CONSIGLIO DI STATO, SEZ VI - Sentenza 16 febbraio 2002 n. 961 - Pres. Giovannini, Est. Maruotti - Assocogen s.p.a. (Avv. Bucello) c. Autorità per l'energia elettrica ed il gas (Avv.ra Generale dello Stato) e nei confronti della s.p.a. Gestore della rete.
1) Giustizia amministrativa - Ricorso giurisdizionale - Atto impugnabile - Atto amministrativo autorizzatorio generale - Impugnabilità - Atto applicativo - Impugnazione contestuale - Esclusione - Condizioni - Fattispecie in tema di energia elettrica da fonti rinnovabili e assimilate.
2) Giustizia amministrativa - Ricorso giurisdizionale - Interesse a ricorrere - In tema di energia elettrica da fonti rinnovabili e assimilate - Prezzi di cessione - Contributi - Aggiornamento - Impresa autoproduttrice - Ha interesse - Consumo integrale dell'energia autoprodotta - Irrilevanza.
3) Energia - Energia elettrica da fonti rinnovabili e assimilate - Prezzi di cessione - Revisione -Procedimento - Avvio - Comunicazione della Autorità per l'energia alle imprese - Omissione - Legittimità.
1) Il soggetto autorizzato a svolgere una certa attività ben può impugnare l'atto amministrativo generale che regoli, senza necessità di un atto applicativo, la medesima attività sotto qualsiasi suo profilo di svolgimento e di convenienza nei rapporti contrattuali con i terzi, anche se al momento della proposizione del ricorso giurisdizionale non sussiste una immediata incidenza nella sua sfera patrimoniale.(Nel caso esaminato, l'atto amministrativo generale si identificava in una delibera dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas mediante la quale si disponeva l'aggiornamento dei prezzi di cessione dell'energia elettrica prodotta mediante impianti utilizzanti forme rinnovabili e assimilate e dei contributi ex art. 20, c. 1. e art. 22, c. 5, L. 9 gennaio 1991 n. 9) .
2) Una società autorizzata a produrre energia elettrica mediante impianti utilizzanti fonti rinnovabili e assimilate ha interesse ad impugnare la delibera dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas che ha disposto l'aggiornamento dei prezzi di cessione dell'energia elettrica e dei contributi riconosciuti alla nuova energia in applicazione degli articoli ex art. 20, c.1. e art. 22, c. 5, L. 9 gennaio 1991 n. 9, a nulla rilevando che l'energia prodotta viene autoconsumata integralmente, poiché la predetta società può valutare discrezionalmente in qualsiasi momento di incrementare la produzione con relative incidenze potenzialmente cedibili a soggetti terzi.
3) Non costituisce vizio di legittimità il fatto che l'Autorità per l'energia elettrica e il gas abbia avviato il procedimento specifico per l'adozione di una determinata deliberazione, con cui disporre l'aggiornamento dei prezzi di cessione dell'energia elettrica prodotta mediante impianti utilizzanti fonti rinnovabili ed assimilate, senza dare alcuna comunicazione alle società destinatarie del provvedimento, in quanto l'art. 13, L. 7 agosto 1990, n. 241 esclude l'obbligo di comunicazione quando l'attività procedimentale svolta dalla P.A. sia diretta all'emanazione di atti amministrativi generali.
FATTO
I. Con la delibera n. 81 dell'8 giugno 1999, l'Autorità per l'energia elettrica e il gas ha disposto l'aggiornamento dei prezzi di cessione dell'energia elettrica e dei contributi riconosciuti alla nuova energia prodotta da impianti utilizzanti fonti rinnovabili e assimilate, in applicazione degli articoli 20, comma 1, e 22, comma 5, della legge 9 gennaio 1991, n. 9.
2. Coi ricorso di primo grado, proposto al TAR per la Lombardia, la società in epigrafe ha impugnato la delibera n. 81 dei 1999 e ne ha chiesto l'annullamento per violazione di legge ed eccesso di potere.
Il TAR, con la sentenza n. 138 del 2001, ha dichiarato Inammissibile e infondato il ricorso.
