CONSIGLIO DI STATO, SEZ. VI - Sentenza 14 gennaio 2000 n. 244 - Pres. Ruoppolo, Est. Millemaggi Cogliani - Veronico (Avv. Notarnicola) c. Scuola Normale Superiore di Pisa (Avv.ra Stato) ed altro (n.c.) - (annulla TAR Toscana, Sez. I, 29 settembre 1999 n. 249).
Anche nell'ipotesi in cui sia stato disposto in sede giurisdizionale l'annullamento dell'atto con il quale una impresa era stata ammessa ad una gara per il conferimento di un appalto pubblico ed era stata dichiarata aggiudicataria, l'Amministrazione conserva i potere di riesaminare gli atti del procedimento e di revocare il bando di gara, nell'esercizio del generale potere di autotutela che alla stessa compete (1).
Deve pertanto ritenersi consentito che la P.A. appaltante - nel prendere atto di una sentenza con la quale viene annullata l'aggiudicazione di una gara perché l'aggiudicatario era stato illegittimamente ammesso in gara - possa revocare il bando di gara e possa indire una nuova gara, utilizzando il generale potere di autotutela che alla stessa compete.
Tale potere di autotutela, tuttavia, soggiace alle regole del procedimento amministrativo, come delineate dalla legge n. 241 del 1990 ed in particolare alla disciplina dell'art. 7 di quest'ultima legge, la quale prescrive che notizia dell'inizio del procedimento sia data ai soggetti "individuati o facilmente individuabili, diversi dai suoi diretti destinatari" ai quali possa derivare pregiudizio dal provvedimento finale. Una tale posizione deve in particolare rinvenirsi nel soggetto che avendo partecipato ad un pubblico incanto ed essendo stato collocato al secondo posto nella graduatoria, abbia ottenuto, nella sede giurisdizionale l'annullamento dell'aggiudicazione effettuata in favore del primo classificato, nel caso in cui la P.A., a seguito della sentenza, abbia revocato la procedura ed abbia indetto una nuova gara.
E' necessario, inoltre, che il ricorso all'autotutela sia sorretto da specifiche ragioni di opportunità, in funzione del migliore perseguimento dell'interesse pubblico e che sia resa esplicita e puntuale contezza del potere esercitato (in applicazione del principio è stato ritenuto che il potere di revoca del bando nella specie non poteva ritenersi legittimamente esercitato, dato che, principalmente attraverso il confronto con il nuovo bando - che riproduceva, pressoché fedelmente, quello precedente - risultava la volontà dell'amministrazione di eludere e vanificare gli effetti della pronuncia giurisdizionale, non potendosi considerare il tempo trascorso fra l'aggiudicazione e la pronuncia giurisdizionale - avvalsasi della procedura acceleratoria contemplata dall'art. 19 della L. n. 355 del 1997 - come elemento sufficiente a sorreggere le ragioni di opportunità addotte, per di più in assenza di una verifica delle asserzioni meramente ipotetiche in ordine alla presunta lievitazione dei costi, ed in presenza di un nuovo bando che lasciava invariate per tali profili le clausole concorsuali. Anche il profilo della motivazione con il quale si affermava di voler tutelare l'esigenza della più ampia concorrenza, ad opinione del CdS, si rilevava falsato, alla luce del numero di imprese a suo tempo ammesse in gara).
La potenzialità lesiva del provvedimento illegittimo sul patrimonio del soggetto titolare di posizioni di interesse legittimo, può dare luogo al risarcimento del danno in materia di appalti di opere pubbliche, anche sotto forma di risarcimento in forma specifica ex art. 35 del D.Lgs. n. 80 del 1998, pur in assenza di violazione di normativa comunitaria - come sembra potersi evincere dalla abrogazione delle norme che demandano al giudice ordinario il risarcimento del danno nella ipotesi di annullamento giurisdizionale di provvedimenti illegittimi in materia di pubblici appalti, senza operare distinzioni di sorta.
L'annullamento di un atto amministrativo illegittimo non può comportare, di per sé solo, l'accoglibilità della domanda generica a conseguire il risarcimento, nel caso in cui non sia stata fornita una a puntuale dimostrazione dell'esistenza del danno patrimoniale e del nesso eziologico con i provvedimenti illegittimi annullati (2).
