CONSIGLIO DI STATO, SEZ. VI - Sentenza 6 agosto 2002 n. 4099 - Pres. de Roberto, Est. Roxas - Azienda Municipale Autobus di Reggio Calabria (Avv. Morabito) c. Consiglio di Disciplina dell'Azienda Municipale Autobus di Reggio Calabria (n.c.) e Trunfio (Avv. Forti).
1. Pubblico impiego - Procedimento disciplinare - A seguito di sentenza penale di condanna - Termine per l'inizio - Decorrenza - Dal momento in cui la P.A. ha avuto conoscenza del testo della sentenza.
2. Pubblico impiego - Provvedimento disciplinare - Divieto di destituire di diritto i pubblici dipendenti - Ex art. 9 L. n. 19/1990 - Si applica alla sola destituzione di diritto - Non impedisce l'automatica cessazione del rapporto nel caso di dipendente che abbia riportato l'interdizione perpetua dai pubblici uffici.
1. Il dies a quo del termine di attivazione del procedimento disciplinare a seguito di sentenza penale irrevocabile con la quale un dipendente pubblico è stato condannato non può che coincidere con la piena conoscenza del testo della sentenza, dovendo l'Amministrazione avere esatta cognizione dei fatti accertati in sede penale e ciò al fine di essere messa in grado di valutare, in maniera inadeguata, tutti gli elementi utili per determinarsi nella successiva azione amministrativa (1).
2. L'art. 9 della legge 7 febbraio 1990, n. 19 (secondo cui il "pubblico dipendente non può essere destituito di diritto a seguito di condanna penale"), introdotto a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 971/1988, si applica alla sola "destituzione di diritto per effetto di condanna penale", quale era prevista dall'art. 85, lettera a), del D.P.R. n. 3/1957, estesa dal legislatore a tutte le disposizioni normative che, nei vari ordinamenti settoriali del pubblico impiego, ancora prevedessero tale forma di destituzione in senso conforme (2).
Tal disposizione non può impedire la automatica cessazione del rapporto di lavoro nei confronti di quei pubblici dipendenti che, condannati in sede penale con sentenza irrevocabile, abbiano avuto irrogata anche la pena accessoria dell'interdizione perpetua dai pubblici uffici (3).
-------------------------
(1) Cfr. Cons. Stato, Sez. VI, n. 1175/99 e Sez. VI, n. 921/2001.
(2) Cons. Stato, Sez. V, n. 468/98.
(3) Ha osservato la Sez. VI che, accogliendo una diversa interpretazione, la pena accessoria dell'interdizione perpetua dai pubblici uffici (che consegue a fattispecie penali di rilevante gravità) verrebbe ad essere significativamente svuotata di contenuto, risultato questo che avrebbe verosimilmente richiesto da parte del legislatore un intervento esplicito in tale senso.
E' stato pertanto ritenuto nella specie legittimo l'"opinamento" (id est la cessazione immediata del rapporto di lavoro) disposto dall'Azienda Municipale Autobus di Reggio Calabria nei confronti di un dipendente che in sede penale aveva riportato altresì l'interdizione perpetua dai pubblici uffici, poiché l'espulsione dai pubblici uffici è diretto ed immediato contenuto di una pena accessoria di cui l'Amministrazione non può che prenderne atto, senza che sia possibile apprestare, nell'ambito di una successiva valutazione disciplinare, gli elementi del reato allo scopo di valutare la compatibilità della condanna con la permanenza in servizio del dipendente.
In materia di destituzione dei pubblici dipendenti v. in questa Rivista G. GULI', Destituzione e patteggiamento.
per l'annullamento
del provvedimento del Consiglio di Disciplina dell'Azienda Municipale Autobus di Reggio Calabria, con la quale è stata disposta la revoca dello "opinamento" della destinazione, emesso della Direzione dell'Azienda nei confronti del dipendente TRUNFIO Antonino, a seguito di condanna penale pronunciata dalla Corte di Assise di Reggio Calabria, con sentenza passata in giudicato.
(omissis)
F A T T O
L'Azienda Municipale Autobus di Reggio Calabria, in persona del Direttore pro-tempore, ha proposto ricorso innanzi al Consiglio di Stato per l'annullamento del provvedimento con il quale il Consiglio di disciplina dell'Azienda ha disposto la revoca dell'"opinamento della destituazione del dipendente TRUNFIO Antonino, emesso dalla Direzione Aziendale perché quest'ultimo è stato condannato, con sentenza passata in giudicato, a dieci anni di reclusione, alla pena accessoria della interdizione perpetua dei pubblici uffici e alla interdizione legale per tutta la durata della pena.
