CONSIGLIO DI STATO, SEZ. VI - Sentenza 22 marzo 2001 n. 1699 - Pres. Giovannini, Est. Caringella - Telecom Italia Mobile s.p.a. (TIM) (Avv.ti Giuseppe Guarino ed Aurelio Pappalardo) e Omnitel Pronto Italia s.p.a. (Avv.ti Fabio Merusi e Mario Libertini) c. Garante della Concorrenza e del Mercato (Avv. Stato Braguglia), e Codacons (Avv.ti Carlo Rienzi, Guglielmo Saporito e Paolo Montaldo) - (annulla in parte TAR Lazio, Sezione I, n. 31 maggio 2000, n. 4504).
A differenza di un accordo, che può trovare la fonte in un atto scritto, la pratica concordata ex art. 2, comma 2, lett. a, della legge n. 287/1990, corrisponde ad una forma di coordinamento fra imprese che, senza essere stata spinta fino all'attuazione di un vero e proprio accordo, sostituisce consapevolmente una pratica collaborazione fra le stesse ai rischi della concorrenza (1). La pratica, al pari dell'accordo in senso stretto, vuole sostituire alla concorrenza una forma di coordinamento caratterizzata da un'azione comune così riproducendo, pur se in una sfera collettiva ed apparentemente concorrenziale, i vantaggi propri del comportamento del monopolista ed arrecando i conseguenti pregiudizi ai consumatori.
Ogni operatore economico deve determinare autonomamente la propria condotta e ciò non esclude il diritto a reagire in maniera intelligente al comportamento, constatato o atteso, dei concorrenti; è però vietato ogni contatto, diretto o indiretto, tra gli operatori che abbia per oggetto o per effetto di influenzare il comportamento sul mercato di un concorrente o di mettere al corrente tale concorrente sul comportamento che l'impresa stessa ha deciso di porre in atto (2). Ciascun concorrente è libero di modificare i prezzi tenendo conto del comportamento altrui, ma è vietata ogni forma di collaborazione per stabilire linea d'azione o eliminare incertezze sul reciproco comportamento (3).
Perché si possa dire realizzato un accordo o di una pratica concordata tra imprese non occorre una prova piena (il cd. smoking gun: il testo dell'intesa; documentazione inequivoca della stessa; atteggiamento confessorio dei protagonisti), ma è sufficiente e necessaria la delineazione di indizi, purché gravi precisi e concordanti, circa l'intervento di illecite forme di concertazione e coordinamento. La dimostrazione dell'accordo o della pratica concordata si concreta, in altri termini, nella prova logica, il cui onere incombe in capo all'Autorità, rappresentata dall'impossibilità di dare una diversa spiegazione capace di collegare la situazione di mercato alle normali scelte imprenditoriali.
E' da escludersi che la semplice identità delle condizioni di offerta da parte degli imprenditori possa costituire da sola indizio idoneo a suffragare l'esistenza di un accordo o di una pratica concordata, salvo il caso eccezionale nel quale l'anomalia dell'appiattimento non sia spiegabile altrimenti che come frutto di un'intesa illecita sul versante concorrenziale. In definitiva, in assenza di elemento ulteriore di riscontro, il parallelismo si appalesa ex se sintomatico di una condotta illecita sul versante soggettivo solo ove non sia configurabile una spiegazione alternativa capace di inquadrare le condotte identiche alla stregua di frutto di razionali ed autonome scelte imprenditoriali, fisiologicamente condizionate dalla previsione dell'altrui possibile risposta ad un'iniziativa differenziatrice (4).
Gli scambi di informazioni tra imprese, specie se sistematici, assumono una particolare gravità in caso di mercato oligopolistico, in quanto, specie se riferiti ai cd. fattori sensibili (prezzi correnti, fattori di costo, piani e previsioni di prezzo per il futuro), elimina l'unico fattore che può spingere le imprese soddisfatte della quota di mercato raggiunta ad un ribasso dei prezzi, ossia il timore di una manovra competitiva sui prezzi da parte dei concorrenti e la conseguente necessità di prevenirla o contrastarla efficacemente (5).
Un parallelismo consapevole delle condotte tenute da imprese anche operanti in un mercato oligopolistico, di per sé lecito, può essere considerato come frutto di un'intesa anticoncorrenziale, ossia di un vietato coordinamento delle condotte, ove emergano indizi gravi, precisi e concordanti rappresentati, alternativamente o cumulativamente:a) dall'impossibilità di spiegare alternativamente la condotta parallela come frutto plausibile delle iniziative imprenditoriali; b) dalla presenza di elementi di riscontro (quali contatti e scambi di informazioni) rivelatori di una concertazione e di una collaborazione anomala.
Quanto all'elemento sub a), va soggiunto che mentre di norma la prova dell'irrazionalità della condotta va data dall'Autorità, nel caso in cui emergano elementi di riscontro sub b), l'onere probatorio contrario relativo viene spostato in capo all'impresa (alla stregua del principio nella specie la Sez. V ha ritenuto illegittimo il provvedimento adottato dalla Autorità per l'anno 1997, tenuto conto "dell'eterogeneità, anche teleologica, delle condotte tenute sul tema della scontistica dalle due società (Telecom ed Ominitel), che confermano l'irrilevanza complessiva della vicenda ai fini della prova di una pratica concordata per l'anno 1997").
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(1) Cfr., da ultimo, Cons. Stato, Sez. VI, 12 febbraio 2001, n. 652.
(2) Cfr. Dec. Comm. 80/257/CECA dd. 8.2.80, par. 33; Corte Giust. CE, C- 49/92, Anic, 8.7.99, par. 117; Corte Giust., C- 40/73, Suiker Unie, par. 173-175.
(3) Corte Giust. CE, C 57/69 del 14.7.72, Acna.
(4) Nella motivazione della decisione in rassegna si richiama in proposito la pronuncia della Corte Giust. CE, C - 89/85, 31.3.93 Woodpulp - Pasta di legno, che ha affrontato per prima il problema della prova della pratica concordata in un mercato oligopolistico.
Con tale decisione la Corte di Giustizia ha escluso l'esistenza di una pratica concordata, rilevando che in quel caso il parallelismo di comportamenti (dei prezzi) poteva trovare giustificazione nelle particolari caratteristiche di un mercato oligopolistico. Di qui la conclusione della liceità dei comportamenti paralleli tenuti in un mercato ove, in assenza di elementi di prova, l'omogeneità delle condotte possa essere la risultante di scelte imprenditoriali logiche e razionali, ossia allorquando sia paventabile una plausibile ricostruzione alternativa.
(5) Cfr., da ultimo, Cons. Stato, sezione VI, 12 febbraio 2001, n. 652, cit.; con tale pronuncia sono stati ritenuti legittimi i provvedimenti sanzionatori adottati dall'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato all'esito di un'istruttoria per un'ipotesi di violazione dell'art. 2 della legge n.287/1990, avente ad oggetto accordi o pratiche concordate tra le principali case discografiche (c.d. major), con riguardo: a) alla fissazione dei prezzi di vendita di supporti fonografici agli esercizi commerciali (c.d. prezzi di listino o PPD); b) alla determinazione di altri aspetti delle politiche commerciali attuate nei confronti dei rivenditori; c) alla limitazione ed alla ripartizione dei titoli interessati alla campagna pubblicitaria attuata in occasione del Salone della Musica svoltosi nel mese di ottobre 1996.
In quella occasione la Sez. V ha reputato che elementi di riscontro adeguati fossero dati dalla prova: a) che, nell'ambito di una struttura associativa dei produttori in esame (F.M.I.), le major discutevano dei prezzi di vendita dei supporti fonografici; b) che la F.I.M.I. mensilmente richiedeva a ciascuna delle 5 major di fornire i dati relativi al numero dei supporti venduti e al valore delle vendite realizzate, al netto degli sconti e delle rese; c) che sono stati rinvenuti sia presso la F.I.M.I. che presso le singole case i tabulati contenenti i dati sopra descritti, trasmessi da ogni singola impresa secondo uno schema dettagliato e disaggregato; d) che presso la sede della Polygram e della Warner sono stati rinvenuti i prospetti contenenti dati disaggregati di tutte le case discografiche; e) che presso le sedi della BMG - Ricordi e della Polygram sono stati trovate le comunicazioni dei listini prezzi, aventi data anteriore alla decorrenza dei listini stessi; che lo scambio di informazioni era esteso anche all'organizzazione congiunta di eventi promozionali rivolti al consumatore.
FATTO
La questione sottoposta all'esame del Collegio trae origine da una denuncia del Ministero delle Poste e delle Telecomunicazioni, pervenuta all'Autorità il 18 dicembre 1998, con la quale si rappresentava la vicenda della manovra di rimodulazione dei prezzi dei servizi GSM, con riguardo all'anno 1999, per i servizi di comunicazione mobile relativi alle chiamate originate da rete fissa e terminate su reti mobili, posta in essere dalla società Telecom Italia Mobile s.p.a. (d'ora i n avanti TIM) ed Omnitel Pronto Italia s.p.a. (d'ora in avanti OPI). Nella segnalazione il Ministero informava l'Autorità dell'esistenza di una nuova proposta di condizioni economiche per le comunicazioni fisso-mobile da parte delle due società, trasmessa in data 4.12.1998 all'amministrazione ed all'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (di seguito AGCom), mettendo in evidenza che le proposte delle due società erano identiche tra loro.
In data 7 gennaio 1999 l'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (di qui in avanti AGCM) avviava un'istruttoria nei confronti di TIM e OPI contestando, anche per gli anni precedenti, condotte integranti intese restrittive della concorrenza in violazione dell'art.2 della legge 10 ottobre 1990, n.287. Giova premettere che l'istruttoria ha riguardato esclusivamente i sistemi di comunicazione mobile su standard numerico GSM a tecnologia digitale, avviati a partire dalla fine del 1995 sulla base di due distinte convenzioni stipulate dal Ministero delle Poste e Telecomunicazioni con OPI e Telecom Italia (a cui è subentrata in seguito TIM) ed approvate rispettivamente con d.P.R. 2 dicembre 1994 e d.P.R. 22 dicembre 1994. Sono rimasti, invece, estranei all'indagine del Garante i servizi di telefonia mobile su standard analogico TAC, espletati in via esclusiva dalla Telecom e poi da TIM, sulla base di tariffe che, almeno fino alla fine del 1997, erano stabilite in via amministrativa e sottratte alla disponibilità del gestore. E' utile soggiungere al riguardo che l'offerta al pubblico del servizio TACS ha ricevuto iniziale disciplina con il D.M. 13 febbraio 1990, n.33, Regolamento concernente il servizio radiomobile terrestre di comunicazione, per essere poi subordinata all'osservanza di un contratto di programma stipulato in data 27 maggio 1997 fra il Ministero delle Poste e Telecomunicazioni e la TIM, contratto che regolamentava diversi aspetti delle modalità di esercizio e di offerta al pubblico del servizio, come la qualità di questo, le frequenze utilizzate, le condizioni economiche di offerta, gli inadempimenti e le penalità, gli aggiornamenti e le revisioni.
All'esito dell'istruttoria, con deliberazione adottata il 28 settembre 1999, l'AGCM ha statuito che:
a) l'intesa posta in essere nella forma di pratica concordata da TIM e OPI mediante fissazione di prezzi identici nella struttura e nel livello per i servizi di comunicazione fisso-mobile offerti al pubblico ha determinato, con limitato riguardo all'anno 1998, una grave e consistente restrizione della concorrenza nel mercato dei servizi di comunicazione mobile, ai sensi dell'art.2, comma 2, lett. a) e b) della legge n.287/1990;
b) l'intesa posta in essere da TIM e OPI mediante l'accordo di rimodulazione delle condizioni economiche per le comunicazioni f/m applicate al pubblico in data 6 gennaio 1999 ha integrato una grave e consistente restrizione della concorrenza nel mercato dei servizi di comunicazione mobile, ai sensi dell'art.2, comma 2, lett. a), della legge n.287/1990;
c) i comportamenti tenuti da TIM e OPI ai fini della fissazione dei prezzi di terminazione praticati agli operatori di telecomunicazione hanno integrato un'intesa tra gli operatori nella forma di pratica concordata, determinando una grave e consistente restrizione della concorrenza in violazione dell'art.2, lett. a) e lett. b), della legge n.287/1990.