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(1) V. per tutte, Sez. VI, 30 aprile 1994 n. 652 e Sez. V, 24 gennaio 1996, n.1263.
(2) Cass. civ. n. 5995 del 3 luglio 1997.
FATTO
1.1. La Scuola Normale Superiore di Pisa, con deliberazione n. 35 del 6 dicembre 1996 del Consiglio direttivo stabilì di dare corso ad una procedura ad evidenza pubblica per l'affidamento dei lavori di ristrutturazione interna, restauro e risanamento di un complesso immobiliare da adibire ad uso polifunzionale.
Venne quindi approvato, con decreto del Direttore amministrativo n. 783 del 13 ottobre 1997, il bando di indizione di un pubblico incanto, con il criterio di aggiudicazione al massimo ribasso (fissazione del prezzo base d'asta in lire 4.590.197.000, nel cui ambito erano individuati gli importi relativi alle singole categorie dei lavori prevalenti e scorporabili).
Espletata la procedura, l'appalto venne aggiudicato all'impresa Opera S.p.A.
Sennonché, su ricorso del secondo classificato (l'attuale appellante, titolare della omonima impresa individuale), volto a denunciare la carenza, nell'aggiudicatario, dei requisiti richiesti dalle disposizioni di gara (omessa documentazione del possesso dell'iscrizione A.N.C. anche in relazione alle opere scorporabili e mancanza di idonea documentazione ai fini della valutazione dell'idoneità tecnica, economica e finanziaria), il Tribunale Amministrativo Regionale della Toscana annullò gli atti di gara nella parte in cui era stata disposta l'ammissione della ditta Opera alla procedura e l'aggiudicazione dell'appalto in favore della medesima (sent. n. 184 del 1998 preceduta da ordinanza di sospensione n. 182/98 resa nella camera di consiglio del 10 marzo 1998 e pubblicazione del dispositivo a norma dell'art. 19 della legge n. 135 del 1997 in data 5 maggio 1998).
Successivamente, con deliberazione del Consiglio direttivo n. 23 del 17 novembre 1998, la Scuola Normale Superiore di Pisa ha stabilito di "revocare per motivi di opportunità sopravvenuta il bando di gara per l'aggiudicazione dei lavori di ristrutturazione dell'edificio denominato ex tipografia Lischi" nonché di indire una nuova procedura. In conformità venne pubblicato il nuovo bando di gara, approvato con decreto n. 835 del 17 novembre 1998 del Direttore amministrativo.
1.2. L'attuale appellante - il quale riteneva di avere titolo all'aggiudicazione in qualità di secondo classificato nella procedura in precedenza espletata - avuta conoscenza delle nuove determinazioni soltanto in seguito all'esercizio dell'accesso alla documentazione della primitiva gara, ha impugnato, davanti al Tribunale Amministrativo Regionale della Toscana, gli atti da ultimo menzionati chiedendone l'annullamento unitamente ad ogni altro atto lesivo connesso, ancorché non conosciuto, e proponendo anche, conclusivamente, domanda di condanna dell'Amministrazione intimata al risarcimento del danno conseguente agli illegittimi provvedimenti a norma dell'art. 35 del decreto legislativo n. 80 del 1998, con riserva di quantificazione nel corso del procedimento.
A sostegno dell'impugnazione deduceva violazione degli artt. 7, 8 e 10 della legge 7 agosto 1990 n. 241 ed eccesso di potere per carente istruttoria e difetto di motivazione (1° motivo); incompetenza, violazione dell'art. 50 del decreto direttoriale 14 ottobre 1996 e del principio del contrarius actus (2° motivo); violazione dell'art. 3 della legge n. 241 del 1990, dei principi generali in tema di autotutela; del principio desumibile dall'art. 1375 cod.civ.; eccesso di potere per erronea presupposizione, carente istruttoria difetto di motivazione, contraddittorietà, illogicità, sviamento, elusione di decisione giurisdizionale (3° motivo); illegittimità derivata della statuizione relativa alla indizione della nuova gara e del pedissequo decreto di approvazione del nuovo bando (4° motivo).
