CONSIGLIO DI STATO, SEZ. VI - Sentenza 17 febbraio 2003 n. 845 - Pres. Giovannini, Est. Cafini - Università degli Studi di Roma "La Sapienza" (Avv. Stato Volpe) c. Artico ed altri (Avv. Chiappetti) - (annulla T.A.R. Lazio, Sez. III, 11 maggio 2001, n. 422).
1. Pubblico impiego - Ricercatori universitari - Riconoscimento dei servizi pregressi - Richiesta di riconoscimento dei periodi di servizio prestati in qualità di funzionari tecnici laureati - Diniego - Legittimità.
2. Pubblico impiego - Ricercatori universitari - Riconoscimento dei servizi pregressi - Richiesta di riconoscimento dei periodi di servizio prestati in qualità di funzionari tecnici laureati - Disciplina prevista dal combinato disposto degli artt. 7 della legge n. 28/1980 e 103 del D.P.R. n. 382/1980 - Nella parte in cui esclude i soli ricercatori dal beneficio della valutabilità del servizio prestato come tecnico laureato - Questione di legittimità costituzionale in relazione agli artt. 3 e 97 Cost. - Manifesta infondatezza.
1. E' legittimo il provvedimento con il quale viene respinta la istanza avanzata da alcuni ricercatori confermati tendente ad ottenere, a norma dell'art. 103 del D.P.R. 11 luglio 1980 n. 382, il riconoscimento, ai fini della ricostruzione della carriera, del servizio prestato in qualità di funzionari tecnici laureati, atteso che il servizio in questione non è espressamente ricompreso tra quelli indicati nell'art. 7 della legge 21 febbraio 1980 n. 28 e nell'art. 103 del D.P.R. n. 382/1980 (1).
2. E' manifestamente infondata, con riferimento agli artt. 3 e 97 Cost., la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 7 della legge 21 febbraio 1980 n. 28 e 103 del D.P.R. 11 luglio 1980 n. 382, nella parte in cui esclude i soli ricercatori dal beneficio della valutabilità del servizio prestato come tecnico laureato, ai fini della ricostruzione della carriera. La differente disciplina prevista per i ricercatori, rispetto a quanto stabilito in favore dei professori ordinari e associati, infatti, nasce dal fatto che essa si riferisce a posizioni di lavoro ed ipotesi diverse tra loro; comunque tale scelta appartiene alla discrezionale e prudente valutazione di merito del Legislatore, in relazione alle differenti posizioni giuridiche del personale contemplato nelle norme di cui trattasi.
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(1) Ha osservato in proposito la Sez. VI che l'art. 103 del D.P.R. n. 382/1980, dopo aver disposto, nei primi due commi, che ai professori di ruolo è riconosciuto, ai fini della carriera, il servizio prestato tra l'altro in qualità di tecnico laureato, per metà all'atto della nomina ad ordinario e per due terzi all'atto della nomina nella fascia degli associati, nel successivo comma 3, nel testo novellato dall'art.23 della legge 23.12.1999 n.488, si limita a concedere ai ricercatori universitari, al momento della loro immissione nella fascia dei ricercatori confermati, il riconoscimento per intero, ai fini previdenziali, e per i due terzi, ai fini di carriera dell'attività "effettivamente prestata nelle Università in una delle figure di cui all'art. 7 della legge 21.2.1980, n.28", tra le quali, tuttavia, non viene contemplata espressamente la figura del funzionario tecnico laureato.
Il chiaro tenore della norma in questione ha indotto la Sez. VI a ritenere fondati i rilievi mossi dall'Amministrazione universitaria di Roma ed a considerare non corretta l'interpretazione nella specie seguita dal Giudice di primo grado che nella sostanza sembra abbia forzato l'effettivo significato dell'art. 103 cit., effettuando un'operazione ermeneutica che, in definitiva, si palesa in contrasto con la disciplina effettivamente risultante dal senso letterale della disposizione di cui trattasi.
FATTO
1. Con ricorso proposto davanti al TAR per il Lazio gli istanti, tutti appartenenti al ruolo dei docenti dell'Università agli Studi "La Sapienza" di Roma con la qualifica di ricercatore confermato, impugnavano i provvedimenti in data 1.6.1996 con i quali detta Università aveva loro negato il riconoscimento, ai fini della ricostruzione della carriera, del servizio reso quali funzionari tecnici, chiedendo nello stesso tempo l'accertamento del diritto ad ottenere ai fini giuridici il riconoscimento predetto.
