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n. 4-2001 - © copyright.

CONSIGLIO DI STATO, SEZ. VI - Sentenza 6 marzo 2001 n. 1254 - Pres. de Roberto, Est. Minicone - Soc. Fratelli Carli (Avv.ti Grande Stevens, Speranza e Sanino) c. Autorità garante concorrenza e mercato (Avv. Stato D'Avanzo) ed altro (n.c.) - (annulla T.A.R. Lazio, Sez. I, 17 settembre 1999 n. 2077).

Industria e commercio - Pubblicità ingannevole - Provvedimenti dell'Autorità Garante della concorrenza - Termine per la conclusione del procedimento - Ex D.P.R. n. 627/1996 - Riguarda l'esercizio del potere e non la comunicazione del provvedimento.

Industria e commercio - Pubblicità ingannevole - Disciplina prevista dal D.L.vo n. 74/1992 - Verifica - Oggetto - Individuazione.

Industria e commercio - Prodotti alimentari - Etichette - Indicazioni geografiche - Ingannevolezza sulla provenienza del prodotto - Configurabilità - Condizioni - Fattispecie.

Industria e commercio - Pubblicità ingannevole - Provvedimenti dell'Autorità Garante della concorrenza - Ordine di cessazione - Indicazione correzioni da apportare al messaggio pubblicitario - Necessità.

Il termine di 75 giorni previsto dal D.P.R. 10 ottobre 1996 n. 627 per la conclusione dei procedimenti in materia di pubblicità ingannevole, costituisce null'altro che l'applicazione, in via di autolimitazione, del più generale principio stabilito dall'art. 2 della legge 7 agosto 1990 n. 241, circa il dovere dell'Amministrazione, una volta iniziato il procedimento, di concluderlo, in tempi certi, mediante l'adozione (e non anche la comunicazione) di un provvedimento espresso; tale termine, attenendo all'esercizio del potere da parte dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato e non anche alla comunicazione del provvedimento, deve ritenersi rispettato nel caso in cui entro il termine stesso l'atto sia stato semplicemente adottato, ma non anche comunicato al destinatario (1).

Ai fini della verifica della eventuale ingannevolezza del messaggio pubblicitario ai sensi del D.L.vo 25 gennaio 1992 n. 74, non è necessario accertare se le informazioni in esso contenute siano formalmente non veritiere, ma piuttosto se l'omissione di specificazioni necessarie a rendere oggettivamente intellegibile nella sua effettività il messaggio incida sulla correttezza sostanziale dello stesso, con pregiudizio per il consumatore.

La tutela del consumatore, nei confronti della pubblicità che non sia palese, veritiera e corretta, ha riguardo non tanto all'elemento soggettivo dell'autore del messaggio, ma alla idoneità obiettiva di quest'ultimo a pregiudicare la libera scelta del consumatore stesso; in particolare, una indicazione geografica, anche se inizialmente meno significativa, può ben venire ad assumere, nel contesto attuale, l'attitudine ad indirizzare surrettiziamente le scelte di acquisto, anche indipendentemente dalla volontà del produttore di trarre dolosamente in inganno il destinatario del messaggio (2).

Ai sensi della normativa sui marchi d'impresa, la non ingannevolezza dell'etichetta sulla provenienza del prodotto alimentare è richiesta, a pena di nullità, non solo alle denominazioni di origine protetta, ma anche ai marchi generici, con la conseguenza che le indicazioni di carattere geografico contenute nel marchio acquistano una rilevanza essenziale nella valutazione del consumatore, per la peculiare importanza che viene ad assumere l'origine della materia prima.
L'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato,
una volta affermata la natura ingannevole del messaggio pubblicitario (nella specie, in quanto diffuso senza precisazioni, dalle quali fosse possibile desumere, in modo chiaro, che la materia prima non proveniva da una determinata regione), deve indicare puntualmente quale deve essere la specificazione da inserire per eliminare l'effetto decettivo; poichè infatti dall'inottemperanza dell'operatore pubblicitario ai provvedimenti inibitori o di rimozione degli effetti adottati dall'Autorità derivano, ai sensi del comma nono dello stesso art. 7, sanzioni penali, la irrogazione esige la previa e certa definizione del contenuto del comportamento da osservare, il quale non può, dunque, essere rimesso all'iniziativa della parte e agli inevitabili conseguenti margini di opinabilità e di incertezza.