1.3. Il Tribunale adito, fatta applicazione dell'art. 19 del D.L. 25 marzo 1997, n. 67 convertito, con modificazioni, dalla L. 23 maggio 1997, n. 135 ha dapprima sospeso l'esecuzione dei provvedimenti impugnati e ha, quindi, deciso nel merito, respingendo la domanda principale di annullamento e, tuttavia, condannando l'Amministrazione "al pagamento, in favore del ricorrente dell'importo di cui all'art. 345 della legge 20 marzo 1865 n. 2248, all. F ed al pagamento delle spese del giudizio contestualmente liquidate.
2.1. Il Veronico, avvalendosi della facoltà prevista dal comma 6 del citato art. 19, ha proposto immediato appello contro la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Toscana, a seguito della pubblicazione del dispositivo, facendo riserva di motivi aggiunti.
La statuizione con la quale è stata accolta ("in via alternativa" rispetto alla domanda di annullamento) la domanda risarcitoria sarebbe di per sé viziata da intrinseca irrazionalità, in quanto l'annullamento degli atti impugnati - costituente il presupposto stesso della condanna al risarcimento del danno - sarebbe stato di per sé idoneo ad assicurare il pieno soddisfacimento dell'interesse azionato in giudizio, derivandone l'obbligo, per l'Amministrazione, di portare a compimento la procedura concorsuale illegittimamente annullata.
In ogni caso la domanda di annullamento sarebbe sicuramente fondata alla stregua dei motivi originari di impugnazione puntualmente riproposti in questa sede.
2.2. Con successivi motivi aggiunti, l'appellante, considerata la motivazione della sentenza appellata, ne deduce la radicale erroneità:
non sarebbero applicabili, alla fattispecie, l'art. 30 D.Lgs. n.406 del 1991 ed i principi cui fa riferimento il giudice di primo grado, in quanto l'annullamento giurisdizionale cui l'Amministrazione ha inteso adeguarsi sarebbe intervenuto su una fase endoprocedimentale (l'ammissione alla gara del concorrente aggiudicatario). Tanto sarebbe sufficiente a negare che il vincolo contrattuale si sia perfezionato con l'aggiudicazione derivativamente illegittima e ad affermare, al contrario, la consistenza di interesse legittimo della posizione giuridica dedotta in giudizio dall'interessato; di contro, la determinazione dell'Amministrazione di porre nel nulla la procedura concorsuale non potrebbe essere qualificata alla stregua di un recesso ad nutum dai vincoli contrattuali trattandosi, al contrario, di illegittimo esercizio della potestà di autotutela, in difetto di qualsivoglia obiettiva ragione di interesse pubblico ed in violazione di tutti gli oneri valutativi, argomentativi e motivazionali incombenti sulla P.A.
Ad ogni buon conto, il giudice di primo grado sarebbe incorso in errore anche nella quantificazione del risarcimento.
3. Costituitasi l'Amministrazione (con atto notificato) per resistere all'appello del Veronico e, a sua volta, impugnare incidentalmente la statuizione relativa al risarcimento del danno, è stata dapprima interinalmente accolta, nelle more del deposito della motivazione, la domanda incidentale di sospensione dell'esecuzione delle statuizioni contenute nel dispositivo e quindi, chiamata nuovamente la causa alla camera di consiglio del 17 dicembre 1999, è stata confermata la sospensione dell'esecuzione della sentenza appellata e, fatta applicazione del comma 9, secondo inciso, del richiamato art. 19 D.L. n. 67/1997, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 135/1997, si proceduto alla decisione nel merito, con pubblicazione del dispositivo alla stessa data del 17 dicembre 1999.