Si deducono i seguenti motivi:
1 - violazione dell'art. 53 e dell'art. 45, punto 7, dell'all. A) R.D. n. 148/1931, in quanto la destituzione inflitta al dipendente è pienamente giustificata dalla condanna penale con pena accessoria alla introduzione perpetua da pubblici uffici;
2 - violazione degli artt. 28, 29e 358 del c.p., di cui occorreva tenere conto nella specie, atteso che il dipendente destituito (conducente) è incaricato di pubblico servizio;
3 - falsa ed erronea applicazione della legge n. 19/1990 in relazione agli artt. 28 e 29 del c.p.;
4 - violazione dell'art. 9, 2^ comma, della legge 19/1990, giacchè il superamento dei termini non comporta l'estinzione del procedimento disciplinare, ove detto superamento sia giustificato dal documentato svolgimento - nei tempi tecnici necessari dalle fasi endo - procedimentali fissate dal T.U. n. 3/1957;
5 - violazione dei principi che regolano i poteri della pubblica amministrazione, in quanto la destituzione è la necessaria conseguenza dei fatti e della responsabilità accertati in sede penale.
Si è costituito il Sig. TRUNFIO, chiedendo il rigetto del ricorso.
Con decisione interlocutoria n. 1312/98 del 26 giugno 1998, la Sezione ha ordinato all'Azienda ricorrente di provvedere al deposito di documentazione ritenuta necessaria ai fini del decidere; detta documentazione è stata trasmessa in data 16 novembre 1998 ed è pervenuta il successivo 20 novembre.
Alla pubblica udienza del 24 aprile 2001, la causa è stata trattenuta in decisione.
D I R I T T O
Premette parte ricorrente che la Commissione Amministratrice dell'Azienda Municipale Autobus (A.M.A.) di Reggio Calabria, con provvedimento n. 7778 del 28 novembre 1989 sospendeva, in via preventiva e cautelativa "dal soldo e dal servizio" il dipendente TRUNFIO Antonino, tratto in arresto perché implicato in fatti delittuosi non inerenti il servizio, riservandosi contestualmente, di adottare il relativo provvedimento disciplinare a conclusione del procedimento penale.
Quest'ultimo si concludeva il 21 dicembre 1993 con sentenza della Corte di Assise d'Appello di Reggio Calabria di condanna alla pena complessiva di anni 10 di reclusione, nonché alla pena accessoria della interdizione perpetua ai pubblici uffici e della interdizione legale per tutta la durata della pena per il delitto di cui agli artt. 56, 81, 110, 575 e 577 codice Penale.
Poiché, ai sensi dell'art. 45, punto 7), all. A. del R.D. n. 148 del 1931 l'agente che abbia subito condanna penale e abbia riportato la pena della interdizione dai pubblici uffici incorre nella destituzione, la Direzione dell' A.M.A., con nota n. 9999 del 9 novembre 1995 esprimeva nei confronti del TRUNFIO l'opinamento della destituzione, ai sensi dell'art. 53 del citato R.D. n. 148/31.
Dopo l'esame delle giustificazioni addotte dal dipendente con nota del 13 novembre 1995, il provvedimento di destituzione veniva confermato dalla Direzione Aziendale con nota 10329 del 21 novembre 1995.
Il ricorso presentato dall'interessato al Consiglio di Disciplina era esaminato ed accolto, con deliberazione e maggioranza dei suoi componenti, dal predetto Consiglio nella seduta dell' 1 dicembre 1995, con motivazione rinviata alla successiva seduta del 15 dicembre, che revocava il provvedimento di destituzione.
L'accoglimento del ricorso del TRUNFIO veniva motivato dal Consiglio di disciplina nella considerazione che il procedimento disciplinare doveva considerarsi iniziato il 9 novembre 1995, prima della comunicazione all'Azienda da parte del Procuratore Generale della Repubblica (avvenuta in data 18 novembre 1995) ma dopo il decorso di 180 giorni della Commissione, effettuata dal difensore dell'agente con lettera del 21 aprile 1995, dell'intervenuta condanna penale e dopo che l'Azienda aveva riammesso in servizio il dipendente (in data 27 giugno 1995) sulla base di ordinanza del Magistrato di sorveglianza nell'ambito dell'approvato programma di trattamento.
Il ricorso in esame, promosso dall'A.M.A., richiede l'annullamento della pronuncia del Consiglio di disciplina, contestandone la legittimità per i profili indicati in premessa.
Rileva il Collegio che la motivazione adottata dal Consiglio di Disciplina, e sottolineata negli scritti difensivi del TRUNFIO, si fonda essenzialmente sulla tardività dell'esercizio del provvedimento disciplinare, in relazione alla comunicazione dell' intervenuta condanna comunicata dal difensore in data 23 aprile 1995 (pervenuta all'Azienda il successivo 21 aprile).
Tale lettera, prodotta in atti a seguito dell'intervenuta pronuncia istruttoria, comunica che "attualmente il Sig. TRUNFIO Antonio trovasi detenuto in espiazione della pena di anni 10, di cui due già dichiarati condonati, inflitta con sentenza della Corte di Assise di Appello di Reggio Calabria del 21 dicembre 1993".
A seguito di una esplicita richiesta, con ulteriore documentazione datata 19 ottobre 1995, veniva precisato a cura dello stesso difensore, che la sentenza del 21 dicembre 1993 "è divenuta definitiva il 13 ottobre 1994".
