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CONSIGLIO DI STATO, ADUNANZA GENERALE - Parere 8 giugno 2000 n. 87 - OGGETTO: Schema di testo unico in materia di ordinamento degli enti locali ai sensi dell'art.31 della legge 3 agosto 1999 n. 265.

CONSIGLIO DI STATO

Adunanza Generale dell'8 giugno 2000

N. della Sezione: 87/2000

Gab. n. 4/2000

OGGETTO: Schema di testo unico in materia di ordinamento degli enti locali ai sensi dell'art.31 della legge 3 agosto 1999 n.265.

Il Consiglio

Vista la relazione del 27/4/2000 prot. n. 159000/L. 265/31 con cui il Ministero dell'Interno chiede il parere del Consiglio di Stato sullo

schema di Testo unico in oggetto;

Vista la relazione di pari data a chiarimento delle osservazioni formulate dagli altri dicasteri interessati;

Visto il preavviso al parere della Commissione Speciale in data 18/5/2000, nominata con decreto del Presidente del Consiglio di Stato del 3 maggio 2000;

Esaminati gli atti e uditi i relatori;

PREMESSO:

L'amministrazione dell'Interno riferisce che l'art.31 della legge 3 agosto 1999, n.265 contiene delega al Governo per adottare entro il 21 agosto 2000 con decreto legislativo, un testo unico nel quale siano riunite e coordinate le disposizioni legislative vigenti in materia di ordinamento dei comuni, delle province, delle loro forme associative.

Dal tenore della delega emerge che non si tratta di un testo unico di mera compilazione, bensì di un provvedimento in grado di operare una novazione dei testi legislativi raccolti.

Che l'emanando testo unico abbia una valenza non meramente compilatoria bensì la natura di testo unico-fonte si desume dalla previsione del parere delle commissioni parlamentari ed il maggior lasso di tempo concesso per l'esercizio della delega (un anno).

Di qui la conclusione che quello che si propone dovrebbe assumere il valore di un nuovo "codice" dell'ente locale, nella cui redazione è stata tenuta presente una serie corposa di testi normativi, quali:

a) il r.d. 3 marzo 1934, n.383, limitatamente alle disposizioni mantenute in vigore dall'art.64 della legge n.142/1990;

b) la legge 10 febbraio 1953, n.62 sulla costituzione ed il funzionamento degli organi regionali e sugli organi di controllo;

c) la legge 3 dicembre 1971, n.1102, sulla valorizzazione delle zone montane mediante l'istituzione delle comunità montane.

d) la legge 23 marzo 1981, n.93, sui permessi e indennità ai presidenti, agli assessori ed ai consiglieri delle comunità montane,

e) la legge 23 aprile 1981 n.154, sul regime delle ineleggibilità e delle incompatibilità alle cariche di consigliere regionale, provinciale, comunale e circoscrizionale,

f) la legge 27 dicembre 1985, n.816 sullo status giuridico ed il trattamento economico degli amministratori locali;

g) la legge 8 giugno 1990, n.142, sulle autonomie locali;

h) la legge 25 marzo 1993, n.81, sull'elezione dirtta del sindaco e del presidente della provincia;

i) la legge 31 gennaio 1994, n.97, istitutiva del Fondo nazionale per la montagna;

j) il decreto legislativo 25 febbraio 1995, n.77, sull'ordinamento finanziario e contabile degli enti locali;

k) la legge 15 marzo 1997, n.59, contenente delega per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della pubblica amministrazione e per la semplificazione amministrativa, inclusi i relativi decreti di attuazione;

l) la legge 15 maggio 1997, n.127, contenente misure urgenti per lo snellimento sia dell'attività preparatoria che dei procedimenti di decisione e controllo.

A questo tessuto normativo si aggiungono le norme ricavate dalle disposizioni abrogative recate dall'art.28 della legge n.265/1999 e cioè:

1) l'art.8 della legge 27 dicembre 1985, n.816, e tutte le disposizioni della stessa che risultino incompatibili;

2) il testo unico della legge comunale e provinciale n. 148/1915 i cui artt.125, 127 e 289 restano in vigore in regime transitorio solo fino all'adozione delle modifiche statutarie e regolamentari previste nell'impianto normativo;

3) l'art. 279 del testo unico comunale e provinciale n. 383/1934 concernente l'obbligo di astensione degli amministratori locali.

Ricordato il procedimento di emanazione del Testo unico, l'amministrazione precisa che l'approccio metodologico prescelto è consistito nella raccolta del vasto ambito normativo da unificare e nel successivo coordinamento dei risultati della ricerca, costituiti dalle norme destinate ad essere trasfuse nella nuova fonte normativa: l'operazione è stata condotta tenendo presente l'impianto della legge fondamentale n.142/1990, pur tuttavia riferito ad un numero elevatissimo di disposizioni normative (circa settecento), nell'ambito delle quali sono state censite anche quelle di matrice regolamentare, ma sempre con l'attenzione rivolta alle esigenze di funzionalità dei testi unici.

A fronte di tali esigenze, invece di un testo unico omnicomprensivo, si è preferita l'opzione di individuare la normativa di riferimento nella legge n.142 del 1990, come modificata ed integrata dai successivi interventi culminati con la recente legge n.265 del 1999.

Operata tale scelta preliminare, sono state definite le seguenti linee guida:

- sono state inserite nel testo unico solo le disposizioni legislative vigenti in materia di ordinamento dei comuni e delle province e loro forme associative, escludendo le disposizioni regolamentari, limitandosi a rinviare genericamente alla fonte regolamentare, onde evitare surrettizi irrigidimenti della fonte regolamentare stessa;

- si è tenuto conto delle sentenze della Corte Costituzionale mentre gli orientamenti della giurisprudenza ordinaria e amministrativa sono stati recepiti soltanto nei casi in cui essi siano entrati nella prassi;

- ove necessario è stato modificato il tenore letterale delle forme stesse per conferire leggibilità e maggiore chiarezza all'enunciato della legge;

- sono stati inseriti nella rubrica di ogni articolo gli estremi delle leggi da cui sono estratte le relative disposizioni, con l'intento comunque, onde evitare incertezze interpretative, di eliminarli in sede di approvazione finale e pubblicazione del testo;

- sono state operate le seguenti scelte con riferimento ai singoli settori:

A) Funzioni degli enti locali: è stata ricompresa nel testo unico la normativa di tipo ordinamentale ma non quella riguardante le funzioni, e ciò sia in relazione al tenore letterale della norma, sia per ragioni di opportunità circa la finalità di stilare un testo unico concepito come legge generale;

B) Servizi pubblici locali: si è evidenziata l'esigenza della abrogazione implicita del testo unico approvato con r.d. 15 ottobre 1925 , n.2578 alla luce della legge n.142 del 1990.

Inoltre, la materia dei servizi pubblici è attualmente in corso di modifica in sede parlamentare e, per evitare il rischio di riportare nel testo unico norme superate o destinate ad essere mutate, è ipotizzabile l'inserimento, nel progetto legislativo all'esame del Parlamento, di un'apposita norma di delega, senza dover ricorrere ad una modifica di quest'ultimo con apposita legge.

C) Sistema elettorale: si è ritenuto di considerare le sole norme che disciplinano il sistema elettorale in senso stretto, ossia il metodo di attribuzione dei seggi alle liste e la proclamazione del sindaco e del presidente della provincia, escludendo le norme che ineriscono al procedimento elettorale, che attengono molto spesso ad aspetti di dettaglio e, quindi, con un tenore non omogeneo a quello delle altre disposizioni del testo unico.

D) Ordinamento del personale degli enti locali: il principale problema è quello del numero assai elevato e dalla eterogeneità delle fonti. E' stato perciò deciso di inserire nel testo unico le disposizioni legislative che si riferiscono esclusivamente al personale degli enti locali, mentre per quelle relative tanto agli enti locali quanto ad altre amministrazioni pubbliche, si è ritenuto di recepire il portato normativo della disposizione riferendolo al personale degli enti locali , lasciando quindi sopravvivere la formula normativa stessa nella sua legge originaria ove continua ad essere vigente con riferimento alle categorie di personale ivi previste.

E) Segretari comunali e provinciali. In ossequio ai criteri metodologici generali le norme comprese nel DPR 4 dicembre 1997, n.465, essendo di natura regolamentare, sono state escluse dal testo unico, anche se dotate di forza abrogante della normativa di rango primario.

F) Finanza locale: si è ritenuto di recepire nel testo unico, con i necessari adeguamenti , tutto il complesso delle disposizioni di cui al d.lgs. 25 febbraio 1995, n.77, coordinato con le norme di principio della legge n.142 del 1990 nonché con la normativa sopravvenuta, in particolare con il d.lgs. 15 dicembre 1997, 446.

Dopo aver precisato che lo schema di testo unico è costituito da 277 articoli ed è suddiviso in tre parti (ordinamento istituzionale, ordinamento finanziario e contabile, disposizioni finali), articolate a loro volta in titoli e capi, l'amministrazione passa ad illustrare partitamene ma sinteticamente l'articolato del provvedimento.

PARTE I - ORDINAMENTO ISTITUZIONALE

Per quanto concerne il titolo I della parte I, recante "Disposizioni generali" esso risulta composto da 11 articoli e contiene i principi e le norme fondamentali del sistema ordinamentale degli enti locali.

Nel suo ambito sono state organizzate le disposizioni della legge n.142/1990 come modificata, da ultimo, dalla legge n.265/1999; a detto complesso normativo sono stati apportati alcuni aggiornamenti, necessari per il coordinamento con la legge n.59/1997 e con il decreto legislativo n. 112/1998.

Relativamente al titolo II, contenente le norme riguardanti i diversi soggetti che operano nell'ambito dell'ordinamento locale, l'amministrazione riferisce che quelle comprese nel capo I e nel capo II, relativi al comune ed alla provincia, sono state tratte principalmente dalla legge n.142/1990, e dalla legge di modifica n.265/1999, le cui disposizioni sono state riportate per la maggior parte nella loro formulazione originaria, salva una collocazione più organica di specifiche previsioni ove ciò si sia reso necessario per una migliore definizione degli istituti.

In linea con la scelta di riunire nel testo unico le sole disposizioni di carattere ordinamentale, sono state escluse le norme, contenute in varie leggi, riguardanti le singole funzioni degli enti ed il loro esercizio.

Il titolo III si occupa degli enti locali, la cui disciplina segue la trama normativa della legge n.142/1990, tenendo conto, tra l'altro, sia delle integrazioni e delle modifiche introdotte dalle leggi successive in ordine alla composizione, al funzionamento degli organi ed all'ampliamento dell'autonomia statutaria, sia della legislazione generale in materia di suddivisione di competenza tra gli amministratori dell'ente ed il personale dirigente.

Con riferimento al titolo IV , concernente l'organizzazione ed il personale, l'amministrazione chiarisce che, in relazione al capo I, è stato preliminarmente affrontato un problema di carattere metodologico in ordine alla collocazione da dare al rilevante numero di disposizioni fondamentali in materia di uffici e personale, in massima parte comuni a tutte le pubbliche amministrazioni.

Per superare l'ostacolo derivante dalla cospicua frammentazione normativa, è stata esclusa dal testo la normativa generale riferita indistintamente a tutte le amministrazioni pubbliche , ad eccezione di alcuni principi fondamentali, riferibili anche al personale degli enti locali. In tal caso le norme tratte da normative di portata generale sono state estrapolate ed integrate in quanto direttamente riferite agli enti locali.

Per converso si è ritenuto di escludere altre disposizioni, quali ad esempio la legge quadro sull'ordinamento della polizia municipale del 7 marzo 1986, n.65, trattandosi di normativa di settore. Analogamente si è operato per le disposizioni contrattuali che costituiscono la prevalente fonte di regolamentazione dei rapporti di lavoro e che non trovano spazio all'interno della raccolta, che comprende esclusivamente norme di rango legislativo.

Nel titolo V è stata inserita la disciplina dei servizi e interventi pubblici locali.

Nella verifica delle disposizioni concernenti tale materia si è reso necessario in primo luogo accertare in quale misura risultasse applicabile il testo unico per l'assunzione diretta dei pubblici servizi da parte di comuni e province, di cui al r.d. 15 ottobre 1925, n.2578, dopo l'entrata in vigore della legge n.142/1990.

La disciplina del r.d. n.2578/1925 è apparsa in larga parte incompatibile con l'attuale assetto dei servizi e con la figura dell'azienda speciale introdotta dall'articolo 23 della legge n.142/1990. L'attribuzione all'azienda speciale della personalità giuridica, dell'autonomia imprenditoriale e dell'autonomia organizzativa, comporta l'inapplicabilità di tutta la precedente normativa sul funzionamento e sugli organi dell'azienda prevista dal t.u. n.2578/1925.

In base alla legge n.142/1990 spetta allo statuto effettuare le scelte in ordine alla composizione degli organi ed alle modalità di nomina, alla suddivisione delle competenze, all'attribuzione della rappresentanza legale. Del pari vengono ridefiniti i criteri di gestione dell'azienda, della formazione del bilancio e soprattutto vengono ridisciplinati i rapporti tra comune ed azienda speciale, per cui non può esservi nel regime attuale la diretta applicazione della corrispondente normativa prevista nel t.u. soprarichiamato.

D'altra parte, rilevato che la disciplina sulle aziende speciali, di cui all'articolo 23 della legge n.142/1990, si applica alle aziende municipalizzate preesistenti solo previa adozione di provvedimenti di adeguamento, deve ritenersi che, in assenza dei medesimi, tali aziende continuino ad essere disciplinate dal r.d. n. 2575 del 1925. Tali considerazioni hanno suffragato la scelta di mantenere transitoriamente in vita, fino all'adeguamento, le disposizioni della richiamata normativa.

Il titolo VI concerne la delicata e significativa materia dei controlli.

In ordine al controllo sugli atti, (capo I), il criterio seguito è stato quello di coordinare le disposizioni contenute nella legge n.127/1997, nella legge di riforma delle autonomie locali n.142/1990 nonché nella legge 10 febbraio 1953, n.62.

PARTE II - ORDINAMENTO FINANZIARIO E CONTABILE

La parte seconda del testo unico disciplina il sistema finanziario e contabile degli enti locali, intendendosi per tale la raccolta dei principi in materia di:

a) programmazione di bilancio; b) regole di gestione; c) rendiconto dell'esercizio; d) servizio di tesoreria; e) attività dell'organo di revisione.

La sistematicità del testo è completata dalle disposizioni - anche più di dettaglio - per il risanamento degli enti locali strutturalmente deficitari ed in stato di dissesto.

Il lavoro di ricerca e di sistemazione delle norme si è fondato sul decreto legislativo 25 febbraio 1995, n.77, ancora costituente la raccolta ordinamentale e quasi esaustiva della disciplina in esso contenuta, atteso che gli interventi modificativi che hanno interessato l'ordinamento finanziario e contabile dal 1995 ad oggi hanno mantenuto organicità e sistematicità al testo originario.

Le operazioni compiute nel corso della redazione sono state le seguenti:

a) inserimento e coordinamento delle disposizioni di principio della legge n.142 del 1990 e di altre nome; b) adattamento formale e terminologico del testo; c) coordinamento della normativa in tema di enti strutturalmente deficitari con la normativa in tema di risanamento degli enti locali dissestati; d) coordinamento con le disposizioni della prima parte del testo unico.

In generale, va evidenziato che l'ordinamento finanziario e contabile disciplina l'aspetto organizzativo e procedurale, rimanendo esclusi, tra gli altri, i seguenti ambiti:

1 - la disciplina delle entrate proprie, sia di carattere tributario, che di carattere patrimoniale o derivante dai proventi dei servizi;

2 - la disciplina delle entrate derivate, provenienti da trasferimenti statali;

3 - la disciplina dell'indebitamento degli enti locali.