DIRITTO
1. Come precisato in narrativa, la controversia concerne gli atti con i quali la Scuola Normale Superiore di Pisa ha revocato, per asseriti motivi di opportunità sopravvenuta, il bando di gara sulla cui base era già stata espletata una procedura di pubblico incanto per l'affidamento di lavori di ristrutturazione interna, restauro e risanamento di un complesso immobiliare, ed ha indetto una nuova gara con contenuto e clausole pressoché identiche, a seguito della pronuncia giurisdizionale con la quale era stata annullata l'aggiudicazione già effettuata in favore di concorrente illegittimamente ammesso a partecipare alla procedura e collocatosi primo in graduatoria, su ricorso del concorrente secondo classificato, interessato a conseguire, in sua vece, l'aggiudicazione dei lavori in questione.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Toscana, adito in primo grado, ha ritenuto assimilabile, il caso, all'ipotesi contemplata dall'art. 30 del decreto legislativo 19 settembre 1991 n. 406, dal quale ha anche tratto il principio di carattere generale secondo cui, perfezionatasi la volontà contrattuale con l'aggiudicazione al primo classificato, sussisterebbe, in linea generale - una volta intervenuto l'annullamento della primitiva aggiudicazione, sia in via di autotutela sia, anche, in sede giurisdizionale di aggiudicare i lavori al concorrente immediatamente seguente in graduatoria ed il correlativo diritto soggettivo di quest'ultimo a conseguire l'aggiudicazione, qualora in possesso dei requisiti richiesti dalle disposizioni speciali di gara.
Su tale base, con la sentenza appellata è stata respinta la domanda giudiziale di annullamento dei provvedimenti impugnati, rinvenendosi in essi l'esercizio - piuttosto che di una potestà di autotutela - della facoltà "di risolvere in qualunque tempo il contratto", prevista dall'art. 345 della legge 20 marzo 1865 n. 2248 all. F, e correlativamente è stata condannata l'amministrazione al pagamento dell'importo indicato nel citato articolo (che prevede- nel caso di risoluzione ad nutum, l'obbligo del pagamento "dei lavori eseguiti e del valore dei materiali utili esistenti in cantiere, oltre al decimo dell'importo delle opere non eseguite"), con ciò convertendo la domanda di risarcimento formulata dall'interessato a norma dell'art. 35 del D.Lgs. n. 80 del 1998, nella richiesta di indennità a differente titolo prevista dalla legge del 1865.
2. Pregiudizialmente può prescindersi dall'accertamento della integrità del contraddittorio nei confronti della Soc. Opera S.p.A. (cui è stata effettuata notifica del ricorso in appello e dei motivi aggiunti a meno del servizio postale senza che la ricezione risulti provata dagli avvisi di ricevimento) trattandosi di soggetto che, evocato (ma non costituito) nel giudizio di primo grado, non ha posizione sostanziale di controinteressato, potendosi, al più, riconoscersi, in capo al medesimo, un interesse di mero fatto alla indizione di una nuova gara.
3. Chiarito tale aspetto della questione, l'appello (il quale investe radicalmente statuizioni e motivazione della sentenza impugnata) deve trovare accoglimento, non sottraendosi, alle censure dedotte dall'appellante, l'impianto motivazionale sulla cui base il giudice di primo grado è pervenuto alla decisione.
Invero, in tema di contratti ad evidenza pubblica, l'annullamento giurisdizionale del provvedimento terminale di aggiudicazione, pronunciato in forza dell'effetto riflesso dell'illegittima ammissione alla procedura del primo classificato, per difetto dei requisiti richiesti dal bando (riconoscibile dall'amministrazione nella fase prodromica alla selezione), non è, in alcun modo assimilabile all'ipotesi contemplata nell'art. 30 del decreto legislativo n. 406 del 1991, che riguarda l'annullamento, in via di autotutela, del solo provvedimento terminale, nell'ipotesi in cui l'aggiudicazione medesima risulti inficiata da un vizio della prova della capacità economica e finanziaria e di quella tecnica, verificabile esclusivamente a procedimento concluso.
Analogia delle situazioni è possibile rinvenire, infatti, soltanto allorché il controllo giurisdizionale abbia inciso esclusivamente sul provvedimento di aggiudicazione, restando, al contrario, interamente salvi ed ancora utilizzabili tutti gli atti intermedi della procedura.
Ma anche in tal caso, dalla norma contenuta nel citato art. 30 del D. Lgs. n. 406 del 1991, non può trarsi un principio di ordine generale idoneo ad imprimere, alla volontà espressa dall'Amministrazione con l'aggiudicazione (successivamente annullata) carattere negoziale ultrattivo, vincolante ancor dopo l'annullamento giurisdizionale dell'aggiudicazione e tale da far negare - in radice - l'esistenza di una potestà di autotutela, con la conseguente qualificazione del provvedimento di revoca quale atto di natura presupposto obbligo di contrarre in favore del secondo classificato.
