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n. 7-1999 - © copyright.

CONSIGLIO DI STATO, ADUNANZA PLENARIA - Sentenza 22 luglio 1999 n. 12 - Pres. Laschena, Est. Allegretta - Taggiasco c. Ministero per i Beni culturali e ambientali e Comune di San Remo.

Edilizia e urbanistica - Condono edilizio - Disciplina prevista dall'art. 32 L. 47/1985 - Vincoli di inedificabilità sopravvenuti - Nulla osta dell'autorità preposta alla tutela dei vincolo - Necessità.

La disposizione di cui all'art. 32, primo comma, della legge 28 febbraio 1985 n. 47, relativa ai vincoli che appongono limiti all'edificazione, deve interpretarsi nel senso che l'obbligo di pronuncia da parte dell'autorità preposta alla tutela dei vincolo sussiste in relazione alla esistenza dei vincolo al momento in cui deve essere valutata la domanda di sanatoria, a prescindere dall'epoca d'introduzione del vincolo; tale valutazione corrisponde alla esigenza di vagliare l'attuale compatibilità, con il vincolo, dei manufatti realizzati abusivamente (1).

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(1) Cfr., nello stesso senso, Cons. Stato, Sez. V, 22 dicembre 1994 n. 1574 ; ha osservato in particolare l'Ad. Plen. che, quanto alla preoccupazione che la soluzione esegetica adottata "esporrebbe il singolo caso, in violazione dei principio di certezza del diritto e di non disparità di trattamento, alla variabile alea dei tempi di decisione sull'istanza, si osserva, per un verso, che addurre inconvenienti non è un buon argomento ermeneutico e, per altro verso, che, ad ogni modo, l'ordinamento appresta idonei strumenti di sollecitazione e, se del caso, di sostituzione dell'Amministrazione inerte".

 

 

FATTO

In data 30 settembre 1986, il ricorrente presentava al Comune di San Remo quattro istanze per la sanatoria, mediante condono ai sensi della legge 28 febbraio 1985 n. 47, di alcuni manufatti, realizzati in epoche diverse su area sottoposta con D.M. 24 aprile 1985 a vincolo di notevole interesse pubblico in applicazione della L. 29 giugno 1939 n. 1497.

Sulle istanze l'assessore delegato dal Sindaco esprimeva, in senso favorevole, il parere prescritto dall'art. 32, comma 1, L. n. 47/1985, che, tuttavia, veniva annullato con decreto 11 gennaio 1990 dal Ministro dei Beni Culturali e Ambientali, nell'esercizio dei poteri di vigilanza di cui all'art. 82, comma nono, del D.P.R. 24 luglio 1977 n. 616, come integrato dalla legge 8 agosto 1985 n. 431.

Contro il decreto l'interessato proponeva innanzi al Tribunale Amministrativo Regionale della Liguria il ricorso n. 568/90 e con successivo ricorso n. 1090/90 impugnava la nota n. 13780/3131-19, notificatagli il 15 maggio 1990, con la quale l'Assessore all'Urbanistica dei Comune di San Remo gli comunicava il parere contrario alle sanatorie richieste, espresso a seguito del provvedimento ministeriale dalla Commissione edilizia integrata nella seduta del 12 aprile 1990.

Seguiva, infine, il ricorso n. 1608/90 per l'annullamento dell'ulteriore nota assessorile 27 agosto 1990 n. 38215/9687-19, recante reiezione delle domande di condono edilizio e contestuale ingiunzione a demolire.

Con la sentenza oggetto dell'appello in esame, il Tribunale adito, previa riunione dei ricorsi, ha dichiarato improcedibile quello contrassegnato con il n. 1090/90 ed ha respinto gli altri due.