3. Con l'appello in esame, il Consorzio ha impugnato la sentenza ed ha chiesto che, in sua riforma, il ricorso di primo grado sia accolto, perché ammissibile e fondato.
Le amministrazioni appellate si sono costituite in giudizio ed hanno chiesto che il gravarne sia respinto.
L'Autorità appellata, in data 8 novembre 2001, ha depositato una memoria, con cui ha ribadito le già formulate conclusioni.
4. All'udienza del 27 novembre 2001 la causa è stata trattenuta in decisione ed è stato depositato il dispositivo, ai sensi dell'art. 4. della legge n. 205 del 2000.
DIRITTO
1. Nel presente giudizio, è controversa la legittimità della delibera n. 81 del 1999, con cui l'autorità per l'energia elettrica e il gas (in prosieguo: Autorità) ha disposto l'aggiornamento dei prezzi di cessione dell'energia elettrica e dei contributi riconosciuti alla nuova energia prodotta da impianti utilizzanti fonti rinnovabili e assimilate, in applicazione degli articoli 20, comma 1, e 22, comma 5, della legge 9 gennaio 1991, n. 9, e in sede di modifica del contenuto della delibera del CIP n. 6 del 1992.
Col ricorso di primo grado, proposto al TAR per la Lombardia, la società appellante:
- ha premesso che è autorizzata a produrre energia elettrica a fini di autoconsumo e che attualmente autoconsuma tutta l'energia prodotta;
- ha chiesto l'annullamento di tale delibera per violazione di legge ed eccesso di potere.
Il TAR, con la sentenza gravata, ha dichiarato inammissibile il ricorso per carenza di interesse (poiché la società che in concreto utilizza tutta l'energia prodotta non sarebbe legittimata ad impugnare la delibera che fissa l'entità del corrispettivo spettante alle imprese che cedono parte dell'energia prodotta) e ne ha rilevato l'infondatezza.
2. Col primo motivo d'appello, l'appellante ha lamentato l'erroneità della statuizione di inammissibilità del ricorso di primo grado, poiché:
a) l'impugnata delibera ha ridotto i contributi erogabili a tutte le imprese che producono energia elettrica da fonti rinnovabili e, dunque, anche ad essa;
b) in ogni caso, ben può la società compiere ulteriori scelte imprenditoriali e aumentare la produzione dell'energia elettrica, sicché vi è un suo interesse strumentale ad una determinazione legittima delle tariffe di cessione, in misura superiore a quella fissata con l'atto impugnato.
3. Ritiene la Sezione che tali doglianze siano fondate e vadano accolte, per un duplice ordine di ragioni.
In primo luogo, la società è senz'altro titolare dell'interesse ad agire avverso le statuizioni con cui l'autorità ha ridotto i contributi ad essa erogabili, quale impresa che produce energia elettrica da fonti rinnovabili.
In secondo luogo, si deve ritenere che il soggetto autorizzato a svolgere una certa attività, in concreto avente alcune caratteristiche, ben può impugnare l'atto amministrativo generale che regoli, senza necessità di un atto applicativo, la medesima attività sotto qualsiasi suo profilo di svolgimento e di convenienza nel rapporti contrattuali con i terzi, anche se al momento della proposizione dei ricorso non sussiste una immediata incidenza nella sua sfera patrimoniale.
L'osservazione contraria del TAR (per il quale la legittimazione ad impugnare andrebbe ammessa solo dopo la concreta insorgenza della situazione di fatto concretamente incisa) urta con la giurisprudenza per la quale il provvedimento è impugnabile entro il termine perentorio decorrente dalla sua notifica o piena conoscenza (e non da quando sopravvenga la circostanza di fatto da cui derivi la lesività individuale), comporta un vuoto di tutela giurisdizionale e non tiene conto dell'interesse immediato ad ottenere una pronuncia giurisdizionale che, ampliando le attività autorizzate ovvero incidendo sulla loro convenienza, consenta ulteriori comportamenti e scelte, suscettibili di valutazione economica.