La verità è che - pur essendo l'aggiudicazione normalmente idonea a perfezionare la volontà contrattuale e, dunque, a fare nascere immediatamente diritti ed obblighi di natura intersoggettiva fra aggiudicatario e Amministrazione- l'annullamento (giurisdizionale o in via di autotutela) dell'aggiudicazione fa in ogni caso venir meno il vincolo negoziale determinatosi con l'adozione del provvedimento rimosso, con la conseguenza ulteriore che appartiene sempre al novero delle potestà di diritto pubblico la determinazione dell'Amministrazione di non avvalersi della procedura espletata e di revocare gli atti che vi hanno dato luogo, a fronte della quale non sono rinvenibili posizioni di diritto soggettivo in capo agli altri partecipanti alla gara, ancorché in posizione utile per subentrare all'aggiudicatario rimosso.
A nulla vale al riguardo la considerazione che dalla norma in questione possano trarsi principi di ordine generale desunti dalla disciplina comunitaria e coincidenti con quelli interni di buona amministrazione e di conservazione degli atti giuridici.
A parte la considerazione che l'ambito di applicazione della norma contenuta nel più volte citato art. 30 D.Lgs. n. 406 del 1991 resta delimitato dalla soglia comunitaria del valore dei lavori, secondo quanto specificato nell'art. 1 dello stesso decreto legislativo, i principi di carattere generale applicabili alla materia nel suo complesso possono e devono essere desunti non già dalla norma speciale che impone, con le specificazioni ivi contenute, comportamenti vincolati dell'Amministrazione, bensì, in vigenza della L. 7 agosto 1990 n. 241, dalle regole generali sul procedimento amministrativo, le quali richiedono l'economia dei mezzi procedimentali per soddisfare l'interesse pubblico e pongono all'Amministrazione l'obbligo di non aggravare il procedimento.
Dette regole, peraltro non incidono - ordinariamente - sulle relazioni intersoggettive ed in particolare, per quanto riguarda il caso in esame, non modificano la posizione sostanziale dei partecipanti alla procedura ad evidenza pubblica che - fintato che non si perfezioni in concreto la relazione contrattuale (fra aggiudicatario ed Amministrazione) - è e resta di interesse legittimo anche con riferimento al concorrente che ha promosso e ottenuto in sede giurisdizionale l'annullamento dell'aggiudicazione nei confronti del terzo ed ha interesse, per la collocazione conseguita nella graduatoria (annullata soltanto in parte qua) alla conservazione degli atti ancora utilizzabili.
E' stato precisato, anche dal giudice ordinario (per tutte, Cass. civ. n. 5995 del 3 luglio 1997) che il privato che partecipa ad una gara per la costruzione di un'opera, anche se ottiene dal giudice amministrativo l'annullamento dell'aggiudicazione ad un terzo, non è titolare di un diritto soggettivo al corretto esercizio, da parte della Pubblica amministrazione, del potere di scelta del contraente.
Sotto differente profilo, l'orientamento giurisprudenziale è pacificamente orientato nel senso che, anche nell'ipotesi in cui l'aggiudicazione abbia perfezionato il contratto di appalto, ciò non ne inibisce, trattandosi pur sempre di un atto avente natura provvedimentale, il riesame da parte dello stesso organo, nell'esercizio della potestà di autotutela, salvi in ogni caso i limiti derivanti dalla necessaria osservanza delle regole che governano l'azione della P.A. (per tutte, Sez. VI, 30 aprile 1994 n. 652 e Sez. V, 24 gennaio 1996, n.1263).
In conclusione, dunque, il giudice di primo grado ha travisato la natura giuridica degli atti posti in essere dall'Amministrazione ed erroneamente qualificato la posizione soggettiva dell'attuale appellante.
In accoglimento dell'appello, pertanto, la sentenza appellata deve essere annullata nella totalità delle sue statuizioni, con assorbimento, per tale profilo, dell'appello incidentale proposto dall'Amministrazione.