Le ragioni di tali esclusioni stanno nella natura stessa della produzione normativa nelle materie sopra evidenziate: la disciplina delle entrate proprie è una materia magmatica ed in costante evoluzione, non ancora pronta per essere consolidata in un testo unico; né più definita appare la materia dei trasferimenti erariali, con sistemi di ripartizione nuovi ma mai applicati e con una riflessione parlamentare in corso su nuovi criteri generali del sistema.

L'assestamento - futuro - di tali materie potrà esserci con il completamento della riforma in senso federalista avviata dalla legge 15 marzo 1997, n.59, e con il definitivo assetto dei compiti e delle relative risorse assegnate agli enti locali per lo svolgimento delle funzioni trasferite o delegate.

Per quanto attiene, poi, alla materia dell'indebitamento degli enti locali, la disciplina di dettaglio, prettamente regolamentare e soggetta a frequenti variazioni, non si presta ad una considerazione nel testo unico.

La caratteristica in positivo del testo che si propone è che la derivazione dal richiamato decreto legislativo n.77 del 1995 consente una lettura ordinata in senso logico e tale da chiarire le nozioni fondamentali del sistema anche per che fosse privo di conoscenze specifiche.

PARTE III - DISPOSIZIONI FINALI

Il capo I concerne specificamente gli adempimenti degli enti locali e delle loro aziende, relativi alla partecipazione alle loro associazioni rappresentative, atteso il crescente rilievo assunto nella concreta esperienza amministrativa di tali istituti.

In questa ottica, quindi, sono state inserite tre disposizioni, estrapolate dai rispettivi vigenti testi legislativi, riguardanti i rapporti tra gli enti locali e le loro associazioni sotto diversi profili, quali la riscossione dei contributi associativi, la messa a disposizione di locali, il distacco di personale dipendente, ecc.

Il capo II ha inteso soddisfare l'esigenza di conseguire attraverso il testo unico un consistente snellimento legislativo.

Pertanto, è stata prevista una disposizione finale e transitoria (art.274) con la quale sono fatte salve talune disposizioni che continuano ad esplicare, sia pure temporaneamente, i propri effetti e che, nel rispetto della complessiva impostazione del testo unico, si è ritenuto di non inserire in una specifica parte dello stesso.

Con la norma relativa alle abrogazioni si è provveduto, poi, ad eliminare espressamente tutte le disposizioni recepite nel testo unico.

Al fine di conferire chiarezza a tale previsione, le abrogazioni sono state suddivise in due distinti articoli (artt:275 e 276).

Con il primo ("Norme abrogate") si è provveduto ad eliminare espressamente dall'ordinamento giuridico le disposizioni non più vigenti in quanto recepite nel testo in esame o, comunque, non più attuali.

In tal modo si è proceduto all'abrogazione di tutte le disposizioni che hanno inciso sul testo delle originarie fonti di produzione, realizzando una sostanziale opera di semplificazione del dettato legislativo. Il metodo seguito - che ha comportato una ricostruzione "storica" dei vari disposti normativi - è volto ad agevolare sia l'attività dell'interprete che degli operatori di settore.

Nel secondo articolo ("Abrogazioni di norme riferite agli enti locali") è stata indicata una serie di disposizioni che sono da ritenersi abrogate soltanto nella parte in cui si riferiscono agli enti locali in quanto recepite nel presente testo unico; ovviamente, esse continuano ad essere vigenti nelle fonti originarie nei soli confronti delle amministrazioni diverse dagli enti locali.

Si tratta in sostanza di una novazione di una fonte legislativa di valenza generale inserita nel presente testo unico con riferimento agli enti locali attraverso una sorta di "gemmazione", che consente di estendere ad un'ipotesi specifica un dettato generale che rimane comunque in vigore.

CONSIDERATO

1- L'art. 31 della legge 3 agosto 1999 n. 265, sul riordino delle autonomie locali, ha disposto che il Governo della Repubblica è delegato ad adottare, con decreto legislativo, un testo unico nel quale sono riunite e coordinate le disposizioni legislative vigenti in materia di ordinamento dei comuni e delle province e loro forme associative. Il decreto è emanato, entro il termine di un anno dalla data di entrata in vigore della legge, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'interno, applicandosi, in quanto compatibile, il comma 4 dell'articolo 7 della legge 8 marzo 1999, n. 50.

Lo stesso articolo dispone ancora, al comma 2, che il testo unico contiene le disposizioni sull'ordinamento in senso proprio e sulla struttura istituzionale, sul sistema elettorale, ivi comprese l'ineleggibilità e l'incompatibilità, sullo stato giuridico degli amministratori, sul sistema finanziario e contabile, sui controlli, nonché norme fondamentali sull'organizzazione degli uffici e del personale, ivi compresi i segretari comunali.

Dispone infine il comma 3 che nella redazione del testo unico si avrà riguardo in particolare, oltre alla stessa legge n. 265, alle seguenti ulteriori fonti legislative :

a) testo unico approvato con regio decreto 3 marzo 1934, n. 383; b) legge 10 febbraio 1953, n. 62; c) legge 3 dicembre 1971, n. 1102; d) legge 23 marzo 1981, n. 93; e) legge 23 aprile 1981, n. 154; f) legge 27 dicembre 1985, n. 816; g) legge 8 giugno 1990, n. 142; h) legge 25 marzo 1993, n. 81; i) legge 31 gennaio 1994, n. 97; l) decreto legislativo 25 febbraio 1995, n. 77; m) legge 15 marzo 1997, n. 59, e relativi decreti legislativi di attuazione; n) legge 15 maggio 1997, n. 127.

Come desumibile tra l'altro dall'elencazione contenuta nella legge, l'opera di compilazione del testo unico è vasta e complessa e determina una serie di non facili problemi in ordine alle modalità ed ai contenuti del testo da redigere, tenuto conto del tessuto normativo sul quale esso va ad incidere.

2- Preliminarmente vale ricordare che l'operazione di riordino normativo delegata al Governo nella materia delle autonomie locali si innesta nella più vasta esigenza di riassetto del sistema delle infinite fonti di cognizione del nostro ordinamento, il cui numero ingovernabile costituisce una delle cause di inefficienza dell'apparato pubblico, compreso quello giudiziario.

Tale esigenza già era emersa in via generale con la legge 8 marzo1999 n. 50, che, dopo avere previsto all'art. 1 un ampio processo di delegificazione di norme, mediante appositi regolamenti anche di semplificazione, ha previsto altresì, all'art. 7, un programma di riordino delle norme legislative e regolamentari disciplinanti una serie di fattispecie e materie elencate nel comma 1, al quale si procede mediante l'emanazione di testi unici riguardanti materie e settori omogenei, comprendenti, in un unitario contesto e con le opportune evidenziazioni, le disposizioni legislative e regolamentari; testi unici emanati, fino alla data di entrata in vigore di una legge generale sull'attività normativa, nel rispetto dei seguenti criteri e princìpi direttivi:

a) delegificazione delle norme di legge concernenti gli aspetti organizzativi e procedimentali, secondo i criteri previsti dall'articolo 20 della legge 15 marzo 1997, n. 59;

b) puntuale individuazione del testo vigente delle norme;

c) esplicita indicazione delle norme abrogate, anche implicitamente, da successive disposizioni;

d) coordinamento formale del testo delle disposizioni vigenti, apportando, nei limiti di detto coordinamento, le modifiche necessarie per garantire la coerenza logica e sistematica della normativa anche al fine di adeguare e semplificare il linguaggio normativo;

e) esplicita indicazione delle disposizioni, non inserite nel testo unico, che restano comunque in vigore;

f) esplicita abrogazione di tutte le rimanenti disposizioni, non richiamate, che regolano la materia oggetto di delegificazione con espressa indicazione delle stesse in apposito allegato al testo unico;

Dispone, ancora, il comma 4 del citato art. 7 che lo schema di ciascun testo unico è deliberato dal Consiglio dei ministri, valutato il parere che il Consiglio di Stato deve esprimere entro trenta giorni dalla richiesta. Lo schema è trasmesso, con apposita relazione cui è allegato il parere del Consiglio di Stato, alle competenti Commissioni parlamentari che esprimono il parere entro quarantacinque giorni dal ricevimento. Ciascun testo unico è emanato, decorso tale termine e tenuto conto dei pareri delle Commissioni parlamentari, con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri e del Ministro per la funzione pubblica, previa ulteriore deliberazione del Consiglio dei ministri.

La legge n. 50, nel fissare un principio di razionalizzazione delle fonti di cognizione, pone, pertanto, dei criteri redazionali relativi alla generale potestà di emanazione di testi unici, aventi perciò valenza generale, laddove non espressamente disposto in senso contrario da norme speciali di delega, come quella dell'art. 31 della legge n. 265, che parla esclusivamente di "disposizioni legislative".

3 - Ciò ricordato, scendendo nello specifico del provvedimento in esame, per quanto concerne i problemi di ordine sostanziale, come emergenti dalle relazioni dell'amministrazione, dal contenuto del testo predisposto e dalle precedenti esperienze nella materia, si tratta di stabilire in primo luogo quale sia il limite del potere normativo, con riferimento alle disposizioni da unire e coordinare. In particolare, quale sia il potere modificativo delle disposizioni previgenti da risistemare.

Sul piano lessicale la norma sembrerebbe porre un compito di natura meramente compilativa, attinente al semplice accorpamento documentale e coordinamento di natura formale, come sembrerebbe anche dal riferimento al contenuto delle "disposizioni vigenti".

In realtà questo Consiglio ha già avuto modo di precisare - con riferimento al t.u. sui beni culturali ed ambientali previsto dall'art. 1, comma 1, della L. n. 352/1997 - che la nozione di coordinamento può assumere un significato di ordine meramente lessicale e sistematico ovvero consentire e determinare un più incisivo intervento sul contenuto delle norme preesistenti, al fine di rendere il tessuto normativo su cui si va ad incidere non solo più coerente nel suo complesso, ma anche in sintonia con l'evolversi dei principi generali, con la cultura giuridica, con il diritto vivente creato dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità, con l'evolversi dei valori complessivi dell'ordinamento [Ad. Gen., 11.3.1999 n. 33/99].

Tuttavia, le formule della unificazione e coordinamento contenute nella legge di delega non possono stravolgere la funzione del testo unico, che è pur sempre quella di facilitare l'applicazione delle leggi preesistenti, evitando duplicazioni, prendendo atto di abrogazioni anche tacite, valorizzando univoche soluzioni interpretative divenute diritto vivente, senza innovare alla loro sostanza, operazione, questa, che deve passare attraverso il vaglio e la decisione del Parlamento attraverso gli strumenti legislativi diretti ed indiretti (artt. 70, 76 e 77 Cost.).

Di qui l'attenzione - già posta dalla più autorevole dottrina - a non enfatizzare eccessivamente la distinzione tra testi unici compilativi ed innovativi, essendo la forza dell'innovazione limitata dalla primaria finalità di sistemazione, comodità ed utilità applicativa del testo unico. Si può pertanto accedere, per convenzione, alla qualificazione di testo innovativo dato dall'amministrazione al provvedimento, ma con la predetta precisazione circa i limiti della potestà modificativa, derivanti altresì dalla natura delle norme da coordinare e dall'oggetto della delega.

4 - Quanto alle prime, essendosi presa giustamente a riferimento principale, quale legge di principio, la l. n. 142/1990, la quale costituisce il "quadro dei nuovi principi in tema di autonomie locali" [cfr. C. Cost., 5.1.1993 n. 1], e rappresenta un modello anche per le legislazioni regionali a competenza esclusiva [C. Cost., 30.7.1997 n. 286] appare conforme alla finalità del testo unico e non travalicante i predetti limiti, la scelta - coerente con la già rilevata natura di nucleo fondamentale del t.u. (Ad. Gen., 6.12.1990 n. 149/90) - di estendere la portata di disposizioni di principio limitate al contesto normativo della L. 142, come, ad esempio, quella di aver voluto generalizzare il disposto dell'art. 1 comma 3 della predetta legge 142, secondo cui ai sensi dell'articolo 128 della Costituzione, le leggi della Repubblica non possono introdurre deroghe ai princìpi della medesima legge se non mediante espressa modificazione delle sue disposizioni (tra l'altro, tale estensione oltre a rispondere ad esigenze di uniformità e certezza, appare coerente anche con un'esigenza di principio enunciata nell'art. 6, comma 6, della L. n. 50/1999). Di ciò, comunque, si dirà più diffusamente nel corso dell'esame dell'articolato.

5 - Il secondo problema generale di ordine sostanziale è quello di individuare le norme riportabili nella materia della delega in senso stretto, valutando nella specie l'opzione effettuata dall'amministrazione di procedere in senso limitativo, con esclusione, cioè, di quelle normative speciali di ordine settoriale (ad es. in materia di funzioni specifiche, normative seppur fondamentali per l'assetto e la cura degli interessi locali) ovvero generali attinenti a materia diversa da quella ordinamentale (ad es. in materia di procedimenti elettorali).

Un tale modo di procedere deve ritenersi condivisibile, atteso che - come peraltro in parte già precisato nel ricordato parere dell'Ad. Gen. 6 dicembre 1990 n. 149/90 - il concetto di ordinamento cui fa richiamo la legge di delega va inteso in senso restrittivo, riferito, cioè, agli elementi essenziali, alla struttura istituzionale, ai principi e criteri relativi all'organizzazione degli uffici, all'ordinamento finanziario e contabile, al regime dei controlli, alle funzioni fondamentali, qualificanti ed esclusive rimesse al soggetto pubblico.

Di qui la necessità di tener fuori dal t.u - come ha correttamente fatto l'amministrazione - una serie di disposizioni relative a singole e specifiche funzioni ed al loro esercizio ( si pensi solo all'urbanistica, all'edilizia, alle opere pubbliche), la cui disciplina accorpata, oltre a ritrovarsi in normative speciali per settore o materia, avrebbe comportato non solo difficoltà di coordinamento con quella ordinamentale delle autonomie locali (ad esempio per la necessità di raccordo sostanziale e procedimentale con le competenze di altre pubbliche aministrazioni) ma avrebbe appesantito oltre misura (e ben al di là quanto già ora risulta) il nuovo testo normativo, che sarebbe così risultato in contrasto con le finalità di razionalizzazione, semplificazione, riordino, comodità e facilità di consultazione.

Per converso, non appare coerente con le stesse finalità la riproduzione integrale di disposizioni relative a discipline generali riguardanti materie aventi ad oggetto anche, ma non esclusivamente, gli enti locali, come quella del pubblico impiego.

Se l'oggetto della delega è specificamente l'ordinamento degli enti locali e se la finalità del t.u. è quella di semplificazione e non appesantimento anche sotto il profilo redazionale, sembra più coerente con tale oggetto e finalità evitare inutili sdoppiamenti e non ripetere formule normative generali, ovvero limitarsi a semplici rinvii formali.

Appaiono pertanto improprie ed inopportune, ad esempio, le disposizioni contenute nell'art. 88 (fonti di disciplina del rapporto di lavoro), letteralmente o sostanzialmente riproduttive dell'art. 2 comma 1 lett. c) della L. n. 421/1992, con l'indicazione delle materie coperte da riserva relativa di legge e non "privatizzabili" sul piano delle fonti regolatrici, ovvero degli artt. 2, 4, 36 bis, 45 del d. l.vo n. 29 del 1993 e successive modificazioni.

6 - Sempre sul piano generale appare condivisibile la scelta, evidenziata nella relazione ministeriale, di non ricomprendere nel testo normativo le disposizioni regolamentari anche se di natura delegificante. Ciò per due ordini di motivi, oltre quelli già evidenziati dall'Adunanza Generale di questo Consiglio [ par. n. 149/90, cit.].