Sono seguite le statuizioni sul versante sanzionatorio:
a) per la prima infrazione sono state applicate, rispettivamente a carico di TIM e OPI, le sanzioni amministrative pecuniarie di lire 62.532.000.000 e lire 27.918.000.000;
b) per la seconda infrazione sono state applicate, rispettivamente a carico di TIM e OPI, le sanzioni amministrative pecuniarie nella misura di L. 34.740.000.000 e L. 27.918.000.000;
c) per la terza infrazione sono state applicate, rispettivamente a carico di TIM e OPI, le sanzioni amministrative pecuniarie nella misura di L. 3.160.000.000 e di lire 3.440.000.000;
Con la sentenza gravata il TAR del Lazio ha respinto il ricorso presentato dalle odierne appellanti avverso la menzionata deliberazione dell'Autorità.
Con i ricorsi in appello in epigrafe indicati la TIM e l'OPI hanno chiesto l'annullamento e/o la riforma della menzionata sentenza, proponendo sia motivi attinenti al procedimento sia censure concernenti il contenuto delle valutazioni effettuate dall'Autorità.
L'Autorità intimata ed il Codacons si sono costituiti in giudizio, chiedendo la reiezione dell'appello.
Le parti hanno affidato al deposito di memorie l'ulteriore illustrazione delle tesi difensive.
All'odierna udienza la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Preliminarmente deve essere disposta la riunione dei ricorsi, proposti avverso la stessa sentenza.
2. E' oggetto di impugnazione la sentenza con la quale i primi Giudici hanno respinto, previa riunione, i ricorsi proposti da TIM e OPI avverso il provvedimento con cui l'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (d'ora in poi AGCM) ha inflitto le sanzioni amministrative pecuniarie specificate nella narrativa, in relazione a tre condotte concretanti intese restrittive della concorrenza sub specie di:
a) fissazione di prezzi identici, nella struttura e nel livello, per i servizi di comunicazione fisso-mobile offerti al pubblico, limitatamente all'anno 1998;
b) accordo di rimodulazione delle condizioni economiche per le comunicazioni f/m applicate al pubblico nel gennaio del 1999;
c) fissazione dei prezzi di terminazione praticati agli operatori di telecomunicazione.
3. Il Collegio ritiene di dover esaminare preliminarmente i motivi intesi a censurare la conformità del procedimento amministrativo alle regole fissate dalla legge 7 agosto 1990, n.241 e dalla legislazione speciale al fine di garantire la pienezza e l'effettività del contraddittorio.
3.1. Con un primo motivo di gravame si torna a sostenere, da parte di TIM e di OPI, che il Garante avrebbe sanzionato condotte diverse da quelle contestate con l'atto di comunicazione delle risultanze istruttorie del 7.5.1999. Si osserva, in particolare da parte di TIM, che a fronte di un atto di comunicazione volto ad ipotizzare un unico comportamento protrattosi nel tempo, la determinazione finale avrebbe posto l'accento su tre episodi distinti ed autonomamente rilevanti ai fini del diritto della concorrenza. Entrambe le ricorrenti mettono, inoltre, in evidenza come la limitazione all'anno 1998 del periodo di riferimento per la prima infrazione avrebbe comportato una modifica sostanziale dell'addebito, con particolare riguardo alla tipologia della condotta ed agli elementi probatori posti a base del giudizio di colpevolezza, con ciò incidendo negativamente sull'effettivo dispiegarsi del diritto di difesa.
Le censure non colgono nel segno.
Quanto al primo profilo (contrasto tra l'impostazione unitaria originaria e la molteplicità della fattispecie sanzionate conclusivamente), mette conto di rimarcare come l'atto di comunicazione delle risultanze istruttorie abbia avuto cura di trattare in maniera distinta sia la pratica concordata riguardante l'offerta commerciale relativa alle comunicazioni fisso-mobile (in seguito, f/m), sia l'accordo intervenuto nel corso del mese di dicembre dell'anno 1998 per la rimodulazione dell'offerta a valere nel 1999, sia, infine, l'accordo sul prezzo dell'interconnessione. E' sufficiente citare, in proposito, il paragrafo 226 delle risultanze istruttorie, dove, con riguardo all'accordo di rimodulazione del dicembre 1998, si rimarca che esso "in ogni caso integra una specifica ed autonoma violazione dell'art.2, comma 2, lett. a, della legge n.287/1990". Nella stessa prospettiva, merita ricordare come le memorie di replica, prodotte in sede procedimentale dalle parti oggi appellanti nel giugno 1999, a confutazione degli addebiti rivolti, diano contezza della chiara percezione della natura delle infrazioni de quibus, sì da escludere, anche sul terreno concreto, che si siano verificati vulnera ai danni del diritto di difesa.
Il Collegio condivide, inoltre, le argomentazioni sviluppate dal Primo Giudice al fine di negare, quanto alla prima infrazione (contestata per gli anni 1995-1998 e punita per il solo 1998), che la restrizione temporale del periodo considerato rispetto all'originaria ipotesi di lavoro possa avere comportato un'alterazione sostanziale della natura dell'addebito e, per l'effetto, un'incisione del diritto di difesa. La circostanza che il torno di tempo per il quale si è ritenuta raggiunta la prova sia compreso nell'arco cronologico complessivamente preso in considerazione nell'originaria contestazione (riguardante lo spazio compreso tra la fine del 1995 e tutto il 1998) mette plasticamente in evidenza, in base al principio di continenza ampiamente esplorato dalla giurisprudenza processualpenalistica, la comprensione del fatto sanzionato nell'originario addebito e, in definitiva, confuta qualsivoglia dubbio in merito all'ipotetica mutazione in corso d'opera della fattispecie sulla quale le parti erano state chiamate ad esplicare le facoltà difensive e partecipative. Decisiva in tal senso appare la considerazione che la limitazione temporale non ha comportato un'alterazione dei tratti distintivi delle condotte imputate: a fronte, infatti, di un'originaria ipotesi di lavoro tesa a prefigurare una pratica concordata intesa a fissare le tariffe per le chiamate f/m per il periodo 1995-1998, l'AGCM, tracciando un ordito argomentativo che ha lasciato inalterate le connotazioni oggettive e soggettive delle condotte asseritamente illecite, ha ritenuto che la relativa prova fosse pienamente raggiunta soltanto per l'anno 1998 mentre per gli anni precedenti la persuasività degli argomenti difensivi fosse idonea a scalfire la pregnanza degli elementi di incolpazione. Ferma l'identità sostanziale della condotta, la restrizione temporale è stata quindi provocata esclusivamente da valutazioni sul terreno meramente probatorio, all'evidenza inidonee a significare un'apprezzabile alterazione del fatto sanzionato rispetto a quello contestato.
3.2. Con un secondo motivo di appello la TIM si duole della reiezione dell'originaria censura con la quale la società aveva lamentato l'omessa sottoposizione della documentazione relativa agli scritti difensivi prodotti nel corso dell'istruttoria dalle società appellanti all'attenzione dell'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, chiamata ad esprimere il parere di propria competenza nel corso della procedura di che trattasi.
La censura non merita favorevole considerazione.
Ai sensi della legge 10 ottobre 1990, n.187 e del regolamento di cui al d.P.R. 30 aprile 1998, n.217, il diritto di difesa deve trovare piena esplicazione nell'ambito della sequenza procedimentale svoltasi innanzi all'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (di qui in avanti AGCM), titolare del potere di adottare il provvedimento finale. Quanto, invece, agli atti endoprocedimentali acquisiti nel corso della procedura - come nel caso di specie, relativo alla formulazione di parere tecnico-giuridico da parte dell'AGCom - ciò che rileva è che l'organo chiamato a fornire il proprio apporto sia stato messo nelle condizioni di interloquire cognita causa, ossia sulla base di una rappresentazione degli elementi di fatto capace di consentire una consapevole ed informata espressione dell'avviso. La documentazione in atti e lo stesso tenore del parere di cui si discorre mettono allora in chiaro come, al di là dell'integrale sottoposizione al vaglio del Garante di tutta la documentazione difensiva, all'attenzione dell'AGCom siano stati portati tutti gli elementi di fatto e di diritto rilevanti ai fini della compiuta valutazione della vicenda in contestazione, ivi comprese le argomentazioni difensive spese dalle parti ed efficacemente riassunte nello schema di provvedimento allegato alla richiesta di parere. A riprova dell'adeguatezza della documentazione all'uopo consultata, si deve vieppiù osservare che, con nota del 15.9.1999, l'AGCom, a seguito di una disamina dello schema di provvedimento già in origine compreso nella documentazione trasmessa, ha chiesto di avere accesso a numerosi atti ritenuti utili ai fini della formulazione del parere, ivi comprese le memorie difensive prodotte dalle parti. Incontestabile essendo l'adeguatezza della documentazione trasmessa ai sensi dell'art.1, comma 6, lett. c), n.11, della legge n.249/1997 - ed essendo anzi intervenuta una verifica al riguardo da parte della stessa autorità chiamata a fornire il contributo consultivo - si deve allora escludere che il parere in parola sia stato inficiato da una violazione procedimentale capace di refluire negativamente sulla legittimità della determinazione finale impugnata in prime cure.
4. Si può ora passare all'esame delle censure sostanziali mosse nei confronti della determinazione dell'AGCM, a partire dalla sanzione inflitta per l'infrazione sub a), relativa alla pratica concordata nella fissazione delle tariffe f/m. Giova ricordare in punto di fatto che al cospetto di un addebito riguardante il periodo di tempo compreso tra l'attivazione del servizio GSM (fine dell'anno 1995) e l'anno 1998, con la determinazione finale il Garante ha adottato una misura sanzionatoria con riguardo esclusivo all'anno 1998.
Si assume nel provvedimento che TIM e OPI, in quanto concessionarie di reti radiomobili, hanno posto in essere, nel corso del 1998, un'intesa anticoncorrenziale nella forma della pratica concordata consistente nella fissazione di prezzi identici, nella struttura e nel livello, per le comunicazioni provenienti da apparecchi della rete fissa e terminate sulla rete mobile (f/m). I prezzi delle comunicazioni mobile-mobile e mobile-fisso sono rimasti invece estranei all'oggetto dell'istruttoria e del provvedimento. Si deve altresì precisare che l'istruttoria ha riguardato esclusivamente i sistemi di comunicazione mobile su standard numerico GSM a tecnologia digitale, avviati a partire dalla fine del 1995 sulla base di due distinte convenzioni stipulate dal Ministero delle Poste e Telecomunicazioni con OPI e Telecom Italia (a cui è subentrata in seguito TIM) ed approvate rispettivamente con d.P.R. 2 dicembre 1994 e d.P.R. 22 dicembre 1994. Sono rimasti, invece, estranei all'indagine del Garante i servizi di telefonia mobile su standard analogico TACS, espletati in via esclusiva dalla Telecom e poi da TIM, sulla base di tariffe che, almeno fino alla fine del 1997 (cfr. infra sul punto), erano sottratte alla disponibilità unilatelare del gestore. E' utile soggiungere, al riguardo, che l'offerta al pubblico del servizio TACS ha ricevuto iniziale disciplina con il D.M. 13 febbraio 1990, n.33, Regolamento concernente il servizio radiomobile terrestre di comunicazione, per essere poi subordinata all'osservanza di un contratto di programma stipulato in data 27 maggio 1997 fra il Ministero delle Poste e Telecomunicazioni e la TIM, contratto che regolamentava diversi aspetti delle modalità di esercizio e di offerta al pubblico del servizio, come la qualità di questo, le frequenze utilizzate, le condizioni economiche di offerta, gli inadempimenti e le penalità, gli aggiornamenti e le revisioni.
Tale essendo il perimetro cronologico ed oggettivo dell'indagine, l'Autorità ha preso le mosse dalla considerazione che i prezzi delle comunicazioni f/m espletate secondo la tecnica GSM sono rimasti praticamente invariati rispetto a quelli praticati a partire dal 1995, anno di inizio del servizio con il sistema della telefonia digitale, e più precisamente sono sempre stati identici alle tariffe stabilite, alla stregua della dinamica sopra tratteggiata, per l'espletamento del servizio, in via esclusiva, da parte della TIM in base alla più risalente tecnica analogica TACS.