In proposito gli interessati - dopo avere esposto di avere inviato all'Amministrazione di appartenenza un'istanza volta ad ottenere, ai sensi dell'art.103 del D.P.R. 11.7.1980 n.382, ed ai fini della carriera, il riconoscimento del servizio da loro precedentemente prestato in qualità di funzionario tecnico laureato e di avere ricevuto, tuttavia, dall'Università i suddetti provvedimenti di diniego emessi sul presupposto che il servizio in questione non fosse ricompreso tra quelli indicati dall'art.7 della legge 21.2.1980, n.28 e dall'art.103 cit. - deducevano, in via principale, censure di violazione di legge (in particolare dell'art.103 cit., dei principi in materia di impiego pubblico e dell'art.3 della legge n.241/1990) e di eccesso di potere sotto vari profili e, in via gradata, l'illegittimità del medesimo art.103 in relazione agli artt.3, 36 e 97 Cost..
Le Amministrazione intimate, costituitesi in giudizio, controdeducevano al ricorso concludendo per la sua reiezione in quanto ritenuto nel merito infondato.
Il TAR adito, con la sentenza in epigrafe, interpretando estensivamente la norma in questione, accoglieva il ricorso, avendo ritenuto nella sostanza che l'omessa previsione della qualifica di funzionario tecnico laureato nell'art.103, comma 3, del D.P.R. n.382/1980 sarebbe in effetti conseguente alla sua inutilità, in quanto il passaggio da detta qualifica a quella dell'impiego universitario implicherebbe la conservazione dell'anzianità, e che comunque il riconoscimento del servizio quale tecnico laureato costituirebbe regola comune alle tre posizioni di docenza universitaria, attesa l'uniformità della relativa disciplina, per cui mancherebbe nel caso ogni ragione che giustificasse l'attribuzione del beneficio considerato alle prime due posizioni di lavoro (di professore ordinario e di professore associato) e non anche alla terza (di ricercatore confermato).
2. Contro tale sentenza propone ora appello l'Amministrazione universitaria che contesta l'interpretazione al riguardo fornita dai primi giudici sostenendo in definitiva che il procedimento ermeneutico dai medesimi seguito sarebbe in aperta violazione dell'art.12 delle disposizioni della legge in generale, in quanto l'art.103, comma 3, cit. si sarebbe dovuto interpretare innanzitutto e principalmente dal punto di vista letterale, e concludendo, quindi, per l'accoglimento del gravame odierno.
Con memorie successivamente prodotte parte appellata, costituitasi in giudizio, ribadisce le tesi già espresse nel giudizio di primo grado circa i reali effetti dell'omessa previsione nelle norme sopra menzionate e, in subordine, circa la loro illegittimità per violazione degli artt.3 e 97 Cost., concludendo per il rigetto del ricorso.
Alla Camera di Consiglio del 16.4.2002 l'istanza di sospensione dell'esecuzione della sentenza in epigrafe è stata abbinata al merito.
All'odierna udienza il ricorso in appello è ritenuto dal Collegio per la decisione.
DIRITTO
1. Come emerge dalla narrativa che precede, gli istanti - appartenenti al ruolo dei docenti dell'Università agli Studi di Roma "La Sapienza" con la qualifica di ricercatori confermati - hanno proposto domanda alla loro Amministrazione per ottenere, a norma dell'art.103 del D.P.R. n.382 del 1980, il riconoscimento, ai fini della ricostruzione della carriera, del servizio prestato in qualità di funzionari tecnici laureati, domanda che è stata respinta dall'Università stessa con decreti in data 1.6.1996 sul presupposto che il servizio in questione non fosse ricompreso tra quelli indicati nell'art.7 della legge 21.2.1980 n.28 e nell'art.103 del D.P.R. n.382/1980.
