1907 n. 642, che approva il regolamento di procedura davanti alle Sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato, ai sensi del quale detto deposito deve avvenire entro il termine di due giorni dalle ultime notificazioni (1). E' pertanto inammissibile un atto di intervento depositato oltre il predetto termine.

E' immediatamente ed autonomamente impugnabile una circolare (nella specie, circolare del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale circa la repressione dell'abusivismo nella professione di consulente del lavoro), la quale, lungi dal porsi come meramente interpretativa della legislazione vigente, detta disposizioni, dichiaratamente, praeter legem, le quali, indipendentemente dalla verifica se si pongano o no anche contra legem, sono preordinate, in quanto tali, ad integrare l'ordinamento vigente, dettando, in via di autoregolamentazione dell'Amministrazione nel suo complesso ed in via di eteroregolamentazione dell'attività specifica degli Ispettorati del lavoro, norme di comportamento generali, idonee a vulnerare immediatamente l'interesse di una categoria professionale.

E' illegittima la circolare del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale n. 82 del 12 luglio 1986, nella parte in cui detta istruzioni circa i Centri di elaborazione dati, dato che la riserva di attività a favore dei consulenti del lavoro operata dalla legge 11 gennaio 1979, n. 12 impedisce di richiedere all'esterno servizi e attività di calcolo. Invero, dal combinato disposto degli artt. 1, primo comma e 2, primo e terzo comma, della legge 11 gennaio 1979, n. 12, si evince chiaramente che il legislatore non ha offerto, in subiecta materia, alcuno spazio all'intervento di soggetti esterni ai datori di lavoro e ai consulenti del lavoro (2).

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(1) Cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 28 luglio 1988 n. 664.

(2) Ha aggiunto il Consiglio di Stato che "può, anche, convenirsi sulla circostanza, sottolineata dal Ministero nella circolare de qua, che la normativa regolante la materia abbia avuto riguardo ad una organizzazione superata sia dall'evolversi dell'assetto imprenditoriale sia dalla introduzione di sempre nuove potenzialità tecnologiche, ma una tale considerazione non era sufficiente a legittimare l'Amministrazione a derogare alla normativa stessa, spettando il compito di adeguamento della legislazione vigente esclusivamente al legislatore, al quale il Ministero stesso non poteva, dunque, sostituirsi in via amministrativa, per dettare una disciplina in contrasto con quanto stabilito in via primaria". Sulla questione v. A.C. SCACCO, Ced fuorilegge sul personale, in Italia Oggi 18 marzo 1999, p. 40.

 

 

 

DIRITTO: 1. Con la circolare n. 82 del 12 luglio 1986, impugnata in primo grado, il Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale, in dichiarato chiarimento ed integrazione di precedenti istruzioni circa la repressione dell'abusivismo nella professione di consulente del lavoro, impartite con circolare n. 65 del 27 maggio 1986, ha invitato gli Ispettorati regionali e provinciali del lavoro, ai fini dell'individuazione delle "piccole imprese" (che possono, ai sensi dell'art. 1, quarto comma, della legge 11 gennaio 1979, n. 12, affidare gli adempimenti in materia di lavoro, previdenza ed assistenza sociale, anziché ai consulenti del lavoro, ai servizi istituiti dalle rispettive associazioni di categoria), a superare il criterio di identificazione imposto da una "pedissequa applicazione" dell'art. 2083 cod. civ. e dell'art. R.D. 267/1942 ed a tenere conto, secondo il "prudente apprezzamento" degli Ispettori, del "contesto socio - economico locale".

Con la medesima circolare, poi, è stato affermato che non versano in condizione di illegittimità quei Centri di elaborazione dati che, da un lato, operino per i consulenti del lavoro e per gli altri soggetti di cui all'art. 1 legge 12/79, che ne utilizzino l'attività"; dall'altro "limitino la loro attività ad operazioni di calcolo e stampa, sulla base di dati e indicazioni forniti dalle aziende - clienti che i centri stessi provvedono poi a codificare ed elaborare secondo le ricevute dalle aziende".

Il primo giudice, con la decisione appellata, ha annullato l'anzidetta circolare, ritenendo fondate le censure di violazione di legge ed eccesso di potere mosse dal Consiglio Nazionale dei Consulenti del Lavoro e dal Consiglio provinciale dei Consulenti del lavoro di Bologna, nonché da taluni consulenti agenti in proprio.

2. Prima di esaminare l'atto di appello, con il quale il Ministero del Lavoro e della previdenza sociale deduce l'erroneità della sentenza anzidetta, deve essere, in limine, dichiarata l'inammissibilità dell'intervento ad opponendum proposto dal Consiglio provinciale dei consulenti del lavoro di Roma, per tardività del deposito.

Ed invero, posto che la L. 6 dicembre 1971 n. 1034 non disciplina autonomamente la materia dell'intervento in appello, deve ritenersi applicabile, in relazione al deposito di tale atto, l'art. 28 R.D. 17 agosto 1907 n. 642, che approva il regolamento di procedura davanti alle Sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato, ai sensi del quale detto deposito deve avvenire entro il termine di due giorni dalle ultime notificazioni (cfr. Cons. Stato, IV Sez., 28 luglio 1988, n. 664).