Nella specie, poiché l'appellante può produrre l'energia elettrica non destinata all'autoconsumo e comunque può valutare se incrementarne la produzione con le relative eccedenze, sussiste il suo interesse ad impugnare l'atto che ha ridotto il corrispettivo previsto per il caso di cessione.
4. Può pertanto passarsi all'esame delle censure formulate in primo grado.
Per comprendere adeguatamente la loro portata, va premesso che il provvedimento impugnato è stato emanato in applicazione dell'art. 22 della legge 9 gennaio 1991, n. 9, e dell'art. 3, comma 12, del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79.
L' art. 22 della legge n. 9 del 1991 riguarda il «regime giuridico degli impianti di produzione di energia elettrica a mezzo di fonti rinnovabili e assimilate» e, al comma 5, ha disposto che i prezzi dell'energia prodotta in eccedenza, rispettosa quella consumata dallo stesso produttore, «vengono definiti» «assicurando prezzi e parametri incentivanti nel caso di nuova produzione di energia elettrica» ottenuta dalle stesse fonti e sono «aggiornati con cadenza almeno biennale».
I prezzi di cessione dell'energia eccedentaria sono stati dapprima definiti dal CIP con la delibera n. 6 del 1992, la quale:
- ha stabilito i prezzi sulla base di una «componente incentivante», correlata ai maggiori costi delle specifiche tipologie di impianto e determinata in base ad un tasso reale di remunerazione del 7%, per un periodo di otto anni;
- ha previsto successivi aggiornamenti dei prezzi, individuando, nelle premesse ed al terzo «visto», anche il criterio «dell'evoluzione tecnologica», oltre ad «un meccanismo di aggiornamento dei prezzi e dei contributi in ragione dell'andamento dell'inflazione, ancorandolo alle variazioni dell'indice Istat dei prezzi al consumo».
La delibera impugnata in primo grado n. 81 del,1999 ha modificato i prezzi di cessione dell'energia eccedentaria già determinati nel 1992, rilevando che:
per mantenere «costante il tasso reale di remunerazione pari al 7%", già riconosciuto dalla delibera dei CIP n. 6 dei 1992», l'aggiornamento periodico deve basarsi non solo sulle variazioni dell'indice Istat, ma anche sul criterio dell'evoluzione tecnologica;
le rilevazioni di mercato hanno manifestato che i costi di investimento di cicli combinati a gas di nuova tecnologia (come determinati e posti a base delle proprie determinazioni dal CIP con la delibera n. 6 del 1992) hanno subito «una progressiva riduzione negli anni successivi»;
il rendimento termodinamico degli impianti a cielo combinato di più recente tecnologia «ha subito un progressivo incremento, mentre all'utenza non sono stati trasferiti i benefici conseguenti alla riduzione dei consumi specifici di gas naturale».
In considerazione di tali elementi, l'autorità:
a) ha ritenuto che il primo biennio di aggiornamento dovesse decorrere dall'anno 1995, poiché nel 1993 è stato emesso il decreto dei Ministro dell'industria che ha approvato le graduatorie;
b) per collegare ciascuna attività produttiva agli specifici bienni di aggiornamento, ha tenuto conto della data di entrata in esercizio dell'impianto (mantenendo la possibilità per le imprese di dimostrare la sussistenza di maggiori costi, per la precedente assunzione di obbligazioni);
c) ha aggiornato i prezzi di cessione in base al tasso reale di remunerazione pari al 7% ed ha aggiornato i prezzi «con decorrenza dal 1° gennaio 2000 agli impianti entrati in esercizio a partire dal 1° gennaio 1997», con esclusione degli impianti ove si svolgono «iniziative prescelte».