Anzitutto la legge delegante parla di "testi legislativi" (e non più genericamente di "testi normativi") riferendosi evidentemente a fonti aventi valore di legge e tali non sono le fonti regolamentari di qualsiasi genere. Anche i regolamenti delegati o di delegificazione appartengono, infatti, alle fonti secondarie seppure dotati di forza maggiore rispetto agli ordinari regolamenti.

In secondo luogo, l'assunzione del regolamento di delegificazione nel corpo di un testo unico legislativo determinerebbe una violazione della volontà del legislatore, provocando una rilegificazione di settori nei quali la normativa regolamentare è stata ammessa dal legislatore medesimo al fine di alleggerire i lavori parlamentari [cfr. Ad. Gen., 11 aprile 1996 n. 1176/95].

Meritevole di apprezzamento appare l'altra scelta di riportare il testo normativo di riferimento in una formulazione risultante anche in base al diritto vivente, alla lettura, cioè, fornitane dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità, quest'ultima ove consolidata in orientamenti giurisprudenziali ormai univoci, come tali da ritenersi facenti parte integrante della norma. La legittimità di un siffatto criterio traspare dalla costante giurisprudenza della stessa Corte Costituzionale, che ha sempre proceduto al vaglio di costituzionalità delle leggi secondo il criterio del c.d. diritto vivente, nel testo risultante dall'applicazione concorde di esse fatta dalla giurisprudenza di legittimità ordinaria, amministrativa e contabile, ovvero dall'interpretazione giurisprudenziale più coerente con il precetto costituzionale [per tutte cfr. C. Cost., 18 marzo 1999 n. 69].

7 - Per quanto concerne i problemi di ordine formale, la relazione ne evidenzia direttamente uno, laddove manifesta l'intento di eliminare gli estremi delle leggi e disposizioni riunite e coordinate in sede di pubblicazione del testo finale, al fine dichiarato di evitare incertezze.

Una tale impostazione redazionale non appare condivisibile: in primo luogo perché contraria ai ricordati principi della legge n. 50/1999, il cui art. 1, comma 1, lett. b) individua, tra i criteri compilativi dei testi unici in generale, quello della puntuale individuazione del testo vigente delle norme; in secondo luogo perché le citazioni espresse costituiscono un accorgimento di notevole aiuto per la consultazione del nuovo corpo normativo, nel quale le disposizioni di riferimento sono state, per evidenti motivi sistematici, smembrate, ricollocate ed accorpate con altre di diversa origine nel medesimo articolo. Le citazioni aiutano pertanto l'interprete a controllare la corrispondenza fra le vecchie e nuove normative e a cogliere con maggiore facilità e rapidità gli interventi correttivi eventualmente apportati alla norma di base."

8 - Tutto ciò premesso, può scendersi all'esame degli articoli del testo proposto meritevoli ad avviso dell'Adunanza di approfondimenti e suggerimenti, rilevandosi che, pur nelle difficoltà di reperimento, coordinamento e sistemazione di un vasto e non omogeneo materiale normativo, l'amministrazione ha svolto un lavoro complessivamente pregevole, al di là di singole osservazioni e correzioni peraltro connaturali alla eterogeneità e complessità delle fonti raccolte e sistemate.

PARTE PRIMA

ORDINAMENTO ISTITUZIONALE

La PARTE I accorpa le disposizioni legislative in materia di Ordinamento istituzionale e consta dei sei titoli: il primo titolo (artt. da 1 a 11) contiene le disposizioni generali; il secondo titolo (artt. 12 - 35), concerne i Soggetti; il terzo titolo (artt. 36 - 87) disciplina gli Organi; il quarto titolo (artt. 88 - 111) reca le norme in materia di Organizzazione e personale; il quinto titolo (artt. 112 - 123) riguarda le disposizioni in tema di servizi pubblici locali; infine il sesto titolo (artt. 124 - 148) riunisce le disposizioni in materia di controlli.

TITOLO PRIMO: DISPOSIZIONI GENERALI

Il titolo I, recante le Disposizioni generali, risulta composto da 11 articoli e contiene i principi e le norme fondamentali dell'ordinamento dei comuni, delle province e delle loro forme associative.

Art. 1

Accorpa le disposizioni tese ad evidenziare i rapporti tra legislazione statale e regionale da un lato e, dall'altro, l'autonomia riconosciuta al sistema degli enti locali.

Particolare rilievo assume la clausola di salvaguardia prevista dal comma 5, ove si prevede che le leggi della Repubblica non possono introdurre deroghe al testo unico se non mediante espressa modificazione delle sue disposizioni. La norma riproduce l'analoga disposizione dettata al comma 3 dell'art. 1 della legge 8 giugno 1990, n. 142 (e succ. mod.). Analoga tecnica legislativa è stata già sperimentata dal legislatore in settore nei quali particolarmente forte è l'esigenza di dare vita ad un corpus unitario di norme, non suscettibile di interventi manipolativi non espliciti, idonei ad ingenerare dubbi ermeneutici circa l'effettivo assetto normativo (cfr. art. 1, comma 4, della legge quadro n. 109/1994 in materia di lavori pubblici; art. 3, comma 3 del d.l.vo n. 29/1993, in materia di attribuzioni della dirigenza pubblica). La dottrina al riguardo ha osservato che dette clausole di autoprotezione, in quanto recate da disposizioni ordinarie di legge, non sono in grado di attribuire alla disciplina di riferimento la capacità di resistere a modifiche o abrogazioni implicite pur sempre apportabili da norme posteriori. Le clausole in parola si tradurrebbero, in definitiva, in un'esortazione non vincolante nei confronti del legislatore in merito alla tecnica di intervento e nella fissazione di un criterio ermeneutico in merito alla necessità, ove possibile, di cogliere la portata di norme posteriori nel senso non incompatibile con le disposizioni rafforzate.

Con riferimento a tale caratterizzazione l'Adunanza Generale si è occupata dei problemi scaturenti dalla portata più ampia assunta dalla clausola del testo unico rispetto alla disposizione originaria dettata dall'art. 1, comma 3, della legge n. 142/1990. E' infatti evidente che il trapianto della clausola di rinforzo, pur apparentemente immutata quanto a tenore lessicale, in un contesto normativo più ampio, si riflette, in chiave innovativa, sull'ampliamento delle norme salvaguardate rispetto a interventi manipolativi taciti. In proposito si è osservato che una serie di argomenti militino nel senso della legittimità e utilità della norma. In particolare, la finalità di predisporre un testo chiaro e di agevole consultazione sarebbe frustrata laddove si consentisse, senza alcun filtro, una indiscriminata opera di successivi interventi eccentrici al testo medesimo. In definitiva il testo, oltre a nascere come unico, dev'essere destinato a rimanere tendenzialmente tale nel tempo.

La formulazione del secondo comma, che ha come riferimento l'art. 3 comma 2 della L. n. 142, si discosta dal contenuto di quest'ultimo, il quale ha come oggetto le "funzioni del comune e della provincia" con riferimento all'individuazione degli interessi degli enti locali nelle materie di cui all'art. 117 Cost..

Tuttavia, deve osservarsi che lo stesso art. 3 comma 2 è preso a riferimento anche dal successivo art. 3 (ove invece la norma di richiamo è riportata integralmente e fedelmente), per il quale si pone pertanto un problema di coordinamento con l'articolo in esame.

Art. 4

Tra le disposizioni previgenti citate manca il comma 4 dell'art. 3 della L. 142, trasfuso nel comma 1.

Art. 5

La norma, che individua i contenuti degli statuti, appare meritevole di correzioni sia sul piano formale che sostanziale.

Quanto al primo, è da rilevare che altre disposizioni del t.u. stabiliscono specifici contenuti eventuali o necessari dello statuto (cfr. artt. 7, 9, 20, 44, etc.). Appare pertanto opportuno ricordare tali previsioni diffuse delle competenze statutarie almeno con una formula di salvezza di "quanto ulteriormente previsto" dal medesimo t.u..

Ancora sul piano formale è da rilevare che l'art. 4 comma 2 della L. n. 142 è stato smembrato, poiché la previsione dell'attribuzione della presidenza delle commissioni consiliari di garanzia o controllo alle minoranze è stata collocata nell'art. 44 del t.u.. Per non ingenerare distrazioni nell'interprete appare opportuno pertanto operare un richiamo al predetto art. 44.

Sul piano sostanziale, sembra necessario sostituire, al comma 2 le parole "dal presente Testo unico" con le parole "dalla legge", non potendosi escludere che altre norme di rango primario possano dettare principi vincolanti per l'autonomia statutaria dell'ente locale.

Ancora sul piano sostanziale è da rilevare che il comma 2, nel prevedere (in ciò riprendendo letteralmente la disposizione dell'art. 4 comma 2 della L. 142) che gli statuti stabiliscono "l'ordinamento degli uffici" mal si concilia con la previsione dell'art. 42 comma 2 lett. a) e dell'art. 48 comma 3, che rimettono lo stesso ordinamento degli uffici e dei servizi ad atti diversi dallo statuto. Occorrerà provvedere pertanto a sanare tale contraddizione, distinguendo, semmai, tra criteri generali di organizzazione (in analogia ad esempio con quelli indicati dall'art. 2 comma 1 del d. l.vo n. 29/1993, i quali, in quanto espressivi di una potestà di alta amministrazione, ben possono essere rimessi allo statuto) e concreta articolazione e determinazione degli uffici, da operarsi con atto regolamentare od organizzatorio. Più specificamente l'art. 5, comma 2, secondo periodo andrebbe modificato con la sostituzione delle parole "ordinamento degli uffici e dei servizi" con le seguenti: "criteri generali in materia di organizzazione dell'ente". Detta formulazione appare preferibile rispetto alla formulazione "criteri generali in materia di ordinamento degli uffici e dei servizi", che pure sembrerebbe suggerita dall'attuale testo dell'art. 42, secondo comma, lettera a). Detta norma, nel prevedere partitamene nella sfera di competenza consiliare statuti, regolamenti ed ordinamento degli uffici e dei servizi, sembra deporre nel senso che la disciplina dell'ordinamento degli uffici e servizi possa essere stabilita da una fonte diversa dallo statuto, anche al fine di consentire una maggiore flessibilità. Andrebbe, pertanto, parimenti modificato, per i motivi sopra esplicitati, anche il dettato dell'art. 42, comma 2, lettera a), con l'inserimento dopo la parola "regolamenti" dell'inciso "salva l'ipotesi di cui all'art. 48, comma 3", e con l'anteposizione alle parole "ordinamento degli uffici e dei servizi" dell'inciso "criteri generali in materia di".

Art. 6

A proposito della potestà regolamentare, valgono considerazioni analoghe a quelle svolte per l'attività statutaria. La norma, infatti, indicando al comma 1 l'oggetto dei regolamenti nell'organizzazione e funzionamento degli organismi di partecipazione, degli organi ed uffici e nell'esercizio delle funzioni, non è certamente esaustiva, atteso oltretutto il rafforzamento del principio di autonomia normativa comunale e provinciale contenuto nell'art. 2 della L. n. 265/1999, in correlazione con il principio funzionale di sussidiarietà di cui all'art. 4 l. n. 59/1997.

Di qui l'opportunità di un richiamo o integrazione (attraverso la consueta formula di "salvezza", ovvero con l'aggiunta di un avverbio o congiunzione aggiuntiva come "anche" dopo la frase "adottano regolamenti" ) che evidenzi la natura non tassativa dell'elencazione delle competenze regolamentari.

Art. 7

La norma, concernente gli istituti di partecipazione popolare, ne limita l'ambito di operatività ai soli comuni, peraltro conformemente alla identica disposizione dell'art. 6 L. 142. Tale limitazione, anche se formalmente corretta, allo stato dell'evoluzione legislativa appare incongrua e meriterebbe un'attenta riflessione in merito all'opportunità di un'estensione di tali istituti anche alla provincia, la quale, nel mutato assetto ordinamentale e nel rafforzamento del ruolo di questo ente locale introdotto dalla L. n. 265/1999, anch'esso ente esponenziale di una propria specifica comunità al pari di quanto sin dall'origine riconosciuto ai comuni, ben può partecipare delle forme di gestione partecipativa dell'interesse pubblico già riconosciute ai comuni. D'altra parte, l'incongruenza della rilevata esclusione traspare dallo stesso testo normativo in esame, ove si riconosce allo statuto provinciale di disciplinare "la partecipazione dei cittadini" (art. 16 L. 142 e art. 20 del t.u.).

Art. 8

Nella norma sono inseriti due gruppi di disposizioni eterogenee; le disposizioni di cui ai primi due commi ed al sesto comma disciplinano l'istituto dell'azione popolare, con riferimento da ultimo ad una specifica applicazione in materia di risarcimento del danno ambientale; le disposizioni di cui ai commi 3, 4 e 5 disciplinano i diversi istituti della pubblicità dell'azione amministrativa e dell'accesso ai documenti. L'eterogeneità della disciplina in questione, accentuata dall'interpretazione giurisprudenziale della L. n. 241, che ha svincolato il diritto d'accesso dall'originaria connotazione popolare dello schema Nigro, imporrebbe di mantenere nell'ambito dell'attuale art. 8 i soli commi 1, 2 e 6, con il titolo "Azione popolare e delle associazioni di protezione ambientale", mentre i commi 3, 4 e 5 potrebbero trovare una collocazione naturalmente autonoma in un articolo separato successivo (che si numera convenzionalmente, in via puramente indicativa, come art. 8 bis) dal titolo Diritto di accesso e di informazione.

Art. 9

Non è chiaro, nel primo comma, a quale organo debbe essere rivolta la segnalazione fatta dal difensore civico, anche se si presume, dal combinato disposto dei commi 2 e 3 dell'art. 127 T.U., che potrebbe essere il consiglio e la giunta.

Art. 10

L'articolo fornisce una definizione di enti locali più ampia rispetto alla formula dell'art. 1 comma 1 della L. n. 59/1997, ricomprendendovi espressamente anche le città metropolitane e le unioni di comuni. Un tale ampliamento, seppur consentito dal riferimento agli "altri enti locali" contenuto nella predetta legge n. 59, pone tuttavia problemi di coordinamento con altre disposizioni dello stesso t.u., laddove si fa riferimento soltanto a comuni e province, ad esempio a proposito della potestà statutaria e regolamentare, che andrebbe riferita anche alle nuove realtà locali di dimensione sovracomunale. D'altronde, lo stesso t.u. prevede l'attribuzione di una specifica potestà statutaria alle città metropolitane ed alle unioni di comuni (cfr. artt. 22 comma 5 e 32 comma 2). Appare pertanto opportuno che l'amministrazione proceda ad una complessiva ricognizione delle disposizioni che fanno riferimento ai soli comuni e province per verificarne la coerenza con l'ampliata nozione di ente locale.

Va altresì segnalato che nel novero degli enti locali mancano le comunità isolane di cui all'art. 28 del t.u., che estende appunto a tali speciali comunità le norme sulle comunità montane.

L'esclusione dei consorzi a rilevanza economica ed imprenditoriale dalle previsioni del t.u. va precisata e contemperata con le disposizioni che invece ricomprendono tali tipi di consorzio, come l'art. 31 comma 8.

TITOLO SECONDO: SOGGETTI

Art. 12

Il comma 1, riproduce, opportunamente, la classificazione delle funzioni e dei servizi di competenza locale in quattro "settori organici" operata dal d.lgs. 112/1998. Tuttavia, l'ordine, rispetto al decreto 112, è invertito e inoltre, dei quattro settori, ne sono elencati soltanto tre, con assenza della polizia amministrativa sulle materie di competenza propria.

Dopo "organici" togliere la virgola e spostarla a dopo "territorio comunale".

Art. 14

Al comma 1 occorre specificare che sono le "leggi regionali" a modificare le circoscrizioni comunali.