Con riferimento al periodo anteriore all'anno 1998, l'AGCM sostiene che "nell'analizzare il parallelismo di condotta delle parti si possono ritenere non manifestamente infondate alcune delle motivazioni da queste sviluppate che tendono a qualificare come individualmente razionale, per ciascuna di esse, il comportamento di prezzo prescelto"; pertanto in tale periodo "non risulta provato che il riscontrato comportamento parallelo di prezzo fosse inequivocabilmente determinato da un'intesa fra le stesse imprese" (punto 224 del provvedimento impugnato).
A diversa conclusione si addiviene per quel che concerne la riconducibilità del parallelismo tariffario osservato nel corso dell'anno 1998 ad una concertazione in tal senso sviluppata dalle sue società. A sostegno dell'assunto si mette in rilievo che "le risultanze istruttorie dimostrano il fatto che le imprese hanno avuto nel corso del 1998 numerosi contatti, documentati almeno a partire dalla metà del 1998, in relazione alle strategie da attuare a fronte del fenomeno degli arbitraggi internazionali e dell'effettiva attribuzione a Telecom Italia della titolarità della tariffa fisso-mobile, al fine di perseguire l'obiettivo comune di mantenere inalterati i ricavi derivanti dalle comunicazioni entranti da Telecom Italia" (punto 123).
In sostanza, la giustificazione di tale differenziazione tra i periodi in esame è fatta risalire alla diversa struttura del mercato nel periodo di riferimento. Per l'arco temporale antecedente al 1998, con specifico riferimento alla TIM, "si può ritenere che l'aver inizialmente allineato il prezzo delle comunicazioni f/m del proprio servizio GSM al livello del corrispondente prezzo per il traffico TACS possa trovare spiegazione diversa dall'esistenza di una pratica concordata con l'impresa concorrente nel fatto che quest'ultimo servizio costituiva un punto di riferimento per così dire "naturale" per tale società"; ne deriva che "l'allineamento sui prezzi f/m del TACS costituiva per TIM un modo di preservare una fonte di ingenti guadagni di cui godeva, come è stato più volte menzionato, in esclusiva" (punto 225). Per quanto concerne, invece, i comportamenti tenuti prima del 1998 da OPI, l'AGCM sostiene che "i comportamenti di OPI, società caratterizzata, all'inizio della competizione, da un contenuto potere economico e finanziario, e da un contestuale impegno in ingenti investimenti per l'ingresso nel mercato e la costruzione di una propria rete, appare plausibile la razionalità individuale della scelta di applicare prezzi per il f/m uguali a quelli praticati per il TACS. Ne deriva la ragionevolezza di una motivazione opportunistica, fornita dalla stessa OPI, per l'applicazione di prezzi al pubblico f/m uguali a quelli applicati da TIM, considerati convenienti per le strategie commerciali di OPI, anche al di fuori di un quadro collusivo fra i due operatori".
In altri termini gli elementi discretivi emersi nel 1998, tali da non rendere più giustificabile, in un'ottica di razionalità imprenditoriale, le condotte parallele tenute dai due concorrenti sono dati:
a) dalla liberalizzazione delle tariffe del sistema TACS, tale da far venire meno, per la TIM, il rischio di cannibalizzazione di un prodotto gestito in chiave monopolistica, rischio collegato all'offerta di prezzi più appetibili per il sistema GSM, tecnologicamente più avanzato e destinato a più interessanti prospettive strategiche;
b) dal più solido radicamento sul mercato di OPI, tale da consentire, in un contesto caratterizzato dalla diffusione esponenziale della telefonia mobile, più coraggiose ed aggressive manovre sul piano dei prezzi delle chiamate originate dal fisso e destinate al mobile.
Detti elementi sopravvenuti, accompagnati da una ragnatela di contatti sviluppatisi nel corso dell'anno e dai rapporti intercorsi nei periodi precedenti, renderebbero non più razionalmente spiegabile l'appiattimento delle due società come frutto di scelte autonome basate su di un lecito calcolo di convenienza economica e fanno sì che l'unica plausibile chiave di lettura sia data dall'intervento di un'intesa distorsiva del libero esplicarsi del giuoco concorrenziale.
4.1. Prima di passare alla disamina della censure mosse da entrambe le parti ricorrenti all'indirizzo della parabola motivazionale tracciata dall'Autorità - con specifico riferimento agli elementi di novità idonei a contrassegnare, in termini di illiceità, comportamenti reputati non illeciti, per difetto di adeguato riscontro probatorio, per gli anni immediatamente precedenti - il Collegio deve soffermarsi sulla censura, mossa in primo grado e ribadita in appello dalla sola TIM, intesa a negare in radice che le società concessionarie del GSM fossero titolari della tariffa f/m, ossia avessero la facoltà di fissare il prezzo di tale servizio. La censura assume carattere pregiudiziale, nel senso che dalla premessa della consapevole impossibilità per i due gestori mobili di stabilire le condizioni economiche dell'offerta per le comunicazioni f/m discenderebbe l'ineluttabile corollario della non configurabilità di un accordo funzionale alla fissazione di condizioni identiche.
La tesi elaborata dalla TIM è così riassumibile: la comunicazione fisso/mobile non poteva formare oggetto di offerta da parte delle concessionarie del GSM perché rientrava nell'obbligazione contrattuale assunta da Telecom Italia verso i propri abbonati, ai sensi dell'art.1 della concessione SIP approvata con d.P.R. 13 agosto 1984, n.523, che accordava l'esclusiva per tutti i servizi di telecomunicazioni. Per conseguenza, si deve ritenere non riferibile al prezzo del f/m l'art.8, che si ritrova nell'identico testo delle due convenzioni del 1994 relative al servizio GSM, il quale stabilisce che le condizioni economiche di offerta al pubblico del servizio sono fissate dalla società concessionaria. Nessun peso può infine attribuirsi al disposto dell'art.15 di entrambe le convenzioni, laddove si stabilisce la misura del compenso dovuto a Telecom per l'utilizzo della rete fissa (cd access charge), posto che la norma si riferisce tanto alle comunicazioni f/m che a quelle m/f.
Il Consiglio, nell'escludere che con riguardo alla censura in esame si sia configurato il lamentato vizio di infrapetizione, deve convenire con i primi Giudici che la ricostruzione di TIM è non solo sprovvista di fondamento giuridico ma anche ininfluente ai fini che qui rilevano. Ed infatti, anche ove si dovesse concludere, per ipotesi, che le concessionarie non erano, secondo diritto, titolari dell'offerta economica del f/m, prevarrebbe comunque, in sede di valutazione del comportamento, il pacifico dato storico alla stregua del quale le stesse ritenevano di essere titolari di tale potestà.
Significative appaiono, in tale prospettiva, per la posizione di OPI, i documenti acquisiti dall'AGCM e citati nel provvedimento impugnato (paragrafi 67-84), atti a comprovare oltre ogni ragionevole dubbio che la ridetta società abbia sempre sposato e fatto valere con vigore la tesi della disponibilità dell'offerta anche per il f/m, confermando la stessa posizione anche nella vertenza in esame.
Quanto, poi, alla posizione di TIM, meritano attenzione le note 18 febbraio e 15 aprile 1998, dirette al Ministero delle Poste e Telecomunicazioni, che esprimono la determinazione di modificare l'offerta relativa al volume di traffico originato dalla rete fissa, praticando sconti a volumi particolarmente elevati, intenzione poi tradotta in pratica nonostante l'originaria opposizione manifestata dal Ministero.
Più in generale, la vicenda relativa alla fissazione dei prezzi per l'anno 1998 (di cui si dirà al punto 5) testimonia con nettezza come entrambe le società, proprio prendendo le mosse dall'indiscussa premessa della titolarità della tariffa per le chiamate f/m, intendessero adottare le opportune contromisure per contrastare o elidere gli effetti della perdita di detta titolarità, riconosciuta in capo al gestore fisso, nel quadro del mutato contesto normativo di riferimento.
Le argomentazioni esposte da TIM, oltre che non praticamente conferenti, sono anche giuridicamente prive di pregio.
La spettanza in capo ai due gestori mobili della titolarità della tariffa f/m appare in termini oggettivi smentita dal combinato disposto degli artt.8 e 15 delle due convenzioni GSM precedentemente rammentate.
In particolare, l'art.8, comma 1, delle due identiche convenzioni disponeva che "Le condizioni economiche di offerta al pubblico del servizio radiomobile GSM oggetto di concessione ed ogni successiva variazione sono fissate dalla società previa comunicazione, con almeno trenta giorni di anticipo, al Ministero delle Poste e Telecomunicazioni..". Il successivo art.15, poi, relativo all'utilizzazione della rete fissa per comunicazioni mobile-fisso e fisso-mobile, stabiliva che "Il compenso per l'accesso e l'utilizzazione della rete telefonica pubblica commutata (cd. accesso charge) viene stabilito, sia nel caso di comunicazione fisso-mobile che di comunicazione mobile-fisso in 200 lire/minuto medie". Dal combinato disposto delle due norme, la cui formulazione letterale non consente una restrizione interpretativa volta ad escluderne la riferibilità alle chiamate f/m, si ricava che per le comunicazioni tutte riguardanti il servizio radiomobile GSM dato in concessione le tariffe venivano stabilite dal gestore mobile mentre al gestore fisso, per l'impiego necessario della sua rete, veniva accordato un compenso pari a lire 200 al minuto. Accadeva allora che, essendo il chiamante un abbonato del gestore fisso (all'epoca Telecom in una condizione monopolistica), quest'ultimo tratteneva dalle somme addebitate all'utente il compenso spettante in base al ricordato art.15 e versava la restante parte in favore del gestore mobile di turno in base alla condizioni economiche da questo stabilite.
L'assunto è corroborato, sul piano positivo, dal successivo dettato dell'art.7, comma 9, del d.P.R. 19 settembre 1997, n.318, recante Regolamento per l'attuazione di direttive comunitarie nel settore delle telecomunicazioni, ove si dispone che "spetta al gestore dalla cui infrastruttura la chiamata è originata definire le condizioni economiche di offerta", di "accesso e di uso di una rete telefonica pubblica fissa di telecomunicazioni"; nel successivo periodo la norma demanda all'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni il compito di stabilire, entro il 1° gennaio 1999, "le modalità e le scadenze per definire la titolarità della tariffa relativa alle chiamate originate da una rete telefonica relativa alle chiamate originate dalla rete telefonica pubblica fissa e terminate sulle reti radiomobili in esercizio alla data di entrata in vigore del presente regolamento".
Come correttamente osservato dal primo Giudice "l'ultima parte della disposizione, al di là di ogni ragionevole dubbio, prefigura l'adozione di successivi provvedimenti per applicare il principio generale, enunciato all'inizio, nei confronti delle concessionarie di reti radiomobili in esercizio e quindi, per sottrarre loro la facoltà di decidere delle condizioni di offerta del f/m, della quale allo stato, evidentemente, disponevano". Si tratta, cioè, di una norma che, in un'ottica chiaramente innovativa rispetto alla situazione preesistente, vuole trasferire in testa al gestore fisso la titolarità di una tariffa in precedenza appartenuta ai gestori mobili, come confermato dalle ricordate norme delle convenzioni GSM.
La ricostruzione è suffragata dalla successiva delibera dell'AGCom del 22 dicembre 1998, che, in ossequio al dettato dell'art.7, comma 9, del d.P.R. n.318/1997, testualmente "dispone l'attribuzione della titolarità della tariffa per le comunicazioni originate da rete fissa e terminate su reti mobili all'operatore di rete fissa dalla quale la comunicazione ha origine". In altri termini, solo con detta delibera si è disposto il passaggio della titolarità della tariffa in capo a Telecom - prima spettante ai gestori mobili - rinviando ad un successivo provvedimento le modalità della tariffazione. In senso conforme all'interpretazione fin qui offerta, secondo cui le società appellanti sarebbero state fino al 1998 titolari delle condizioni economiche di offerta, e quindi detentrici di piena libertà imprenditoriale ai fini della fissazione delle condizioni economiche relative al servizio di cui si discorre, si pone anche il parere reso il 22 settembre del 1999 dall'AGCom nel corso della procedura culminata con il provvedimento impugnato nel corso del presente giudizio.
4.2. Tanto premesso sul punto dell'ascrizione in capo ai due gestori di telefonia mobile della titolarità della tariffa, si tratta di verificare se gli elementi di novità valorizzati dall'AGCM siano idonei, da soli o accompagnati da altri elementi di riscontro, a giustificare la valutazione, in termini di illiceità, delle condotte ritenute spiegabili, per anni precedenti, come possibile frutto di legittime opzioni imprenditoriali.