5.Con un primo gruppo di censure, l'appellante ha dedotto che:
a) il provvedimento impugnato avrebbe sostanzialmente alterato le tariffe e modificato il contenuto del provvedimento emesso dal CIP n. 6 del 1992, in violazione dell'art. 3 della legge n. 481 del 1995 e dell'art. 3, comma 12, del decreto legislativo n. 79 del 1999, che ha ammesso solo il suo aggiornamento;
b) l'Autorità non avrebbe potuto disporre tale alterazione, anche se ha ritenuto che andasse ripristinato l'originario equilibrio economico, alterato da mutamenti intervenuti sul mercato;
c) il provvedimento dei CIP n. 6 del 1992 avrebbe previsto che gli aggiornamenti delle tariffe vadano disposti sulla base degli elementi obiettivi indicati al punto 7 del titolo 11, tra cui (come rilevato dalla Sez. I col parere n. 996 del 9 dicembre 1999) non rientra l'evoluzione tecnologica (anche se essa è stata ivi richiamata nel preambolo, avente al più un 'valore programmatico');
d) sarebbe affetta da eccesso di potere la-valutazione sull'opportunità di evitare che gli impianti realizzati dopo il 1996 siano beneficiari di remunerazioni eccessive rispetto ai valori ritenuti congrui con la delibera n. 6 del 1992, poiché l'Autorità non potrebbe prevenire l'incremento del tasso reale di remunerazione in ragione della innovazione tecnologica.
6. Tali articolate censure (così riassunte e da esaminare congiuntamente per la loro stretta connessione) nel loro complesso risultano infondate e vanno respinte.
La contestata delibera della Autorità si pone in linea di stretta continuità con la precedente delibera n. 6 del 1992, di cui si è limitata a disporre il mero aggiornamento dei prezzi di cessione dell'energia, in base ai criteri già individuati dal CIP.
Tra le premesse alla medesima delibera, vi è l'espresso riferimento al criterio della evoluzione tecnologica, che il CIP ha ritenuto decisivo per determinare i prezzi di cessione, ma che nel 1992 non ha concretamente attuato perché le sue statuizioni (le prime regolatrici del settore, a seguito dell'entrata in vigore della legge n. 9 del 1991) si riferivano alle caratteristiche tecniche degli impianti allora coevi ed esistenti.
Il CIP ha enunciato tale criterio (del resto anche evincibile dai principi regolanti il settore) proprio al fine di farlo tenere in considerazione in sede di aggiornamento delle tariffe, per consentire che senza eccezioni gli ulteriori provvedimenti mantenessero costante il tasso reale di remunerazione (determinato in misura standard nel 7% dalla delibera n. 6 dei 1992) e per evitare che esso effettivamente si incrementi (in conseguenza del decremento dei costi di investimento e dell'incremento dell'efficienza produttiva).
Ciò comporta che la delibera n. 81 del 1999 non ha violato la normativa invocata dall'appellante, poiché, attenendosi strettamente al parametro (già fissato dal CIIP) del tasso reale standard di remunerazione, ha dato applicazione al criterio predeterminato e valevole per tutte le imprese, ancorato alle caratteristiche tecniche degli impianti e del mercato e, dunque, determinante per 9 mantenimento costante di tale tasso.
7. L'appellante ha altresì dedotto che le leggi del settore e la delibera dei CIIP n. 6 del 1992 hanno consentito aggiornamenti per i 'maggiori costi' e solo 'in aumento', e non anche 'diminuzioni' dei prezzi (tranne l'eccezione del costo dei combustibile).
8. La censura va disattesa.
In sede di aggiornamento dei prezzi, l'autorità ha legittimamente potuto ridurre i loro importi, poiché le leggi di settore e le delibere succedutesi nel tempo (tanto meno la delibera n. 6 dei 1992) non hanno sancito la regola della loro variazione crescente.
Al contrario, col richiamo al criterio dell'evoluzione tecnologica, il CIP ha ammesso anche variazioni in diminuzione, in considerazione degli aspetti tecnici tali da comportare le riduzioni dei costi dei produttori.
9. L'appellante ha inoltre lamentato che le valutazioni poste a base dell'atto impugnato riguardano le suddivisioni dei costi degli impianti in quindici rate annuali di ammortamento e quindici bilanci, mentre in concreto le imprese hanno la certezza della collocazione dell'energia per otto anni, sicché (con contraddittorietà e a seguito di un difetto di istruttoria) si determinerebbe una distorsione nel mercato della generazioni di energia elettrica (come evidenziato a pp. 22 ss. dell'appello), anche perché le convenzioni per il ritiro dell'energia hanno la durata di otto anni.
