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Giurisprudenza
n. 7/8-2001 - © copyright.

CONSIGLIO DI STATO, SEZ. VI - Ordinanza 10 luglio 2001 n. 3803 - Pres. de Roberto, Est. Chieppa - Ministero sanità ed altro (Avv. Stato Aiello) c. Albertazzi ed altri (n.c.) - (rimette all'Ad.Plen. la questione già decisa con sentenza del T.A.R. Lazio, Sez. I, 30 novembre 2000 n. 10704).

Silenzio della P.A. - Silenzio rifiuto - Impugnazione - Art. 21 bis L. n. 1034 del 1971, introdotto dall'art. 2 della L. n. 205/2000 - Dubbi sulla modalità di applicazione - Rimessione delle questioni all'Adunanza Plenaria.

Al fine di evitare possibili contrasti giurisprudenziali, va rimessa all'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato  la questione relativa alle modalità di applicazione dell'art. 21-bis L. 6 dicembre 1971 n. 1034, introdotto dall'art. 2 L. 21 luglio 2000 n. 205, con riferimento sia alla natura e all'oggetto del giudizio speciale che consegue alla proposizione del ricorso contro il silenzio dell'Amministrazione sia all'estensione dei poteri decisori del Giudice amministrativo.

In particolare occorre stabilire se il procedimento speciale di cui al citato art. 21 bis L. 6 dicembre 1971 n. 1034 possa condurre alla sola declaratoria in astratto dell'obbligo di provvedere ovvero se il G.A. abbia anche il potere di accertare in concreto la fondatezza della pretesa azionata.

 

F A T T O

Con la legge n. 409/1985 è stata istituita in Italia la professione sanitaria di odontoiatra in attuazione delle Direttive CEE del 25-7-1978 n. 78/686/CEE e n. 78/687/CEE ed è stato previsto che i laureati in medicina e chirurgia, iscritti al relativo corso di laurea anteriormente al 28 gennaio 1980 abilitati all'esercizio professionale, potessero optare per l'iscrizione all'albo degli odontoiatri.

Successivamente con l'art. 1 della legge n. 471/1988 tale disciplina transitoria è stata prorogata oltre i limiti fissati dalla normativa comunitaria, consentendo la facoltà di opzione per l'iscrizione all'albo degli odontoiatri anche ai laureati in medicina e chirurgia immatricolati al relativo corso di laurea negli anni accademici 1980-1981, 1981-1982, 1982-1983, 1983-1984, 1984-1985, abilitati all'esercizio professionale.

Con sentenza del 1° giugno 1995 (causa C-40/93) la Corte di Giustizia della Comunità europea ha stabilito che l'Italia, prorogando, con legge 31 ottobre 1988, n. 471, fino all' anno accademico 1984/1985, nei confronti dei laureati in medicina e chirurgia, il termine stabilito dall' art. 19 della direttiva del Consiglio 25 luglio 1978, 78/686/CEE, concernente il reciproco riconoscimento dei diplomi, certificati ed altri titoli di dentista, è venuta meno agli obblighi che le incombono ai sensi del detto articolo e dell' art. 1 della direttiva del Consiglio 25 luglio 1978, 78/687/CEE, concernente il coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative per le attività di dentista.

Con il D. Lgs. 13-10-1998 n. 386 il legislatore italiano si è conformato alla citata sentenza della Corte di Giustizia, abrogando la legge n. 471/88 e prevedendo che:

a) i laureati in medicina e chirurgia immatricolati al relativo corso di laurea negli anni accademici 1980-1981, 1981-1982, 1982-1983, 1983-1984 e 1984-1985, in possesso dell'abilitazione all'esercizio professionale, possono iscriversi all'albo degli odontoiatri previo superamento di una prova attitudinale, ripetibile una volta;

b) con decreto del Ministro della sanità da emanarsi entro un anno dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo di concerto con il Ministro dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica, sentita la federazione nazionale dell'Ordine dei medici chirurghi e degli odontoiatri, è disciplinata l'organizzazione della menzionata prova attitudinale, che, comunque, in prima applicazione, dovrà tenersi entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore dello stesso D. Lgs. n. 386/1998;

c) in via transitoria, fino alla conclusione della descritta procedura, i beneficiari della abrogata legge 31 ottobre 1988, n. 471, che abbiano fatto domanda di partecipazione alla prova attitudinale, mantengono l'iscrizione all'albo degli odontoiatri, salvo la cancellazione dall'albo in caso di esito negativo per due volte della prova.