Art. 17

Il riferimento all'art. 31 del r.d. n. 651/1943, sull'ordinamento dello stato nobiliare italiano, appare errato, in quanto la norma citata attiene agli stemmi ed ai gonfaloni storici delle Province e dei Comuni; si tratta invece dell'art. 32, secondo il quale il titolo di Città può essere concesso a Comuni, ai quali non sia stato già riconosciuto, insigni per ricordi e monumenti storici o per attuale importanza, purché abbiano provveduto lodevolmente a tutti i pubblici servizi e in particolar modo alla pubblica assistenza. Il riferimento è pertanto anche lacunoso, atteso che il titolo di città è condizionato al "lodevole assolvimento dei pubblici servizi"; disposizione che non può ritenersi, seppur con gli opportuni aggiustamenti ed aggiornamenti, obsoleta, come peraltro anche evidenziato nella relazione ministeriale.

Art. 19

Al comma 2, riguardante i piani territoriali di coordinamento appare opportuno spostare l'inciso "ferme restando le competenze dei comuni ed in attuazione della legislazione e programmazione regionale" subito dopo l'avverbio "inoltre", non solo per una migliore formulazione sintattica ma anche al fine di sottolineare che l'attività di adozione di tali piani resta comunque subordinata alle competenze normative della regione.

Art. 22

Al comma 2, che prevede il procedimento iniziale per l'istituzione della città metropolitana, appare opportuno sostituire la formula "assemblea degli enti locali" con quella di "assemblea dei rappresentanti degli enti locali", poiché l'attività assembleare riguarda persone fisiche e non enti, seppur personificati.

Art. 26

Il comma 1 appare meritevole di correzione, laddove sembra configurare le comunità montane come una specie del genus unioni di comuni.

Secondo la relazione dell'amministrazione la definizione "unioni montane" usate dalla l. n. 265 starebbe ad indicare la volontà del legislatore di assimilare le comunità montane alle unioni di comuni, anche per svincolarle dalla regolamentazione regionale.

In realtà le due forme di organizzazione appaiono distinte per composizione e funzione, essendo stata attribuita dal legislatore alle comunità montane una più forte configurazione e strutturazione di ente locale, sottoposto ad un regime di disciplina regionale diverso e per molti aspetti più forte rispetto a quello inerente le unioni di comuni, proprio per la specificità ed importanza degli interessi facenti capo alle comunità montane.

La norma andrebbe riformulata pertanto nel senso che "le comunità montane sono enti locali costituiti tra comuni montani".

Al comma 2 sembra opportuno, a fini di integrazione chiarificatrice, specificare ulteriormente il procedimento di elezione, rimettendone semmai la previsione alla legge regionale, competente in genere a dettare disposizioni sulle stesse comunità .

Art. 29

La norma è parzialmente innovativa rispetto all'art. 7 della L. n. 265, laddove con l'avverbio "relativamente" si è inteso espungere i termini di un anno e sei mesi per l'esercizio, rispettivamente, dei poteri di riordino ed adeguamento degli attuali assetti delle comunità esistenti. Ora, poiché la norma di riferimento prevedeva comunque un termine finale, seppur evidentemente non perentorio, per l'esercizio dei poteri di revisione, non appare corretto, sia per il contenuto del testo di riferimento che per la natura transitoria delle norma, averlo totalmente cancellato e non solamente adattato, semmai, alla data di emanazione del t.u..

Art. 31

Al comma 3 il richiamo, ai fini della disciplina delle nomine e delle competenze degli organi consortili ai commi 6, 7 e 8 dell'articolo 49 appare non del tutto corretto (il comma 6 si riferisce alle competenze esclusive del sindaco per l'adozione delle misure urgenti ed indifferibili, sino all'intervento degli organi statali o regionali) ed incompleto, con riferimento agli altri commi della stessa disposizione. Inoltre, è da rilevare che, dopo aver disposto che "la convenzione deve disciplinare le nomine e le competenze degli organi consortili", l'ultimo inciso dello stesso comma dice che "lo statuto deve disciplinare l'organizzazione, la nomina e le funzioni" degli stessi organi.

La contraddizione della previsione di un identico contenuto per convenzioni e statuti può essere sanata affidando ad un unico documento - presumibilmente la convenzione - le norme di funzionamento del consorzio, relative a nomine e competenze degli organi consortili, lasciando allo statuto la disciplina dell'organizzazione.

Art. 33

Mancano i riferimenti testuali all'art. 3 comma 2 del d. l.vo n. 112/1998, trasfusi nei commi 1 e 2 dell'articolo in esame. Inoltre, poiché la norma non introduce nuove forme di esercizio associato, il titolo andrebbe cambiato in "Regolamentazione e incentivazione dell'esercizio associato di ."

Art. 34

Manca la norma finale e transitoria del comma 8 dell'art. 27 L. 142, richiamato invece interamente come riferimento. Non risulta neppure riprodotto il comma 10 dell'art. 17 L. n. 127/1997, pur richiamato.

Art. 35

Non è riportato il testo dell'art. 5, commi 11 ter e quater, del d.l. n. 361/1995 (acquisizione di attività e passività conseguenti allo scioglimento dei consorzi ) seppur richiamati in epigrafe. Il secondo comma prevede una norma transitoria che rinvia a una disposizione della legge n. 265/1999 (art. 6, comma 8), che "Resta ferma". Si rinvia, pertanto, a quanto già osservato, a proposito dell'articolo 29, circa la preferibilità, sotto il profilo della semplificazione del sistema delle fonti e della intelligibilità della normativa, della riproposizione integrale, con gli adattamenti necessari, del dettato del comma 8 dell'art. 6 della legge n. 265/199, cit..

TITOLO TERZO: ORGANI

CAPO I :ORGANI DEL COMUNE E DELLA PROVINCIA

Art. 37

Nell'epigrafe manca il richiamo all'art. 2 della L. n. 122/1955.

Art. 40

Il comma 6, che prevede la possibilità di una diversa disciplina statutaria in ordine alle modalità di convocazione e funzionamento dei consigli, sembra doversi integrare anche con la previsione della contestuale competenza regolamentare, atteso il disposto dell'art. 31, comma 1, secondo periodo, della L. 142 (come modificato dall'art. 11 L. 265), e riprodotto nell'art. 38 comma 2 del t.u., secondo cui il funzionamento dei consigli, nel quadro dei princìpi stabiliti dallo statuto, è disciplinato dal regolamento.

Art. 41

Il richiamo al DPR n. 223/1967 (T.U. delle leggi sull'elettorato attivo e sulle liste elettorali) appare meritevole di essere completato con rIferimento agli artt. 12 e seguenti dello stesso decreto 223.

Art. 42

Si richiamano le osservazioni già svolte sub art. 5.

Art. 44

Al comma 1 sostituire "specifica" con "prevede", tale essendo il verbo usato, più esattamente, nella norma di riferimento.

Art. 46

Il comma 3, ripetendo la collocazione dell'art. 34 comma 2 bis della L: n. 142, prevede le necessarie competenze programmatiche iniziali del sindaco e quindi, pur apparentemente collocabile nell'art. 49, se ne può conservare l'attuale sistemazione, eventualmente inserendo un richiamo in tale ultima disposizione, proprio con riferimento al comma 3 in esame.

Art. 47

Non traspare coerenza lessicale tra secondo e terzo comma con riferimento ai "requisiti di compatibilità ed eleggibilità" degli assessori.

Art. 48

Già si è evidenziata la mancanza di coordinamento del comma 3 con l'art. 42 comma 2 lett. a) del t.u., che affida al consiglio la competenza in materia di regolamenti e di ordinamento degli uffici e dei servizi.

Al comma 3 sarebbe forse opportuno aggiungere la precisazione contenuta anche a proposito delle competenze sindacali di cui all'art. 39 comma 3, che fa "salvo quanto previsto dall'art. 107, in materia di funzioni dirigenziali".

Art. 49

Il comma 4 costituisce un'aggiunta libera, che non trova correlazione nelle norme di riferimento e che appare superflua, in quanto espressiva di un principio di non esaustività delle funzioni comunali, suscettibili di incremento per effetto di leggi speciali, secondo quanto già rilevato in via generale.

CAPO II

INCANDIDABILITA' - INELEGGIBILITA' - INCOMPATIBILITA'

Art. 58

Per quanto concerne le cause di non candidabilità, il comma 1 ha riprodotto il disposto dell'art. 15 della L. n. 55/1990, che ricomprendeva tra le categorie destinatarie delle predette previsioni ostative anche i componenti degli organi delle u.s.l..

Tale assimilazione per accorpamento degli amministratori delle strutture sanitarie pubbliche con gli amministratori degli enti locali, spiegabile nel momento storico in cui essa fu formulata, quando cioè le unità sanitarie erano ancora configurate in base alla L. n. 833/1978 dalla concorde giurisprudenza di legittimità ordinaria ed amministrativa non come persone giuridiche pubbliche ma come organi od apparati organizzativi del comune, seppur dotati di soggettività giuridica, non appare, allo stato dell'evoluzione normativa, più sostenibile. Infatti, con il d. l.vo n. 502/1992 le aziende sanitarie sono state costituite come persone giuridiche pubbliche, aventi natura di enti strumentali della Regione, secondo il costante orientamento della Corte di Cassazione.

Di qui l'inammissibilità della ricomprensione, in un testo unico dell'ordinamento degli enti locali, di previsioni relative a soggetti e strutture non rapportabili a tale ordinamento. Si propone pertanto di espungere dal testo dell'articolo tale riferimento.

Più in generale, si sottopone all'amministrazione l'opportunità di riformulare l'articolo evitando una ripetizione pedissequa del disposto dell'art. 15 L. n. 55/1999, come da ultimo modificato dalla L. 13.12.1999 n. 475 e limitandosi al richiamo delle cause ostative già elencate nella norma di riferimento.

Art. 59

Nel ribadire quanto già osservato nell'articolo precedente per quanto concerne le "cariche indicate" nel medesimo art. 58 co. 1 e per quanto riguarda la tecnica di ripetizione di norme aventi valenza più generale rispetto alla materia degli enti locali, si condivide la scelta dell'amministrazione di aver contemperato la nuova disposizione dell'art. 15 comma 4 bis della L. n. 55/1999, come novellato dalla legge n. 475/1999, che dispone il non computo degli amministratori sospesi nel numero costituente il quorum strutturale funzionale, con il principio di pienezza delle funzioni del supplente dell'amministratore sospeso, sancito dall'art. 45 del T.U..

Art. 60

Il problema redazionale più grave nella materia delle ineleggibilità, come evidenziato anche nella relazione dell'amministrazione, è quello relativo al comma 1 n. 8, dove è stata operata la sostituzione dei precedenti destinatari previsti dalla L. n. 154 del 1981 con quelli successivamente individuati in modo espresso dalla riforma sanitaria del 1992 (d. l.vo n. 502). Ciò in considerazione del fatto che per effetto della riforma le ipotesi precedenti di ineleggibilità ed incompatibilità, che presupponevano la dipendenza della usl dal comune e la coincidenza degli ambiti territoriali delle due istituzioni è venuta meno. Da qui la proposta dell'amministrazione, trasfusa nel testo del t.u., di ritenere abrogate le disposizioni della citata L. n. 154.

Al riguardo vale preliminarmente ricordare che in materia di incompatibilità l'art. 8 della citata legge n. 154 dispone che "i dipendenti delle unità sanitarie locali nonché i professionisti con esse convenzionati non possono ricoprire le seguenti cariche:..2) sindaco od assessore del comune il cui territorio coincide con il territorio dell'unità sanitaria locale da cui dipendono o lo ricomprende o con cui sono convenzionati, nonché sindaco o assessore di comune con popolazione superiore ai 30 mila abitanti che concorre a costituire l'unità sanitaria locale da cui dipendono o con cui sono convenzionati.

Con riguardo alle ipotesi di ineleggibilità dispone il precedente art. 2, secondo il quale "non sono eleggibili a consigliere regionale, provinciale, comunale e circoscrizionale:.8) i dipendenti dell'unità sanitaria locale facenti parte dell'ufficio di direzione di cui all'articolo 15, nono comma, numero 2), L. 23 dicembre 1978, n. 833 , ed i coordinatori dello stesso per i consigli del comune il cui territorio coincide con il territorio dell'unità sanitaria locale da cui dipendono o lo ricomprende".

Vale ricordare che il testo di tale ultima disposizione ha subito l'intervento della Corte costituzionale, che con sentenza 17 febbraio 1987, n. 43 ha dichiarato l'illegittimità del predetto n. 8 nella parte in cui non dispone l'ineleggibilità dei dipendenti della USL facenti parte dell'ufficio di direzione ed i coordinatori dello stesso, per i consigli dei Comuni che concorrono a costituire l'unità sanitaria da cui dipendono.

Su tale tessuto normativo si è innestato l'art. 3 comma 9 del d. l.vo n. 502/1991, per il quale il direttore generale dell'azienda sanitaria non è eleggibile a membro dei consigli comunali, dei consigli provinciali, dei consigli e assemblee delle regioni e del Parlamento, salvo che le funzioni esercitate non siano cessate almeno centottanta giorni prima della data di scadenza dei periodi di durata dei predetti organi.

Il problema di coordinamento tra le citate disposizioni si è già posto all'attenzione della giurisprudenza della Corte di Cassazione (sent. 1631/1999) e di questo stesso Consiglio, il quale, con parere della Sez. I n. 309/99 del 5 aprile 2000, ha avuto modo di precisare che "pur essendo venuta meno l'organizzazione del s.s.n. incentrata sui comuni ed essendo le nuove aziende sanitarie enti pubblici autonomi vigilati dalle regioni lo stesso presupposto delle incompatibilità risulta essere venuto meno". Tuttavia, aggiunge il predetto parere, tali considerazioni non autorizzano a ritenere che le disposizioni della legge n. 154 siano venute meno, atteso che il d. l.vo n. 502 ha individuato nuove ipotesi di incompatibilità legate alle nuove figure dirigenziali sanitarie, senza però contenere disposizioni che autorizzino l'interprete a formulare, in una materia come quelle elettorale, di stretta interpretazione, ipotesi di abrogazioni implicite od indirette, senza l'intervento espresso di una nuova normativa specifica.

Alla luce delle predette osservazioni, che appaiono del tutto condivisibili, anche in virtù del ricordato rigoroso orientamento della Corte Costituzionale, si ritiene di non poter condividere l'impostazione data dall'amministrazione alla formulazione della norma, la quale, pertanto, andrà riformulata nel senso di non restringere le categorie dei destinatari, seppure con gli adattamenti resi necessari dalle modifiche introdotte agli organi e strutture collegiali di supporto all'attività del direttore generale delle aziende sanitarie ed ospedaliere (collegio sindacale e di direzione) di cui agli artt. 3, 4 e 17 del d. l.vo 502.

Con riferimento alle disposizioni del n. 9 del comma 1 e del comma 9 si segnala all'amministrazione che il sistema del convenzionamento della L. n. 833 è stato integralmente sostituito da quello dell'accreditamento di cui agli artt. 8 bis e seguenti del d. l.vo 502/1992, di cui si dovrà necessariamente tener conto nel linguaggio normativo.

Artt. 71-87

Le disposizioni relative al sistema elettorale ed allo status degli amministratori locali non necessitano di particolari osservazioni, tenuto conto che gli interventi sui testi previgenti, attesa anche la delicatezza della materia, sono stati scarsi e di portata essenzialmente formale.

TITOLO IV - ORGANIZZAZIONE E PERSONALE

Il titolo IV concerne l'organizzazione ed il personale degli enti locali. Il titolo consta di tre capi (Capo I: Uffici e personale; Capo II : Segretari comunali e provinciali; Capo III: Dirigenza ed incarichi).