10. Anche tali censure vanno respinte, poiché:
- già la delibera n. 6 dei 1992 aveva stabilito la «struttura dei prezzi di cessione e dei contributi», individuando la «componente incentivante, correlata ai maggiori costi delle specifiche tipologie di impianto» e da corrispondere «per un periodo di otto anni»;
- risulta ragionevole, oltre che doverosa e meramente attuativa di tale criterio, la determinazione dell'Autorità di aggiornare i prezzi alla scadenza dell'ottavo anno, con decorrenza dal 1° gennaio 2000.
11. L'appellante ha dedotto che solo in sede giurisdizionale l'autorità avrebbe indicato il rilievo del criterio dei 'costo evitato di impianto', che sarebbe a sua volta anche erroneo ai sensi del decreto legislativo n. 79 del 1999.
12. La censura va respinta sotto entrambi i profili, sia perché l'impugnata delibera ha dato dettagliatamente conto di ogni ragione posta a suo fondamento (a sua volta derivante da una articolata istruttoria e su analitiche valutazioni di dati di macroeconomia, di per sé insindacabili e comunque rimasti incontestati in questa sede), sia perché il criterio del costo evitato è stato testualmente enunciato nel sopra riportato art. 3, comma 12, del decreto legislativo n. 79 del 1999, in un sistema in cui il medesimo criterio era già stato disposto dall'art. 22 della legge n. 9 dei 1991 (Sez. VI, 6 luglio 2000, n. 3796 e 3797).
13. Con un ulteriore ordine di censure, l'appellante ha lamentato che l'atto impugnato, poiché ha inciso sul regime tariffario de li impianti già in esercizio nel biennio 1997-1998 e realizzati a costi maggiori rispetto a quelli corrispondenti al 'costo evitato', avrebbe retroattivamente inciso sull'affidamento (tutelato dal diritto comunitario e interno) che aveva dato luogo all'avvio dell'iniziativa, introducendo una variazione riduttiva per la componente relativa alla specifica tipologia degli impianti.
Secondo l'assunto, la riduzione della tariffa (disposta in contrasto con i principi enunciati dalla legge n. 481 del 1995, in violazione delle garanzie procedimentali di partecipazione e senza accertare se le economie abbiano riguardato gli impianti entrati in esercizio nel biennio 1997-1998) avrebbe influito non solo sulle cessioni successive al 1° gennaio 2000, ma anche sui comportamenti delle imprese oramai irreversibili e già esauriti, nel senso che, privilegiando gli operatori pubblici, avrebbe modificato i parametri di valutazione delle scelte di investimento in alcune operazioni economiche e non in altre (senza neppure considerare compiutamente tutte le voci di costo ed erroneamente ritenendo che- i terzi produttori abbiano costi medi operativi inferiori a quelli dell'ENEL).
L'appellante ha aggiunto che, poiché l'art. 3 della legge n. 481 dei 1995 ha disposto il mantenimento delle tariffe per le imprese che alla sua data di entrata in vigore avessero già realizzato investimenti, sarebbe stato violato l'affidamento sull'indice di redditività degli investimenti.
14. Ritiene la Sezione che tali censure vadano respinte.
Sotto il profilo formale, non sussistono i dedotti profili di violazione della normativa sulla partecipazione, poiché l'autorità ha seguito il procedimento previsto dalla normativa vigente, svolgendo le relative formalità istruttorie: non rileva la circostanza che l'appellante non abbia ricevuto l'avviso dell'avvio del procedimento, poiché per l'art. 13 della legge n. 241 del 1990 non si applicano le norme del capo IH, nei confronti dell'attività «diretta alla emanazione di atti.. amministrativi generali».