Con decreti del Ministro della Sanità del 19-4-2000 e del 4-7-2000 è stata resa nota la procedura concernente la citata prova attitudinale, senza che venissero fissati data e luogo di svolgimento della prova, nonostante fossero scaduti i termini previsti dall'art. 1 del D. Lgs. n. 386/1998.

I ricorrenti in primo grado, indicati in epigrafe, sono tutti associati all'A.M.P.O. (associazione medici per l'odontostomatologia) ed attualmente, pur avendo i requisiti per partecipare alla menzionata prova attitudinale, non possono esercitare l'attività di odontoiatra, in quanto, anche se immatricolati negli anni accademici 1980-81 / 1984-85, si sono laureati o abilitati oltre il termine del 31-12-1991.

Detti medici, facendo valere il proprio interesse allo svolgimento della prova nei termini previsti dalla legge, hanno notificato in data 6 e 8-7-2000 alle amministrazioni odierne appellanti ed alla Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurgi ed degli odontoiatri un atto di diffida, con cui hanno chiesto l'attuazione di quanto previsto dal D. Lgs. n. 386/1998 circa l'espletamento della prova attitudinale per l'esercizio della professione di odontoiatra.

Persistendo l'inerzia dell'amministrazione nel fissare data e luogo di svolgimento della prova, i sopraindicati medici adivano il Tar del Lazio, ai sensi dell'art. 21 bis della legge n. 1034/1971, introdotto dall'art. 2 della legge n. 205/2000, chiedendo l'accertamento dell'obbligo di provvedere da parte delle amministrazioni odierne appellanti, con ordine alle stesse di fissare data e luogo di svolgimento della prova attitudinale e domandando anche l'iscrizione temporanea nell'albo degli odontoiatri ed il risarcimento del danno subito.

Il Tar del Lazio rilevava che il procedimento speciale, introdotto per i ricorsi avverso il silenzio dall'art. 2 della legge n. 205/2000, ha lo scopo non solo di assicurare una pronuncia conclusiva dell'amministrazione, ma anche di definire questioni che siano manifestamente fondate o infondate.

Conseguentemente, il giudice di primo grado, ritenuta l'inammissibilità delle richieste relative all'iscrizione provvisoria nell'albo degli odontoiatri e al risarcimento del danno, accoglieva il ricorso, affermando "l'obbligo delle amministrazioni intimate, ciascuna per quanto di competenza, di determinare il giorno e la sede di svolgimento della prova, entro trenta giorni dalla notifica della sentenza".

Con il ricorso in appello in epigrafe, notificato il 12-2-2001, il Ministero della sanità e il Ministero dell'università e della ricerca scientifica hanno chiesto l'annullamento della suindicata sentenza, notificata il 15-12-2000.

L'appello viene proposto per i seguenti motivi:

1) errata qualificazione della domanda proposta in primo grado e conseguente errata applicazione del rito speciale, introdotto dall'art. 2 della legge n. 205/2000 con violazione dei principi in materia di contraddittorio, in quanto in primo luogo il Ministero della sanità aveva risposto con nota del 4-8-2000 alla diffida dei ricorrenti e, inoltre, sia l'originaria domanda che la sentenza impugnata non hanno limitato l'oggetto del giudizio all'accertamento del mero obbligo di provvedere, ma hanno esteso il giudizio all'accertamento della fondatezza della pretesa, esorbitando dai limiti previsti per il procedimento speciale di cui all'art. 21 bis della legge n. 1034/71;

2) impossibilità di fissare data e luogo di svolgimento della prova attitudinale nei termini (ordinatori secondo l'amministrazione) previsti dall'art. 1 del D. Lgs. n. 386/98, in quanto con risoluzione n. 7/00962 approvata il 27-9-2000 alla Camera dei deputati, il Governo si è impegnato a sospendere lo svolgimento della citata prova e a riformulare la normativa, riaprendo le trattative con la Commissione europea, nonostante la stessa avesse già approvato il procedimento previsto dal D. Lgs. n. 386/98 e dai relativi provvedimenti attuativi.

I ricorrenti in primo grado e la Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurgi ed degli odontoiatri non si sono costituiti in giudizio.

All'odierna udienza l'amministrazione appellante ha chiesto il rinvio del giudizio al giudice di primo grado per vizio di procedura e la causa è stata trattenuta in decisione.

D I R I T T O

1. Il ricorso in primo grado, espressamente qualificato ex art. 21 bis della legge n. 1034/71, è stato trattato secondo il rito speciale introdotto dall'art. 2 della legge n. 205/2000 per i ricorsi avverso il silenzio dell'amministrazione e definito con sentenza succintamente motivata, notificata il 15-12-2000.