4.1. Deve dunque passarsi all'esame del ricorso originariamente proposto in primo grado, che può trovare accoglimento soltanto nella parte in cui volto all'annullamento degli atti impugnati.
4.2. Deve essere subito precisato che non può essere condivisa la tesi, espressa dal ricorrente nel terzo motivo della impugnazione originaria, che propugna la sussistenza di un sorta di "obbligo de contraendo" dell'Amministrazione, nei confronti dei partecipanti alla gara, assunto con l'avvio della procedura concorsuale.
Lo stesso ricorrente, del resto, con i motivi aggiunti all'appello in seguito al deposito della motivazione della sentenza impugnata, mostra di avere riconsiderata una siffatta impostazione, pervenendo alla corretta qualificazione sia della propria posizione giuridica sia dei poteri spettanti all'Amministrazione nell'ambito di un procedimento ad evidenza pubblica.
E' fuori di discussione, pertanto, la sussistenza, in astratto, in capo alla Scuola Normale Superiore di Pisa, della potestà di procedere, in via di autotutela, alla revoca delle determinazioni che avevano dato luogo alla gara, una volta annullata l'aggiudicazione al primo classificato.
L'esercizio del potere di autotutela trova fondamento nel principio costituzionale di buon andamento, che impegna la P.A. ad adottare gli atti il più possibile rispondenti ai fini da conseguire ed autorizza, quindi, anche il riesame degli atti adottati, ove reso opportuno da circostanze sopravvenute (ovvero da un diverso apprezzamento della situazione preesistente) (per tutte, da ultimo, Sez. V, n. 508 del 96 luglio 1999).
4.3.1. Siffatto potere, tuttavia, soggiace alle regole del procedimento amministrativo, come delineate dalla citata legge n. 241 del 1990.
4.3.2. A tale riguardo viene in primo luogo in rilievo la denunciata violazione dell'art. 7, il quale non si limita a prescrivere che l'avvio del procedimento sia comunicato (salvo che sussistano ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità) ai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti ed a quelli che per legge debbono intervenirvi, ma richiede, altresì, che notizia dell'inizio del procedimento sia data ai soggetti "individuati o facilmente individuabili, diversi dai suoi diretti destinatari" ai quali possa derivare pregiudizio dal provvedimento finale.
Una tale posizione deve indubbiamente rinvenirsi nel soggetto che avendo partecipato ad un pubblico incanto ed essendo stato collocato al secondo posto nella graduatoria, abbia ottenuto, nella sede giurisdizionale l'annullamento dell'aggiudicazione effettuata in favore del primo classificato, in forza dell'impugnazione da lui stesso proposta avverso l'illegittima ammissione alla procedura dell'aggiudicazione effettuata in favore del primo classificato, in forza dell'impugnazione da lui stesso proposta avverso l'illegittima ammissione alla procedura dell'aggiudicatario medesimo.
Orbene la riconducibilità della ipotesi considerata alla fattispecie astrattamente prevista dal secondo inciso dal comma 1 dell'art. 7 della L. n. 241 del 1990 risulta accreditata dalla circostanza (mai messa in dubbio) della sussistenza dell'interesse alla impugnazione della aggiudicazione effettuata nei confronti del concorrente illegittimamente ammesso alla procedura, nella persona del secondo classificato, e della posizione qualificata di tale imprenditore alla conservazione degli atti della procedura ancora utilizzabili, con conseguente innegabile pregiudizio della suddetta posizione di interesse legittimo, per effetto del provvedimento di autotutela.
Il quale, pertanto, è viziato in radice dalla mancata comunicazione dell'avvio del procedimento, che, nella specie, non trova giustificazione alcuna in esigenze di celerità (neanche ipoteticamente addotta a sostegno dell'omissione) e che ha precluso la partecipazione collaborativa prevista dalla legge in parola in funzione di preventiva composizione dei contrapposti interessi.
4.3.3. L'accoglimento del primo motivo del ricorso originario - di per sé assorbente - non esime dal prendere in esame le ulteriori sostanziali censure mosse dall'interessato avverso l'esercizio del potere di revoca, per violazione dei principi in materia di esercizio della potestà di autotutela ed eccesso di potere sotto varie figure sintomatiche (III motivo di impugnazione).