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(1) A tal fine si è fatto riferimento alla ratio legis della norma ed all'orientamento giurisprudenziale espresso con riguardo ad altri tipi di procedimento, come è il caso, ad esempio, di quello disciplinare, in cui l'atto di contestazione degli addebiti, malgrado sia considerato non recettizio, deve, pur tuttavia, essere non solo adottato, ma anche comunicato al destinatario nel termine perentorio fissato, per il relativo sub-procedimento dall'art. 9 della legge n. 19/1990, avuto riguardo, appunto, alla ratio legis espressa complessivamente da tale norma (cfr. Cons. Stato VI Sez. 21.8.2000, n. 4520).

(2) Sotto questo profilo nella specie la Sez. VI ha ritenuto legittima la deliberazione dell'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, adottata a seguito di un procedimento avviato su denuncia di un consumatore, che ha ritenuto ingannevole (e ne ha vietato, di conseguenza, la continuazione della diffusione) il messaggio pubblicitario costituito dal contenuto delle etichette delle confezioni di olio extra vergine di oliva CARLI, sul rilievo che il marchio ad esse apposto ("Fratelli Carli - produttori di olio di oliva - Oneglia"), in quanto contenente l'indicazione geografica di una località particolarmente pregiata per la produzione delle olive, senza la specificazione che il prodotto commercializzato non era, per la maggior parte, di provenienza ligure, fosse atto a recare pregiudizio al comportamento economico dei consumatori, inducendoli ad orientarsi verso tale prodotto, nel falso convincimento che l'olio in questione fosse preparato con materie prime provenienti appunto da Oneglia.

 

 

FATTO

Con ricorso notificato il 17 e 18 febbraio 1998, la Fratelli Carli S.p.A. impugnava, innanzi al Tribunale amministrativo regionale del Lazio, la delibera in data 18 dicembre 1997, con la quale l'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato aveva ritenuto ingannevole il messaggio pubblicitario contenuto nell'etichetta esistente sulle confezioni di olio extra vergine di oliva Carli e ne aveva vietato la continuazione.

Avverso tale atto deduceva le seguenti censure:

1) Violazione e falsa applicazione dell'art. 6, comma 1, lett. a) del DPR 10 ottobre 1996, n.627 nonché eccesso di potere, in particolare per travisamento ed illogicità, per essersi il procedimento concluso, con la comunicazione, successivamente alla scadenza del termine fissato dalla norma anzidetta;

2) Violazione e falsa applicazione del D. L.vo 25 gennaio 1992, n.74; eccesso di potere per confusione e perplessità, non essendo rinvenibile dal contesto del provvedimento e dal dispositivo dello stesso quale fosse effettivamente l'ordine impartito dall'Autorità;

3) Violazione e falsa applicazione degli artt. 2, lett. b) e 3 del D. L.vo

n.74/1992 ed eccesso di potere sotto vari profili, non essendo configurabile,

nella specie, un messaggio ingannevole;

4) Violazione e falsa applicazione del D. L.vo n.74/1992 ed eccesso di potere sotto vari profili, in quanto il messaggio pubblicitario costituito dall'etichetta non avrebbe inteso indicare qualità non possedute dal prodotto.

Il giudice adito, con la sentenza in epigrafe, respingeva il ricorso.

Avverso detta decisione ha proposto il presente appello l'interessata, ribadendo le censure già svolte in primo grado e confutando le argomentazioni con le quali il T.A.R. le ha disattese.