CAPO I - UFFICI E PERSONALE

Art. 88

Rinviando alla debita sede per le argomentazioni generali svolte in ordine alla normativa dettata dall'art. 276 in tema di abrogazione parziale, si suggerisce di evitare la pedissequa riproposizione, in seno all'art. 88 e nelle norme seguenti, delle disposizioni in tema di rapporto di lavoro dettate dal D.Lgs n. 29/1993, e succ. mod., valevoli integralmente per tutte le pubbliche amministrazioni, ivi compresi gli enti locali. La ripetizione della normativa generale (si vedano i commi 7 ed 8 dell'art. 88), pur se dettata dalla comprensibile esigenza di accorpare in un contesto unitario tutte le norme valevoli per il rapporto di lavoro alle dipendenze degli enti locali, da' vita ad una gemmazione novativa delle norme di origine, foriera di complicazioni in caso di modifiche di dette ultime norme non accompagnata dalla parallela correzione delle norme transitate nel testo unico. Una simile evenienza produrrebbe una scissione del regime del rapporto di lavoro pubblico in generale rispetto alla disciplina in tema di enti locali, esito contrastante con le linee della riforma di cui al D.Lgs n. 29/1993, intese a dare luogo ad uno statuto unitario del rapporto di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni tra le quali, ai sensi dell'art. 1 comma 2 del citato decreto 29, sono ricompresi gli enti locali. Non è fuor di luogo soggiungere che la frammentazione del panorama normativo si pone in chiara antitesi con la previsione, ai sensi degli artt. 7 e 8 della legge n. 50/1999, di due testi unici relativi, rispettivamente, ai rapporti di lavoro privatizzati, compresi quelli che interessano le autonomie locali, ed ai rapporti esentati dalla privatizzazione.

Al fine di evitare le conseguenze sopra descritte l'Adunanza Generale reputa opportuno suggerire l'eliminazione delle norme in toto ripetitive del D.Lgs 2 febbraio 1993, n. 29, e succ. mod., accompagnata dall'introduzione, all'inizio del capo I di una norma generale di rinvio mobile alla disciplina madre, capace di recepire per relationem le modifiche introdotte nel tempo anche attraverso lo strumento del testo unico. Detto nuovo articolo dovrebbe riprodurre in sostanza l'attuale formulazione dell'ultimo comma dell'art. 88.

Il primo comma dell'attuale art. 88 difetta del richiamo allo Statuto, presente nella disciplina dettata dall'art. 51, comma 1, della legge n. 142/1990. Vanno pertanto inserite al primo rigo, dopo Regolamenti, le parole ", in conformità allo Statuto".

Art. 89

Detta norma, relativa agli uffici di supporto agli organi di direzione politica, potrebbe trovare una più appropriata collocazione all'interno del capo I del titolo III, a seguire le norme (fino all'art. 53) che definiscono i compiti degli organi di governo, o, in alternativa, all'interno del capo III del presente titolo IV, in tema di dirigenza, dopo la norma (art. 108) che disciplina la figura del direttore generale, parimenti costituente collaboratore fiduciario del sindaco.

Non risulta riprodotta nel primo comma la prima parte dell'art. 51, comma 7, della legge n. 142/1990 e succ. mod..

Sempre con riferimento al primo comma, terzo periodo, la sostituzione dell'espressione "al precedente periodo", di cui all'art. 51, comma 7, della legge n. 142/1990, con "ai precedenti periodi", produce l'effetto sostanziale di estendere l'ambito del personale destinatario dell'emolumento unico (non più solo il personale assunto con contratto di lavoro subordinato a tempo determinato ma anche quello interno), producendo una novazione della disciplina volutamente limitativa dettata dalla legge n. 127/1997. Detta novazione, per quanto ispirata ad esigenze di uniformazione alla disciplina generale sul rapporto di lavoro ex D.Lgs 29/1993, esorbita dall'ambito del coordinamento sostanziale nel quale si possono iscrivere le novità apportabili, sulla base della delega di cui all'art. 31 della legge n. 265/1999, dal presente testo unico.

Art. 90

La norma, volta alla disciplina dei pareri necessari su ogni proposta di deliberazione giuntale o consiliare, è suscettibile di più corretta collocazione dopo le norme relative alle competenze di giunta e consiglio, e precisamente di seguito all'attuale art. 48

Art. 93

Appare condivisibile la disciplina innovativa dettata dall'art. 93, comma 4, ove, con ciò integrandosi l'attuale dettato dell'art. 58 della legge n. 142/1990, si prevede che la non estensibilità della responsabilità di amministratori e dipendenti agli eredi viene derogata nell'ipotesi in cui vi sia stato illecito arricchimento del dante causa e conseguente illecito arricchimento degli eredi stessi.

A sostegno della opportunità della correzione apportata dal testo unico depone, ad avviso dell'Adunanza Generale, il rilievo che l'integrazione del dettato normativo si limita a formalizzare un risultato già conseguibile de jure condito, sul piano ermeneutico, mercé l'estensione, anche a dipendenti ed amministratori degli enti locali, del principio dettato in linea generale dall'art. 1, comma 1, della legge 14 gennaio 1994, n. 20, in epoca posteriore all'art. 58, comma 4, della legge n. 142/1990. A conferma dell'assunto milita l'identità di ratio e la necessità di premiare, sul versante interpretativo, opzioni che evitino il perpetuarsi di privilegi e discriminazioni difficilmente conciliabili con il dettato costituzionale.

Art. 96

Va inserita una virgola, al secondo rigo, dopo la parola "giunte".

CAPO II - SEGRETARI COMUNALI E PROVINCIALI

Articolo 97. Comma 1

Il segretario comunale viene qualificato come "dirigente o funzionario pubblico". La qualificazione "pubblico" è superflua in quanto la dipendenza da una pubblica amministrazione è dichiarata subito dopo ("dipendente dall'Agenzia autonoma per la gestione dell'albo dei segretari comunali e provinciali (...) e iscritto all'albo...") D'altronde la stessa nozione di "dipendente pubblico" è superata dalla privatizzazione (anche) dei segretari comunali e provinciali quali, come gli altri pubblici dipendenti, sono meglio definiti dall'espressione "dipendente di pubbliche amministrazioni". Inoltre la qualificazione come "dirigente o funzionario", è superflua e, in ogni caso, definitivamente superata da un atto impegnativo del Governo, cioè dall'atto di indirizzo per la disciplina contrattuale del rapporto di lavoro dei segretari comunali e provinciali, rivolto all'ARAN e adottato dal Presidente del Consiglio dei ministri. Nel documento si osserva che "il comma 8 dell'articolo 11 [del D.P.R. 465/1997] ascrive i segretari comunali e provinciali ad una autonoma tipologia professionale, cioè tra le figure professionali di cui al comma 3 dell'articolo 45 e quindi prescindendo dall'appartenenza, in ragione delle funzioni svolte e di esse soltanto, ad un'area dirigenziale [o direttiva]. (...) Nel testo dell'articolo 17, comma 67, della legge 127/1997, il riferimento alla posizione di dirigente o funzionario si giustificava in base all'ordinamento dei segretari comunali e provinciali, dettato dal DPR n. 749/1972, vigente al momento dell'entrata in vigore della legge 127/1997. (...) Il richiamato DPR 749/72, compresa l'allegata tabella D, è stato però abrogato dall'articolo 35, lettera i) del DPR n. 465/97 (...). Quest'ultimo DPR regola unitariamente, senza più distinguere tra dirigenti e funzionari, i segretari comunali e provinciali, ascrivendoli (...) ad una unica ed autonoma tipologia professionale, affidandone la disciplina del trattamento economico ad apposito unico contratto collettivo nazionale di lavoro...".

Ciò premesso, sembra opportuno riformulare il primo comma dell'articolo 97 eliminando le parole "dirigente o funzionario pubblico".

Comma 4

Per completezza si suggerisce l'inserimento, nel novero delle competenze del segretario, del richiamo all'ipotesi di cui all'ultimo comma dell'art. 108, ove detta figura è deputata all'esercizio della funzione di direttore generale. Può essere pertanto opportuno l'inserimento, a cavallo della lettera c) e d), di una nuova lettera, provvisoriamente indicata come cc): "Esercita le funzioni di direttore generale nell'ipotesi prevista dall'art. 108, comma 4".

ART. 100

La relazione governativa spiega l'inserimento del comma secondo, derivato dall'estrapolazione del quarto periodo dell'art. 17, comma 72, della legge n. 127/1997, per il resto confluito nell'art. 101 del testo unico, con l'adesione alla prospettazione interpretativa secondo cui detto periodo concreterebbe un caso di revoca distinto da quella contemplata dal primo comma, data dalla violazione dei doveri d'ufficio.

L'assunto non risulta convincente.

Si deve osservare, in primo luogo, come le ipotesi di cui al secondo comma dell'attuale art. 100 (gravi e ricorrenti violazioni dei doveri d'ufficio e mancato raggiungimento dei risultati imputabili al Segretario), piuttosto che configurare ipotesi non espressamente codificate di revoca dall'incarico, sembrano costituire una species di particolare gravità del genus, non eterointegrabile, dell' unica causa generale di revoca rappresentata dalla violazione dei doveri d'ufficio. Parte della dottrina ha altresì messo in evidenza come il raggiungimento dei risultati programmati non costituisca compito di pertinenza del segretario comunale bensì parametro di valutazione dell'operato del direttore generale, con la conseguente riferibilità della disciplina di cui alla norma in parola, nella parte in cui allude al mancato raggiungimento di risultati imputabile al segretario, alla sola ipotesi in cui il segretario comunale assolva alle funzioni di direttore generale a mente dell'ultimo comma dell'art. 108.

In ogni caso la circostanza, pacifica in relazione al dettato dell'originario art. 17, comma 72 della legge n. 127/1997, che il trattamento economico di cui all'attuale art.100, capoverso, venga in rilievo non solo nell'ipotesi di revoca, disciplinata dal primo comma, ma anche nel caso di mancata conferma alla quale fa riferimento l'art. 101, primo comma - è anzi verosimile che il mancato raggiungimento dei risultati sia fisiologicamente causa di mancata conferma - rende preferibile la restituzione del comma 72 dell'art. 17 della legge n. 127 alla sua primigenia formulazione. Si suggerisce pertanto di inserire l'attuale comma 2 dell'art. 100 alla fine dell'attuale comma 3 dell'art. 101.

Art. 102

Il primo comma prevede la sottoposizione dell'Agenzia autonoma per la gestione dei segretari comunali alla vigilanza del Ministero dell'Interno, "fatte salve diverse disposizioni emanate in attuazione del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, di riordino, accorpamento e soppressione dei Ministeri". La norma trova il suo fondamento nell'art. 17, comma 76, della legge n. 127/1997, a mente della quale l'Agenzia è "sottoposta alla vigilanza del Ministero dell'Interno fino all'attuazione dei decreti legislativi in materia di riordino, accorpamento e soppressione dei Ministeri in attuazione della legge 15 marzo 1997, n. 59". Si deve osservare che il decreto attuativo della delega di cui alla legge n. 59/1997 è stato emanato appunto con il decreto legislativo n. 300/1999, che non reca alcuna disposizione in materia di vigilanza sull'Agenzia. Si rileva che non risulta chiara la natura e la fonte delle richiamate disposizioni di attuazione del decreto legislativo 300/1999, e segnatamente se si tratti di regolamenti di attuazione o di decreti legislativi integrativi o correttivi.

CAPO III - DIRIGENZA ED INCARICHI

Art. 107

Si impone un migliore raccordo tra competenze dirigenziali e competenze della giunta ex art. 48.

Al quinto comma va aggiunta la parola vigenti alla fine del primo rigo, essendo evidente che il testo unico non può precludere al legislatore futuro l'attribuzione ad organi non dirigenziali di competenze amministrative e gestionali. La circostanza che l'attribuzione del potere gestionale ai dirigenti sia derivata in via generalizzata dalla legge n. 127/1997 (art. 6, commi 1 e seguenti), pone l'ulteriore problema se non sia più corretta, nell'ottica del coordinamento propria del testo unico, la limitazione della reinterpretazione delle norme in materia alle disposizioni vigenti all'epoca dell'entrata in vigore della legge n. 127 cit.

TITOLO V - SERVIZI PUBBLICI LOCALI

Il titolo V disciplina la materia dei servizi e interventi pubblici locali

La relazione governativa evidenzia che la materia è attualmente interessata da un disegno organico di riforma all'esame del Parlamento.

Appare pertanto opportuno segnalare l'esigenza di tenere espressamente conto dell'avvenuta confluenza nel T.u. in esame delle disposizioni relative alla materia stessa.

Art. 113

Si rende opportuno, per evidenti motivi di organicità e chiarezza normativa, l'inserimento, alla fine dell'elencazione contenuta nell'art. 113, che riproduce in modo pedissequo l'elencazione di cui all'art. 22 della legge n. 142/1990, di una nuova lettera f, che contempli anche la modalità di gestione rappresentata dalla s.p.a. pubblica minoritaria, introdotta dall'art. 12 della legge n. 498/1992 : "f) a mezzo di società per azioni senza il vincolo della proprietà pubblica maggioritaria norma dell'art. 116".

Va conseguentemente corretto il sesto rigo del primo comma dell'art. 116 con l'inserimento dell' aggettivo "pubblica" prima di "maggioritaria", e l'eliminazione delle parole "di cui all'art. 113 lett. c".

Art. 114

Nel sesto comma è' opportuno l'inserimento, al primo rigo, dopo la parola "conferisce", dell'inciso "all'azienda speciale", a chiarimento del fatto che i compiti attribuiti dal comma in esame all'ente locale riguardano l'operato dell'azienda speciale e non dell'istituzione, organo strumentale dell'ente locale parimenti contemplato nel medesimo articolo.

Art. 116

Nel testo del primo comma è stato eliminato, senza che la relazione governativa rechi spiegazione; al riguardo, il riferimento contenuto nell'art. 12 della legge n. 498/1992 agli accordi di programma di cui al comma 9. Del pari non risulta riprodotto il testo del citato comma 9.

Il terzo comma, diretto a sancire la soggezione delle s.p.a. minoritarie alle regole di evidenza pubblica in materia di appalti, potrebbe essere eliminato laddove si accogliesse il suggerimento, successivamente esplicitato, di inserire una norma ad hoc ricognitiva della disciplina vigente in tema di lavori pubblici affidati da soggetti gestori dei servizi pubblici locali.

Dopo l'attuale terzo comma sembra opportuno inserire l'attuale quarto comma dell'art. 117, incongruamente collocato all'interno di norma essenzialmente dedicata alla disciplina delle tariffe dei servizi. Si suggerisce inoltre l'inclusione, prima di detto ultimo comma, dell'attuale comma 6 bis dell'art. 12 della legge n. 498/1992, della cui pretermissione la relazione non fornisce spiegazione.

Art. 117

Si suggerisce la modifica del titolo attuale con il seguente : "Tariffe dei servizi". La disciplina riprodotta, per quanto tratta dai commi 4 e seguenti dell'art. 12 della legge n. 498/1992 (norma che a sua volta ha introdotto l'istituto della s.p.a. a partecipazione pubblica minoritaria) riguarda le tariffe dei servizi pubblici locali in generale e non solo quelle relative ai servizi gestiti attraverso detto modulo societario.

Il primo comma può essere depurato dall'introduzione "Per gli interventi di cui all'art. 116". Del pari nel comma 3, terzo rigo, è opportuna l'eliminazione delle parole "di cui al comma 1".

Alla stregua dei motivi esposti in sede di analisi dell'art. 116, l'attuale ultimo comma dell'art. 117 va più organicamente inserito nel testo dell'articolo precedente, prima dell'attuale comma 4.

Art. 118

Il titolo va depurato dell'aggettivo fiscale, posto che le norme raggruppate non riguardano il solo regime fiscale (la seconda parte del primo comma concerne, infatti, onorari di periti e notai).