La questione che ritorna in esame in grado di appello concerne, dunque, proprio la correttezza o meno di tali provvedimenti di reiezione della domanda degli interessati, ritenuta fondata con la sentenza in epigrafe, e, quindi, la verifica dell'esattezza di tale pronuncia, che, in definitiva, ha ritenuto che l'omessa previsione della qualifica di tecnico laureato nell'art.103, comma 3, cit. si spiegherebbe con la sua sostanziale inutilità (e ciò in quanto la qualifica di funzionari tecnici laureati apparterrebbe al medesimo livello retributivo dell'impiego statale universitario, sicché il passaggio dall'una all'altra carriera implicherebbe la conservazione dell'anzianità già acquisita, con la conseguenza che il riconoscimento del servizio come tecnico laureato dovrebbe considerarsi regola comune a tutte e tre le posizioni di docenza universitaria, essendo in sostanza uniforme la disciplina basilare della funzione docente) oltre che per il fatto che non vi sarebbe alcuna ragione giuridica giustificatrice dell'attribuzione di un beneficio solo all'una posizione di lavoro e non all'altra.
2. Al riguardo ritiene il Collegio di non poter condividere le conclusioni a cui sono pervenuti i primi giudici e di dovere considerare, invece, corretto il comportamento dell'Università che nella specie ha respinto la domanda principale dei ricorrenti sul presupposto che l'art.103 cit., nel richiamare l'art.7 della legge n.28/1977, non abbia previsto espressamente, tra i servizi riconosciuti utili ai fini della carriera, quello svolto nella qualifica di tecnico laureato precedentemente ricoperta.
Deve osservarsi, infatti, che detto articolo 103, dopo aver disposto, nei primi due commi, che ai professori di ruolo è riconosciuto, ai fini della carriera, il servizio prestato tra l'altro in qualità di tecnico laureato, per metà all'atto della nomina ad ordinario e per due terzi all'atto della nomina nella fascia degli associati, nel successivo comma 3, nel testo novellato dall'art.23 della legge 23.12.1999 n.488, si limita a concedere ai ricercatori universitari, al momento della loro immissione nella fascia dei ricercatori confermati, il riconoscimento per intero, ai fini previdenziali, e per i due terzi, ai fini di carriera dell'attività "effettivamente prestata nelle Università in una delle figure di cui all'art.7 della legge 21.2.1980, n.28", tra le quali, tuttavia, non viene contemplata espressamente la figura del funzionario tecnico laureato.
Il chiaro tenore della norma in questione deve indurre il Collegio, quindi, a ritenere fondati i rilievi mossi in proposito nell'odierno appello dall'Amministrazione universitaria e a considerare non corretta l'interpretazione nella specie seguita dal Giudice di primo grado che nella sostanza sembra abbia forzato l'effettivo significato dell'art.103 cit., effettuando un'operazione ermeneutica che, in definitiva, si palesa in contrasto con la disciplina effettivamente risultante dal senso letterale della disposizione di cui trattasi.
Ed invero, nella specie - nonostante che l'art.103 cit. preveda con chiarezza, per i ricercatori universitari confermati, la possibilità del riconoscimento dei soli servizi prestati (precedentemente alla conferma in ruolo) tassativamente indicati nell'art.7 della legge n.28 del 1980, tra i quali non è appunto incluso quello riferito all'attività pregressa svolta come funzionario tecnico - i primi giudici, adottando un'operazione ermeneutica di carattere integrativo incidente sulla portata effettiva della norma, hanno affermato nella sostanza che l'Amministrazione universitaria sarebbe incorsa in un equivoco nell'applicazione del disposto di cui ai primi tre commi dell'art.103 cit.. E ciò perché, a loro avviso, dall'omessa previsione specifica sopra menzionata non sarebbe corretto inferire il divieto ex lege di riconoscimento di siffatto tipo di servizio, soprattutto in quanto l'omessa previsione di cui al comma 3 dell'art.103 cit. si spiegherebbe con la sostanziale inutilità d'un siffatto richiamo alla qualifica dei funzionari tecnici laureati, sicché, sempre a loro avviso, detta norma dovrebbe essere letta "pur nella sua infelice formulazione" alla luce di un'interpretazione non restrittiva, essendo solo tale metodo ermeneutico coerente con i principi per l'esercizio della delega di cui all'art.12 della legge n.28/1980 e dell'impiego pubblico, oltrechè con i principi costituzionali.
Tale modus procedendi seguito nell'interpretazione della norma in parola non appare, però, al Collegio condivisibile in quanto sembra violare chiaramente il principio fondamentale di cui all'art.12 delle disposizioni sulla legge in generale, in base al quale la norma giuridica deve essere interpretata principalmente dal punto di vista letterale, non potendo attribuirsi al testo altro senso se non quello fatto palese dal significato delle parole, secondo la connessione di esse, ed essendo ammissibile un'interpretazione non letterale soltanto quale criterio sussidiario in presenza di dubbio contenuto, principio che non può valere, tuttavia, a disattendere la portata di norme di inequivocabile significato, come quella in esame.