Si è costituita l'Avvocatura dello Stato, per conto dell'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, che ha chiesto il rigetto dell'appello, in quanto infondato.

Con ordinanza n.2072 del 17 dicembre 1999, questa Sezione ha accolto la domanda di sospensione dell'esecuzione della sentenza impugnata.

Con memoria depositata in vista dell'udienza di discussione del merito, l'appellante ha riepilogato e ribadito le proprie ragioni di doglianza.

Alla pubblica udienza del 1 dicembre 2000, il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

1. La deliberazione dell'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, oggetto del ricorso di primo grado, respinto dal T.A.R., ha ritenuto, all'esito di un procedimento avviato su denuncia di un consumatore, ingannevole (e ne ha vietato, di conseguenza, la continuazione della diffusione) il messaggio pubblicitario costituito dal contenuto delle etichette delle confezioni di olio extra vergine di oliva CARLI, sul rilievo che il marchio ad esse apposto ("Fratelli Carli - produttori di olio di oliva - Oneglia"), in quanto contenente l'indicazione geografica di una località particolarmente pregiata per la produzione delle olive, senza la specificazione che il prodotto commercializzato non era, per la maggior parte, di provenienza ligure, fosse atto a recare pregiudizio al comportamento economico dei consumatori, inducendoli ad orientarsi verso tale prodotto, nel falso convincimento che l'olio in questione fosse preparato con materie prime provenienti appunto da Oneglia.

2. Con l'atto di appello in esame, la Società Fratelli Carli si duole della sentenza del primo giudice - che ha condiviso le conclusioni cui è pervenuta l'Autorità -, riproponendo le doglianze già sviluppate in primo grado, che, secondo il suo assunto, erroneamente il T.A.R. non avrebbe adeguatamente esaminato.

3. In particolare, con il primo motivo, essa ripropone la censura di superamento, da parte dell'Autorità, del termine (perentorio) per la conclusione del procedimento, fissato da quest'ultima con DPR 10 ottobre 1996, n.627, recante il regolamento sulle procedure istruttorie in materia di pubblicità ingannevole, sul rilievo che, avendo il provvedimento in questione natura di atto recettizio (in quanto necessitante, per la esecuzione dell'obbligo con esso imposto, della collaborazione del destinatario), il relativo procedimento si esaurirebbe solo con la comunicazione, intervenuta, nella specie, oltre il termine di 75 giorni (prorogato di 90 giorni, per esigenze istruttorie) dalla data di avvio.

3.1. La tesi è destituita di fondamento.

3.2. Va premesso che, contrariamente a quanto ritenuto dall'appellante (ed anche dal giudice di primo grado), la questione se al provvedimento dell'Autorità in materia di pubblicità ingannevole debba riconoscersi o no carattere recettizio è irrilevante al fine della risoluzione della (diversa) questione se, entro il termine fissato dall'art.6 del DPR n.627/96, debba esigersi anche la comunicazione al destinatario (come sostiene la ditta Fratelli Carli) ovvero sia sufficiente l'adozione dell'atto (come affermato dal T.A.R.).

Ed invero, questa seconda questione prescinde dalla natura dell'atto emanato al termine del procedimento, in quanto va risolta esclusivamente alla luce della finalità perseguita di volta in volta dal legislatore primario o secondario, attraverso la fissazione di termini specifici per il compimento della relativa attività amministrativa.

3.3. E che non vi sia, in via di principio, correlazione fra le due questioni, appare confermato dall'orientamento giurisprudenziale espresso con riguardo ad altri tipi di procedimento, come è il caso, ad esempio, di quello disciplinare, in cui l'atto di contestazione degli addebiti, malgrado sia considerato non recettizio, deve, pur tuttavia, essere non solo adottato, ma anche comunicato al destinatario nel termine perentorio fissato, per il relativo sub-procedimento dall'art. 9 della legge n.19/1990, avuto riguardo, appunto, alla ratio legis espressa complessivamente da tale norma, (cfr. Cons. Stato VI Sez. 21.8.2000, n.4520).

