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n. 12-1999 - © copyright.

CONSIGLIO DI STATO, SEZ. VI - Sentenza 16 dicembre 1999 n. 2081 - Pres. Giovannini, Est. Piscitello - Ministero per i Beni Culturali ed Ambientali (Avv. Stato Bachetti) c. Nardin (n.c.), Valentini (Avv. I. Cacciavillani) e Comune di Venezia (n.c.) - (conferma TAR Veneto, Sez. I, 23 settembre 1992 n. 329).

Ambiente - Bellezze naturali - Aree vincolate - Autorizzazione regionale - Annullamento ministeriale - Non ha carattere ricettizio - Annullamento adottato nel termine di 60 giorni - Legittimità.

Ambiente - Bellezze naturali - Aree vincolate - Autorizzazione regionale - Annullamento ministeriale - Motivazione specifica - Necessità - Indicazione di un vizio di legittimità - Insufficienza.

Il decreto di annullamento dell'autorizzazione alla realizzazione di opere edilizie in zone protette, ai sensi dell'art. 7 della legge 29 giugno 1939 n. 1497, non ha carattere recettizio, con la conseguenza che l'atto in questione deve essere adottato, e non anche comunicato, entro il termine di sessanta giorni previsto dall'art. 82 del D.P.R. 24 luglio 1977 n. 616 (1).

Mentre l'atto di autorizzazione alla realizzazione di opere edilizie in zone protette, ai sensi dell'art. 7 della legge 29 giugno 1939 n. 1497, deve esternare, sia pure succintamente, le valutazioni compiute in merito alla compatibilità delle opere assentite con l'esigenza di tutela dell'interesse pubblico poste alla base del vincolo gravante sull'immobile, l'atto di annullamento dell'autorizzazione, pur potendo ritenersi sempre portatore di un suo specifico interesse pubblico connesso alla tutela del bene paesaggistico (diverso da quello generico e astratto al semplice ripristino della legalità), non può prescindere dalla precisa individuazione delle specifiche carenze sostanziali o procedimentali riscontrate nel riesame dell'atto autorizzatorio (e della documentazione ad esso afferente), non essendo sufficiente la mera enunciazione della sussistenza di un vizio di legittimità, ove non sia chiarito sotto quale specifico aspetto l'intervento autorizzatorio risulti ingiustificato in quanto contrastante concretamente con l'interesse pubblico protetto dal vincolo.

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(1) Cfr. 16 aprile 1998 n. 496, 9 aprile 1998 n. 460; 4 marzo 1998 n. 233 e 3 marzo 1994 n. 241, etc.; cfr. anche V Sezione 4 dicembre 1998 n. 1734.

 

 

FATTO

Con ricorso in appello notificato in data 24.5.1993 il Ministero per i Beni Culturali ed Ambientali impugna la sentenza indicata in epigrafe con la quale - in parziale accoglimento del ricorso n. 2363/90 proposto dal Nardin Guido e Valentini Loredana - il TAR del Veneto ha annullato il decreto del predetto Ministero datato 22 maggio 1990, di annullamento dell'autorizzazione n. 312 del 7.3.1990, rilasciata ai ricorrenti dall'Amministrazione provinciale di Venezia, ex art. 7 della legge 1497 del 1939, per la demolizione e ricostruzione, su un'area di loro proprietà soggetta a vincolo ex art. 1 L. n. 431/1985, d'una casa di abitazione e di un albergo.

Premesso che la sentenza appellata ha annullato il provvedimento ministeriale per l'accoglimento della censura - ritenuta assorbente - concernente la tardività dell'atto (sul presupposto che l'atto stesso avesse satura ricettizia), l'Amministrazione appellante contesta - in primo luogo - le varie argomentazioni poste a sostegno di tale concezione dell'atto di annullamento ministeriale (richiamando, al riguardo, la prevalente giurisprudenza del TAR e del Consiglio di Stato) e si sofferma, quindi, ad esaminare il secondo motivo ritenuto fondato dal giudice di primo grado (difetto di motivazione) affermando in particolare che:

1) l'atto impugnato era motivato con riferimento alle note della Sovrintendenza (che aveva evidenziato il contrasto netto con i caratteri morfologici tipici del paesaggio locale oggetto di specifica tutela del vincolo, trattandosi di un edificio di circa 13 metri fuori terra);

2) il provvedimento annullato era assolutamente carente di motivazione (non essendosi l'Amministrazione provinciale data carico di valutare la compatibilità tra i peculiari valori tutelati dal vincolo e l'impatto ambientale prodotto dalla nuova costruzione, per dimensioni e materiali);

3) l'autorizzazione annullata avrebbe comportato una sicura ed illegittima modifica del provvedimento di vincolo.