Giova all'uopo passare in rassegna le coordinate tracciate dall'elaborazione giurisprudenziale, comunitaria e nazionale, circa gli elementi distintivi ed i profili probatori della pratica concordata ex art.2, comma 2, lett. a, della legge n.287/1990, fattispecie contestata e sanzionata con riguardo alla prima infrazione. In specie vanno analizzate le indicazioni fornite dalla giurisprudenza con specifico riferimento al caso di parallelismo consapevole (cd. consciuous parallelism) osservato da parte degli attori di un mercato concorrenziale rarefatto di carattere oligopolistico.
Costituisce acquisizione pacifica l'assunto secondo il quale, a differenza di un accordo, che può trovare la fonte in un atto scritto, la pratica concordata corrisponde ad una forma di coordinamento fra imprese che, senza essere stata spinta fino all'attuazione di un vero e proprio accordo, sostituisce consapevolmente una pratica collaborazione fra le stesse ai rischi della concorrenza (cfr., da ultimo, Cons. Stato, sezione VI, 12 febbraio 2001, n.652). La pratica, al pari dell'accordo in senso stretto, vuole sostituire alla concorrenza una forma di coordinamento caratterizzata da un'azione comune così riproducendo, pur se in una sfera collettiva ed apparentemente concorrenziale, i vantaggi propri del comportamento del monopolista ed arrecando i conseguenti pregiudizi ai consumatori.
I criteri del coordinamento e della collaborazione, che permettono di definire tale nozione, vanno intesi alla luce della concezione che inerisce alle norme del Trattato in materia di concorrenza e secondo la quale ogni operatore economico deve autonomamente determinare la condotta che egli intende seguire sul mercato comune.
In sostanza, ogni operatore economico deve determinare autonomamente la propria condotta e ciò non esclude il diritto a reagire in maniera intelligente al comportamento, constatato o atteso, dei concorrenti; è però vietato ogni contatto, diretto o indiretto, tra gli operatori che abbia per oggetto o per effetto di influenzare il comportamento sul mercato di un concorrente o di mettere al corrente tale concorrente sul comportamento che l'impresa stessa ha deciso di porre in atto (cfr., cit. Dec. Comm. CECA, par.33; cit. Corte Giust., Anic, par.117; Corte Giust., C- 40/73, Suiker Unie, par.173-175).
Ciascun concorrente è libero di modificare i prezzi tenendo conto del comportamento altrui, ma è vietata ogni forma di collaborazione per stabilire linea d'azione o eliminare incertezze sul reciproco comportamento (Corte Giust. CE, C 57/69 del 14.7.72, Acna). Dette condotte, intese al coordinamento delle condotte ed alle informazioni reciproche, finiscono infatti per sostituire all'alea della concorrenza il vantaggio della concertazione, così erodendo i benefici che in favore dei consumatori derivano dal normale uso della leva concorrenziale, ossia dalla fisiologica tensione di ogni impresa concorrente a ritagliarsi fette di mercato proponendo condizioni, sotto il profilo economico o sul versante dei caratteri dei prodotti e dei servizi, più appetibili per il fruitore, anche in un'ottica di prevenzione e contrasto di non conosciute iniziative degli altri operatori economici.
4.3. Passando all'esame del dato positivo, l'art.2 della legge n.287/90, dopo aver precisato che si considerano intese gli accordi e/o le pratiche concordate, statuisce che sono vietate le intese tra le imprese che abbiano per oggetto o per l'effetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza all'interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante, passando poi ad elencare alcuni comportamenti vietati, tra cui (lettera a) quello di fissare direttamente o indirettamente i prezzi di acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali.
La questione della necessità della contemporanea presenza di oggetto ed effetti distorsivi della concorrenza è stata già da tempo approfondita dalla giurisprudenza comunitaria.
Nonostante la congiunzione "e" contenuta solo nella traduzione italiana norma comunitaria (a differenza della "o" presente nelle altre versioni dell'ex art.85 del Trattato CE), la Corte di Giustizia ha dapprima chiarito che è sufficiente la presenza dell'oggetto anticoncorrenziale, e non anche necessariamente dell'effetto (cfr., Corte Giust. CE, C - 219/95, Ferriere Nord, 17.7.97, par.30 e ss., con riferimento agli accordi). Successivamente ha precisato che anche le pratiche concordate sono possibili pur in assenza di effetti anticoncorrenziali, in quanto la pratica presuppone un comportamento dipendente dalla concertazione, ma non implica necessariamente che tale comportamento abbia l'effetto di impedire o falsare la concorrenza (cfr., Corte Giust. CE, C - 235/92, Montecatini, 8.7.99; C- 49/92, Anic, 8.7.99).
4.3.1. Tanto premesso sui tratti distintivi della pratica concordata nella legislazione antitrust, comunitaria e nazionale, si può passare al terreno delle prove necessarie ai fini della dimostrazione di una pratica concordata. La giurisprudenza, consapevole della rarità dell'acquisizione di una prova piena (il cd. smoking gun: il testo dell'intesa; documentazione inequivoca della stessa; atteggiamento confessorio dei protagonisti) e della conseguente vanificazione pratica delle finalità perseguite dalla normativa antitrust che scaturirebbe da un atteggiamento troppo rigoroso, reputa sufficiente (e necessaria) la delineazione di indizi, purché gravi precisi e concordanti, circa l'intervento di illecite forme di concertazione e coordinamento.
Nonostante l'affacciarsi di isolate voci dottrinali diversamente orientate, la consolidata elaborazione pretoria esclude, peraltro, che la semplice identità delle condizioni di offerta da parte degli imprenditori possa costituire da sola indizio idoneo a suffragare l'esistenza di un accordo o di una pratica concordata, salvo il caso eccezionale nel quale l'anomalia dell'appiattimento non sia spiegabile altrimenti che come frutto di un'intesa illecita sul versante concorrenziale. In definitiva, in assenza di elemento ulteriore di riscontro, il parallelismo si appalesa ex se sintomatico di una condotta illecita sul versante soggettivo solo ove non sia configurabile una spiegazione alternativa capace di inquadrare le condotte identiche alla stregua di frutto di razionali ed autonome scelte imprenditoriali, fisiologicamente condizionate dalla previsione dell'altrui possibile risposta ad un'iniziativa differenziatrice. La dimostrazione dell'accordo o della pratica concordata si concreta, in altri termini, nella prova logica, il cui onere incombe in capo all'Autorità, rappresentata dall'impossibilità di dare una diversa spiegazione capace di collegare la situazione di mercato alle normali scelte imprenditoriali.
Il problema della prova assume particolare rilievo laddove il mercato assuma una connotazione oligopolistica (come nel caso di specie, in cui all'epoca dei fatti emergeva una gestione duopolistica del servizio mobile GSM), posto che, in una situazione già in origine contraddistinta da una labile affermazione del principio concorrenziale, l'allineamento delle condizioni commerciali è conseguenza dei normali meccanismi competitivi, alla luce della prevedibile reazione degli altri attori di pari forza ad altrui iniziative dirette all'accaparramento di nuove quote di mercato. In sostanza il mercato oligopolistico, se da un lato è caratterizzato da una situazione di maggiore debolezza dei consumatori e di corrispondente più accentuata dimensione lesiva di fenomeni anticoncorrenziali, si presenta d'altro canto come terreno fertile per un allineamento tendenziale delle condizioni di offerta, specie laddove sia limitato il rischio dell'ingresso di nuovi competitori ed i consumi non siano in termini assoluti variabile dipendente in misura significativa dalle condizioni di offerta. La naturale e rapida risposta omogenea degli altri o dell'altro competitore all'iniziativa del concorrente, sub specie di manovra sui prezzi o di variazione dei caratteri del prodotto o della relativa offerta, innesca infatti un'omogeneizzazione dei comportamenti degli operatori tanto più accentuata quanto più la diffusione del prodotto sia anelastica rispetto al prezzo, i margini di profitto siano soddisfacenti nell'assetto di mercato e non siano prospettabili turbative legate all'ingresso di terzi.
Il problema della prova della pratica concordata in un mercato oligopolistico è stato affrontato funditus, dalla sentenza cd. "Pasta di legno", che rappresenta il leading case in materia (Corte Giust. CE, C - 89/85, 31.3.93 Woodpulp - Pasta di legno).
Con tale decisione la Corte di Giustizia ha escluso l'esistenza di una pratica concordata, rilevando che in quel caso il parallelismo di comportamenti (dei prezzi) poteva trovare giustificazione nelle particolari caratteristiche di un mercato oligopolistico. Di qui la conclusione della liceità dei comportamenti paralleli tenuti in un mercato ove, in assenza di elementi di prova, l'omogeneità delle condotte possa essere la risultante di scelte imprenditoriali logiche e razionali, ossia allorquando sia paventabile una plausibile ricostruzione alternativa.
La fattispecie esaminata dalla Corte riguardava un sistema di annuncio dei prezzi agli utilizzatori da parte dei produttori della c.d. "pasta di legno". Le spiegazioni alternative che in quel caso hanno comportato l'esclusione della sussistenza della pratica erano riferite alle caratteristiche di un mercato, quello della pasta di legno, che è un mercato di "oligopoli - oligopsoni" (pochi produttori e pochi acquirenti), caratterizzato dalla c.d. "inerzia dei prezzi": se i prezzi diminuiscono, non aumentano le vendite e se aumentano, i concorrenti non sono indotti ad adeguarsi (cfr. cit. sentenza, par.102 e 103). Il parallelismo trovava quindi nella specie una spiegazione dipendente da quella particolare struttura del mercato, che peraltro era un mercato a lungo termine, in cui erano gli stessi acquirenti a sentire il bisogno di ridurre i rischi commerciali (cfr., sent. cit., par.126).
4.3.2. La giurisprudenza comunitaria ha allora distinto tra parallelismo naturale e parallelismo artificiosamente indotto da intese anticoncorrenziali, osservando che elementi a sostegno della seconda fattispecie, la cui prova compete all'autorità procedente, possono essere dati:
a) dalla certa diversità dei prezzi praticati in una condizione di concorrenza non legata rispetto a quelli praticati nella specie;
b) dal carattere autolesionistico che una determinata politica commerciale rivestirebbe se non fosse frutto di un'intesa anticoncorrenziale;
c) dal contrasto tra l'omogeneità dei prezzi e la diversità della struttura dei concorrenti e dei relativi fattori di costo.
Fin qui gli elementi di prova (rectius indiziari) endogeni, ossia collegati alla stranezza intrinseca della condotta, ovvero alla ricordata mancanza di spiegazioni alternative nel senso che, in una logica di confronto concorrenziale, il comportamento delle imprese sarebbe stato sicuramente o almeno plausibilmente diverso da quello in pratica riscontrato.
4.3.3. Un discorso a parte merita il capitolo degli elementi indiziari esogeni, ossia dei riscontri esterni circa l'intervento di un'intesa illecita al di là della fisiologica stranezza della condotta in quanto tale. Ci si riferisce alla prova di contatti tra le imprese e, soprattutto, di scambi di informazioni circa iniziative, strategie, politiche dei prezzi ed altri aspetti dell'attività commerciale, non altrimenti spiegabili un contesto di sano confronto concorrenziale e, quindi, sintomatici di un'intesa illecita. Detti scambi di informazioni, specie se sistematici, assumono una particolare gravità in caso di mercato oligopolistico, in quanto, specie se riferiti ai cd. fattori sensibili (prezzi correnti, fattori di costo, piani e previsioni di prezzo per il futuro), elimina l'unico fattore che può spingere le imprese soddisfatte della quota di mercato raggiunta ad un ribasso dei prezzi, ossia il timore di una manovra competitiva sui prezzi da parte dei concorrenti e la conseguente necessità di prevenirla o contrastarla efficacemente.