Va detto, peraltro, con specifico riferimento alla norma anzidetta, che agevolazioni o benefici di qualsiasi specie (e tale si appalesa il riconoscimento preteso nella specie), atteso il loro carattere particolare, costituiscono il frutto di scelte discrezionali del Legislatore, onde in via di principio, non può pretendersene l'estensione ad altre situazioni non espressamente previste.
In definitiva, stante il primato dell'interpretazione letterale sugli altri criteri ermeneutici, il cui impiego assume carattere sussidiario a causa della loro funzione ausiliaria e secondaria, riflettendo l'ordine con cui i diversi criteri interpretativi sono disciplinati dall'art.12 delle preleggi una gerarchia di valori non alterabili, l'indagine per la corretta interpretazione di una disposizione legislativa deve essere condotta in via primaria sul significato lessicale che, se chiaro ed univoco come nella specie, non consente l'utilizzazione di altre vie di ricerca.
Pertanto, nella questione in esame, deve convenirsi con quanto sostenuto dalla difesa erariale secondo cui nella specie non restano margini per effettuare un'interpretazione di tipo correttivo, come quella prospettata nella sentenza appellata che accede nella sostanza ad un'interpretazione logico sistematica che sembra alterare la disciplina fissata dal legislatore.
La domanda principale proposta col ricorso originario è, quindi, infondata, non potendo, peraltro, condividersi le conclusioni a cui è pervenuto il sintetico parere del Consiglio di Stato, Sezione II, n.220 dell'11.3.1998, secondo il quale l'elenco delle categorie enunciate nel cit. art.7 avrebbe "carattere esemplificativo e, comunque, non tassativo" in quanto una diversa interpretazione verrebbe a determinare una disparità di trattamento tra categorie di dipendenti; e ciò perché tale parere in effetti non affronta nel merito la problematica all'esame soffermandosi piuttosto sui soli effetti che scaturirebbero genericamente dalla interpretazione considerata.
3. Quanto, infine, all'eccezione di illegittimità costituzionale, ora ribadita da parte appellata, del combinato disposto degli artt.7 della legge 21.2.1980 n.28 e 103 del D.P.R. 11.7.1980 n.382 - in quanto sarebbe illogica e produttiva di un'ingiustificata disparità di trattamento, oltrechè lesiva del principio del buon andamento amministrativo, la circostanza che il servizio prestato quale tecnico laureato sia valutabile ai fini della ricostruzione di carriera in favore dei professori ordinari e associati, ma non nei confronti dei ricercatori confermati - il Collegio ritiene che nella specie la differente disciplina nasca dal fatto che essa si riferisca a posizioni di lavoro e ipotesi diverse tra loro e che essa comunque appartenga alla discrezionale e prudente valutazione di merito del Legislatore in relazione alle differenti posizioni giuridiche del personale contemplato nelle norme di cui trattasi.
Deve, pertanto, ritenersi manifestamente infondata, con riferimento agli artt.3 e 97 Cost., la questione di legittimità costituzionale delle norme anzidette nella parte in cui escludono i soli ricercatori dal beneficio della valutabilità del servizio prestato come tecnico laureato, ai fini della ricostruzione della carriera.
4. In conclusione, deve trovare accoglimento il ricorso dell'Amministrazione universitaria appellante, con conseguente riforma della sentenza impugnata.
Quanto alle spese del giudizio, considerato dell'oggetto della controversia, esse possono essere interamente compensate tra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione VI), definitivamente pronunciando sull'appello in epigrafe, lo accoglie e, per l'effetto, riforma la sentenza di primo grado con conseguente rigetto dell'originario ricorso. Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, addì 19 novembre 2002, dal Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale (Sezione VI) in Camera di Consiglio, con l'intervento dei Signori:
Giorgio GIOVANNINI Presidente
Alessandro PAJNO Consigliere
Chiarenza MILLEMAGGI COGLIANI Consigliere
Giuseppe MINICONE Consigliere
Domenico CAFINI Consigliere Est.
Depositata in segreteria il 17 febbraio 2003.