L'appello è affidato ai seguenti motivi di doglianza:

- le quattro istanze di condono non sono soggette al parere dell'autorità preposta alla tutela dei vincolo ambientale, ai sensi dell'art. 32 della L. 28 febbraio 1985 n. 47, perché tutte le opere in questione sono state realizzate prima che sulla zona fosse imposto il vincolo panoramico di cui alla legge n. 1497 del 1939; anzi, alcuni manufatti risalgono ad epoca anteriore al 1967 e ricadono in zona agricola, cosicché per essi non occorreva né licenza edilizia, né condono;

- la motivazione del decreto ministeriale impugnato è insufficiente, generica ed incongrua in relazione all'oggetto ed ai limiti dei potere di annullamento attribuito al Ministro, né, peraltro indica i criteri da seguire per un adeguato inserimento delle opere nel contesto ambientale;

- la terza domanda di sanatoria riguarda soltanto un mutamento di destinazione d'uso senza alterazione dell'aspetto esteriore e, la quarta, il medesimo ampliamento di una serra legittimamente costruita, per cui il Ministro ha fatto un'errata valutazione delle reali conseguenze degli abusi commessi sui valori ambientali protetti;

- non è condivisibile l'interpretazione secondo cui la perentorietà del termine, previsto dall'art. 82, nono comma, del D.P.R. n. 616/1977, come modificato e integrato dalla L. n. 431/1985, sia riferibile alla sola adozione del provvedimento caducatorio e non anche alla sua comunicazione legale al titolare dell'autorizzazione annullata;

- i successivi atti assunti dal Comune di San Remo, a seguito dei contestato D.M. Il gennaio 1990, sono viziati da illegittimità derivata;

- il richiamo agli artt. 38, 7 e 12 della L. n. 47/1985, contenuto nella nota dell'Assessore all'Urbanistica del 27 agosto 1990, è assolutamente illogico, incomprensibile e, comunque, generico;

- l'ingiunzione demolitoria non indica con esattezza le opere da demolire e l'area di sedime e pertinenziale, che saranno oggetto di confisca in caso di inottemperanza.

In conclusione il ricorrente chiede l'annullamento della sentenza appellata e dei provvedimenti impugnati in primo grado, vinti spese ed onorari di entrambi i gradi di giudizio.

Si è costituito in giudizio il Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, che ha controdedotto al gravame e ne ha chiesto la reiezione con ogni conseguenza di legge. Con ordinanza n. 103 in data 10 febbraio 1999 della Sezione VI dei Consiglio di Stato, il giudizio è stato rimesso a questa Adunanza plenaria, a norma dell'art. 45 del R.D. 26 giugno 1924 n. 1054, stante il rilevato contrasto giurisprudenziale circa l'obbligatorietà, in virtù dell'art. 32 della legge 28 febbraio 1985 n. 47, del parere del l'autorità preposta alla tutela dei vincoli di inedificabilità relativa, con specifico riferimento all'ipotesi di opere eseguite anteriormente all'apposizione dei vincolo.

La causa è stata trattenuta in decisione all'udienza del 7 giugno 1998, sentiti i difensori delle parti.

DIRITTO

1. Si verte, nella specie, di sanatoria mediante condono ai sensi della legge 28 febbraio 1985 n. 47 di alcuni manufatti, realizzati in epoche diverse su area successivamente sottoposta a vincolo di notevole interesse pubblico in applicazione della L. 29 giugno 1939 n. 1497.

2. Con il primo motivo d'impugnazione si sostiene che erroneamente il giudice di primo grado ha ritenuto il rilascio del condono edilizio subordinato al parere favorevole dell'autorità preposta alla tutela del vincolo, di cui all'art, 32 della legge 28 febbraio 1985 n. 47, richiedendosi detto parere, al contrario, solo per le opere ricadenti in zolla che risulti già vincolata al momento della loro esecuzione.

Nel caso in esame, si osserva, il vincolo ambientale gravante sulla zona è stato imposto in epoca successiva non solo all'esecuzione delle opere, ma anche alla stessa L. n. 47 del 1985 e, per altro, i manufatti oggetto delle prime due istanze di condono risalgono ad epoca anteriore al 1967 e ricadono in zona agricola, cosicché, al momento della loro esecuzione, non erano soggetti a licenza edilizia, né per essi avrebbe dovuto essere avanzata domanda di condono.

