CONSIGLIO DI STATO, SEZ VI - Sentenza 7 maggio 2001 n. 2522 - Pres. Ruoppolo, Est. Maruotti - Ministero per i Beni culturali ed ambientali (Avv.ra G. Stato) c. Cerrito (n.c.) - (riforma TAR Lazio, Sez. II bis, 20 settembre 1991, n. 1396).
Demanio e patrimonio - Beni vincolati - Vincolo archeologico ex L. 1089/93 - Su un'ampia area - Rinvenimento di reperti su alcuni terreni vincolati - Sufficienza.
Demanio e patrimonio - Beni vincolati - Vincolo archeologico ex L. 1089/93 - Su un'ampia area - Motivazione - Sintetico richiamo agli studi ed i ritrovamenti riguardanti il comprensorio - Nel caso di area di eccezionale valore archeologico - Sufficienza.
Demanio e patrimonio - Beni vincolati - Atto che impone un vincolo archeologico ex L. 1089/93 - Limitazione al diritto di proprietà senza indennizzo - Non si configura.
E' legittima, ai sensi della L. 1089/93, l'imposizione di un vincolo archeologico su un'ampia area, considerata come parco o complesso archeologico, dove vi sono stati i più antichi insediamenti o sono stati rinvenuti reperti (nella specie, la via Appia Antica), per salvaguardare l'integrità, il decoro e il godimento del complesso archeologico e per consentire le ricerche re adhuc integra (1). In tal caso, per l'imposizione del vincolo non è necessario che siano stati riportati alla luce tutti i reperti (2), bastando che essi siano stati rinvenuti in alcuni terreni tra quelli vincolati (3)
L'imposizione di un vincolo archeologico, ai sensi della legge 1089/1939, in funzione meramente conservatrice dei resti archeologici ancora nascosti su una zona di eccezionale valore archeologico, di mondiale notorietà (nella specie, sulle fasce laterali al tracciato della via Appia Antica), rende superflua una motivazione che richiami dettagliatamente gli innumerevoli rinvenimenti dei ruderi e reperti, essendo sufficiente il sintetico richiamo agli studi ed i ritrovamenti riguardanti il comprensorio in questione.
L'atto che impone il vincolo archeologico (come quello che impone un vincolo artistico, storico, ambientale, paesistico) mira a salvaguardare un'area facente parte di una intera categoria di beni, sottoposte dalla legge ad un peculiare regime giuridico, per le loro predeterminate caratteristiche oggettive; pertanto, non si verifica nella specie una limitazione al diritto di proprietà senza indennizzo (4).
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(1) C.G.A.., 29 dicembre 1997, n. 579; Cons. Stato, Sez. VI, 11 ottobre 1996, n. 1316; Sez. VI, 19 luglio 1996, n. 950; Sez. VI, 26 settembre 1991, n. 596.
(2) C.G.A., 29 dicembre 1997, n. 579; Cons. Stato, Sez. VI, 11 ottobre 1996, n. 1316; Sez. VI, 19 luglio 1996, n. 950; Sez. VI, 18 novembre 1991, n. 874.
(3) Cons. Stato, Sez. VI, 6 ottobre 1999, n. 1309; Sez. VI, 29 novembre 1985, n. 616.
(4) Cfr. Corte Cost., 20 maggio 1999, n. 179.
Fatto
1. Con decreto del 23 febbraio 1988, il Ministero per i Beni culturali ed ambientali ha dichiarato di particolare interesse archeologico un'ampia area posta nei pressi della via Appia Antica.
Col ricorso di primo grado, proposto al TAR per il Lazio, gli odierni appellati hanno impugnato tale decreto, per la parte con cui il vincolo è stato imposto sui terreni di loro proprietà.
Il TAR, con la sentenza n. 1396 del 1991, ha accolto il ricorso ed ha annullato il decreto impugnato, nei limiti indicati in motivazione.
2. Con l'appello in esame, il Ministero per i Beni culturali ed ambientali ha impugnato la sentenza del TAR ed ha chiesto che, in sua riforma, il ricorso di primo grado sia respinto.
La Sezione, con l'ordinanza n. 1013 del 1992, ha sospeso l'esecutività della sentenza, ai sensi dell'articolo 33 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034.
Con la decisione interlocutoria n. 1183 del 1998, la Sezione ha disposto incombenti istruttori.
Il Ministero ha successivamente depositato ulteriore documentazione.
Gli appellati non si sono costituiti nella presente fase del giudizio.
3. All'udienza del 13 febbraio 2001 la causa è stata trattenuta per la decisione.
Diritto
1. Nel presente giudizio, è controversa la legittimità del decreto di data 23 febbraio 1988, con cui il Ministro per i Beni culturali ed ambientali ha dichiarato di particolare interesse archeologico un'ampia area posta nei pressi della via Appia Antica e, in particolare, i terreni di proprietà degli odierni appellati.