Nel primo comma, al terzo rigo, si suggerisce la sostituzione delle parole "per azioni costituite ai sensi dell'art. 113 lettera e" con le seguenti "costituite ai sensi degli artt. 113 e 116". La correzione serve a prendere atto dell'estensione dei benefici in parola anche ai modelli della s.r.l. maggioritaria e della s.p.a. minoritaria, non contemplati nell'originaria formulazione del d.l. n. 6/1991, conv. in legge 80/1991, in quanto introdotti per effetto di norme successive. L'estensione è quindi ricognitiva, nell'ottica del coordinamento sostanziale propria del testo unico, di un risultato conseguibile de jure condito già in via interpretativa, stante l'identità di ratio, confermata dall'applicazione dei benefici sanciti in epoca successiva, di cui ai commi 2 e seguenti, anche alle s.p.a minoritarie.

La diversità dell'oggetto rende opportuna la collocazione in separato comma della disciplina dettata dal secondo periodo del primo comma.

Nel secondo comma, primo periodo, il riferimento al comma 1 va arricchito dell'indicazione del comma 2, laddove si aderisca alla soluzione dello scorporo del secondo periodo dell'attuale primo comma con la creazione di un nuovo secondo comma.

Nel secondo periodo, quarto rigo, manca, per errore materiale, dopo la parola "articoli", il riferimento alle norme originarie ("art. 25 e 60 della legge 8 giugno 1990, n. 142"), nella nuova numerazione assunta in seno al testo unico.

Art. 122

Al fine di agevolare la consultabilità e l'organicità del testo unico, appare opportuno che le norme di cui ai commi 6,7 e 8 dell'art. 4 della legge n. 95/1995, piuttosto che essere richiamate allo scopo di evidenziare la permanenza delle competenze comunali, vengano integralmente ritrascritte e contestualmente abrogate. L'opportunità dell'inserimento di dette norme nel testo unico, nel titolo dedicato ai servizi pubblici locali, si ricava dalla circostanza che si tratta di disposizioni dirette ad agevolare la costituzione, da parte degli enti locali, con la Gepi s.p.a., di società deputate anche alla gestione di servizi pubblici locali.

Nuove norme di rinvio e collegamento

L'Adunanza Generale ritiene opportuno l'inserimento, prima della norma transitoria dettata dall'art. 123, di disposizioni di rinvio e raccordo idonee ad offrire un quadro completo della disciplina fondamentale in tema di servizi pubblici locali.

In primo luogo se appare comprensibile l'intento di non appesantire il testo unico con l'inclusione delle disposizioni in tema di gestione di servizi pubblici in settori specifici, può essere opportuna una norma di rinvio calibrata nei termini che seguono

Art. 122 bis (Norma di rinvio) "Restano ferme le disposizioni dettate dal decreto legislativo 19 marzo 1997, n. 422 e dalla legge 5 gennaio 1994, n. 36, e successive modificazioni, in materia di trasporto pubblico locale e di gestione del servizio idrico".

Del pari, per motivi di organicità oltre che per la rilevanza pratica della disciplina, appare opportuno l'inserimento di una norma di rinvio alla disciplina dettata dalla legge n. 109/1994 e succ. mod. in tema di affidamento di lavori pubblici da parte di soggetti gestori di servizi pubblici :

Art. 122 ter (Affidamento di lavori pubblici") "Ai fini dell'affidamento di lavori pubblici le aziende speciali, i concessionari di servizi pubblici, i concessionari di esercizio di infrastrutture destinate al pubblico servizio e le società di cui agli artt. 113 e 116 sono tenuti a seguire le norme dettate dalla legge 11 febbraio 1994, n. 109, e succ. mod., ai sensi e nei limiti di cui all'art. 2, comma 2, lett. b, della legge medesima".

Infine, si suggerisce l'innesto di norma ricognitiva della disciplina in tema di giurisdizione esclusiva in materia di servizi pubblici, e tanto anche in considerazione del riferimento dell'art. 33 del D.Lgs 80/1998 a controversie specifiche che riguardano le società deputate alla gestione dei servizi pubblici locali. Si rileva che norma analoga di stampo ricognitivo è stata inserita nel recente decreto legislativo 25 febbraio 2000, n. 65, che ha sul punto modificato l'art. 30 del D.Lgs 157/1995 in tema di appalti pubblici di servizi.

Art. 122 quater (Giurisdizione)

"La cognizione delle controversie in materia di servizi pubblici spetta al giudice amministrativo, in sede di giurisdizione esclusiva, ai sensi degli artt. 33 e seguenti del D.Lgs 31 marzo 1998, n.80 e successive modificazioni"

TITOLO SESTO: I CONTROLLI

Il Titolo VI concerne la materia dei controlli ed è articolato in tre capi destinati alla raccolta delle disposizioni rispettivamente in materia di controlli sugli atti, sugli organi ed interni.

Prima di passare all'esame delle singole norme si ritiene opportuno formulare talune osservazioni sulla strutturazione del titolo.

All'interno del capo primo sono inserite norme che appaiono eccentriche rispetto alla disciplina del controllo sugli atti. Ci si riferisce in primis all'art. 139, che rinvia al controllo della Corte dei Conti sulla gestione complessiva dell'ente locale e che potrebbe trovare naturale collocazione dopo la norma (art. 148) sui controlli interni, all'interno di un nuovo titolo IV (Controlli esterni sulla gestione). Parimenti estranea alla materia dei controlli di cui al titolo in esame si appalesa la norma sui pareri obbligatori di cui all'art. 140. Infine gli artt. 135, primo comma, 136 e 137, intesi a disciplinare i poteri sostitutivi del Governo, potrebbero trovare più naturale collocazione all'interno del capo II, dedicato al controllo sugli organi.

Si osserva inoltre che nel titolo relativo ai controlli non è riprodotta la dIsciplina dettata dall'art. 19 (commi 6, 7 e 8) del T.U. n. 383/1934.

Tale norma, come noto, disciplina, insieme all'art. 38 della legge n. 142/1990, i poteri ispettivi del prefetto sull'esercizio delle funzioni del sindaco nella sua qualità di ufficiale di Governo. Vero è che l'articolo 38, commi 7, 8 e 9 della legge 142/1990 è interamente riprodotto dall'articolo 53 della bozza di T.U.; tuttavia manca la riproduzione dell'articolo 19, commi 6-8 del T.U. 383/1934. In alternativa all'inclusione di entrambe le norme fra i controlli, si potrebbe includere anche l'articolo 19, commi 6-8 nell'articolo 53 della bozza di T.U. E' necessario in ogni caso un raccordo con la disciplina transitoria dettata all'art. 274, comma 3, del testo unico.

Il testo unico considera invece abrogato l'articolo 45 del d.lgs. 504/1992, che prevede i controlli della Commissione per la finanza e gli organici degli enti locali, istituita presso il Ministero dell'Interno, sulle dotazioni organiche degli enti locali dissestati o strutturalmente deficitari; lo stesso articolo è tuttavia invece riprodotto nell'articolo 259 della bozza di T.U. l'art. 91, comma 7, del D.Lgs 77/1995.

Si può ora passare all'esame delle singole disposizioni.

CAPO PRIMO Controllo sugli atti

Si osserva in via preliminare che motivi di organicità consigliano il raggruppamento ed il riordino, nella prima parte del capo, delle varie forme di controllo preventivo di legittimità, prima dell'analisi delle modalità di svolgimento del sindacato.

Si rende opportuno, pertanto, limitare l'art. 126 alla sola fattispecie del controllo necessario di legittimità, eliminando il terzo comma, che riguarda la fattispecie, eterogenea dal punto di vista delle caratteristiche, delle problematiche e del regime, del controllo su iniziativa della giunta, L'articolo 126 resterebbe allora limitato al solo caso del controllo necessario d'ufficio, con conseguente mutamento del titolo "Deliberazioni soggette in via necessaria al controllo preventivo di legittimità".

L'attuale comma terzo, con le modifiche di cui si dirà, potrebbe trovare naturale collocazione in un articolo successivo (art. 126 bis, Controllo su iniziativa della giunta). Seguirebbe l'attuale art. 127 (Controllo su iniziativa dei consiglieri). In conclusione andrebbe inserito, per completare il quadro dei controlli preventivi di legittimità, l'attuale dettato del secondo comma dell'art. 135 (il primo comma trova infatti, come osservato, naturale collocazione nell'ambito del controllo sugli organi), nell'ambito di un nuovo articolo (art. 127 bis : Controllo su iniziativa del Prefetto).

Art. 126

Primo comma:

Ai fini di una migliore leggibilità del dettato, si suggerisce l'integrazione del primo comma con la specificazione, al terzo rigo, dopo la parola "consiglio" , dell'inciso, "esclusi quelli attinenti all'autonomia organizzativa e contabile dello stesso consiglio". Ne deriva la superfluità dell'attuale secondo comma.

Si sottolinea inoltre che, tra il primo ed il secondo rigo del comma, il rinvio all'art. 130 Cost. sembra alludere ad una specificazione del novero degli enti locali sottoposti a controllo che non è contenuta nel testo costituzionale, che fa rinvio senza precisazione agli "altri enti locali".

Terzo comma:

Come specificato in sede di relazione di accompagnamento, l'attuale formulazione del comma 3, rapportata all'indicazione delle delibere consiliari sottoposte a controllo necessario alla stregua del primo e del secondo comma, risolve in senso positivo il problema della riferibilità del controllo su iniziativa della giunta anche alle deliberazioni consiliari.

La presa di posizione non appare convincente in considerazione dei seguenti motivi:

a) la soluzione è in distonia con l'interpretazione dottrinale largamente maggioritaria, propensa a ravvisare nella disciplina in parola, tratta dall'art. 17, comma 34, della legge n. 127/1997, una forma di autocorrezione dell'operato giuntale, traducentesi nella previa sottoposizione a controllo da parte della giunta delle delibere che la stessa abbia adottato e che si presentino di dubbia legittimità;

b) il dato positivo oggetto di ricognizione "innovativa" (art. 17 comma 34 della legge 127 : "Sono altresì soggette a controllo preventivo di legittimità le deliberazioni che le giunte intendono di propria iniziativa sottoporre al comitato regionale di controllo"), pur suscettibile di interpretazione plurivoca, sembra deporre a favore dell'interpretazione restrittiva; sintomatico appare l'inciso "di propria iniziativa", evocante l'identità tra organo che prende l'iniziativa del controllo ed organo da cui promana l'atto controllato (vedi, in conformità, la circolare del Ministero dell' Interno 10 marzo 1998, n. 3);

c) anche nell'attuale assetto del rapporto tra organi appare estraneo alla vocazione istituzionale della giunta l'esercizio di un'attività di impulso diretta al sindacato ed al controllo sull'operato del consiglio;

d) l'ammissione di un sindacato di iniziativa giuntale su tutte le deliberazioni consiliari è in controtendenza rispetto al trend verso l'assottigliamento delle delibere consiliari sottoposte a controllo preventivo ed appare in contraddizione con la limitazione del perimetro delle delibere consiliari sottoposte a controllo su iniziativa della minoranza ai sensi dell'art. 127;

e) la presa di posizione esorbita dai criteri autolimitativi enunciati nella relazione, ove si precisa la volontà di sciogliere i soli nodi ermeneutici caratterizzati da univocità di soluzioni dottrinali e pretorie.

In definitiva si suggerisce, di lasciare immutata la dizione dell'attuale art. 17, comma 34, della legge n. 127/1997, da inserire in apposito articolo, tra l'attuale art. 126 e l'attuale art. 127.

Quarto comma

La disposizione, che non riguarda solo il controllo necessario, trova più consona collocazione in apposito articolo dopo l'attuale art. 134, in tema di esecutività delle delibere. "Artt. 134 bis Effetti dell'annullamento giurisdizionale della decisione negativa i controllo".

Art. 127

Primo comma

Si suggerisce sul piano formale, al settimo-ottavo rigo, la sostituzione delle parole "di rispettiva competenza" con "stesse".

Appare preferibile l'inversione degli attuali secondo e terzo comma, essendo più logico che l'individuazione dell'organo di controllo preceda la specificazione della modalità di esercizio del controllo medesimo.

Art. 128

L'attuale formulazione del secondo comma non tiene conto della circostanza che la legge regionale non può, come ovvio, disciplinare le modalità di elezione dei componenti del Comitato di estrazione governativa. E' inoltre superfluo il riferimento della maggioranza qualificata al consiglio, stante il chiaro dettato dell'art. 130 al riguardo .

Si propone pertanto, laddove non si intenda ripetere pedissequamente la formulazione dell'art. 44, comma secondo, della legge n. 142/1990, di riformulare nei termini che seguono il primo periodo del comma 2.

"Sono disciplinate con legge regionale l'elezione, a maggioranza qualificata, dei componenti del comitato regionale di controllo di cui all'art. 130, comma 1, lettera A e 130, comma 2, prima parte".

Art. 133

Secondo comma

Non è chiaro se la richiesta di chiarimenti possa essere reiterata. Si suggerisce all'amministrazione, pertanto, di fornire un chiarimento sul punto.

Art. 134

Il primo comma, al terzo rigo, dovrebbe essere integrato con la specificazione dopo il verbo avvenire, delle parole "ove si tratti di atto sottoposto a controllo necessario ai sensi dell'art. 126".E' infatti evidente che il termine di decadenza per la trasmissione dell'atto non può che riguardare i controlli necessari, altre essendo forme e tempi dei controlli di iniziativa, che possono fisiologicamente essere successivi alla pubblicazione.

Secondo comma

Può essere opportuno per chiarezza specificare il rapporto tra attivazione di controlli su iniziativa ed acquisizione del crisma dell'esecutività.

E' opportuno aggiungere alla fine del primo rigo l'aggettivo "necessario".

Art. 135

Come osservato in premessa è opportuno scindere i due commi, includendo il primo nel novero dei controlli sugli organi ed inserendo il secondo debitamente raccordato, dopo gli altri articoli che riguardano i controlli su iniziativa. Premesso che la sopravvivenza del controllo in parola è stata affermata con parere della sezione I del Consiglio di Stato, 15/10/1997, n. 1539/97, l'Adunanza Generale ritiene che la norma debba essere interpretata nel senso della possibilità di sottoporre a controllo anche delle determinazioni dirigenziali, visto che, per effetto della legge n. 127/1997, le competenze relative agli atti di cui al comma secondo dell'art. 135 sono state in gran parte attribuite agli organi burocratici. Si suggerisce, pertanto, di aggiungere alla parola "deliberazioni" le parole "e le determinazioni".

Si rinvia ai rilievi svolti in premessa per la corretta collocazione degli artt.136, 137, 139 e 140

CAPO SECONDO Controllo sugli organi

Si rinvia alle precedenti osservazioni per la strutturazione della normativa. Si soggiunge che il secondo comma dell'art. 147 può trovare collocazione alla fine dell'articolo 146.

Art. 143

Comma 1.

Tenuto conto che l'art.40 della legge n.142/1990 e successive modificazioni attribuisce al Presidente della Repubblica di provvedere, con decreto da emanarsi su proposta del Ministro dell'Interno, alla rimozione del sindaco, del presidente della provincia, dei presidenti dei consorzi delle comunità montane, dei componenti dei consigli e delle giunte, dei presidenti dei consigli circoscrizionali, appare necessario sostituire le parole "decreto del Ministro dell'Interno" con le parole "decreto del Presidente della Repubblica su proposta del Ministro dell'Interno".

E' da osservare, infatti, che il citato art.40 risulta modificato dall'art.4 della legge n.16/1992, successiva alla legge 12 gennaio 1991 n.13, recante l'elencazione tassativa degli atti da adottarsi nella forma del D.P.R.