3.4. Se così è, va, allora, osservato che il termine stabilito in via regolamentare dall'Autorità, attraverso la norma sopra citata, costituisce null'altro che l'applicazione, in via di autolimitazione, del più generale principio stabilito dall'art.2 della legge 7 agosto 1990 n.241, circa il dovere dell'Amministrazione, una volta iniziato il procedimento, di concluderlo, in tempi certi, mediante l'adozione (e non anche la comunicazione) di un provvedimento espresso.

E che tale sia la valenza della disposizione dell'art.6 del DPR 10 ottobre 1996 n.627 discende dal rilievo che essa è inserita, sistematicamente, a chiusura degli adempimenti dell'Autorità, preordinati, appunto, all'adozione del provvedimento finale, laddove la fase della comunicazione è disciplinata, al di fuori di tale contesto, dal successivo art.11, solo come adempimento del responsabile del procedimento successivo alla conclusione di quest'ultimo.

3.5. Ne deriva che il termine di cui si discute risulta, nella specie, rispettato, atteso che il provvedimento impugnato, come è incontestato fra le parti, è intervenuto tempestivamente, rilevando la tardiva comunicazione solo come impeditiva, medio tempore, del nascere dell'obbligo del destinatario di dare esecuzione al provvedimento medesimo.

4. Con il terzo e quarto motivo di gravame - che, per ragioni di ordine, logico, vanno esaminati con priorità rispetto al secondo - l'appellante, riproponendo doglianze già svolte in primo grado, contesta il carattere di ingannevolezza riconosciuto dall'Autorità al proprio marchio (Fratelli Carli - Produttori di olio di oliva - Oneglia), deducendo, in sintesi:

- che si tratterebbe di un marchio utilizzato da moltissimi anni su tutti i prodotti della Società, anche diversi dall'olio di oliva;

- che la dicitura "Oneglia" non avrebbe particolare risalto nel contesto grafico, volto a porre in rilievo solo la sede dello stabilimento di produzione e non la provenienza delle olive;

- che l'assenza della denominazione DOC renderebbe avvertito anche il consumatore più sprovveduto della non provenienza dell'olio dalla zona ligure, tenuto anche conto che, ai sensi della legge 313/1998, può essere apposta l'indicazione di una determinata zona di origine solo se l'intero ciclo di raccolta, produzione, lavorazione e confezionamento si sia svolta in quella zona;

- che, in ogni caso, dovrebbe farsi riferimento, almeno, ad un consumatore medio, giacché la "credulità" è tutelata solo per quel che riguarda i ragazzi;

- che l'assenza di effetti ingannevoli derivanti dall'utilizzazione per lunghissimi anni del marchio avrebbe dovuto indurre a ritenere che quest'ultimo non aveva, neppure potenzialmente, attitudine decettiva;

- che, infine, il primo giudice avrebbe avallato il principio inaccettabile che l'ingannevolezza possa essere ricondotta non solo al contenuto positivo del messaggio, bensì anche alla mancata specificazione di determinate qualità nel prodotto.

4.1. Le anzidette argomentazioni non possono essere condivise.

4.2. Va premesso che il pacifico utilizzo remoto del marchio, da parte della ditta Fratelli Carli, non esclude che esso, in un determinato momento storico, possa aver assunto carattere di messaggio ingannevole.

Infatti, la tutela del consumatore, nei confronti della pubblicità che non sia palese, veritiera e corretta, ha riguardo non tanto all'elemento soggettivo dell'autore del messaggio, ma alla idoneità obiettiva di quest'ultimo a pregiudicare la libera scelta del consumatore stesso.