Nel caso di specie, l'intervento in questione è stato notificato il 16 gennaio 1998, mentre è stato depositato presso la Segreteria della Sezione il 22 gennaio 1998, oltre, quindi, il predetto termine.

3. Deduce, innanzi tutto, l'Amministrazione appellante, parzialmente modificando l'impostazione della eccezione già sollevata in primo grado, l'inammissibilità del ricorso originario per carenza di interesse, in quanto la circolare impugnata avrebbe mere funzioni di indicazione di criteri di comportamento agli Ispettori del lavoro in relazione ad una attività "del tutto priva di discrezionalità amministrativa", destinata a concludersi "con un rapporto all'autorità giudiziaria, della cui redazione o della cui omissione risponde esclusivamente l'ispettore del lavoro, onde non sarebbe "dato comprendere come rispetto a siffatta attività possa esistere ed essere fatto valere un interesse legittimo di un singolo soggetto ovvero di una associazione di categoria".

Sotto altro profilo, la pronuncia del Tribunale Amministrativo Regionale, attraverso l'abrogazione della circolare, "imponendo coattivamente all'amministrazione - in un settore connotato esclusivamente da funzioni ispettive - un'opinione, circa il modo di esercizio delle proprie attività, che la stessa amministrazione aveva esplicitamente abbandonato'' si sarebbe surrogata all'amministrazione del Lavoro "in una attività che la legge demanda invece agli Ispettorati ed al controllo (repressivo) dell'AGO".

3.1. L'assunto è infondato sotto entrambi i profili.

3.2. Per quanto riguarda il primo di essi, va osservato che la circolare in parola, lungi dal porsi come meramente interpretativa della legislazione vigente, detta disposizioni, dichiaratamente, praeter legem, le quali, indipendentemente dalla verifica se si pongano o no anche contra legem (che costituisce l'oggetto dell'esame di merito dell'appello), sono preordinate, in quanto tali, ad integrare l'ordinamento vigente, dettando, in via di autoregolamentazione dell'Amministrazione nel suo complesso ed in via di eteroregolamentazione dell'attività specifica degli Ispettorati del lavoro, norme di comportamento generali, idonee a vulnerare immediatamente l'interesse della categoria professionale dei consulenti del lavoro a veder rispettate le competenze ad essa riservate, in via esclusiva, dalla normativa primaria.

Tale lesione si consuma, invero, nel momento stesso in cui si impartiscono direttive agli organi ispettivi perché si discostino dalla "pedissequa applicazione delle norme di legge" ed adottino un criterio di valutazione soggettiva, fondato, senza ulteriori indicazioni, sul loro "prudente apprezzamento", a prescindere, poi, dalla circostanza che, nella effettuazione dei singoli controlli, si giunga o meno a conclusioni conformi alla normativa vigente.

In altri termini, ciò che viene dedotto innanzi al giudice amministrativo e l'illegittimità dei criteri dettati dall'Amministrazione nell'ambito del potere di indirizzo, di cui essa è titolare ai funi della migliore organizzazione dell'attività ispettiva, criteri che, in quanto volti ad introdurre, in una attività amministrativa vincolata al rispetto di norme di legge, margini di discrezionalità, sono idonei a determinare ex se un vulnus immediato nell'interesse dei destinatari delle norme stesse, impugnabile in questa sede, senza che si renda necessario attendere l'esito dei singoli controlli ispettivi, che risulterebbero viziati in radice dall'erronea impostazione ad essi data dall'Autorità preposta.

3.3. Insussistente, parimenti, si rivela la lamentata usurpazione di funzioni amministrative da parte del giudice di prime cure.

Questi, infatti, si è limitato a rilevare il contrasto delle disposizioni impartite con le norme di legge, senza impingere in alcun potere discrezionale dell'Amministrazione.

La circostanza, poi, messa in luce dall'appellante, che l'annullamento della circolare impugnata abbia ricondotto alla applicazione integrale della precedente è conseguenza non di uno sconfinamento del Tribunale Amministrativo Regionale dalle proprie attribuzioni, ma del dato obiettivo che le direttive impartite con quest'ultima (del resto né abrogata né modificata dal Ministero) si presentavano come le uniche restate a disciplinare la materia in conformità alla legge, fermo restando, evidentemente, il potere dell'Amministrazione di dettare tutte le ulteriori norme di indirizzo ritenute necessarie, nel rispetto, però, della normativa primaria di riferimento.

4. Nel merito, l'appello in questione non muove alcuna critica specifica al capo della sentenza impugnata che ha affermato l'illegittimità della circolare de qua, nella parte in cui ha invitato gli Ispettorati del lavoro ad identificare le "piccole imprese" e le "imprese artigiane" secondo criteri diversi dalla rigida osservanza dei parametri legislativi che tali imprese definiscono, onde, per questo aspetto, il Collegio non è chiamato ad alcun ulteriore sindacato rispetto a quello già esercitato, in via preliminare, in sede di esame delle doglianze rivolte a contestare l'ammissibilità del ricorso ed il rispetto dei confini delle attribuzioni dell'organo giudicante e dell'autorità amministrativa.