Con la sentenza impugnata, il TAR per il Lazio ha annullato il decreto nei limiti del loro interesse, poiché esso sarebbe affetto da eccesso di potere per insufficiente motivazione e per difetto di istruttoria.
Ad avviso del TAR, per l'imposizione del vincolo archeologico:
- non basta «la mera presunzione di esistenza del deposito archeologico»;
- occorre il concreto accertamento che il bene rientri nell'ambito delle categorie della legge 1° giugno 1939, n. 1089 (altrimenti si avrebbe una limitazione del diritto di proprietà senza indennizzo) e cioè che sia previamente accertata l'esistenza di reperti archeologici;
- in concreto, non vi è stata alcuna «attività istruttoria di ricognizione e ricerca di presenze archeologiche», anche in considerazione del fatto che non vi è stato il rinvenimento di reperti archeologici sulle aree degli appellati e neppure il sopralluogo da parte della Sovrintendenza.
2. Con l'appello in esame, il Ministero per i Beni culturali ed ambientali ha dedotto che:
a) la legge n. 1089 del 1939 consente di imporre il vincolo archeologico «in funzione meramente conservatrice» «dei resti archeologici ancora nascosti, la cui esistenza in sito è altrimenti conosciuta sulla base di fonti storiche e documentali»;
b) nella specie, il vincolo è stato imposto sulle fasce laterali al tracciato della via Appia Antica, la cui importanza storica, quale fondamentale via consolare, è stata testimoniata sin dall'epoca di Tito Livio e da tutti gli scrittori, i disegnatori ed i vedutisti che hanno segnalato la presenza di reperti archeologici, confermata dal loro continuo rinvenimento, documentato dal XVI secolo;
c) l'Amministrazione può imporre il vincolo su un'area considerata unitariamente per il suo obiettivo carattere archeologico, senza la necessità di verificare se i singoli terreni nascondano reperti archeologici.
3. Ritiene la Sezione che tali censure siano fondate e vadano accolte.
Va premesso che, per la giurisprudenza di questo Consiglio, il provvedimento di imposizione del vincolo archeologico, ai sensi della legge 1° giugno 1939, n. 1089, costituisce espressione di valutazioni tecnico-discrezionali, sindacabili sotto il profilo della congruità e della logicità della motivazione (Sez. VI, 15 novembre 1999, n. 1811; Sez. VI, 20 ottobre 1998, n. 1398; Sez. VI, 19 luglio 1996, n. 950; Sez. VI, 19 settembre 1992, n. 674; Sez. VI, 26 settembre 1991, n. 596).
Per salvaguardare l'integrità, il decoro e il godimento del complesso archeologico e per consentire le ricerche re adhuc integra, l'Amministrazione può sottoporre al vincolo un'ampia area, considerata come parco o complesso archeologico, dove vi sono stati i più antichi insediamenti o sono stati rinvenuti reperti (Cons. giust. Amm., 29 dicembre 1997, n. 579; Sez. VI, 11 ottobre 1996, n. 1316; Sez. VI, 19 luglio 1996, n. 950; Sez. VI, 26 settembre 1991, n. 596).
In tal caso, per l'imposizione del vincolo non è necessario che siano stati riportati alla luce tutti i reperti (Cons. giust. Amm., 29 dicembre 1997, n. 579; Sez. VI, 11 ottobre 1996, n. 1316; Sez. VI, 19 luglio 1996, n. 950; Sez. VI, 18 novembre 1991, n. 874), bastando che essi siano stati rinvenuti in alcuni terreni tra quelli vincolati (Sez. VI, 6 ottobre 1999, n. 1309; Sez. VI, 29 novembre 1985, n. 616).
Dalla motivazione del provvedimento di vincolo, peraltro, devono emergere le specifiche ragioni che manifestino la razionalità della valutazione sulla unitarietà della zona di pregio archeologico (Sez. VI, 1° ottobre 1996, n. 1275).
Al riguardo, l'Amministrazione non può attribuire rilievo determinante a mere ipotesi scientifiche (in quanto la giacenza sotterranea di reperti va desunta anche da elementi obiettivi e da rinvenimenti: Sez. VI, 13 aprile 1992, n. 261; Sez. VI, 13 aprile 1991, n. 194), ma può motivatamente rilevare (con una valutazione di per sé insindacabile: Sez. VI, 5 settembre 1989, n. 1194) che i ruderi disseminati su una vasta estensione di terreno (di epoca storica o preistorica) facciano parte di un complesso inscindibile, anche rispetto ai probabili assetti viari: oltre alla loro scoperta e valorizzazione in funzione della conoscenza e delle ricerche nei vari settori scientifici, i beni archeologici possono essere tutelati anche in funzione della immutabilità o della conservazione dell'unitario contesto ambientale in cui si trovano (cfr. Cons. giust. Amm., 18 ottobre 1989, n. 400; Sez. VI, 22 dicembre 1983, n. 923).