Ora, è dato di comune esperienza che la sensibilità dei consumatori nei confronti della qualità dei prodotti si sia fortemente accresciuta nel tempo, onde una indicazione geografica, anche se inizialmente meno significativa, può ben essere venuta ad assumere, nel contesto attuale, l'attitudine ad indirizzare surrettiziamente le scelte di acquisto, anche indipendentemente dalla volontà del produttore di trarre dolosamente in inganno il destinatario del messaggio.

Del resto, tale possibile evoluzione è stata colta dal legislatore, laddove, come ricordato anche dal primo giudice, intervenendo sulla disciplina dei marchi, con il D. Lgs. 4 dicembre 1992, n.480, non solo ha fatto divieto, tra l'altro, di usare il marchio in modo da indurre comunque in inganno il pubblico, in particolare circa la natura, qualità o provenienza dei prodotti, a causa del modo e del contesto di utilizzazione, ma ha comminato anche la decadenza del marchio stesso, se divenuto, nel corso di detta utilizzazione, idoneo a indurre un siffatto inganno.

4.3. Ciò posto, il Collegio deve convenire, con il primo giudice, che la dicitura "Oneglia", contenuta nel marchio, insieme con il richiamo al produttore dell'olio, può comportare una associazione logica tra il prodotto e la località geografica, che non può essere esclusa invocando la diligenza dell'uomo medio o, tanto meno, la legislazione in materia di denominazione di origine controllata.

E ciò, perché, se è vero che l'apposizione della denominazione di origine è chiaramente avvertita dal consumatore più avveduto come garanzia della provenienza del prodotto da una determinata zona, non è vera l'affermazione reciproca, che, cioè, l'assenza di detta denominazione sia di per sé avvertibile come inequivoca manifestazione del fatto che la totalità del prodotto non provenga da una zona particolare, essendo evidentemente diverse le categorie di consumatori che si rivolgono ai prodotti DOC, da quelle che, pur sprovviste di nozioni specifiche circa la legislazione in materia di denominazione d'origine, sono inclini, comunque, ad acquistare beni che presentino un qualche pregio rispetto alla massa e che possono, quindi, percepire l'indicazione di Oneglia quanto meno come maggiormente tranquillizzante circa la qualità, rispetto ad altri prodotti che tale indicazione non rechino o ne rechino una diversa.

4.4. Ne consegue, anche, che, in materia di pubblicità ingannevole, non è possibile configurare in astratto, come pretende l'appellante, un tipo di consumatore di livello medio, al di sotto del quale la tutela debba considerarsi inoperante, in quanto si sconfinerebbe nella credulità, dovendosi, invece, procedere, caso per caso, all'individuazione della categoria di consumatori suscettibile di essere fuorviata dal messaggio pubblicitario, in relazione allo specifico prodotto.

E, nel caso di specie, ritiene il Collegio, avuto riguardo al contesto del messaggio stesso e alla natura del bene commercializzato, che siano ragionevoli le conclusioni dell'Autorità circa la potenziale decettività dell'etichetta, in assenza di uno specifico avvertimento circa l'eterogeneità dell'origine dell'olio da essa contrassegnato.

Il che non significa considerare ingannevole un messaggio in relazione a ciò che non dice, anziché per il suo contenuto oggettivo, come paventa l'appellante (che denuncia la rischiosità di una siffatta affermazione elevata a principio), bensì, esigere, correttamente, in presenza di una indicazione postiva di ambigua percettibilità (il nome geografico di Oneglia), l'aggiunta di una ulteriore specificazione, che tenda, appunto, a controbilanciare il possibile effetto associativo di tale indicazione geografica alla bontà delle olive locali.

5. Tutto ciò premesso, appare, invece, fondato il secondo motivo di gravame, con il quale l'appellante lamenta l'assenza, nel provvedimento impugnato, di un puntuale contenuto precettivo, con conseguente indeterminatezza del comportamento da porre in essere per dare attuazione all'ordine di cessazione della pubblicità ingannevole.