Nell'affrontare il rapporto tra parallelismo consapevole oligopolistico e scambi di informazioni, la giurisprudenza nazionale ha puntualizzato che la prova indiziaria dell'intesa illecita può risiedere nell'emersione di una trama di contatti e di scambi di informazioni tre le imprese concorrenti, circa le iniziative commerciali e le strategie operative ed economiche, tale da far presumere l'utilizzo di tali elementi al fine di ridurre, a danno dei consumatori, i rischi sottesi, per le imprese, all'uso fisiologico della leva concorrenziale. In presenza di tali elementi di corroboration, il parallelismo si colora di illiceità e viene spostata in capo alle imprese, con un inversione dell'onere della prova altrimenti gravante sull'Autorità, la necessità di fornire una giustificazione diversa dei contatti e delle informazioni e, in particolare, di spiegare la razionalità economica delle condotte parallele in una prospettiva di autonome iniziative di impresa. In siffatte ipotesi, allora, il parallelismo di comportamento non viene assunto dall'Autorità come base di partenza autosufficiente per dimostrare la pratica concordata, ma è utilizzato come ulteriore dimostrazione dell'intesa, fondata sullo scambio di informazioni, idoneo a ridurre i rischi e l'incertezza di un mercato concorrenziale.
I principi ora ricordati sono stati sviluppati dalla Sezione con la ricordata decisione n.652/2001, la quale ha concluso nel senso della legittimità dei provvedimenti sanzionatori adottati dall'AGCM all'esito di un'istruttoria per un'ipotesi di violazione dell'art.2 della legge n.287/1990, avente ad oggetto accordi o pratiche concordate tra le principali case discografiche (c.d. major), con riguardo: a) alla fissazione dei prezzi di vendita di supporti fonografici agli esercizi commerciali (c.d. prezzi di listino o PPD); b) alla determinazione di altri aspetti delle politiche commerciali attuate nei confronti dei rivenditori; c) alla limitazione ed alla ripartizione dei titoli interessati alla campagna pubblicitaria attuata in occasione del Salone della Musica svoltosi nel mese di ottobre 1996.
La Sezione ha reputato che elementi di riscontro adeguati fossero dati dalla prova: a) che, nell'ambito di una struttura associativa dei produttori in esame (F.M.I.), le major discutevano dei prezzi di vendita dei supporti fonografici; b) che la F.I.M.I. mensilmente richiedeva a ciascuna delle 5 major di fornire i dati relativi al numero dei supporti venduti e al valore delle vendite realizzate, al netto degli sconti e delle rese; c) che sono stati rinvenuti sia presso la F.I.M.I. che presso le singole case i tabulati contenenti i dati sopra descritti, trasmessi da ogni singola impresa secondo uno schema dettagliato e disaggregato; d) che presso la sede della Polygram e della Warner sono stati rinvenuti i prospetti contenenti dati disaggregati di tutte le case discografiche; e) che presso le sedi della BMG - Ricordi e della Polygram sono stati trovate le comunicazioni dei listini prezzi, aventi data anteriore alla decorrenza dei listini stessi; che lo scambio di informazioni era esteso anche all'organizzazione congiunta di eventi promozionali rivolti al consumatore.
Ha quindi reputato il Collegio ragionevoli le conclusioni raggiunte dall'Autorità alla stregua delle quali:
a) lo scambio implicava la messa in comune di valutazioni che, in un mercato effettivamente concorrenziale, sarebbero state gelosamente custodite da ciascuna impresa;
b) tale sistematico ed articolato scambio di informazioni ha avuto l'effetto di comprimere il già ridotto grado di concorrenza esistente sul mercato, trattandosi di un mezzo idoneo a pregiudicare la necessaria autonomia e indipendenza delle imprese nella determinazione della propria condotta, riducendo l'incentivo ad adottare autonome strategie di prezzo. La natura delle informazioni condivise avrebbe consentito a ciascuna impresa di reagire con prontezza a eventuali iniziative concorrenziali delle altre, riducendo il grado di incertezza tipico di un mercato concorrenziale e consentendo il reciproco controllo di eventuali comportamenti devianti.
La Sezione ha rammentato che "la rilevanza di un tale scambio di informazione e la sua idoneità a costituire elemento presuntivo del parallelismo di comportamento delle imprese sul mercato sono stati in diverse occasioni affermati dagli organi comunitari. Nel valutare un sistema simile di scambio di informazioni, relativo ai listini prezzi di prodotti laminati ed effettuato da parte di un'associazione di categoria in favore delle singole imprese, la Commissione ha rilevato che in tal modo imprese tra loro concorrenti vengono senza indugio messe al corrente delle imminenti variazioni dei prezzi, prima della pubblicazione dei listini e possono così allineare immediatamente i loro prezzi sui listini, così come le imprese che alzano i prezzi sanno che i loro concorrenti saranno pronti ad allinearsi, riducendo il rischio di perdita di clienti (Dec. Comm. 80/257/CECA dd. 8.2.80, par.31-33).
Anche la Corte di Giustizia ha affermato che si deve presumere che le imprese tengano conto delle informazioni scambiate con i loro concorrenti per determinare il proprio comportamento sul mercato, spettando alle stesse imprese l'onere della prova contraria (Corte Giust, CE, C- 49/92, Anic, 8.7.99, par.121).
Sulla base di tale pacifica giurisprudenza comunitaria cade la tesi dell'irrilevanza dello scambio delle informazioni, attraverso il quale comunque le imprese non si sono limitate a comunicarsi preventivamente solo i prezzi di listino (circostanza di per sé non consentita), ma anche i dati completi e disaggregati delle vendite".
"E' vero che la nozione di pratica concordata implica, oltre alla concertazione fra imprese, un comportamento sul mercato successivo alla concertazione e un nesso causale tra questi due elementi (cfr., cit. Corte Giust., Anic, par.118 e 119, in cui è comunque esclusa la necessità che tale comportamento produca effetti anticoncorrenziali).
Ma è altrettanto vero che la giurisprudenza comunitaria, richiamata in precedenza, ha precisato che in presenza di un sistematico scambio di informazioni l'onere probatorio di una diversa spiegazione dei comportamenti delle imprese grava sulle imprese stesse.
La particolare struttura di un mercato oligopolistico può anzi alterare in modo ancora più sensibile il meccanismo della concorrenza, in presenza di un diffuso scambio di informazioni tra i soggetti che assicurano la maggior parte dell'offerta (cfr. Trib. CE, C - 35/92, 27.10.94, Deere)".
4.3.4. Riassumendo le coordinate dell'elaborazione giurisprudenziale sulla prova della pratica concordata si può allora concludere che un parallelismo consapevole delle condotte tenute da imprese anche operanti in un mercato oligopolistico, di per sé lecito, può essere considerato come frutto di un'intesa anticoncorrenziale, ossia di un vietato coordinamento delle condotte, ove emergano indizi gravi, precisi e concordanti rappresentati, alternativamente o cumulativamente:
a) dall'impossibilità di spiegare alternativamente la condotta parallela come frutto plausibile delle iniziative imprenditoriali;
b) dalla presenza di elementi di riscontro (quali contatti e scambi di informazioni) rivelatori di una concertazione e di una collaborazione anomala.
Quanto all'elemento sub a), va soggiunto che mentre di norma la prova dell'irrazionalità della condotta va data dall'Autorità, nel caso in cui emergano elementi di riscontro sub b), l'onere probatorio contrario relativo viene spostato in capo all'impresa.
4.4. Facendo applicazione al caso che qui interessa delle coordinate giurisprudenziali fin qui esposte, il Collegio è chiamato allora a verificare se ricorrano elementi di prova idonei a dimostrare la matrice illecita del parallelismo oggettivamente osservato dalle due società nelle condizioni economiche relative all'offerta del servizio per le comunicazioni GSM F/M per l'anno 1998.
La Sezione, nel condividere le censure articolate dalle parti appellanti, ritiene che al quesito debba essere data risposta negativa.
4.4.1. Cominciando con l'analisi dell'elemento di prova sub a), dato dall'assenza di spiegazioni alternative al comportamento parallelo tenuto dalle società di telefonia mobile, il Collegio ritiene che le spiegazioni fornite nel corso del procedimento e sviluppate in sede di appello dalle parti forniscano una plausibile chiave lecita di lettura della condotta non solo per gli anni dal 1995 al 1997 ma anche per quel che riguarda il 1998.
Gli elementi discretivi addotti dal Garante non riescono infatti a giustificare una lettura differenziata delle condotte delle due imprese.
Quanto alla condotta dell'OPI non risulta convincente l'assunto secondo il quale nel 1998, diversamente che negli anni anteriori, sarebbe stata acquisita una posizione di forza sufficiente al fine di utilizzare la leva dei prezzi per le chiamate di cui trattasi. La tesi mal si concilia con il dato oggettivo, con chiarezza ribadito nel ricordato parere dell'Autorità di settore (parere AGCom del 24.9.1999), secondo il quale già negli anni precedenti, con particolare riguardo al periodo 1996-1997, OPI godeva di una reputazione di mercato capace di consentire un'effettiva utilizzazione della variabile concorrenziale in esame. Il dato è confermato dalla circostanza che negli anni in questione OPI aveva utilizzato altre leve concorrenziali, evidentemente ritenute più significative rispetto a quella in esame, al fine di differenziare la propria offerta rispetto a quella della TIM ed entrare in un mercato fino a quel momento gestito in chiave monopolistica (vedi i prezzi per le chiamate in uscita dal mobile e la relativa articolazione nelle fasce orarie in base alla tipologia di utenza). Si può anzi sostenere, per certi versi, che l'utilizzazione della leva concorrenziale in parola sarebbe stata più logica e produttiva per gli anni precedenti al 1998, anni nei quali, essendo la TIM impossibilitata a variare le condizioni del GSM in modo significativo al fine di evitare la penalizzazione del servizio TACS gestito ancora sulla base di una tariffa bloccata, la manovra al ribasso sui prezzi del f/m da parte dell'OPI avrebbe difficilmente incontrato una rapida reazione da parte del concorrente, così facilitando l'acquisizione, da parte del new entrant, di rilevanti quote di marcato. Si deve allora condividere l'assunto centrale dell'appello OPI alla stregua del quale, se la scelta di quest'ultima società di adeguarsi ai prezzi TIM, a loro volta tratti dall'omologo servizio, poteva costituire, secondo quanto ritenuto dal Garante, il plausibile portato, per gli anni dal 1995 al 1997, di una scelta imprenditoriale, legata alla considerazione circa la non produttività dell'utilizzo di una leva concorrenziale di limitato impatto a fronte di una sicura fonte di extraprofitti, lo stesso può dirsi per l'anno 1998, periodo nel quale, senza che si siano verificati rilevanti cambiamenti nella posizione di forza OPI, permangono, per certi versi accentuati dalla crescita del mercato della telefonica mobile, i fattori che rendevano conveniente la scelta, fattori vieppiù potenziati dalla prevedibile risposta di TIN ad una guerra sui prezzi f/m.
4.4.2. Ugualmente non persuasivo appare l'accento posto dal provvedimento impugnato, al fine di spiegare in termini illeciti il comportamento TIM nel 1998, sul secondo elemento di novità, rappresentato dalla liberalizzazione del servizio di telefonia mobile gestito con la tecnica TACS. Quanto alla premessa del ragionamento sviluppato dall'AGCM, il Giudice di primo grado, sulla base di un'articolata e condivisibile analisi del quadro normativo e delle dinamiche relative alle condotte tenute dagli operatori, ha concluso nel senso che, già nel corso dell'anno 1998, si era passati da un sistema di tariffa imposta, cioè puntualmente predeterminata dall'amministrazione, ad un sistema in cui la tariffa costituiva il tetto massimo del corrispettivo per i servizi resi. All'insistito accento posto dalla TIM sul regime transitorio alla stregua del quale solo con il primo gennaio del 1999 si sarebbe attuata detta modifica del regime giuridico, con correlativa possibilità per TIM di giostrare ai fini del ribasso della tariffa, il TAR ha efficacemente replicato che con il parere del Consiglio di Stato, sez.I, del 10 giugno 1998 si è chiarito in termini univoci che "il detto d.P.R. n.318/1997, presupposto normativo della liberalizzazione, pur non travolgendo per le ragioni dette sopra il contratto di programma quale atto organizzativo nell'interesse pubblico nei rapporti con il gestore, sembra però aver sottratto alla p.a. quel residuo potere impositivo, che essa aveva trattenuto non omologando la disciplina della sfera tariffaria del traffico a quella consensualmente definita per le altre voci. In altri termini, la sopravvenuta profonda modifica del quadro normativo non può non integrare, ab extra, il regolamento contrattuale".