L'appello dell'amministrazione è stato notificato il 12-2-2001 e, quindi, oltre il termine di trenta giorni dalla notificazione della sentenza, previsto dal citato art. 21 bis.

Secondo le amministrazioni appellanti l'originaria domanda dei ricorrenti è stata erroneamente qualificata dal giudice di primo grado quale ricorso avverso il silenzio da trattare con il rito speciale di cui al citato art. 21 bis e da tale vizio è derivata la lesione dei principi del contraddittorio, essendo stata la difesa delle amministrazioni "ristretta" in termini più brevi rispetto al rito ordinario.

L'esatta individuazione dell'oggetto del giudizio avrebbe comportato la necessità di adottare il rito ordinario e la sentenza appellata sarebbe viziata sotto il profilo procedurale con conseguente necessità di un rinvio del procedimento al giudice di primo grado.

Sempre secondo la tesi delle amministrazioni appellanti non assumerebbe rilievo la violazione del termine previsto per l'appello dall'art. 21 bis della legge n. 1034/71, in quanto la sentenza impugnata, pur pronunciata ai sensi del citato art. 21 bis, esorbiterebbe dai limiti del peculiare procedimento introdotto dalla novella legislativa.

A fondamento del motivo, relativo all'erronea qualificazione dell'originaria domanda, le amministrazioni richiamano due elementi.

Il primo è costituito dalla nota del 4-8-2000 del Dipartimento professioni sanitarie, risorse umane e tecnologiche del Ministero della Sanità, con cui sarebbe stata data risposta all'atto di diffida della parti ricorrenti. Oggetto del giudizio doveva quindi intendersi tale menzionato provvedimento negativo e non il silenzio dell'amministrazione.

Il secondo elemento consiste nell'ordine di facere (fissazione di data e sede di svolgimento della prova attitudinale, prevista dall'art. 1 del D. Lgs. n. 368/98) richiesto dai ricorrenti ed oggetto della pronuncia impugnata, con cui è stato appunto accertato tale obbligo e fissato il termine di trenta giorni per la determinazione di giorno e sede della prova in questione.

Oggetto del procedimento speciale, di cui al citato art. 21 bis, potrebbe essere, sempre secondo gli appellanti, solo la declaratoria dell'obbligo di provvedere e non anche l'accertamento della fondatezza della pretesa, come avvenuto nel caso di specie.

2. Si osserva che il primo elemento è privo di consistenza, sia perché con l'atto del 4-8-2000 non viene data una risposta alla richiesta di fissazione di data e luogo di svolgimento della menzionata prova attitudinale, sulla quale l'amministrazione non si è pronunciata, sia perché comunque si tratterebbe di una circostanza attinente al merito della controversia, ovvero alla sussistenza, o meno, del presupposto del silenzio, al cui esame è preliminare la questione della ricevibilità del ricorso in appello.

3. Il secondo profilo attiene, invece, alla natura del procedimento speciale, introdotto dall'art. 2 della legge n. 205/2000 nei ricorsi avverso il silenzio dell'amministrazione.

Il giudice di primo grado ha accolto la tesi, secondo cui con il rito speciale previsto dal citato art. 21 bis è possibile non solo dichiarare il mero obbligo di provvedere dell'amministrazione (a prescindere dal suo contenuto favorevole o meno), ma anche definire questioni che siano manifestamente fondate o infondate, argomentando anche ex art. 9 della legge n. 205/2000.

Applicando tale orientamento, il Tar, rilevando che era ormai scaduto il termine previsto dal D. Lgs. n. 386/98 per lo svolgimento delle descritte prove attitudinali e, quindi, ritenendo la manifesta fondatezza della domanda, ha accertato l'obbligo dell'amministrazione di fissare data e luogo delle prove (attività vincolata dalle previsioni del D. Lgs. n. 386/98), assegnando un termine di trenta giorni dalla notificazione della sentenza per adempiere.

Le amministrazioni appellanti sostengono la tesi più restrittiva, che individua l'oggetto del giudizio nel rito speciale, introdotto per i ricorsi avverso il silenzio della P.a., nella mera declaratoria dell'obbligo di provvedere, impregiudicato l'accertamento della fondatezza della pretesa, che sarebbe incompatibile con la procedura speciale di cui all'art. 21 bis della legge n. 1034/71.

Ove fosse fondata tale tesi, la qualificazione della domanda proposta in primo grado e il contenuto della pronuncia impugnata esorbiterebbero dai limiti del giudizio previsto dal citato art. 21 bis e non sarebbe di conseguenza applicabile il termine abbreviato di impugnazione previsto dalla citata disposizione, assumendo rilievo il vizio di procedura dedotto con il ricorso in appello.