Si è costituita in giudizio, per resistere all'appello, la Sig.ra Valentini Loredana (in proprio e quale legale rappresentante della Valenardo s.a.s) - che ha proposto anche ricorso incidentale - sostenendo la fondatezza di tutte le censure dedotte con il ricorso introduttivo (anche di quelle assorbite dal TAR) ed insistendo, in particolare (con ulteriore memoria depositata il 12.3.1989) sulla fondatezza del vizio relativo alla carente motivazione dell'atto impugnato.

Con memoria in data 11.2.99 l'Amministrazione appellante ha insistito per l'accoglimento del gravame.

DIRITTO

Il primo motivo dell'appello - con il quale il Ministero per i Beni Culturali ed Ambientali sostiene il carattere non recettizio del decreto di annullamento dell'autorizzazione alla realizzazione di opere edilizie in zone protette, ai sensi dell'art. 7 della legge 29 giugno 1939 n. 1497, con la conseguenza che l'atto in questione deve essere adottato, e non anche comunicato, entro il termine di sessanta giorni previsto dall'art. 82 del D.P.R. 24 luglio 1977 n. 616, - deve ritenersi fondato, in base alla giurisprudenza ormai consolidata di questa Sezione (cfr. 16 aprile 1998 n. 496, 9 aprile 1998 n. 460; 4 marzo 1998 n. 233 e 3 marzo 1994 n. 241, etc.; cfr. anche V Sezione 4 dicembre 1998 n. 1734), dalla quale non si ravvisano ragioni per discostarsi.

La sentenza appellata, tuttavia, deve essere confermata, essendo basata anche sulla riconosciuta fondatezza (che resiste alle contrarie argomentazioni dell'Amministrazione appellante, ed è ribadita, peraltro dalle rinnovate censure della controparte, appellante incidentale) della doglianza concernente il difetto di motivazione dell'atto impugnato.

Va premesso che, nel caso di specie, l'atto ministeriale di annullamento afferma - a sua volta - che il provvedimento di autorizzazione annullato sarebbe viziato "da eccesso di potere sotto il profilo sintomatico della carenza di motivazione e da violazione del giusto procedimento e da violazione di legge. (art. 82 III comma D.P.R 616/1977)".

Il Collegio non può non rilevare che solo attraverso il raffronto delle argomentazioni giustificative dell'atto di autorizzazione (espressione di un potere che presuppone valutazioni sia tecniche sia discrezionali in senso proprio), con quelle dell'atto di controllo repressivo (volto al ripristino della legalità, nell'esercizio del potere statale di difesa estrema del vincolo, collegato all'interesse - affidato in via primaria alla competenza regionale - alla valorizzazione del bene paesaggistico), raffronto da effettuare, di volta in volta, in base agli specifici elementi emergenti dall'esame della documentazione attinente ai rispettivi provvedimenti - può emettersi un giudizio di sufficienza del soddisfacimento dell'obbligo della motivazione, sia da parte dell'atto di autorizzazione che dell'atto di annullamento.

Tale giudizio dovrà tener conto, evidentemente, dalla peculiarità e della diversità della funzione dei due provvedimenti; conseguentemente, mentre l'atto di autorizzazione dovrà esternare, sia pure succintamente, le valutazioni compiute in merito alla compatibilità delle opere assentite con l'esigenza di tutela dell'interesse pubblico poste alla base del vincolo gravante sull'immobile, l'atto di annullamento dell'autorizzazione, pur potendo ritenersi sempre portatore di un suo specifico interesse pubblico connesso alla tutela del bene paesaggistico (diverso da quello generico e astratto al semplice ripristino della legalità), non può prescindere dalla precisa individuazione delle specifiche carenze sostanziali o procedimentali riscontrate nel riesame dell'atto autorizzatorio (e della documentazione ad esso afferente), non essendo sufficiente la mera enunciazione della sussistenza di un vizio di legittimità, ove non sia chiarito sotto quale specifico aspetto l'intervento autorizzatorio risulti ingiustificato in quanto contrastante concretamente con l'interesse pubblico protetto dal vincolo.