Il passaggio conclusivo del parere in esame mette quindi in risalto con nettezza che già nel 1998, attraverso l'eterointegrazione del contratto di programma stipulato tra gestore del servizio e Ministero, le condizioni economiche, trasformate da parametri integralmente vincolanti in tetti massimi, erano suscettibili di ritocco verso il basso. Di qui la teorica possibilità per TIM di utilizzare la leva dei prezzi anche per le comunicazioni f/m gestite con la tecnica GSM, attesa la possibilità di coordinare dette manovre con interventi collegati sulle omologhe chiamate del TACS.
Reputa, tuttavia, il Collegio che la risposta affermativa al quesito circa l'effettivo completamento di tale processo di liberalizzazione della tariffa verso il basso nel corso del 1998 non consenta di risolvere, in senso positivo, il problema della prova della connotazione illecita del parallelismo tariffario in parola.
In primo luogo, alla tesi centrale del Garante secondo la quale al più tardi con il primo gennaio 1998 sarebbe venuto meno per TIM l'originario deterrente alla manovra sui prezzi per il servizio GSM per le chiamate f/m, si deve obiettare che il ricordato parere del Consiglio di Stato, che ha risolto il problema controverso della liberalizzazione del TACS, risale al mese di giugno 1998; ne deriva la problematica utilizzabilità di detto parere al fine di lumeggiare in un'ottica di illiceità la condotta tenuta nei primi mesi dell'anno 1998, nel corso dei quali l'orientamento amministrativo era stato contrario alla possibilità di incidere sulla tariffa in esame. Si deve soggiungere che con parere del 20 aprile 1998 la stessa AGCM, sollecitata dal Ministro per le Comunicazioni, ha espresso avviso negativo circa il perfezionamento del processo di liberalizzazione della tariffa TACS prima dell'inizio del 1999, osservando che fino a tale data "devono ritenersi validi e, quindi, vincolanti gli obblighi regolamentari derivanti dal rapporto concessorio in essere tra l'amministrazione e la società TIM, compreso il contratto di programma, stipulato ai sensi della legge n.481/1995 e secondo le linee guida della delibera CIPE del 24 aprile 1996". Da tanto si trae ulteriore conferma di come, almeno fino all'intervento del parere del Consiglio di Stato, e quindi fino a buona parte dell'anno 1998, l'orientamento amministrativo percepito in termini assolutamente univoci dagli operatori, e suffragato dall'autorevolezza del pronunciamento pur non cogente dell'Autorità chiamata a vigilare sulle dinamiche concorrenziali, non ravvisasse alcun elemento di differenziazione del mercato del fisso-mobile rispetto agli anni precedenti, anni per i quali l'AGCM ha escluso, con il provvedimento impugnato in prime cure, la ricorrenza di prove adeguate al fine di sorreggere la formulazione di un giudizio di colpevolezza.
4.4.3. Tanto detto in merito all'effettiva possibilità di fissare nel 1° gennaio dell'anno 1998 il momento decisivo al fine di discriminare le condotte in esame, il Collegio reputa che, ancora più in radice, la liberalizzazione del TACS non abbia ex se fatto venire meno le ragioni che, in assenza di riscontri adeguati, rendevano plausibile per il periodo anteriore la scelta imprenditoriale di non ritoccare i prezzi sia da parte di TIM che da parte di OPI.
Si deve al riguardo prendere le mosse dalla struttura duopolistica del mercato in esame. Detta conformazione, in misura più accentuata di quanto non accada in un mercato oligopolistico più affollato, rende naturale, come innanzi rammentato, un processo di omogeneizzazione delle condizioni di offerta, attesa l'altrui prevedibile risposta, sulla base di contromosse analoghe, alle iniziative di ogni concorrente dirette dall'accaparramento di quote di mercato. Si deve aggiungere che la naturale omogeneizzazione delle condizioni economiche è vieppiù accentuata quante volte, in considerazione della diffusione e delle caratteristiche del prodotto e degli atteggiamenti dei consumatori, si registri una scarsa elasticità della domanda in senso assoluto rispetto a livelli anche elevati di prezzo. Le connotazioni del mercato in esame sono state specificate, con riguardo alle problematiche specifiche delle comunicazioni f/m, dal più volte citato parere dell'AGCom, ove si evidenza la necessità di "richiamare l'attenzione dell'AGCM sul fatto che i prezzi f/m si connotano innanzitutto in quanto riferiti ad un mercato particolare quale quello dell'integrazione di due reti distinte, quella fissa e quella mobile e due servizi intermedi separati quale quello dell'origine e della fatturazione del traffico rispetto a quello di terminazione dello stesso. In tale situazione, sebbene possa giustificarsi in parte l'importanza delle condizioni f/m nelle scelte della clientela dell'operatore mobile, le caratteristiche di non sostituibilità e indispensabilità dei servizi di terminazione irrigidiscono l'elasticità della domanda rispetto al prezzo del servizio". Ne deriva un quadro complessivo, accentuato dalla conformazione duopolistica, nel quale le condizioni dell'offerta prevalgono su quelle della domande e, in definitiva, "data l'espansione della telefonia mobile dal 1995 in poi", la fonte crescente di ricavi rappresentata per i gestori mobili dalle chiamate f/m, "rende svantaggiosa per entrambi gli operatori mobili la variazione dei rispettivi prezzi finali". L'assunto è suffragato, nella parabola argomentativa tracciata dall'AGCom, dall'omogeneizzazione delle condizioni economiche f/m verificatasi negli altri paesi europei, nei quali "l'allineamento è tanto più probabile quanto più elevati sono i valori fissati inizialmente, nel senso che esiste una tendenza dei nuovi entranti, in presenza di prezzi elevati, a posizionarsi leggermente al di sotto dei prezzi fissati dagli operatori già esistenti e in alcuni casi anche al di sopra".
In conclusione si può affermare che l'allineamento dei prezzi, anche per l'anno 1998, è alternativamente spiegabile quale frutto di un'autonoma scelta imprenditoriale di entrambe le parti lecitamente e consapevolmente volta, secondo lo schema del conscious parallelism, alla massimizzazione dei profitti: data la premessa secondo cui, nel corso degli anni 1995-1997, il livello particolarmente elevato dei prezzi f/m lecitamente (o meglio, senza che sia stata raggiunta la prova dell'illecito) praticato dai due operatori, abbinata alla crescita esponenziale degli apparecchi mobili in circolazione, è stato fonte di profitti particolarmente elevati (extraprofitto o sussidio) per i due operatori mobili, in un mercato duopolistico caratterizzato dalla complessiva rigidità del livello di domanda complessivo rispetto ai livelli di prezzo f/m, non appare illogico che entrambe le società abbiano proseguito su livelli paralleli di prezzo risultati convenienti piuttosto che avventurarsi in una politica di ribassi destinata ad erodere i profitti senza il conseguimento di rilevanti vantaggi concorrenziali. A quest'ultimo proposito si deve rimarcare, in primo luogo, che il livello dei prezzi per le chiamate f/m, pur costituendo un fattore non trascurabile, costituisce, quale onere di norma sopportato dall'abbonato fisso, una leva competitiva di importanza secondaria rispetto ad altri fattori a carico dell'utente del mobile (quale il costo delle chiamate originate dal mobile ed il relativo canone di abbonamento), che in modo più significativo incidono sulla sua scelta di indirizzarsi verso un gestore di telefonia mobile piuttosto che verso un altro (vedi sul punto i dati dell'indagine Nielsen citati al paragrafo 219 del provvedimento impugnato). Si deve soggiungere, in seconda battuta, che in un mercato duopolistico caratterizzato da una complessiva anelasticità della domanda del servizio di interconnessione, lo sfruttamento di una leva concorrenziale relativamente secondaria rischia di erodere margini di profitto legati ai prezzi elevati applicati parallelamente producendo un vantaggio competitivo ulteriormente eliso o ridotto dalla prevedibile risposta, in termini immediati ed omogenei, dell'altro attore del mercato.
I due elementi, complessivamente traguardati, rendono allora plausibile una scelta imprenditoriale intesa a non utilizzare una leva concorrenziale foriera di vantaggi competitivi dubbi, e potenzialmente incidente su una sicura e sperimentata fonte di extraprofitti, per battere altre leve concorrenziali più sensibili, a partire dall'entità e dall'articolazione dei livelli di prezzo in uscita. L'opzione di non competere sul prezzo si presenta, quindi, come possibile frutto di una naturale tensione imprenditoriale verso la massimizzazione dei profitti. Si deve aggiungere per completezza che, come si vedrà in seguito, nell'unica ipotesi nella quale il prezzo f/m è apparso un apprezzabile dato concorrenziale, ossia il settore della scontistica per i grossi volumi di traffico - nel quale il chiamante fisso coincide con i chiamati mobili trattandosi, in entrambi i casi, di apparecchi di norma appartenenti alla medesima azienda - si è registrata una condotta non omogenea delle parti in esame.
4.5. Considerato, sulla base dei rilievi fin qui svolti, che la prova dell'illiceità del parallelismo non è ricavabile dalla implausibilità economica della condotta in quanto tale, si tratta ora di verificare se ricorrano riscontri probatori esterni. La necessità di significativi elementi esogeni di prova è anzi ispessita dalla ricordata razionalità delle condotte in un'ottica di autonoma e lecita tensione imprenditoriale verso l'ottimizzazione dei risultati economici.
Gli elementi di prova addotti dall'Autorità (par.67 e seguenti) e valorizzati dal Tribunale in primo grado sono così riassumibili:
a) le prove relative ai contatti intervenuti tra le parti nel corso del biennio 1995-1997, con particolare riguardo alla fase di avvio del nuovo servizio GSM (scambi informativi nella primavera del 1995 prima dell'avvio del GSM; ipotesi di accordo del 7.4.1995 da sottoporre al Ministro; esame delle problematiche relative alla libertà di fissazione delle tariffe);
b) i contatti intervenuti nel corso del 1998 (vedi parr.117 e seguenti) al fine di fronteggiare il rischio di condanna della Comunità per il livello troppo elevato dei prezzi f/m e per le questioni collegate all'ingresso di nuovi gestori mobili ed al passaggio in capo al gestore fisso della titolarità della tariffa;
c) la vicenda della scontistica per i grossi volumi di traffico f/m.
Il Collegio, nel dissentire dalle valutazioni espresse dai primi Giudici, reputa che nessuno di detti elementi possa fungere da apprezzabile riscontro probatorio in ordine alla prima infrazione.
Quanto alle prove indicate sub a), deve convenirsi con gli appellanti che, se gli indizi relativi a contatti intervenuti nel corso degli anni precedenti al 1998 non sono stati reputati sufficienti ai fini della prova di una condotta illecita nel corso del periodo in esame, a maggior ragione alla stessa conclusione, in assenza di elementi di novità apprezzabili, si deve pervenire per quel che attiene ad un periodo di tempo successivo. Giova ricordare che il Garante, diversamente da quanto reputato dal TAR, non ha concluso nel senso che per gli anni 1995-1997 vi fosse la prova piena di un accordo non punibile in relazione ai connotati della situazione di fatto e di diritto ma ha ritenuto che gli indizi non fossero sufficienti al fine di dimostrare il perfezionamento di un'intesa in quanto compensati da indizi di segno opposto legati alla plausibilità delle spiegazioni alternative. Se gli elementi di prova non sono stati reputati sufficienti nel corso degli anni 1995-1997 ai quali si riferiscono, si deve giocoforza concludere nel senso dell'indispensabilità di nuovi elementi di prova per il periodo successivo, in cui pure, come ricordato in precedenza, il comportamento parallelo non era privo di un'alternativa chiave lecita di decifrazione.