4. La questione sottoposta all'esame della Sezione attiene alla natura del nuovo rito speciale, previsto per i ricorsi proposti avverso il silenzio dell'amministrazione.

La Sezione, pur in assenza di contrasti giurisprudenziali sulla norma recentemente introdotta nel processo amministrativo, ritiene opportuna la rimessione della questione all'Adunanza plenaria, onde evitare possibili contrasti giurisprudenziali e in relazione all'importanza della questione di carattere generale.

In seguito all'entrata in vigore dell'art. 21 bis della legge n. 1034/71, introdotto dall'art. 2 della legge n. 205/2000, si sono profilate due possibili interpretazioni circa la natura del giudizio speciale nei ricorsi avverso il silenzio dell'amministrazione.

Secondo un'interpretazione più restrittiva, sostenuta dalle amministrazioni appellanti, deve escludersi che il giudice possa accertare il fondamento della pretesa del ricorrente e indicare il contenuto del provvedimento da adottare.

Tale oggetto del giudizio sarebbe incompatibile con la semplificazione dell'iter processuale, prevista dal citato art. 21 bis: trattazione dei ricorsi in camera di consiglio, imposizione di un termine breve per la pronuncia (trenta giorni dalla scadenza del termine per il deposito del ricorso, ovvero dalla data fissata per gli adempimenti istruttori), sentenza resa in forma succintamente motivata, termini abbreviati per l'appello.

Tale interpretazione non condurrebbe ad una sorta di "passo indietro" rispetto all'evoluzione giurisprudenziale in materia di silenzio - rifiuto, come consolidatasi prima dell'entrata in vigore del citato art. 21 bis.

E' noto che il tradizionale orientamento, secondo cui il giudice amministrativo doveva limitarsi ad accertare, o meno, la sussistenza dell'obbligo di provvedere è stato progressivamente abbandonato a partire dalla pronuncia dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 10/1978.

Con tale decisione è stato per la prima volta riconosciuta la possibilità per il giudice, in caso di ricorso avverso il silenzio - rifiuto della P.a., di superare la mera declaratoria dell'obbligo di provvedere e di pronunciarsi sulla fondatezza della domanda, sia pure con riferimento ad attività vincolata dell'amministrazione.

In seguito, a fronte di decisioni ancorate all'orientamento tradizionale (cfr. Cons. Stato, IV, n. 390/96; n. 658/99), si è ampliato l'orientamento favorevole all'estensione dell'oggetto del giudizio all'accertamento della pretesa sostanziale dedotta (cfr. fra tutte, Cons. Stato, VI, n. 92/82; IV, n. 506/87; V, n. 250/91; n. 251/96; n. 1446/99; n. 2211/2000), limitato in alcune pronunce al presupposto, oltre che della natura vincolata del provvedimento, della palese fondatezza della richiesta (cfr., Cons. Stato, V, n. 169/97).

Tale orientamento è stato giustificato dall'esigenza di garantire l'effettività della tutela giurisdizionale ed evitare che un ricorso avverso il silenzio - rifiuto della P.a., trattato con la procedura (e i tempi) di un giudizio ordinario, potesse essere definito a distanza di anni con una mera pronuncia declaratoria dell'obbligo di provvedere, senza alcuna utilità sostanziale per il ricorrente, costretto comunque ad attendere l'emanazione di un provvedimento esplicito che valutasse la fondatezza delle sue pretese ed aprisse eventualmente la strada ad un nuovo (e finalmente utile) accesso alla tutela giurisdizionale.

Secondo l'interpretazione restrittiva dell'art. 21 bis della legge n. 1034/71, tale esigenza sarebbe ora venuta meno in presenza del nuovo ed accelerato strumento di tutela offerto dal procedimento speciale introdotto per i ricorsi avverso il silenzio, attraverso il quale con tempi tipici di una misura cautelare si giunge alla declaratoria dell'obbligo di provvedere.

5. A tale tesi, si contrappone un orientamento, secondo cui in ipotesi di attività vincolata, il giudice, adito ai sensi della procedura speciale di cui al citato art. 21 bis, può anche determinare il contenuto dell'atto che l'amministrazione deve adottare a soddisfazione dell'interesse del ricorrente.

I sostenitori di tale interpretazione ravvisano il timore che il nuovo rito, previsto per i ricorsi avverso il silenzio, possa ridimensionare l'ambito di tutela, riconosciuto al privato sulla base della precedente evidenziata elaborazione giurisprudenziale, costringendolo comunque a due gradi di giudizio, seppur con procedura accelerata, per la mera declaratoria dell'obbligo di provvedere, anche nei casi di manifesta fondatezza della sua domanda proposta in relazione ad attività priva di contenuto discrezionale dell'amministrazione.