Nel caso di specie la sentenza appellata ha ben evidenziato come la motivazione dell'atto impugnato (secondo cui "l'intervento proposto risulta in netto contrasto con i caratteri morfologici tipici del paesaggio locale in presenza di altri valori ambientali peculiari delle aree litorali costiere") si risolve di per sé - nella sua estrema genericità, nel puro e semplice diniego della possibilità dell'intervento (di demolizione e riedificazione), per il solo fatto che l'area è vincolata, senza l'avvenuto accertamento - che è invece, necessario presupposto dell'annullamento in questione - di un esplicito, e chiaramente delineato, contrasto tra l'intervento stesso e l'interesse protetto dal vincolo.

L'effettiva esistenza di tale asserito contrasto presuppone, infatti una adeguata istruttoria, a seguito della quale possano indicarsi espressamente, anche se sinteticamente, con specifico riferimento agli elementi del progetto, le ragioni per le quali il progetto stesso è giudicato incompatibile con la tutela del vincolo.

Mentre l'autorizzazione provinciale in questione è stata rilasciata sulla base del parere della Commissione consultiva provinciale per i Beni ambientali di cui alla legge reg. n. 11/1984 art. 2 - fatto proprio così come formulato nelle premesse e nelle conclusioni dal Presidente dell'Amministrazione provinciale, l'impugnato decreto di annullamento della suddetta autorizzazione, senza contestare il contenuto sostanziale dell'atto di autorizzazione, costituito dal citato parere, appare palesemente privo di adeguata motivazione.

L'insufficienza nel caso di specie degli elementi in base ai quali la Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici di Venezia aveva chiesto al Ministero (con nota n. 3611 del 6.4.1990) l'annullamento dell'approvazione rilasciata (per delega della Regione, ai sensi della L. reg. 6 marzo 1984 n. 11) dalla Provincia di Venezia, era stata avvertita, peraltro, dal Ministero per i Beni Culturali ed Ambientali, che, - con nota n. 988 II G.I del 9.4.1990,- pregava la Soprintendenza di "voler integrare la proposta di annullamento" con la "indicazione specifica e dettagliata" - fra l'altro - "degli elementi (volumetria, dimensioni, etc.) che incidono negativamente sullo specifico interesse tutelato dal vincolo".

La nota "integrativa" della Soprintendenza del 14.4.1990, non contiene - a parte la precisazione che "i manufatti sono costituiti da telai in c.a con solai in laterocemento e si sviluppano per circa 1300 metri fuori terra occupando un lotto di circa 5.000 mq." - alcun'altra indicazione, utile ai fini della comprensione dell'asserito contrasto dell'intervento con il contesto ambientale tutelato, non essendo sufficiente la generica considerazione che l'intervento stesso "sarebbe suscettibile di comportare l'alterazione di tratti paesaggistici della località protetta".

Non è ravvisabile, pertanto, in base all'atto di annullamento impugnato (ed a quelli cui lo stesso fa riferimento) l'iter logico seguito per l'affermazione della illegittimità dell'autorizzazione non risultando in alcun modo chiarito (attraverso la necessaria dimostrazione della effettiva incompatibilità dell'intervento autorizzato con gli specifici valori paesistici dei luoghi) neppure l'ulteriore effetto paventato di una sostanziale modifica di fatto del vincolo paesaggistico (effetto che si risolve, conseguentemente, in una ulteriore indimostrata e aprioristica negazione del potere di rilascio del nulla osta esercitato, per delega della Regione, dalla Provincia di Venezia).

L'autorizzazione regionale non può costituire, invero, atto modificativo del vincolo, ma ne costituisce, normalmente, atto applicativo, di gestione dello stesso; essa non può derogare, ovviamente, all'accertamento contenuto nel provvedimento impositivo del vincolo, né essere elusivo dello stesso; ove si ravvisi tuttavia, una ipotesi di illegittimità dell'autorizzazione riconducibile alle varie figure di eccesso di potere l'autorità ministeriale non può disporre l'annullamento utilizzando mere formule di stile e trascurando l'effettuazione di una appropriata istruttoria, senza incorrere - a sua volta - nel più evidente vizio di difetto di motivazione dell'atto di annullamento.

Per le considerazioni che precedono, pur a seguito dell'espungimento dalla motivazione della sentenza appellata delle argomentazioni concernenti la censura di intempestività dell'annullamento (che deve essere rigettata), la sentenza stessa deve essere confermata.

Si ravvisano giusti motivi per compensare tra le parti le spese del giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, rigetta il ricorso in appello proposto dal Ministero per i Beni Culturali ed Ambientali come in epigrafe e, per l'effetto, conferma la sentenza appellata.

Spese compensate.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

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