2.1. Sulla questione, avverte la Sezione VI nella sua ordinanza di rimessione, si sono manifestati indirizzi di segno diverso.

Un primo orientamento ritiene obbligatoria l'acquisizione del parere anche se le opere sono state realizzate in data anteriore all'apposizione del vincolo (C.S., V, 23 marzo 1991 n. 326; id., 22 dicembre 1994 n. 1574; id., 4 maggio 1995 n. 696; id., 13 febbraio 1997 n. 158; Sez. VI, 9 ottobre 1997 n. 1461).

Alla base di tale linea interpretativa vengono addotte non solo ragioni desunte dalla formulazione letterale del citato art. 32, primo comma, L. n. 47/1985, nel quale non è precisato che il vincolo imposto debba essere anteriore all'esecuzione delle opere abusive, ma anche rilievi di carattere sostanziale, quali: la funzione correttiva dell'automatismo del condono edilizio da riconoscersi al parere in questione; la presenza di interessi pubblici di valore primario (culturali, ambientali o paesaggistici e altri), che non possono essere compromessi in via definitiva; la natura oggettiva del vincolo, la gestione del quale non richiede altro che la sua esistenza.

Nel senso che, invece, il parere di cui si tratta non sia necessario ove il vincolo sia posteriore all'esecuzione dell'opera, sono le decisioni della Sesta Sezione 30 settembre 1995 n. 1030 e 5 marzo 1997 n. 356.

Questo secondo orientamento valorizza l'espressione «aree sottoposte a vincolo» di cui all'art. 32, osservando che essa si riferisce ad un fatto accaduto, vale a dire alla già avvenuta sottoposizione a vincolo, e sottolinea come il legislatore abbia inteso significare che solo a partire da questo momento la qualità dell'area espressa dal vincolo assume rilevanza ai fini della sanatoria delle opere che su di essa siano state realizzate.

Rafforzano questa conclusione ragioni di ordine sistematico desumibili sia dal quarto comma del medesimo art. 32, il quale dimostrerebbe che quando il legislatore ha inteso considerare anche il vincolo sopravvenuto al compimento dell'opera, lo ha fatto esplicitamente; sia dal primo comma del successivo art. 33 che, ammettendo per implicito la sanabilità delle opere in contrasto con vincoli di inedificabilità assoluta sopravvenuti, evidenzierebbe l'incongruità di una disciplina meno favorevole per l'ipotesi, meno grave, di opera su area successivamente colpita da vincolo che comporti soltanto un'edificabilità limitata.

Un ulteriore orientamento, espresso in sede consultiva (C.S., Sez. II, par. 20 maggio 1998 n. 403/1998), attribuisce rilevanza alla data ultima concessa dalla legge per la presentazione della domanda di sanatoria, di tal che il parere dell'Amministrazione preposta alla tutela del vincolo è obbligatorio ogni volta che questo, a prescindere dall'ultimazione dell'abuso e dall'entrata in vigore delle leggi di condono, sia stato imposto prima della indicata data.

Si riconosce alla sanatoria straordinaria di cui agli artt. 31 e seguenti della L. n. 47 del 1985 il carattere eccezionale di atto assimilabile a quelli di clemenza generale, tale da giustificare la deroga al principio tempus regit actum, secondo il quale la legittimità degli atti amministrativi si valuta con riguardo unicamente alle norme vigenti ed alla situazione esistente al momento del loro venire in essere.

Dalla considerazione di tale particolare natura dell'istituto del condono edilizio si deduce, quale criterio fondamentale, che «le valutazioni giuridiche debbono essere compiute soltanto in riferimento ai parametri presenti al tempo dell'operatività dell'atto generale di clemenza, e che noti può farsi eccezione alla misura di clemenza stessa se non a tutela di interessi pubblici reputati prioritari e superiori a quello suo stesso, ma che comunque debbono, per ragioni di intrinseca coerenza e di razionalità delle scelte, essere effettivi ed attuali».