PARTE II

ORDINAMENTO FINANZIARIO E CONTABILE

La seconda parte dello schema di testo unico in materia di ordinamento degli enti locali concerne l'ordinamento finanziario e contabile, organizzato in otto titoli, i quali - a loro volta, fatta eccezione per i titoli VI e VII - sono suddivisi in capi.

Questa parte del testo unico risulta approntata pressoché integralmente sulla base della normativa contenuta nel decreto legislativo 25 febbraio 1995 n. 77, predisposto sulla base della riserva di legge di cui all'art. 55 della legge n. 142 del 1990 e della delega legislativa di cui alla l. n. 421 del 1992.

L'amministrazione, nella richiesta di parere al Consiglio di Stato, ne ha evidenziato la sostanziale organicità e sistematicità, anche successivamente alle modificazioni ed integrazioni apportatevi, così che nell'elaborazione del testo unico si è reso necessario soltanto il suo coordinamento con le norme della l. n. 142 del 1990 e di quelle successive, l'adeguamento formale e terminologico del testo, nonché il coordinamento della parte in esame con la prima parte dello schema di testo unico.

Non è un caso che, come si ricava dall'art. 275, il decreto legislativo n. 77 del 1995 è interamente abrogato, ad eccezione degli articoli da 115 a 124 contenenti disposizioni assolutamente particolari e destinate ad esaurirsi nel tempo (quando non si siano già completamente esaurite), come si ricava dalla stessa rubrica degli articoli (art. 115: tempi di applicazione; 116: completamento degli inventari e ricostruzione dello stato patrimoniale; 117: Gradualità di ammortamento dei beni; 118: servizi di tesoreria affidati a soggetti non abilitati; 119: determinazione delle medie nazionali per classi demografiche delle risorse di parte corrente e della consistenza delle piante organiche; 120: modifiche al decreto del Presidente della Repubblica 24 agosto 1993 n. 378; 121: procedure di risanamento finanziario in corso; 122: prima applicazione delle norme recate dall'art. 107; 123: abrogazione di norme; 124: entrata in vigore).

Prima di passare all'esame dei singoli titoli di cui si compone la seconda parte l'Adunanza Generale ritiene opportuno di suggerire che nell'emanando testo unico l'indicazione delle norme contenute nel D. lgs. n. 77 del 1995 ivi trasfuse sia fatta avendo cura di segnalare la normativa che ha modificato e sostituito l'originaria formulazione del decreto legislativo, in ciò anche sicuramente consistendo l'operazione di riunire e coordinare di cui alla norma di delega.

TITOLO I - DISPOSIZIONI GENERALI

Il Titolo I contiene i principi generali dell'ordinamento finanziario e contabile degli enti locali.

L'amministrazione evidenzia in particolare che sono stati coordinati tra di loro gli articoli 54 e 55 della legge n. 142 del 1990 e l'art. 52 del decreto legislativo 15 dicembre 1997 n. 446.

Si osserva in particolare che viene, per un verso, esaltato il principio della riserva di legge statale in ordine alla finanza statale ed in ordine all'ordinamento finanziario e contabile degli enti locali e, per altro verso, è sottolineata l'ampia autonomia impositiva e regolamentare degli enti locali, con particolare riguardo al regolamento di contabilità.

L'art. 152, al 4° comma, indica una serie di norme (riguardanti la competenza dei responsabili dei servizi, le fasi dell'entrata, l'accertamento delle spese, salvo quelle tributarie, la fase delle spese e la loro liquidazione, etc. già contenute nell'art. 108 del D. Lgs. 77/1995) nelle quali vi è una prevalenza della regolamentazione dell'ente locale: infatti è affermato che le norme contenute nella seconda parte del testo unico, proprio ad eccezione di quelle qui indicate, sono da considerarsi principi generali con valore di limite inderogabile.

In linea di massima la sistemazione data ai principi generali (articoli 149 - 161) sembra abbastanza organica e sufficientemente idonea a rispondere alle finalità di chiarificazione e semplificazione, anche per quanto riguarda l'enucleazione delle funzioni (delicate e rilevanti) assegnate all'Osservatorio sulla finanza e contabilità degli enti locali (art. 154) ed alla Commissione per la Finanza e gli organici degli enti locali (art. 155), organismi che appaiono centrali nel nuovo assetto delle autonomie locali.

Ad avviso dell'Adunanza Generale tuttavia:

appare discutibile (e non pienamente armonica con i limiti della delega contenuta nell'art. 31 della legge 265/1999) l'aggiunta al secondo comma dell'art. 151 dell'espressione "con carattere autorizzatorio", riferito al bilancio pluriennale, atteso che la finalità del bilancio pluriennale è precisamente chiarito nel secondo comma dell'articolo 171: tale norma, infatti, al quarto comma precisa che "gli stanziamenti previsti nel bilancio pluriennale, che per il primo anno coincidono con quelli del bilancio annuale di competenza, hanno carattere autorizzatorio, costituendo un limite agli impegni di spesa, e sono aggiornati annualmente in sede di approvazione del bilancio di previsione". In sostanza si tratta di un'aggiunta che appare priva di una specifica valenza, idonea peraltro a ingenerare dubbi proprio con riferimento al predetto articolo 171;

per esigenze di chiarezza e di sistematicità - inoltre - sarebbe preferibile precisare che i documenti (altri) normativamente previsti dal comma 2 dell'articolo 151, che corredano il bilancio di previsione, sono quelli già individuati al successivo art. 172: si propone pertanto di espungere dal testo del 2° comma dell'art. 151 le espressioni " con carattere autorizzatorio" e "normativamente" giungendo ad un testo del seguente tenore: "Il bilancio è corredato di una relazione previsionale e programmatica, di un bilancio di durata pluriennale di durata pari a quello della regione di appartenenza e degli allegati previsti dall'art. 172 del presente testo unico";

i commi 5, 6 e 7 dell'art. 151 prevedono, in luogo dell'espressione "conto consuntivo" usata nell'art. 55 della legge n. 142 del 1990, l'espressione "rendiconto", utilizzata già nel D. lgs. n. 77 del 1995: non potendosi ritenere che le espressioni siano identiche anche dal punto di vista giuridico, si deve tuttavia approvare la scelta operata dall'amministrazione. Infatti evidentemente la sostituzione terminologica appare conforme alla volontà di operare un coordinamento anche dal punto di vista sistematico e terminologico delle fonti vigenti in materia e d'altra parte risponde anche della circostanza che l'espressione rendiconto, lungi dal far riferimento ad una mera operazione aritmetica di bilancio delle entrate e delle spese, implica una valutazione dell'attività di gestione (finalizzazione cui tende in maniera più pronunciata l'espressione rendiconto) e si inquadra quindi meglio nell'ottica dell'autonomia di gestione cui è improntata la vita degli enti locali;

al secondo comma dell'art. 152, nell'ottica di riordino, chiarimento e sistemazione coordinata del testo, sarebbe utile sostituire l'espressione "può assicurare", con la parola "assicura".

TITOLO II - BILANCI E PROGRAMMAZIONE

Il Titolo II riguarda Bilanci e Programmazione.

L'amministrazione riferisce che la normativa contenuta in tale titolo è in armonia con il nuovo significato che viene ormai assegnato al bilancio, non più mero documento contabile, ma strumento di programmazione finanziaria e dunque di gestione dell'ente: in tale prospettiva appaiono significativi non solo la relazione illustrativa e programmatica al bilancio, ma la stessa predisposizione di un bilancio pluriennale redatto in termini di competenza: coerentemente a questa prospettiva sono previsti quali allegati al bilancio una serie di documenti con l'evidente scopo di potenziare la finalità programmatoria e di vera e propria gestione del bilancio stesso.

E' stata inoltre sottolineata l'attenzione rivolta, in sede di redazione, alla questione dell'esercizio provvisorio di bilancio, nella particolare ipotesi che venga disposta la proroga del termine entro cui gli enti locali devono approvare i bilanci preventivi, mentre è stato precisato che per quanto riguarda i profili di (ripartizione di) competenza degli organi che devono provvedere all'adozione del bilancio è stata trasfusa nel nuovo testo unico, senza alcuna variazione la disciplina già recata nel D. Lgs. 25 febbraio 1995 n. 77.

L'Adunanza Generale osserva sul punto che la divisione del titolo in due capi, l'uno intestato "Programmazione", l'altro intestato "Competenze in materie di bilanci", non sembra essere particolarmente efficace sia sotto il profilo della sistematicità, sia sotto il profilo della semplificazione e della chiarificazione, nella cui ottica - come sopra rilevato - va anche interpretata la delega contenuta nell'art. 31 della Legge n. 265 del 1999.

In realtà, a parte il fatto che più correttamente il decreto legislativo n. 77/1995 metteva in risalto il documento di bilancio, quale espressione della programmazione, prevedendo al capo II "Bilanci e Programmazione" (ragion per cui sarebbe auspicabile che anche nel presente testo unico il titolo fosse "Bilanci e Programmazione" e non "Programmazione e Bilanci"), si rileva che sono introdotte norme in materia di competenza che, per maggiore sistematicità, potevano essere comprese nell'ambito della normativa sul documento di bilancio, essendo evidentemente connaturato a quest'ultimo.

TITOLO III - GESTIONE DEL BILANCIO

Il titolo III ha per oggetto la "Gestione del Bilancio" ed è organizzato in quattro capi, rispettivamente Entrate (Capo I), Spese (Capo II), Risultato di amministrazione e residui (Capo III) e Principi di Gestione e controllo di gestione.

L'amministrazione ha evidenziato la peculiarità delle disposizioni contenute in questo titolo, avendo cura di rilevare l'importanza del capo IV, in cui sono dettate le basilari regole per la corretta gestione (art. 191 e 192) e quelle per la salvaguardia degli equilibri contabili.

Mentre non sembra esservi alcuna osservazione da muovere con riferimento ai primi tre capi, la normativa riguardante il controllo di gestione assume una straordinaria importanza proprio con riferimento all'autonomia di cui risultano dotati gli enti locali: all'attenuazione (o addirittura alla scomparsa) dei controlli esterni sugli atti e sugli organi deve infatti corrispondere un potenziamento ed un'alta qualificazione del controllo interno - in generale - e del controllo di gestione in particolare, quest'ultimo essendo evidentemente lo strumento del controllo, politico e giuridico, dell'autonomia.

Non è un caso che proprio su questa questione risulta aperta una controversia tra l'amministrazione proponente lo schema del testo unico ed il Dipartimento della funzione pubblica: infatti mentre l'amministrazione ritiene che in tema di controllo di gestione degli enti locali debbano trovare applicazione esclusivamente le norme contenute nell'art. 40 del D. Lgs. n. 77 del 1995, il Dipartimento della Funzione Pubblica, con riferimento all'art. 197 dello schema di testo unico, ha osservato che esso non sarebbe omogeneo con le disposizioni contenute nel decreto legislativo n. 286 del 1999

L'Amministrazione contesta il rilievo facendo osservare che proprio la norma contenuta nell'art. 1, comma 3, del predetto D. Lgs. 286 del 1999 testualmente dimostrerebbe che le relative disposizioni possono, ma non debbono, essere recepite dai regolamenti degli enti locali ed in ogni caso nel rispetto dell'art. 40 del D. Lgs. n. 77/1995.

Sul punto si deve rilevare che l'art. 197 dello schema di testo unico, concerne le modalità del controllo di gestione, richiamando integralmente il testo del più volte citato articolo 40, considerato come una specie del controllo interno; la normativa contenuta nel D. Lgs. 30 luglio 1999 n. 286 (Riordino e potenziamento dei meccanismi e strumenti di monitoraggio e valutazione dei costi, dei rendimenti e dei risultati dell'attività svolta dalle amministrazioni pubbliche, a norma dell'art. 11 della legge 15 marzo 1997 n. 57) appare evidentemente di più ampio respiro e comunque anch'essa finalizzata ad un potenziamento dei controlli interni.

La formula legislativa contenuta nel comma 3 dell'art. 1 deve essere considerata non come espressione di facoltà, bensì come autorizzazione, nel senso che anche gli enti locali, in quanto pubbliche amministrazione e benché caratterizzati dalla propria autonomia, si adeguano alla nuova normativa, nel rispetto dei propri ordinamenti generali e delle norme concernenti l'ordinamento finanziario e contabile.

Sotto tale aspetto dunque il rilievo formulato dal Dipartimento della funzione pubblica appariva corretto e del resto ad esso l'amministrazione risulta essersi adeguata, avendo previsto all'art. 148 (cui si richiama l'art. 197) espressamente che gli enti locali si dotano degli strumenti e delle metodologie adeguate per realizzare effettivamente il controllo di gestione.

TITOLO IV - INVESTIMENTI

Il titolo IV concerne gli "Investimenti" ed è articolato in tre Capi, riguardanti i principi generali (Capo I), le fonti di finanziamento mediante indebitamento (Capo II) e le garanzie per mutui e prestiti (Capo III).

Come si ricava dalla relazione dell'amministrazione l'unica particolarità di tale titolo è rappresentata dalla introduzione nel Capo I, relativo alle disposizioni generali, dell'art. 201, nel quale è stato sostanzialmente trasfuso il contenuto dell'art. 46 del decreto legislativo 30 dicembre 1992 n. 504, a mente del quale:

ai sensi del primo comma gli enti ivi indicati sono autorizzati ad assumere mutui per il finanziamento di opere pubbliche destinate all'esercizio di servizi pubblici, soltanto se i contratti di appalto sono realizzati sulla base di progetti chiavi in mano ed a prezzo non modificabile in aumento, con procedura di evidenza pubblica e con esclusione della trattativa privata;

ai sensi del secondo comma, per i progetti di opera comportanti spese superiore ad un miliardo è necessaria l'approvazione di un piano economico finanziario in cui si tenga conto anche degli oneri di gestione e degli eventuali introiti, ciò al fine di non intaccare l'equilibrio del bilancio;

si fissano i criteri in base ai quali si devono determinare le tariffe, si prevede che il piano economico finanziario deve essere assentito da una banca (tra quelle indicate in un apposito decreto del Ministro del tesoro), prevedendosi che tale esame e l'attività di monitoraggio (generalmente rimessa al Ministro dell'Interno) è svolta dalla Cassa Depositi e Prestiti per le opere dalla stessa evidenziata.

Sul punto si condivide l'avviso dell'amministrazione, secondo cui tale particolare normativa ben si inquadra nella più ampia previsione degli investimenti e/o indebitamenti, contribuendo alla chiarezza ed alla semplificazione, per un verso, e per altro verso consentendo all'ente locale di poter svolgere con le opportune cautele l'attività decisionale in materia di indebitamento, le cui conseguenze ricadono immediatamente sull'equilibrio economico-finanziario della gestione dell'ente stesso.

L'amministrazione riferisce ancora che nel titolo V, riguardante la Tesoreria, sono state riportate senza significative variazioni le disposizioni contenute nel D. Lgs. n. 77 del 1995, suddividendole in cinque capi, regolanti le disposizioni generali, la riscossione delle entrate, il pagamento delle spese, altre attività, nonché adempimenti e verifiche contabili.

Su tale titolo va osservato soltanto che l'amministrazione ha dichiarato di aver recepito, con riferimento all'art. 215 dello schema di testo unico:

il rilievo formulato dal Dipartimento della funzione pubblica con riferimento all'art. 52 del D. Lgs. n. 446 del 15 dicembre 1997;

le osservazioni formulate dal Ministero delle finanze in relazione alle novità introdotte dai decreti legislativi 26.2.1999 n. 46 e 13 aprile 1999 n. 112, in materia di riscossione delle entrate.

Il Ministero ha altresì assicurato di aver integralmente recepito le osservazioni formulate dal Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica.