Sotto il profilo sostanziale, non sussistono i dedotti profili di illegittimità, poiché l'impugnata delibera ha modificato i prezzi di cessione a decorrere dal 1° gennaio 2000 (e cioè differendo la variazione di circa sette mesi, contestualmente alla scadenza dell'ottavo anno già considerato rilevante dalla delibera dei CIP n. 6 dei 1992), senza dispone alcuna portata retroattiva;
- non vi è stata alcuna lesione dell'affidamento delle imprese, poiché la normativa di settore e la delibera n. 6 del 1992 hanno con chiarezza attribuito all'Autorità H potere di aggiornare i prezzi, anche in base al criterio dell'evoluzione tecnologica;
- l'impugnata delibera si è riferita agli impianti entrati in esercizio a partire dal I' gennaio 1997 al fine di individuare (sulla base di dati tecnici) il novero delle imprese che si sono maggiormente avvantaggiate della dinamica dell'evoluzione tecnologica e del precedente mancato aggiornamento dei prezzi, sulla base di una analitica istruttoria (richiamata nella stessa delibera) che ha dato conto sia delle economie derivanti dalla evoluzione tecnologica (di per sé non contestata) nel settore della generazione elettrica, sia del progressivo incremento del rendimento termodinamico degli impianti a ciclo combinato di più recente tecnologia;
- la variazione dei prezzi a decorrere dal 1° gennaio 2000 ha consentito alle imprese di programmare in concreto le loro attività produttive e di valutare per tempo se potenziare o meno la produzione, senza alcuna incidenza sulle precedenti scelte imprenditoriali, in ragione della invarianza dei prezzi sino al 31 dicembre 1999;
- non emergono elementi tali da far ritenere privilegiata la s.p.a. ENEL o altra società, in quanto non sono stati comprovati o quanto meno esposti elementi al riguardo e inoltre non sono sindacabili in quanto tali (e non risultano manifestamente irragionevoli) le valutazioni dell'Autorità;
- non è stato violato l'art. 3, comma 7, della legge n. 481 del 1995, sia perché nel settore in esame prevalgono le norme speciali di cui alla legge n. 9 dei 1991 (Sez. VI, 6 luglio 2000, n. 3796 e 3797), sia perché l'autorità ha preso come punto di riferimento per il primo aggiornamento l'anno 1995, non per incidere retroattivamente sui prezzi, bensì unicamente per sottolineare che nel 1993 era stato emesso il decreto del Ministro dell'industria di approvazione delle graduatorie e che già dal 1995 le imprese potevano prospettarsi l'emanazione degli atti di aggiornamento, in sintesi, non è ravvisabile una violazione delle aspettative delle imprese sugli indici di redditività degli investimenti, perché le loro scelte sono effettuate in un sistema in cui l'autorità può tenere conto di tutte le circostanze sopravvenute e mantenere fermo il tasso reale standard di remunerazione pari al 7%, a suo tempo fissato dal CIP e che non è stato inciso.
Del resto, la delibera impugnata in primo grado si inserisce in un sistema in cui:
a) il criterio di determinazione dei prezzi di cessione delle eccedenze si basa su elementi riconducibili, in massima parte, all'attività produttiva del soggetto cui è stato imposto l'acquisto, nel senso che il criterio dei costi evitati comporta che l'acquirente (pur avendo l'obbligo legale di acquistare le eccedenze) paga un prezzo, determinato dall'Autorità, pari alla somma che avrebbe speso per produrre una corrispondente quantità di energia, e calcolato in base al cd. tasso reale di remunerazione;
b) in linea di principio, dal punto di vista del soggetto acquirente sono indifferenti le modalità dell'attività e le tipologie degli, impianti con le quali l'autoproduzione porta alle eccedenze, sicché H legislatore (anche al fine di evitare che le tariffe corrisposte dagli utenti subiscano aumenti a causa dell'acquisto coattivo delle eccedenze) ha previsto il criterio dei costi evitati per determinare un corrispettivo dell'acquisto in base a quanto altrimenti costerebbe all'acquirente la produzione di una pari quantità di energia;
c) l'obbligo legale dell'acquisto altrui comporta un indubbio vantaggio per l'autoproduttore, che non è disincentivato a produrre e può soddisfare tutti i propri bisogni con l'autoconsumo, poiché è consapevole del fatto che la produzione dell'energia eccedente (e che per forza di cose andrebbe perduta se non fosse subito ceduta ad un acquirente) dà luogo necessariamente ad un compenso, a carico del soggetto tenuto per legge all'acquisto (Sez. VI, 6 luglio 2000, n. 3796 e 3797).