Detto elemento sopravvenuto non può essere rinvenuto nei contatti maturati nel corso del 1998 (vedi sub b). Dalla documentazione in atti (citata ai paragrafi 85-92 e 109-123 del provvedimento impugnato) si ricava, infatti, che detti scambi di informazione sono intervenuti nel corso della seconda metà del 1998 (più precisamente a partire dal mese di ottobre) in ottica prevalentemente preparatoria della formulazione della proposta congiunta dei prezzi f/m per l'anno 1999, che ha dato luogo alla seconda contestazione di cui si dirà sub par.5. Ne deriva l'impossibilità di utilizzare come prova, per un'intesa relativa a tutto l'anno 1998, contatti registratisi in una fase avanzata dell'anno in funzione di accordo non solo avente un oggetto temporalmente diverso ma, soprattutto, volto a fronteggiare esigenze sopravvenute ed eterogenee, quali quelle rappresentante dall'ingresso di nuovi gestori mobili nel mercato, dal problema delle triangolazioni internazionali, dall'indagine avviata dalla Commissione europea per effetto del livello troppo elevato dei prezzi f/m e, soprattutto, dalla perdita della titolarità della tariffa. Detti elementi nuovi, come si avrà cura di evidenziare in seguito, ponevano problemi la cui soluzione vantaggiosa, essendo collegata anche ai comportamenti di terzi, non poteva più derivare da un autonomo e consapevole parallelismo ma richiedeva la coagulazione di intenti al fine di far fronte comune dinanzi appunto all'ingresso di nuovi gestori, al rischio di condanna da parte della Comunità, alla attribuzione della titolarità della tariffa in testa al gestore fisso e, infine, all'intervento regolatorio dell'AGCom. Nella sostanza i contatti in parola, vista l'eterogeneità e la sopravvenienza dei fini, legati alla nuova struttura del mercato a partire dall'anno 1999, non si appalesano probatoriamente significativi in relazione alla condotta protrattasi parallelamente nel 1998 in linea di continuità con gli anni anteriori.
Infine, la prova della pratica concordata per il 1998 non può essere tratta dalla vicenda della scontistica praticata sui grandi volumi di traffico per le comunicazioni f/m. La vicenda della scontistica offre, al contrario, un quadro di disomogeneità di vedute e di sostanziale conflittualità tra i due gestori mobili che mal si concilia con la possibilità di farla assurgere al rango di prova della pratica concordata.
Dalla documentazione in atti si ricava infatti che:
a) l'idea di praticare sconti ai grandi clienti fissi non è scaturita da un'iniziativa congiunta dei due gestori mobili ma da un'iniziativa della TIM (lettera 18 febbraio 1998);
b) su questa iniziativa, comunicata alla OPI da parte della Telecom (in data 16 aprile) e non da TIM, si è registrata un'iniziale posizione di disinteresse da parte di OPI;
c) in data 2 luglio 1998 è intervenuta una prima proposta OPI, mai applicata, di scontistica f/m;
d) in data 12 ottobre 1998 OPI ha formulato una seconda proposta di scontistica - differenziata quanto al presupposto di 30 abbonamenti SIM e diversamente articolata in ordine alle soglie di riferimento ed ai conseguenti livelli di sconto -, anch'essa mai applicata per via della risoluzione del contratto all'uopo stipulato con Telecom.
Gli elementi ora passati in rassegna, rivelatori dell'autonomia dell'iniziativa TIM, dell'originaria opposizione di OPI, della non coincidenza delle offerte, del notevole distacco temporale tra le due proposte (quella TIM risale al febbraio quella finale OPI, mai applicata, rimonta ad ottobre) - sono sintomatici di un'eterogeneità di condotte e difformità di vedute che non si coniugano con la possibilità di ricavare da detta vicenda la prova di una pratica concordata complessiva per tutto l'anno 1998. A fronte di detta eterogeneità non è enfatizzabile il riferimento dell'amministratore delegato di OPI all'intento di scongiurare una guerra dei prezzi, sintomatico di una strategia commerciale che, ancora una volta, rimarca la non parti-colare importanza competitiva attribuita dalla società in parola ai prezzi f/m.
Agli elementi ora ricordati si deve aggiungere la circostanza, messa a fuoco dall'AGCom nel più volte citato parere del 24 settembre 1999, che "le iniziative inerenti la scontistica potrebbero essere imputabili ancor prima che ad uno sfruttamento di una leva concorrenziale per gli operatori mobili (tra l'altro nel periodo di massima espansione del mercato mobile tale elemento di domanda indiretto non sembra essere estremamente rilevante), ad una maggiore competitività dell'operatore di rete fissa. In presenza di tale circostanza non può prescindersi dalle relazioni societarie tra gli operatori TIM e Telecom Italia e dai vantaggi derivanti dall'applicazione di sconti - in prospettiva di una maggiore concorrenzialità da parte degli operatori di telefonia fissa- soprattutto per i grandi volumi di traffico. Non a caso è l'operatore TIM ad avviare le trattative al fine di modificare le condizioni economiche fisso-mobile per clienti caratterizzati da alti volumi di traffico: la prima resistenza di OPI è data dal fatto che l'operatore avrebbe fatto a meno di proporre cambiamenti nelle condizioni economiche f/m, come del resto forse la stessa TIM se non mossa indirettamente dall'entrata di nuovi operatori di servizi di telefonia mobile sul mercato".
Dette osservazioni mettono una volta ancora in evidenza l'eterogeneità, anche teleologica, delle condotte tenute sul tema della scontistica dalle due società, e confermano l'irrilevanza complessiva della vicenda ai fini della prova di una pratica concordata per l'anno 1997.
4.6. Le considerazioni che precedono mettono allora in luce la fondatezza delle censure svolte da entrambe le società appellanti al fine di contestare la legittimità del provvedimento impugnato in relazione al difetto di prova della pratica concordata di cui alla prima infrazione, al pari delle censure intese a stigmatizzare la non adeguata motivazione del dissenso dell'AGCM rispetto al parere formulato nel corso della procedura dall'AGCom. Si deve pertanto procedere, in riforma della sentenza appellata, all'annullamento del provvedimento impugnato in parte qua.
5. Si può ora passare all'esame dei motivi di appello riguardanti la seconda sanzione, con l'avvertenza che l'annullamento della prima sanzione comporta il venir meno dell'interesse, da parte di OPI, a coltivare le doglianze intese a far valere la non autonoma sanzionabilità della seconda infrazione in quanto avvinta alla prima da un vincolo di sostanziale unitarietà.
Giova rammentare che la seconda infrazione riguarda l'accordo intervenuto tra le parti ai fini della fissazione delle nuove condizioni di offerta al pubblico per le comunicazioni f/m per l'anno 1999. Da tale intesa sarebbero scaturite le note 4 dicembre 1998, con le quali le ricorrenti hanno comunicato all'Agcom, e per conoscenza al ministero delle Comunicazioni, ai sensi dell'art.8 della convenzione più volte ricordata, le nuove condizioni di offerta al pubblico per le comunicazioni f/m. In data 6 gennaio 1999 OPI e TIM hanno contestualmente applicato, per la prima volta dopo quattro anni, variazioni delle condizioni economiche per le comunicazioni f/m, valevoli per tutte le modalità di abbonamento ai servizi TACS e GSM.
Entrambe le parti appellanti non negano l'intervento dell'accordo ma ne contestano la sanzionabilità.
5.1. In particolare, TIM torna a sostenere la tesi secondo la quale la perdita della titolarità della tariffa da parte dei gestori mobili, per effetto della sua transizione in capo al gestore fisso e dell'intervento al riguardo dell'AGCom a fine 1998, avrebbe comportato l'impossibilità sul piano pratico di dare corso alle condizioni economiche fissate da soggetti (TIM e OPI) privi di detto potere così riflettendosi sull'impossibilità dell'oggetto dell'accordo de quo. Si soggiunge che in ogni caso dal punto di vista temporale detta manovra non avrebbe sortito effetti pratici vista la revoca tempestivamente disposta dall'AGCom il successivo 12 gennaio.
Le censure non sono fondate.
Il Collegio conviene con il primo Giudice che, in base a pacifica giurisprudenza precedentemente passata in rassegna, un'intesa è da reputarsi illecita laddove abbia un oggetto anticoncorrenziale, senza che a tal fine assuma rilievo la concreta produzione di effetti negativi e, men che meno, la portata di questi ultimi.
Nella specie è incontestato in punto di fatto che, a dispetto dell'assunto dell'impossibilità dell'oggetto, l'accordo ha trovato concreta applicazione dal 6 gennaio 1999 alla data in cui (12 gennaio) l'AGCom ne ha disposto la revoca. L'intervento del Garante, mirando ad evitare la permanenza degli effetti illeciti innescati dall'intesa di che trattasi, costituisce quindi riprova degli effetti non solo potenziali, ma anche tangibili, sortiti dall'intesa. La stessa AGCom, nel suo parere del 22 settembre 1999, a proposito dell'infrazione in esame, si limita alla segnalazione della circostanza della scarsa rilevanza degli effetti pratici sortiti non per escluderne il connotato antigiuridico ma ai limitati fini, sui quali si tornerà in seguito, della determinazione del trattamento sanzionatorio.
Nella stessa ottica non assumono rilievo, ai fini della valutazione dell'antigiuridicità e salvi i risvolti sanzionatori, le supposte giustificazioni causali dell'accordo, asseritamente date dalla necessità di evitare la condanna in sede comunitaria visto il livello alto dei prezzi f/m e dall'esigenza di non procrastinare la fissazione dei prezzi in via transitoria nell'attesa dell'intervento del Garante. La supposta utilità di un accordo anticoncorrenziale, nella specie peraltro collegata alla comune volontà di mantenere un elevato livello di profitti a fronte dei rischi sottesi alla nuova configurazione complessiva del mercato, non vale per definizione ad incidere sulla relativa antigiuridicità; si aggiunga che la pretesa necessità di affrontare le situazioni sopra esposte avrebbe dovuto fisiologicamente riflettersi in spontanee iniziative unilaterali piuttosto che in un'intesa elusiva delle dinamiche concorrenziali. Le stesse obiezioni vanno mosse alle giustificazioni accampate in relazione all'asserito spirito collaborativo che avrebbe animato gli accordi in parola ed al beneficio che avrebbero ricavato gli utenti grazie all'abbassamento dei livelli di prezzo, mantenuti poi fermi dal Garante fino all'aprile del 1999.
5.2. In definitiva tutte le censure volte e a confutare l'illiceità dell'accordo di rimodulazione per l'anno 1999 devono essere respinte, essendo in atti in questo caso la prova piena dell'intervento e delle finalità anticoncorrenziali della pattuizione di che trattasi.
6. Devono essere respinte anche le censure relative alla terza infrazione, individuata nella pratica concordata illecita "in quanto avente ad oggetto e per effetto la fissazione dei prezzi di vendita e dei servizi di interconnessione resi ad altri operatori e volta, altresì, ad ostacolare l'accesso al mercato a concorrenti attuali e potenziali (paragrafo 260).
Il ragionamento dell'AGCM fa leva essenzialmente su due evidenze:
a) l'innalzamento in misura vicina al 300% del costo dell'interconnessione tra le reti gestite dalle due concorrenti, costo che dal 1995 non era mai stato modificato;
b) la sostanziale omogeneità delle offerte modificate dalle due ricorrenti al terzo gestore di rete mobile (Wind) ed alle società affacciatesi sul mercato della rete fissa, offerte che non sono mai scese sotto il valore di lire 500 al minuto, valore corrispondente alla remunerazione percepita per le conversa- zioni in entrata dalla rete fissa Telecom, al netto dell'access charge.
L'AGCM ha considerato che un alto costo di interconnessione rappresenta una garanzia di stabilità delle condizioni di offerta dei servizi di telecomunicazione, in quanto l'operatore che decidesse di praticare politiche di riduzione dei prezzi, alimenterebbe anche l'accrescimento del traffico verso altre reti, venendo così a subire la penalizzazione di un maggiore onere per l'interconnessione.
Tale elemento, abbinato ad un allineamento sostanziale delle offerte verso un livello notoriamente molto remunerativo e ad evidenze documentali di scambi di informazione, ha indotto l'AGCM a ritenere l'esistenza di una pratica concordata diretta a predefinire le modalità di offerta al pubblico da parte del nuovo concorrente, "pregiudicando un suo ingresso efficiente sul mercato", ossia impedendogli di affermarsi mediante una propria politica di offerte più favorevoli.
Le ricorrenti, reiterando le censure disattese in prime cure, contestano in radice i presupposti e le conclusioni del ragionamento fin qui esposto ed osservano che: a) la presentazione di un'offerta di interconnessione di riferimento costituiva un obbligo nascente dal d.P.R. n.318/1997 e dal d.i. 23 aprile 1998, e questo spiegherebbe le iniziative in tal senso assunte nel corso del 1998 e non in passato; b) le offerte di TIM e OPI non possono valutarsi come analoghe, perché una differenza del 10%, in un regime di duopolio, è da considerare consistente; c) il prezzo fissato nel 1995, in lire 170 al minuto, doveva considerarsi dopo tre anni non più remunerativo, e l'innalzamento a lire 550 non superava la media europea, se correttamente calcolata. La rinegoziazione si è resa indifferibile al momento dell'ingresso dei nuovi gestori mobili, visto che per il passato la sostanziale identità dei volumi di traffico in entrata ed in uscita rendeva non rilevante l'effettiva aderenza del prezzo stabilito al valore di mercato.