Si individua, infine, nel termine per la presentazione della domanda, alla data di riferimento per la operatività della fattispecie di sanatoria straordinaria, che postula, con la presentazione della domanda, il concorso del privato interessato in utilizzazione del beneficio offertogli dalla legge ».

2.2. Così ricostruiti i termini cui è pervenuta la questione, ritiene l'Adunanza plenaria che, in mancanza di indicazioni univoche desumibili dal dato normativo, ad essa debba darsi soluzione alla stregua dei principi generali in materia di azione amministrativa, tenuto conto della valenza attribuita dall'ordinamento agli interessi coinvolti nell'applicazione della disposizione legislativa di cui si tratta.

Il legislatore, in realtà, è intervenuto più volte sull'art. 32 della legge 28 febbraio 1985 n. 47 (con l'art. 4 del D.L. 2 3 aprile 1985 n. 146; con l'art. 12 del D.L. 12 gennaio 1988, n. 2, peraltro, dichiarato costituzionalmente illegittimo da Corte Cost., 10 marzo 1988 n. 302; con l'art. 2, comma 43, della legge 23 dicembre 1996 n. 662), perfino con una disposizione interpretativa (art. 1 L. 27 dicembre 1997 n. 449), senza mai provvedere, tuttavia, in ordine al dubbio che qui s'intende sciogliere. il che non può essere del tutto privo di significato.

D'altra parte, non sembrano condivisibili gli argomenti addotti a sostegno delle linee interpretative sopra riferite che o negano del tutto la rilevanza del vincolo successivo o la fermano entro il termine per la presentazione della domanda di sanatoria.

Così non appare persuasivo quello tratto dalla formulazione letterale della norma.

In particolare, l'impiego dei participi passati «eseguite» e «sottoposte», nell'espressione «opere eseguite su aree sottoposte a vincolo» utilizzata dal legislatore nel primo comma dell'articolo, non rappresenta sicuro riferimento alla sola ipotesi di opera abusivamente costruita su area già gravata da vincolo nel momento della sua realizzazione. Non è infrequente, nella lingua italiana, l'uso del participio passato con funzione semplicemente aggettivante; uso che, nella specie, non necessariamente esprime l'esistenza di una relazione temporale tra le due qualità, rispettivamente, dell'opera e dell'area.

La circostanza, poi, che, quando ha inteso considerare anche il vincolo sopravvenuto al compimento dell'opera, il legislatore lo ha fatto esplicitamente, come nell'art. 32, quarto comma, non depone per una lettura in senso opposto della norma che di tale specificazione sia priva. Il silenzio mantenuto in proposito, invece, ben può essere significativo proprio dell'intento di non attribuire alcuna rilevanza al momento in cui il vincolo risulti imposto.

Neppure decisive appaiono le argomentazioni di carattere sistematico fondate sul raffronto con l'art. 33, primo comma, L. n. 47/1985, che prevede l'insanabilità degli abusi commessi in spregio di un vincolo di inedificabilità assoluta già vigente al momento dell'attività edificatoria.

La disposizione non può essere caricata di un significato che non ha: è difficile, infatti, considerare del tutto inesistente un vincolo d'inedificabilità totale per il solo fatto che sia sopravvenuto all'edificazione e ritenere, pertanto, che l'abuso commesso sia senz'altro sanabile. Un giusto raccordo tra gli articoli in esame comporta che la fattispecie, siccome non specificamente disciplinata dall'art. 33, ricada nella previsione di carattere generale contenuta nel primo comma dell'art. 32. Viene meno, quindi, l'ipotizzata incongruenza nella disciplina delle due situazioni, per altro tra loro sostanzialmente diverse, sulla quale l'argomento considerato si fonda.