Il potere dell'Amministrazione di disporre la rinnovazione integrale di una gara di appalto a seguito della invalidità derivata dalla illegittima ammissione dell'aggiudicatario, richiede, anche in assenza di posizioni giuridiche consolidate di altri partecipanti alla procedura, l'apprezzamento della possibilità di conservare gli atti utilizzabili, alla stregua dei richiamati principi desumibili direttamente dalla L. n. 241 del 1990, che, anche per tale profilo, deve trovare applicazione al caso in esame.
In particolare, l'interesse pubblico alla innovazione integrale della procedura deve essere correlato alla esigenza di non aggravare il procedimento e di non vanificare, ai danni del soggetto che ha assunto l'iniziativa di promuovere il controllo giurisdizionale di legittimità, gli effetti favorevoli della decisione.
Si richiede dunque che il ricorso all'autotutela sia sorretto da specifiche ragioni di opportunità, in funzione del migliore perseguimento dell'interesse pubblico e che sia resa esplicita e puntuale contezza del potere esercitato.
Nel caso in esame, il provvedimento di revoca non si sorretto, principalmente attraverso il confronto con il nuovo bando (che riproduce, pressoché fedelmente, quello precedente), al sospetto di sviamento, formulato del ricorrente con riferimento alla volontà dell'amministrazione di eludere e vanificare gli effetti della pronuncia giurisdizionale, non rivelandosi l il tempo trascorso fra l'aggiudicazione e la pronuncia giurisdizionale (avvalsasi della procedura acceleratoria contemplata dall'art. 19 della L. n. 355 del 1997) come elemento sufficiente a sorreggere le ragioni di opportunità addotte, per di più in assenza di una verifica delle asserzioni meramente ipotetiche in ordine alla presunta lievitazione dei costi, ed in presenza di un nuovo bando che lascia invariate per tali profili le clausole concorsuali. Anche il profilo della motivazione con il quale si afferma di voler tutelare l'esigenza della più ampia concorrenza si rileva falsato alla luce del numero di imprese a suo tempo ammesse al concorso.
Per i profili in questione, pertanto, anche il terzo motivo di impugnazione merita accoglimento.
5. In definitiva, dunque, gli atti impugnati devono essere annullati.
6. Non può invece trovare accoglimento la domanda di risarcimento del danno a norma dell'art. 35 del D.Lgs. n. 80 del 1998, formulata dal ricorrente con il ricorso introduttivo ed in questa sede reiterata.
La potenzialità lesiva del provvedimento illegittimo sul patrimonio del soggetto titolare di posizioni di interesse legittimo, pur potendo dare luogo a riparazione del danno anche sotto forma di risarcimento in forma specifica latamente riconducibili alla previsione dell'art. 35 del D.Lgs. n. 80 del 1998, pur in assenza di violazione di normativa comunitaria"- come sembra potersi evincere dalla abrogazione delle norme che demandano al giudice ordinario il risarcimento del danno nella ipotesi di annullamento giurisdizionale di provvedimenti illegittimi in materia di pubblici appalti, senza operare distinzioni di sorta, non comporta, di per sé sola, l'accoglibilità della domanda generica a conseguire il risarcimento, difettando tra dette parti la configurabilità sia di trattative, sia di obblighi di buona fede, ed occorrendo, dunque la puntuale dimostrazione, da parte del concorrente che ha conseguito l'annullamento dell'aggiudicazione ad un terzo e successivamente (come nella specie) anche l'annullamento degli atti di revoca della procedura, la puntuale dimostrazione dell'esistenza del danno patrimoniale e del nesso eziologico con i provvedimenti illegittimi annullati (Cass. civ. n. 5995 del 3 luglio 1997).
7. Si ritengono sussistenti giusti motivi per !a compensazione integrale delle spese dei due gradi del giudizio
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo accoglie e per l'effetto, in totale riforma della sentenza impugnata, annulla la deliberazione del Consiglio direttivo della Scuola Normale Superiore di Pisa n. 23 del 17 novembre 1998;
Compensa interamente fra le parti le spese di entrambi i gradi del giudizio;
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità Amministrativa.