E' ben vero che tale profilo è stato affrontato dalla CONFINDUSTRIA, interveniente ad opponendum nel giudizio di primo grado, ma, in disparte ogni altra considerazione, essendo la relativa doglianza contenuta in una semplice memoria, neppure notificata alla controparte, essa si rivela inidonea ad ampliare il thema decidendum così come definito dall'appellante.

5. Quest'ultimo circoscrive, invece, le proprie censure al capo di sentenza che ha dichiarato l'illegittimità della circolare nella parte in cui detta istruzioni circa i Centri di elaborazione dati, sostenendo, in contrapposizione al primo giudice, che la riserva di attività a favore dei consulenti del lavoro operata dalla legge atterrebbe essenzialmente all'attività di intermediazione e mandato, mentre non potrebbe limitare il diritto dell'imprenditore di organizzare la propria attività richiedendo all'esterno servizi e attività di calcolo, dei quali, in quanto consistenti in meri adempimenti materiali, egli continuerebbe a rispondere integralmente.

5.1. La tesi, avuto riguardo alla legislazione vigente all'epoca di adozione dell'atto contestato, non può esser condivisa.

5.2. L'art. 1, primo comma, della legge 11 gennaio 1979, n. 12, riserva espressamente agli iscritti all'albo dei consulenti del lavoro a norma dell'arto della stessa legge nonché agli altri professionisti ivi indicati "tutti gli adempimenti in materia di lavoro, previdenza ed assistenza sociale dei lavoratori dipendenti, quando non sono curati dal datore di lavoro direttamente od a mezzo dei propri dipendenti".

A sua volta, l'art. 2, primo comma della stessa legge riafferma che "i consulenti del lavoro, con le eccezioni di cui al quarto comma dell'art. 1 (imprese artigiane e piccole imprese) svolgono per conto di qualsiasi datore di lavoro tutti gli adempimenti previsti da norme vigenti per l'amministrazione del personale dipendente". Infine, il terzo comma del medesimo art. 2 prescrive che "ferma restando la responsabilità personale del consulente, questi può avvalersi esclusivamente dell'opera di propri dipendenti per l'effettuazione dei compiti esecutivi inerenti all'attività professionale".

5.3. E dunque, dal combinato disposto delle norme sopra riportate si evince chiaramente che il legislatore non ha offerto, in subiecta materia, alcuno spazio all'intervento di soggetti esterni ai datori di lavoro e ai consulenti del lavoro. Da un lato, infatti, i primi, ove intendano gestire direttamente gli adempimenti di cui trattasi non possono che ricorrere, sussidiariamente, a propri dipendenti; dall'altro, gli stessi consulenti del lavoro sono autorizzati, ove si tratti di compiti esecutivi, ad avvalersi anch'essi soltanto di propri dipendenti. Ed e proprio quest'ultima previsione a convincere dell'insostenibilità della tesi dell'Amministrazione, volta a ritenere legittimo l'affidamento delle operazioni di calcolo e stampa ai CED, posto che, anche a voler dare per ammesso (il che non è, dal momento che qualsiasi elaborazione di dati richiede la predisposizione, da parte degli stessi CED, di appositi programmi, che garantiscano i risultati voluti) che si tratti di compiti meramente esecutivi di istruzioni ricevute dal soggetto legittimato, resta insuperabile l'ostacolo derivante dal dettato normativo, che, anche per tali compiti, ancorché assunti nella diretta responsabilità di un professionista abilitato, consente esclusivamente l'intervento di soggetti alle dipendenze di quest'ultimo, nella evidente finalità di garantire che tutta la sequenza degli adempimenti nella delicata materia del lavoro e della previdenza e assistenza sociale si svolgano e si esauriscano nell'ambito dell'organizzazione che fa capo al soggetto responsabile.

6. Può, anche, convenirsi sulla circostanza, sottolineata dal Ministero nella circolare de qua, che la normativa regolante la materia abbia avuto riguardo ad una organizzazione superata sia dall'evolversi dell'assetto imprenditoriale sia dalla introduzione di sempre nuove potenzialità tecnologiche, ma una tale considerazione non era sufficiente a legittimare l'Amministrazione a derogare alla normativa stessa, spettando il compito di adeguamento della legislazione vigente esclusivamente al legislatore, al quale il Ministero stesso non poteva, dunque, sostituirsi in via amministrativa, per dettare una disciplina in contrasto con quanto stabilito in via primaria.

7. Per tutte le considerazioni svolte, l'appello deve essere respinto e, per l'effetto, va confermata la sentenza di primo grado di annullamento della circolare n. 82/1986.

Sussistono giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese del grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando, come specificato in motivazione:

- dichiara inammissibile l'intervento del Consiglio provinciale dei consulenti del lavoro di Roma;

- respinge l'appello in epigrafe.

Spese compensate.

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