Ed invero, l'Autorità, una volta affermata la natura ingannevole del messaggio, in quanto diffuso senza precisazioni, dalle quali fosse possibile desumere, in modo chiaro, che la materia prima non proveniva dalla Liguria, ne ha vietato, in tali limiti, la continuazione, senza, peraltro, indicare puntualmente, quale dovesse essere la specificazione da inserire per eliminare l'effetto decettivo.

5.1. Ora, l'art.7 del D. L.vo n.74 del 1992, nel determinare i poteri dell'Autorità in merito alla pubblicità ingannevole, ha previsto, come sanzione principale, l'imposizione del divieto della continuazione della pubblicità stessa, con conseguente obbligo per il destinatario di far cessare, senz'altro la diffusione del messaggio infrattivo e, come sanzione accessoria, per impedire la eventuale continuazione della produzione degli effetti, l'ordine di pubblicazione, a cura dell'autore, di una "apposita dichiarazione rettificativa", il cui testo deve essere predisposto dalla stessa Autorità (che si è, del resto, attenuta costantemente a tale principio).

E non vi è motivo, ricorrendo la stessa ratio, per non ritenere applicabile tale disposizione anche alla presente fattispecie, in cui l'autorità ha imposto una dichiarazione rettificativa, sotto forma di integrazione del messaggio, per considerare lecita la continuazione dell'uso del marchio, ritenuto ingannevole.

5.2. Un siffatto obbligo a carico dell'Autorità sarebbe, d'altra parte, configurabile, nella specie, anche in assenza dell'esplicita previsione normativa di cui sopra.

In primo luogo, infatti, il giudizio di ingannevolezza del messaggio pubblicitario in questione è avvenuto (come, esattamente affermato dal T.A.R., il quale, però, sul punto, non ne ha tratto le necessarie conclusioni) con riguardo non al solo marchio, ma all'etichetta nella sua complessiva presentazione, onde non poteva essere trasferita al destinatario la scelta circa le modalità di riconfigurazione dell'etichetta stessa, giacché, dovendo quest'ultima corrispondere esattamente allo scopo perseguito dall'Autorità, solo quest'ultima era titolare del potere-dovere di dettare tali modalità in maniera che il risultato finale fosse compiutamente satisfattivo.

In secondo luogo, dall'inottemperanza dell'operatore pubblicitario ai provvedimenti inibitori o di rimozione degli effetti adottati dall'Autorità derivano, ai sensi del comma nono dello stesso art.7, sanzioni penali, la cui irrogazione esige la previa e certa definizione del contenuto del comportamento da osservare, il quale non può, dunque, essere rimesso all'iniziativa della parte e agli inevitabili conseguenti margini di opinabilità e di incertezza.

6. Alla luce di tali considerazioni, l'appello va accolto e, per l'effetto, in riforma della sentenza gravata ed in accoglimento del ricorso di primo grado

grado, nei sensi di cui sopra, il provvedimento dell'Autorità in data 18

dicembre 1997 deve essere annullato.

Le spese del doppio grado di giudizio possono essere equamente compensate tra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione VI), definitivamente pronunciando sull'appello in epigrafe, lo accoglie e, per l'effetto, in riforma della sentenza appellata ed in accoglimento del ricorso di primo grado, annulla il provvedimento dell'Autorità in data 18 dicembre 1997, nei sensi di cui in motivazione

Spese del doppio grado di giudizio compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, addì 1 dicembre 2000, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione VI) in Camera di Consiglio, con l'intervento dei Signori:

Alberto de ROBERTO Presidente

Paolo NUMERICO Consigliere

Chiarenza MILLEMAGGI COGLIANI Consigliere

Giuseppe ROMEO Consigliere

Giuseppe MINICONE Consigliere Est.

Il Presidente L'Estensore

Il Segretario

Depositata il 6 marzo 2001.

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