Pertanto, la determinazione di tariffe basate sul medesimo tasso reale di remunerazione già fissato a suo tempo dal CIP, oltre a risultare prevedibile quale mera attuazione di un criterio già fissato con la delibera n. 6 del 1992, risulta anche logico e coerente col criterio legale dei costi evitati.
15. L'appellante ha inoltre dedotto che, se si dovesse ritenere che l'art. 3, comma 12, del decreto legislativo n. 79 del 1999, abbia differenziato la posizione dell'appellante rispetto alle cd. iniziative prescelte (per le quali la delibera impugnata ha disposto «ulteriori approfondimenti»), esso sarebbe incostituzionale per la violazione del principio di affidamento e del principio di uguaglianza.
16. Anche tale doglianza va respinta.
Va premesso che:
il secondo periodo dell'art. 3, comma 7, della legge n. 481 del 1995, senza richiamare H potere di aggiornamento dei prezzi, ha disposto che la delibera dei CEP n. 6 del 1992 si applica, «per tutta la durata del contratto, alle iniziative prescelte, alla data di entrata in vigore della presente legge», in relazione alle «proposte di cessione di energia elettrica» ivi indicate;
il successivo quarto periodo dell'art. 3, comma 7, «per le altre iniziative» ha previsto che si applica la medesima delibera del CIP, con «i relativi aggiornamenti, previsti dall'articolo 22, comma 5, della legge 9 gennaio 1991, n. 9, che terranno conto dei principi di cui all'articolo 1 della presente legge»
Tale normativa ha dunque nettamente contrapposto le «iniziative prescelte» (cioè quelle prese in considerazione dal decreto ministeriale dei 25 settembre 1992 e disciplinate dalla legge n. 481 del 1995) a tutte «le altre iniziative», nel senso che solo per le prime sono state rafforzate le previsioni della delibera n. 6 del 1992, che non possono essere aggiornate nel corso del rapporto contrattuale intercorrente con l'ENEL.
In ragione di tale distinzione, l'autorità, a p. 4 della impugnata delibera e a pp. 44-45 delle «linee guida e proposte», successivamente valutate nel corso dei procedimento, ha motivatamente ritenuto che l'aggiornamento dei prezzi non dovesse riguardare le «iniziative prescelte», proprio perché specificamente disciplinate nel senso dell'applicabilità della delibera n. 6 dei 1992 «per tutta la durata del contratto» di cessione stipulato con l'ENEL (sulla regola, in tali limiti, della stabilità dei prezzi di cessione, v. anche Sez. I, 9 dicembre 1999, n. 996).
Poiché la legge ha previsto una peculiare disciplina per le «iniziative prescelte», risultano dunque infondate le censure di eccesso di potere per disparità di trattamento tra la posizione dell'appellante e quella delle imprese che si trovano nella situazione prevista dei secondo periodo dei richiamato art. 3, comma 7.
Va infine dichiarata manifestamente infondata la sollevata questione di costituzionalità dell'art. 3, comma 12, del decreto legislativo n. 79 del 1999 (che ha distinto la posizione dell'autoproduttore, che cede l'energia all'ENEL, da quella delle imprese produttrici-distributrici «di cui al titolo IV, lettera B), del provvedimento CIP n. 6/1992», che ammettono energia nelle loro reti di distribuzione), poiché il legislatore ha ragionevolmente contrapposto le posizioni in comparazione, prevedendo distinti criteri di determinazione dei prezzi, basati su diverse e peculiari situazioni di ordine soggettivo, oggettivo e temporale, attributive di un particolare regime per le iniziative prescelte, nel cui novero pacificamente non rientra quella dell'appellante.
17. Per le ragioni che precedono, l'appello nel suo complesso è infondato e va respinto.
Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese e gli onorari del secondo grado del giudizio.