TITOLO VI - RISULTATI DI GESTIONE

Il Titolo VI disciplina i risultati di gestione, con tale espressione essendo intesa in realtà l'attività di rendicontazione e di verifica della gestione finanziaria e contabile di una annualità: il Capo VI del decreto legislativo n. 77 del 1995, trasfuso senza alcuna innovazione, come riporta l'amministrazione, nel titolo in esame, con espressione - forse - più precisa era intitolato "Rilevazione e dimostrazione dei risultati di gestione".

Si osserva che dal punto di vista sistematico tale titolo poteva essere ricompreso nell'ambito del titolo riguardante programmazione e bilanci, dal momento che la rilevazione, la dimostrazione e l'esame dell'attività di gestione sembra funzionalmente e logicamente collegata proprio alla programmazione di cui il bilancio di previsione è lo strumento operativo e la rendicontazione è lo strumento del controllo, politico - giuridico successivo: tale collocazione avrebbe in realtà consentito uno sguardo unitario e sistematico dell'attività gestionale dell'ente locale, evidenziandone in realtà proprio l'autonomia, nel senso di evidenziarne attraverso gli atti e i documenti in esame il momento di individuazione dei fini da conseguire e il riscontro di quelli effettivamente conseguiti.

L'attuale sistemazione sembra privilegiare un aspetto didattico, non necessariamente di semplificazione, legato piuttosto all'aspetto temporale dell'attività politico - gestionale degli enti locali che non a quello funzionale.

In sostanza il Titolo VI in esame potrebbe diventare il Capo III del titolo II, lasciando invariato la titolazione di quest'ultimo "Bilanci e Programmazione".

In ordine al VII titolo, "Revisione Economica e Finanziaria", l'Amministrazione ha evidenziato che la disciplina contenuta nello schema di testo unico in esame ripete la disciplina ormai consolidata, senza apportarvi alcuna novità sostanziale.

E' stato però evidenziata l'introduzione di due modifiche:

il comma 4 dell'art. 234 infatti non ripete il corrispondente comma dell'art. 100 del D. Lgs. n. 77 del 1995, essendo stato soppresso l'obbligo dell'ente di comunicare la nomina dei revisori al Ministero dell'interno ed al Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro, limitando l'onere della comunicazione ai soli tesorieri;

nell'art. 235, poi, che ricalca l'art. 101 del D.lgs. n. 77 del 1995, è stato introdotto l'avverbio "consecutivamente" con riferimento al divieto di immediata rieleggibilità dei revisori per una sola volta: l'amministrazione ha inteso così precisare che i revisori possono durare in carica due trienni consecutivamente, scaduti i quali l'esercizio della funzione non è definitivamente interdetta se non per il triennio successivo.

Quanto alla prima modificazione si osserva che la soppressione del 4° comma dell'art. 100 del D. Lgs. N. 77 del 1995 non sembrerebbe in linea con la delega: d'altra parte quella norma aveva ed ha una propria ratio con riferimento non solo all'ordinamento delle professionale, ma anche in funzione di vigilanza, che non sembra venuta meno per effetto della sua eventuale desuetudine.

Sotto altro profilo una tale abrogazione non sembrerebbe comportare decisivi o apprezzabili effetti semplificativi, mentre l'obbligo imposto non comportava una irragionevolezza del sistema.

Quanto poi all'introduzione dell'avverbio "consecutivamente" nella nuova formulazione (art. 235) dell'originario articolo 101 del D. Lgs. n. 77 del 1995, essa sembrerebbe non coerente con lo spirito e la ratio della norma di delegazione, che è proprio quella di evitare che l'esercizio della funzione di revisione possa essere compromessa dalla rieleggibilità ad libitum del revisore; proprio l'autonomia, decisionale, organizzativa, gestionale e finanziaria dell'ente esige la presenza di revisori assolutamente imparziali e privi di qualsiasi contiguità con l'ente locale, quale contrappeso dell'abbandono del sistema dei controlli esterni e del potenziamento dei controlli interni, massime quello di gestione.

Il Titolo ottavo disciplina la delicata materia degli enti locali deficitari e dissestati.

Anche per quest'ultimo titolo l'amministrazione ha operato un coordinamento dei testi vigenti, precisando di aver apportato solo aggiustamenti formali e di aver provveduto ad alcuni inserimenti.

Proprio in riferimento a questi ultimi, che sembrano contenuti nei commi 1 e 2 dell'articolo 270, si esprimono perplessità, giacchè in un testo finalizzato a riunire e coordinare la disciplina vigente in materia appare discutibile l'introduzione di una norma transitoria, relativa alla determinazione dei parametri obiettivi per l'individuazione degli enti strutturalmente deficitari.

Al riguardo sembrerebbe più coerente con lo spirito di legge generale che contraddistingue il testo unico l'introduzione di una norma di rinvio, che cioè rimandi ad un decreto ministeriale la indicazione triennale dei parametri in base ai quali fissare gli indici di dissesto finanziario.

PARTE III - DISPOSIZIONI FINALI

La parte III dello schema è rubricata "Disposizioni finali" ed è suddivisa in due capi, concernenti, rispettivamente, le "Associazioni degli enti locali" (articoli 271-273) e le "Norme finali e transitorie-Abrogazioni" (articoli 274-277).

L'Adunanza Generale ritiene che gli articoli contenuti nel Capo I debbano essere opportunamente ricollocati nel Capo V, Titolo II, della Parte I, ovvero in un autonomo Capo, a questo successivo. Infatti, si tratta di disposizioni prive di carattere finale o transitorio, ma che completano, stabilmente, il disegno dei soggetti disciplinati dal Testo Unico.

Per quanto riguarda i singoli articoli, si formulano le seguenti osservazioni.

Art. 271.

Al comma 1 è preferibile indicare, per esteso, la denominazioni delle Associazioni, menzionando le rispettive sigle tra parentesi. Le stesse sigle possono poi essere correttamente utilizzate nei successivi periodi, in luogo della completa denominazione.

Rinviando ai rilievi già formulati in tema di ineleggibilità ed incompatibilità si suggerisce di espungere l'ultimo periodo del primo comma, riferito alle aziende sanitarie, che non sono enti locali.

Al comma 2, la forma verbale "avverrà" potrebbe essere sostituita con la forma presente "avviene".

Articolo 272

Al comma 3, la formula "precedente comma" va sostituita con l'espressione "comma 2".

Articolo 273

Va corretta la numerazione dei commi.

Al comma 1, i riferimenti alle strutture interne del Ministero degli affari esteri vanno coordinati con il nuovo assetto organizzativo del Ministero

È opportuno verificare se la terminologia utilizzata al comma 3 (rectius 2) sia in linea con il nuovo ordinamento contabile degli enti locali.

Con riguardo al Capo II, l'Adunanza Generale espone i seguenti rilievi.

Art. 274.

Si sottopone all'amministrazione riferente l'opportunità di inserire nel corpo del testo unico le norme che vengono fatte salve, in via definitiva o provvisoria. Ciò potrebbe segnare una maggiore chiarezza ed organicità del testo.

Art. 275.

Sul piano formale, l'elencazione delle disposizioni abrogate va preceduta dalle lettere, secondo i consueti criteri di redazione degli atti normativi.

Potrebbe essere opportuno raggruppare le norme abrogate, distinguendo le ipotesi in cui esse risultano eliminate per sopravvenuta incompatibilità o per esigenze di coordinamento formale, dai casi in cui le disposizioni sono abrogate perché riprodotte nel testo unico; in tal caso potrebbe valutarsi l'opportunità di indicare, insieme alla disposizione abrogata, il corrispondente articolo del testo unico in cui essa risulta collocata.

L'elencazione cronologica delle disposizioni abrogate indica, correttamente, anche le norme modificative o sostitutive di precedenti articoli di leggi. Potrebbe essere preferibile coordinare le abrogazioni indicando, contestualmente, la disposizione abrogata e le norme che ne hanno determinato la modifica o la sostituzione.

Vengono indicate alcune norme già precedentemente abrogate da altre fonti.

In dettaglio:

i) il regolamento approvato con regio decreto 12 febbraio 1911, n. 297 è già stato abrogato dall'articolo 64, comma 1, lettera a), della legge n. 142/1990, salvi gli articoli da 166 a 174 e da 179 a 181, i quali, peraltro, sono stati successivamente abrogati dall'articolo 123, comma 1, lettera a) del decreto legislativo 25 febbraio 1995, n. 77;

ii) il testo unico della legge comunale e provinciale approvato con regio decreto 4 febbraio 195, n. 148, è stato abrogato dall'articolo 28, comma 4, della legge 3 agosto 1999, n. 265.

Si propone, quindi, di eliminare i riferimenti a disposizioni già indiscutibilmente abrogate, o, in subordine, di sostituire il primo periodo del comma 1 con la seguente formula:

"Sono o restano abrogate le seguenti disposizioni:"

Si svolgono, poi, i seguenti rilievi, di carattere più specifico.

Il richiamo al regio decreto 7 giugno 1943, n. 650 deve essere modificato, perché inesatto.

L'abrogazione della legge 13 dicembre 1965 n. 1371 dovrebbe essere estesa all'intero provvedimento e non circoscritta al solo articolo 2.

L'abrogazione dell'articolo 15, punto 4.4 (rectius "comma 4.4") del decreto legge 28 febbraio 1983 n. 55 va estesa all'intero comma e non limitata al solo primo periodo.

Non sembra corretto il riferimento all'articolo 9-bis della legge 25 marzo 1993, n. 81.

L'abrogazione dell'articolo 5 del decreto legge 28 agosto 1999, n. 361 potrebbe essere estesa, eventualmente mediante l'introduzione di corrispondenti norme all'interno del testo unico, a tutti gli altri commi, eccezion fatta per il comma 4.

L'abrogazione dell'articolo 1, comma 10 della legge 28 dicembre 1995, n. 549 va rimeditata, trattandosi di disposizione non applicabile ai soli enti locali. In ogni caso, è opportuno indicare esattamente la fonte della norma abrogata, precisando le eventuali disposizioni modificative o sostitutive che determinano il contenuto del testo vigente.

Per effetto della parziale abrogazione dell'articolo 6 della legge 15 maggio 1997, n. 127, le disposizioni che restano in vigore restano mal coordinate perché rinviano a norme abrogate.

L'abrogazione dell'articolo 6, comma 12 della legge n. 127/1997 deve fare salva la norma nella parte in cui si applica alle camere di commercio ed alle aziende sanitarie.

Nello stesso articolo, l'abrogazione dovrebbe essere estesa anche al comma 19.

Con riferimento all'abrogazione dell'articolo 17 della legge n. 127/1997, va valutata l'opportunità di estendere l'abrogazione anche al comma 49 e, con maggiore cautela, trattandosi della disciplina della localizzazione delle sezioni elettorali, anche al comma 50.

Nello stesso articolo, la permanente vigenza del comma 79-bis pone problemi di coordinamento formale, originati dal rinvio a commi ora abrogati.

Nello stesso articolo, anche i commi da 87 a 91 potrebbero essere abrogati e trasfusi nel corpo del testo unico, eventualmente nell'ambito della normativa transitoria.

Le abrogazioni riferite alla legge 265/1999 potrebbero riguardare anche i commi 2 e 3 dell'articolo 7 (relativo alle comunità montane) e l'articolo 17, comma 1 (concernente le aree metropolitane), previa formulazione di apposite norme di coordinamento all'interno del testo unico.

Con riferimento alla abrogazione dell'articolo 18, è opportuno valutare se non sia preferibile estendere l'abrogazione anche al comma 3, concernente lo status degli amministratori degli Istituti Autonomi delle Case Popolari (IACP).

Per le stesse ragioni e con le stesse modalità, l'abrogazione dell'articolo 28 della legge n. 265/1999 potrebbe essere estesa all'intero articolo.

Articolo 276

Si esprimono delle perplessità di carattere generale.

Lo schema intende individuare le norme abrogate per la sola parte riferita agli enti locali e che continuano a restare in vigore per tutte le altre pubbliche amministrazioni. Si tratta di disposizioni relative ad aspetti significativi del rapporto di lavoro dei dipendenti, che vengono sostanzialmente riprodotte negli articoli del testo unico riguardanti l'assetto organizzativo degli enti e del personale.

La relazione motiva la scelta sistematica, sottolineando la necessità di concentrare in un unico atto fonte il complesso delle norme comunque riferite agli enti locali.

In tal modo, secondo il Ministero riferente, si realizza una sorta di "gemmazione normativa", che comporta la duplicazione di fonti dal contenuto identico, o quanto meno analogo, applicabili a soggetti diversi.

A parere dell'Adunanza Generale, l'opzione del Ministero, pur segnando un apprezzabile sforzo diretto ad assicurare la completezza e l'organicità del testo unico (che aspira a divenire il vero e proprio "codice" degli enti locali), non può essere condivisa, per le ragioni di seguito illustrate, come sinteticamente evidenziate in sede di analisi del Titolo IV della parte I.

I) La materia del rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici forma oggetto di una particolare disciplina, caratterizzata da principi elaborati e sviluppati in un contesto riferito al complesso delle pubbliche amministrazioni. In tale ambito, il criterio fondamentale delle recenti riforme è rappresentato dalla necessità di individuare precisi principi regolatori, di carattere omogeneo, ferma restando, all'interno di tale cornice, l'autonomia organizzativa e normativa dei singoli enti e le peculiarità di determinate categorie di amministrazioni.

II) Detti principi comuni, non derogabili dagli enti locali, risultano espressi con maggiore chiarezza all'interno di testi legislativi concernenti la materia del pubblico impiego, anche per evitare il rischio che, in futuro, il legislatore debba riferire gli eventuali interventi modificativi della disciplina ad una pluralità di fonti. (Va sottolineato, a tal riguardo, che le norme del Testo Unico possono essere modificate ed abrogate soltanto mediante disposizioni espressamente finalizzate al detto scopo).

III) La circostanza che sono in corso di svolgimento importanti iniziative volte al riordino normativo nei settori del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni (da realizzare attraverso la redazione di appositi testi unici e, per limitati aspetti, di regolamenti di delegificazione) induce a ritenere che siano quelle le sedi meglio indicate per raccogliere ed ordinare le norme generali in materia.

IV) La tendenza complessiva dell'ordinamento è quella dell'accorpamento e della riduzione delle fonti. La tecnica legislativa della "moltiplicazione" delle fonti, differenziate in funzione dei soggetti pubblici destinatari dei loro effetti, potrebbe determinare, al contrario, un ulteriore appesantimento del disegno ordinamentale complessivo, provocando anche difficili problemi di coordinamento.

V) Il riferimento testuale, contenuto nella legge di delega, alle norme fondamentali in materia di organizzazione degli uffici e del personale va correttamente interpretato nel senso che il testo unico dovrebbe riguardare tutte le disposizioni legislative specificamente applicabili agli enti locali, con esclusione di quelle norme generali, indistintamente riferite a tutte le amministrazioni pubbliche.

Pertanto, l'Adunanza Generale propone di espungere dal testo unico l'articolo 276 e di introdurre, nell'ambito della parte I, titolo IV, (concernente l' "organizzazione ed il personale", una o più disposizioni di, salvezza, di raccordo o di rinvio (preferibilmente a carattere mobile) alla disciplina contenuta in norme di portata generale e non derogate per gli enti locali.

Articolo 277

Poiché contiene una norma generale di rinvio e di raccordo con la disciplina preesistente, potrebbe essere meglio riformulato nei seguenti termini:

Salvo che sia diversamente previsto dal presente decreto e fuori dei casi di abrogazione per incompatibilità, quando leggi, regolamenti, decreti, od altre norme o provvedimenti, fanno riferimento a disposizioni espressamente abrogate dagli articoli contenuti nel presente capo, il riferimento si intende alle corrispondenti disposizioni del presente testo unico, come riportate da ciascun articolo.

P.Q.M.

Nelle suesposte considerazioni è il parere dell'Adunanza Generale

Per estratto dal verbale

Il Vice Segretario Generale

Visto

Il Presidente

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