Quanto, infine, alla pratica di condizioni di prezzi di interconnessione ai nuovi gestori di rete fissa, analoghe a quelle imposte a Telecom, TIM fa presente che era tenuta ad un simile comportamento in forza del principio di non discriminazione di cui all'art.8 del d.i. 23 aprile 1998, connesso alla ricevuta notifica quale operatore con notevole forza di mercato.
6.1. Le censure non colgono nel segno.
Quanto all'ultimo profilo appena esposto deve ribadirsi che, come correttamente osservato dai primi Giudici, TIM, a differenza di Telecom Italia (v. punti 1 e 2 della determinazione del Ministero delle Comunicazioni 3 aprile 1998, doc. IX/3 di produzione TIM), fu notificata come operatore con notevole forza di mercato nel mercato della telefonia mobile, e non nel mercato dell'interconnessione, mentre l'art.9 del citato d.i. 23 aprile 1998 obbliga alla non discriminazione gli organismi di cui all'allegato al ricordato d.P.R. n.318/1997, citato, "solo se notificati come aventi notevole forza di mercato con riferimento all'interconnessione". Risulta quindi corretta l'affermazione dell'AGCM (par.259) secondo cui, nel formulare l'offerta di interconnessione di riferimento, TIM non era, come non lo era OPI, gravata da obblighi particolari, volendosi significare che la sua scelta di prezzo rappresentava il frutto di una strategia imprenditoriale di cui assumeva la responsabilità.
6.2. Venendo all'esame delle censure intese a contestare la logicità delle valutazioni del Garante, il Consiglio deve rilevare che nessun dubbio è dato nutrire circa la verificazione, nel caso di specie, di un consapevole coordinamento dei comportamenti finalizzato alla fissazione di tariffe di interconnessione penalizzanti nei confronti, in primo luogo, dei nuovi gestori mobili affacciatisi sul mercato. Sintomatica si appalesa al riguardo la lettera del Segretario Generale di TIM indirizzata ad OPI (par.146 del provvedimento) nella quale si afferma che: "Con riferimento alla proposta della scrivente relativa alle condizioni economiche di interconnessione al terzo gestore, determinate in 500 lire/minuto flat, atteso il sostanziale bilanciamento dei volumi di traffico, si ritiene di poter rivedere le reciproche condizioni economiche dell'accordo in oggetto, fissandole in 520 lire/minuto flat per ambedue le direttrici di traffico".
L'atto in esame, unitamente alle ulteriori evidenze documentali ed al dato oggettivo della fissazione nei confronti del terzo di una tariffa assai simile a quella reciprocamente comunicata, rendono coerente il ragionamento svolto dal Garante al fine di pervenire all'assunto della funzionalizzazione delle nuove tariffe nei rapporti TIM-OPI alla fissazione nel comune interesse di una base comune di contrattazione per un livello di prezzo particolarmente elevato da praticare verso il nuovo gestore fisso, livello capace di costituire una significativa barriera di ingresso e, comunque, idoneo a scoraggiare importanti manovre competitive sul piano dei prezzi. Non appare convincente in questa prospettiva la tesi TIM secondo la quale la fissazione di un alto costo di terminazione non eleverebbe i costi del concorrente new entrant. In effetti, se la fissazione di un prezzo reciproco pari a lire 500 al minuto tra TIM e OPI comportava un onere pari a zero nei rapporti reciproci, vista la sostanziale parità dei flussi (cfr. le note del 5 giugno 1998 di TIM e OPI), assai gravosa risultava per il nuovo entrante detta elevazione, visto che il nuovo gestore inevitabilmente originava un traffico diretto in misura prevalente verso le reti mobili già in funzione e con le quali non poteva non connettersi. Ragionevole si presenta dunque la conclusione dell'AGCM che l'imposizione di un prezzo di entità praticamente doppia rispetto al costo del servizio, stimato nella misura di lire 240 al minuto (par.163), avrebbe impedito un'efficace manovra competitiva sui prezzi, dovendosi per necessità offrire al pubblico un prezzi capace di remunerare gli elevati costi di interconnessione. Si aggiunga che un nuovo operatore, che pratica prezzi più bassi dei propri concorrenti, incentiva i propri clienti a sviluppare un maggior numero di conversazioni anche verso clienti di altri operatori, con la conseguenza di innalzare i propri costi di interconnessione con questi ultimi. Il proporre un costo di terminazione particolarmente alto, quindi, oltre a determinare in capo ai proponenti margini significativi di profitto, produce il chiaro effetto di scoraggiare la definizione di politiche di riduzione di prezzi sul mercato da parte del nuovo entrante che (par.251) "ove effettivamente riuscisse, attraverso le proprie offerte commerciali, a incrementare il traffico sviluppato dai propri utenti, risulterebbe inevitabilmente penalizzato da costi di interconnessione". A fronte di tali argomenti non vale obiettare che TIM e OPI fossero obbligate a consentire l'interconnessione ed avessero il buon diritto di rivedere all'uopo un prezzo ormai non più remunerativo, posto che nella specie l'addebito non contesta l'esistenza di un simile diritto ma l'intervento di un'intesa anticoncorrenziale volta alla fissazione illecita di una base comune di prezzo diretta a salvaguardare i profitti dei due
gestori ed a penalizzare sul versante concorrenziale il terzo nuovo entrante.
Ancora non convincente si appalesa l'insistito richiamo alla diversità delle condizioni economiche conclusivamente praticate da parte di TIM ed OPI verso WIND (lire 500 al minuto TIM; lire 550 OPI).
La valutazione del Garante in merito alla marginalità di detta differenza non è illogica se sol si considera che il terzo gestore non aveva possibilità di scelta tra le due offerte, in quanto il non eludibile fine di assicurare alla propria clientela le chiamate verso tutti i mobili esistenti imponeva l'interconnessione. Corretta appare allora la conclusione dei primi Giudici a tenore della quale "la necessità di attivare l'interconnessione con entrambe le reti rendeva sostanzialmente irrilevante il risparmio realizzabile sul traffico diretto verso l'altra, poiché - considerati in parità i flussi diretti verso le due reti - il terzo poteva considerarsi gravato di un costo medio per interconnessione di lire 525 per minuto".
6.3. Le considerazioni svolte possono essere sostanzialmente estese alle condizioni praticate all'indirizzo dei nuovi gestori fissi.
Anche in questo caso le evidenze documentali attestano (par.152-156; 252-253) che entrambi i gestori mobili hanno individuato, nei contratti di interconnessione, condizioni sostanzialmente parificabili a quelle offerte all'utenza di Telecom Italia, al netto del compenso di lire 200/minuto corrisposto a tale gestore (cfr. par.157-160). I margini si avvicinano, in definitiva, a lire 500 al minuto, rivelandosi anche in questo caso significativamente più elevati rispetto alla best practice europea indicata dalla Commissione per le tariffe di terminazione su rete mobile.
Anche con riferimento a detta contestazione, la rivendicazione delle
appellanti del diritto a non vedere ridotti i margini di utile collegati al traffico f/m originato da Telecom non vale a confutare l'ovvia considerazione che la salvaguardia dei livelli di ricavo non può essere perseguita attraverso un'intesa che finisce per imporre ad un nuovo gestore di rete fissa, non dotato della forza di mercato di Telecom, un'efficace ingresso sul mercato della telefonia.
6.4. Sulla base dei rilievi fin qui svolti si devono allora respingere tutte le censure mosse dalle due appellanti avverso la sentenza di primo grado nella parte riguardante l'integrazione del terzo illecito contestato. Vale soggiungere che il parere dell'AGCom del 22 settembre 1999, pure rivelatosi critico per le due infrazioni precedentemente esaminate, ha convenuto che per la terza infrazione andava riconosciuto un comportamento finalizzato alla "fissazione di prezzi identici da parte degli operatori TIM e OPI".
7. Si può ora passare all'esame delle censure riguardanti l'entità delle sanzioni, naturalmente con riguardo esclusivo alla seconda ed alla terza infrazione.
7.1. Con riferimento alla seconda infrazione TIM ribadisce l'assunto secondo il quale l'AGCM non avrebbe tenuto conto della sostanziale mancanza di effetti prodotti dalla manovra di rimodulazione per l'anno 1999 e sulla decisione dei due operatori di non dare seguito all'intesa in parola. OPI osserva, da una parte, che la non gravità dei comportamenti avrebbe suggerito la sanzionabilità con la sola diffida; per altro verso, che non risultano chiari i criteri seguiti per la determinazione del quantum, non registrandosi corrispondenza tra fatturato documentato in istruttoria e
percentuale applicata.
Le censure non sono fondate.
Quanto alla censura svolta da TIM, rinviando alle considerazioni precedentemente articolate in merito alla ricorrenza dei presupposti dell'intesa sanzionabile, si deve in questa sede ribadire come l'accordo di fine 1998, intervenuto tra i due gestori mobili operanti sul mercato, oltre a sortire pratico effetto sia pure per un arco di tempo limitato, presentasse una chiara incidenza potenziale sulla libera competizione sul mercato. La volontà di preservare una fonte di ricavo, fisiologica nel gioco imprenditoriale, non può essere esplicata attraverso politiche di prezzo dirette, in un'ottica di concertazione, ad evitare l'alea della concorrenza e, nella specie, a fronteggiare i rischi collegati all'ingresso di nuovi competitori ed alla nuova disciplina in punto di titolarità della tariffa. Detti elementi denotano una significativa portata anticoncorrenziale dell'intesa che non consente di condividere neanche la tesi OPI circa l'eccessiva gravità della sanzione irrogata.
Deve del pari condividersi il ragionamento sviluppato dal primo Giudice circa la tardività delle censure articolate da OPI diretta a segnalare il difetto di motivazione in merito al quantum. A fronte di censure di prime cure indirizzate a mettere in dubbio la sussistenza dei presupposti per l'irrogazione delle sanzioni, solo con la memoria depositata il 21 aprile 2000 è stato, infatti, proposto uno specifico motivo attinente alla misura delle due prime sanzioni.
8. Si deve anche condividere l'assunto del TAR secondo il quale la terza sanzione non è stata toccata in prime cure da puntuali contestazioni. In ogni caso non appare dimostrato in fatto il presupposto secondo il quale nella specie le intese tra le parti, volte a precostituire la base per le trattative con i terzi gestori fissi e mobili, siano state preventivamente comunicate all'AGCom senza dare luogo a rilievi.
9. Infine, merita condivisione la tesi svolta dal TAR secondo cui il mercato f/m costituisce un mercato separato ed autonomo rispetto al mercato della telecomunicazione radiomobile, dovendo a tal fine attribuire rilievo, al di là del profilo tecnico, ai caratteri di autonomia del prodotto rispetto ad altri settori delle telecomunicazioni radiomobili.
10. In conclusione, gli appelli riuniti devono essere accolti, nella parte relativa alla prima infrazione, ed in parte respinti. In riforma parziale della prima sentenza il provvedimento impugnato in prime cure deve essere pertanto annullato in parte qua.
Sussistono tuttavia giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, previa riunione dei ricorsi in appello indicati in epigrafe, li accoglie in parte e, per l'effetto, in parziale riforma della sentenza di primo grado, accoglie i ricorsi di primo grado nei limiti in motivazione specificati ed annulla la deliberazione dell'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato del 28 settembre 1999, impugnata in prime cure, nella sola parte relativa all'infrazione ed alla sanzione di cui al punto a) del dispositivo.
Conferma per il resto la sentenza gravata. Spese compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, il 12 dicembre 2000, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale - Sez.VI - riunito in Camera di Consiglio, con l'intervento dei Signori:
Giorgio GIOVANNINI Presidente
Sergio SANTORO Consigliere
Calogero PISCITELLO Consigliere
Giuseppe MINICONE Consigliere
Francesco CARINGELLA Consigliere Est.
Depositata il 22.03.2001.