Ritiene il Collegio che le suddette comunicazioni non si appalesino sufficienti a concretare quella "notizia della sentenza" idonea a far decadere i termini per l'assenso del procedimento disciplinare; come più volte affermato in sede giurisdizionale, il dies a quo del termine di attivazione del procedimento disciplinare non può che coincidere con la piena conoscenza del testo della sentenza, dovendo l'Amministrazione avere esatta cognizione dei fatti accertati in sede penale, e ciò al fine di essere messa in grado di valutare, in maniera inadeguata, tutti gli elementi utili per determinarsi nella successiva azione amministrativa (cfr, da ultimo C. d S. , Sez, VI n. 1175/99 e C. d S. , Sez, VI n. 921/2001)
A riprova, aggiungasi che le indicate comunicazioni non fanno cenno della pena eccessiva della interdizione dai pubblici uffici, espressamente prevista quale causativa della destituzione nel R.D. 148/31.
Per gli indicati aspetti, assume maggior rilievo l'ordinanza del Giudice di sorveglianza del 21 giugno 1995 che ha determinato la riassunzione in servizio del TRUNFIO, nelle more della definizione della posizione del dipendente.
Tuttavia, tale ordinanza non incide sui termini osservati dall'Amministrazione per determinare profili di illegittimità, tenuto conto della sequenza procedimentale sopra descritta.
Le considerazioni svolte attengono al profilo procedurale sui cui si è soffermata la parte motiva della pronuncia della Commissione di Disciplina.
L'Amministrazione ricorrente propone altresì ulteriori censure, con riferimento alla sussistenza, nel caso in esame, della condanna alla pena eccessiva dell'interdizione proposta dai pubblici uffici.
Dopo aver illustrato, con riferimenti giurisprudenziali, la natura dell'A.M.A. quale ente pubblico, i cui addetti sono organi quali pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio, a seconda delle mansioni o funzioni concretamente svolte, e dopo aver ricordato, con riferimento al rapporto di lavoro intercorrente con il TRUNFIO, che "il conducente di una Azienda Tranviaria, senza distinzione tra impiegato e salariato" (Cassaz. 6 marzo 1985 e altre citate a pag. 7 del ricorso) è incaricato di pubblico servizio, viene dedotta la violazione di legge in relazione al disposto degli artt. 28,29 e 353 del codice penale nonché la falsa ed erronea interpretazione della legge 19/90.
Invero, non può ritenersi che l'art. 9 della legge 7 febbraio 1990, n. 19 abbia abrogato qualsiasi disposizione di legge contrastante con il divieto della automatica destituzione, sicchè anche la pena accessoria della interdizione dai pubblici uffici non comporterebbe la destituzione , quale quello irrogata con l'"opinamento" della Direzione dell'Azienda (che, si nota, viene definita irritale negli scritti difensivi del Trionfio allegati agli atti, in quanto non preceduti da formale apertura del procedimento disciplinare).
L'articolo sopra citato stabilisce, al primo comma che il "pubblico dipendente non può essere destituito di diritto a seguito di condanna penale. E' abrogata ogni contraria disposizione di legge".
La norma introdotta in continuità con la sentenza della Corte Costituzionale "971/1988, ad avviso del Collegio, nella sua letterale formulazione con può riferirsi alla ipotesi di interdizione perpetua dai pubblici uffici. Accogliendo una diversa interpretazione, tale pena accessoria (che consegue a fattispecie penale di rilevante gravità) verrebbe ad essere significativamente svuotata di contenuto, risultato questo che avrebbe verosimilmente richiesto da parte del legislatore un intervento esplicito in tale senso.
L'ambito di operatività dell'art. 9 citato, va quindi ristretto alla sola "destituzione di diritto per effetto di condanna penale", quale era prevista dall'art. 85, lettera a) del D.P.R. n. 3/1957, estesa dal legislatore a tutte le disposizioni normative che, nei vari ordinamenti settoriali del pubblico impiego, ancora prevedessero tale forma di destituzione in senso conforme (C. d. S., Sez. V, n. 468/98).
Ne consegue la piena legittimità dell'"opinamento" adottato dall'azienda, poiché l'espulsione dai pubblici uffici è diretto ed immediato contenuto di una pena accessoria di cui l'Amministrazione non può che prenderne atto, senza che sia possibile apprestare, nell'ambito di una successiva valutazione disciplinare, gli elementi del reato allo scopo di valutare la compatibilità della condanna con la permanenza in servizio del dipendente.
Per tale assorbente profilo la decisione impugnata, per la parte concernente la destituzione disposta, deve essere annullata.
Si ritiene equo disporre la compensazione delle spese.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, (Sezione Sesta) accoglie il ricorso e, per l'effetto, annulla il procedimento impugnato.
Spese compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità Amministrativa.
Così deciso in Roma, addì 24 aprile 2001, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, (Sezione Sesta) nella Camera di Consiglio, con l'intervento dei Signori:
Alberto De Roberto Presidente
Paolo NUMERICO Consigliere
Giuseppe MINICONE Consigliere
Gianfranco BALUCANI Consigliere
Giuseppe Roxas Consigliere Est.
Depositata in cancelleria il 6 agosto 2002.