Ciò premesso, osserva la Sezione che il decreto impugnato in primo grado non sia affetto dai profili di eccesso di potere, rilevati nella sentenza impugnata.
Dalla imponente documentazione acquisita nel corso del giudizio, emerge che il decreto di imposizione del vincolo (con la precedente proposta di vincolo) ha riguardato il comprensorio dell'Appia Antica e, in particolare, le fasce laterali all'antico tracciato, al cui interno si trovano i terreni degli appellati.
Per tale comprensorio, risulta dalle fonti più antiche e da quelle medievali (abbondantemente studiate nelle più varie discipline) una densa presenza di insediamenti, dei quali alcuni risultano documentati da disegnatori e vedutisti e altri sono stati progressivamente posti alla luce, nel corso del tempo.
Il contestato decreto ministeriale:
- ha diffusamente evidenziato come i due lati della regina viarum siano caratterizzati da una sequenza ininterrotta di sepolcri, materiali lapidei e marmorei, di ruderi e strutture antiche appartenenti ad edifici collegati con la strada;
- ha constatato come tali reperti siano più volte emersi nel corso di lavori agricoli o di urbanizzazione;
- ha concluso nel senso che tutta l'area ivi presa in considerazione faccia parte di un insieme unico ed inscindibile, costituente un'area archeologica da salvaguardare.
Ad avviso della Sezione, tali considerazioni risultano razionali e adeguatamente motivate.
La presenza di reperti archeologici, ancora non portati alla luce, risulta nella zona non solo dalla letteratura e dagli studi scientifici, ma anche dal continuo ritrovamento (di per sé non contestato ed incontestabile) di reperti in occasione di lavori agricoli o di urbanizzazione, cui pure è stato fatto riferimento nel decreto impugnato.
In considerazione della storia della città di Roma e della particolare importanza della via Appia, specie in prossimità dell'Urbe, la motivazione del provvedimento di imposizione del vincolo nella specie si può considerare sufficiente: il Ministero ha ben potuto richiamare sinteticamente gli studi ed i ritrovamenti riguardanti il comprensorio dell'Appia Antica, poiché il suo eccezionale valore archeologico, di mondiale notorietà, rendeva superflua una motivazione che richiamasse dettagliatamente gli innumerevoli rinvenimenti dei ruderi e dei reperti.
Non importa, pertanto, che il decreto ministeriale non abbia analiticamente esposto che nei terreni degli appellati sono stati rinvenuti reperti (peraltro da considerare esistenti, secondo le acquisite deduzioni della Sovrintendenza archeologica), poiché le medesime aree vanno sicuramente considerate parte della unitaria area archeologica sulla base di elementi quanto mai univoci, e non di mere ipotesi scientifiche.
Il provvedimento impugnato in primo grado va pertanto considerato adeguatamente motivato e basato su una specifica istruttoria.
Infine, non possono considerarsi pertinenti le osservazioni degli appellati, condivise dalla sentenza impugnata, sulle limitazioni poste al diritto di proprietà senza indennizzo, dal momento che l'atto che impone il vincolo archeologico (come quello che impone un vincolo artistico, storico, ambientale, paesistico) mira a salvaguardare un'area facente parte di una intera categoria di beni, sottoposte dalla legge ad un peculiare regime giuridico, per le loro predeterminate caratteristiche oggettive (cfr. Corte Cost., 20 maggio 1999, n. 179).
4. Per le ragioni che precedono, l'appello è fondato e va accolto. Per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, va respinto il ricorso di primo grado.
La condanna al pagamento delle spese e degli onorari dei due gradi del giudizio può seguire, come di regola, la soccombenza. Di essa è fatta liquidazione nel dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) accoglie l'appello e, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso di primo grado n. 2398 del 1988, proposto al TAR per il Lazio.
Condanna gli appellati, in solido tra loro, al pagamento di lire 2.000.000 (due milioni), in favore del Ministero appellante, per spese ed onorari dei due gradi del giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dalla Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio tenutasi il giorno 13 febbraio 2001, presso la sede del Consiglio di Stato, Palazzo Spada, con l'intervento dei signori:
Giovanni Ruoppolo Presidente
Sergio Santoro Consigliere
Calogero Piscitello Consigliere
Luigi Maruotti Consigliere estensore
Giuseppe Romeo Consigliere
IL PRESIDENTE
L'ESTENSORE
IL SEGRETARIO
Depositata il 7 maggio 2001.