Inoltre, imporre all'amministrazione l'obbligo di una decisione espressa, con eventuale intervento di un commissario, anche nelle ipotesi di pretesa manifestamente infondata sarebbe irragionevole e contrastante con le finalità acceleratorie e di economia processuale, poste alla base dell'intervento del legislatore di riforma del processo amministrativo (con inutile aggravio di lavoro per la stessa amministrazione).

Anche il riferimento alla possibile istruttoria disposta dal collegio, contenuto nel citato art. 21 bis, sarebbe un ulteriore indice della assenza in assoluto di un limite ad una cognizione estesa all'accertamento della pretesa, cui l'espletamento dell'istruttoria appare funzionale.

All'obiezione dell'incompatibilità del rito speciale, introdotto dall'art. 2 della legge n. 205/2000, con un giudizio esteso all'accertamento della pretesa, viene risposto che la riforma del processo amministrativo ha previsto altre ipotesi di definizione nel merito del ricorso con il rito della camera di consiglio, con sentenza succintamente motivata e termini ridotti (v. art. 3, comma 1 e art. 9, comma 1, della legge n. 205/2000) e che comunque il giudice è garante della salvaguardia dei diritti di difesa, dell'integrità del contraddittorio e della completezza dell'istruttoria secondo i principi affermati dalla Corte Costituzionale in relazione al rito, previsto dall'art. 19 della legge n. 135/97 (Corte Cost. n. 427/99).

Il rischio che con una procedura speciale, che impone al giudice ed alle parti ristretti tempi processuali, debbano essere necessariamente trattate anche questioni particolarmente complesse o relative ad attività amministrativa caratterizzata da rilevanti profili di discrezionalità è scongiurato limitando l'estensione dell'oggetto del giudizio nei ricorsi avverso il silenzio della P.a. all'accertamento della fondatezza, o meno, della pretesa a quelle fattispecie in cui l'attività amministrativa è vincolata o comunque priva di apprezzabili margini di discrezionalità e sia manifesta la fondatezza, o infondatezza, della pretesa.

La valutazione della sussistenza di tali presupposti per estendere l'accertamento alla fondatezza della pretesa azionata non può che essere rimessa al giudice, che comunque non potrà, quanto meno nella prima fase di cognizione, pregiudicare le valutazioni discrezionali spettanti all'amministrazione.

Potrebbe essere ulteriormente obiettato che tale interpretazione indurrebbe l'amministrazione a fornire comunque una risposta per evitare di esporsi ad un rito accelerato esteso anche all'accertamento della pretesa sostanziale oggetto della richiesta. Ma è proprio questo, cui la nuova normativa tende: confermare il dovere generalizzato di pronuncia sulle istanze dei privati in capo all'amministrazione e rafforzare la tutela giurisdizionale in presenza di un'illegittima inerzia della P.a..

I fautori dell'interpretazione estensiva del citato art. 21 bis evidenziano che limitare l'oggetto di tale giudizio, benché con rito speciale accelerato, alla sola declaratoria, in astratto, dell'obbligo della P.a. di provvedere significherebbe aderire ad una concezione del processo amministrativo tuttora ancorata alla natura impugnatoria - demolitoria dell'atto, senza alcuna reale incidenza sull'assetto del rapporto intercorrente con l'amministrazione ed in contrasto con quel processo evolutivo che sempre più tende a spostare dall'atto al rapporto l'oggetto del giudizio.

Il dovere di provvedere deve quindi essere verificato in concreto in relazione non ad una pronuncia qualsiasi, ma ad una pronuncia di contenuto positivo relativa al richiesto provvedimento satisfattorio per il privato, tenuto anche conto che, come già detto, non sarebbe utile imporre all'amministrazione l'obbligo di una decisione espressa in presenza di una pretesa manifestamente infondata.

6. In conclusione, attesa la rilevanza della questione e la possibilità di contrasti giurisprudenziali, l'intera controversia va deferita all'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, rimette il ricorso indicato in epigrafe all'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato.

Così deciso in Roma, il 24-4-2001 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale - Sez.VI -, riunito in Camera di Consiglio, con l'intervento dei Signori:

Presidente

Consigliere

Giuseppe Minicone Consigliere

Lanfranco Balucani Consigliere

Roberto Chieppa Consigliere Est.

Il Presidente

L'Estensore

DEPOSITATA IN SEGRETERIA il 10 luglio 2001.

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