Dell'orientamento più recente, espresso nel citato parere della Sezione II, richiede qualche riflessione la conclusione alla quale perviene, di individuare nel termine massimo stabilito per la presentazione della domanda di condono il limite temporale della rilevanza del vincolo e, quindi, dell'obbligatorietà del parere di cui all'art. 32, primo comma.

Tale soluzione viene giustificata assumendo quel termine come il momento di riferimento per la «operatività della fattispecie di sanatoria straordinaria», al quale «attualizzare» la salvaguardia di quei valori che la stessa scelta politica di clemenza generale ha reputati prioritari e superiori.

Di primo acchito, per altro, al concetto di «operatività», piuttosto oscuro sul piano delle categorie giuridiche, pare preferibile quello di perfezionamento della fattispecie nei suoi elementi costitutivi, oggettivi e soggettivi, uno dei quali è senza dubbio l'esistenza della volontà di avvalersi del beneficio, espressa dall'interessato con la domanda; onde sembrerebbe più corretto riferirsi alla data di questa, lasciando alla diligenza del singolo di evitare il rischio della sopravvenienza del vincolo.

Ma, ad una valutazione più attenta, è proprio riguardo alla determinazione dell'ambito in cui devono ritenersi fatti salvi taluni valori che la tesi perde pregio.

I limiti e le modalità di tale salvezza, invero, non possono avere altra fonte che la norma positiva la quale, come s'è visto sopra, almeno nella disposizione generale relativa ai vincoli, dettata con il primo comma dei ripetuto art. 32, non offre alcun elemento di definizione.

Confortano l'assunto quanto meno due considerazioni: la prima, con la quale va messa in evidenza la specialità della normativa sul condono edilizio, attesa la sua natura derogatoria ed eccezionale, che ne impone una lettura di stretta interpretazione; la seconda, che fa perno sull'esistenza, nello stesso art. 32 (si veda il comma quarto), di una più dettagliata disciplina della tutela che, a fronte della generale sanatoria, il legislatore ha inteso riservare a taluni specifici vincoli (si potrebbe dire, «minori » rispetto a quelli paesaggistico-ambientali, storico-artistici, ecc.).

2.3. Il vero è che la cura del pubblico interesse, in che si concreta la pubblica funzione, ha come sua qualità essenziale la legalità: è la legge che attribuisce la funzione e ne definisce le modalità di esercizio, anche attraverso la definizione dei limiti entro i quali possono ricevere attenzione gli altri interessi, pubblici e privati, con i quali l'esercizio della funzione interferisce. Compito, questo, per altro, che nessun'altra norma può svolgere se non quella vigente al tempo in cui la funzione si esplica (tempus regit actum).

Ne consegue che la pubblica Amministrazione, sulla quale a norma dell'art. 97 Cost. incombe più pressante obbligo di osservare la legge, deve necessariamente tener conto, nel momento in cui provvede, della norma vigente e delle qualificazioni giuridiche che essa impone.

La disposizione di portata generale di cui all'art. 32, primo comma, relativa ai vincoli che appongono limiti all'edificazione, non reca alcuna deroga a questi principi cosicché essa deve interpretarsi «nel senso che l'obbligo di pronuncia da parte dell'autorità preposta alla tutela dei vincolo sussiste in relazione alla esistenza dei vincolo al momento in cui deve essere valutata la domanda di sanatoria, a prescindere dall'epoca d'introduzione del vincolo. E appare altresì evidente che tale valutazione corrisponde alla esigenza di vagliare l'attuale compatibilità, con il vincolo, dei manufatti realizzati abusivamente (C.S., V, 22 dicembre 1994 n. 1574).

Quanto alla preoccupazione che siffatta soluzione esporrebbe il singolo caso, in violazione dei principio di certezza del diritto e di non disparità di trattamento, alla variabile alea dei tempi di decisione sull'istanza, si osserva, per un verso, che addurre inconvenienti non è un buon argomento ermeneutico e, per altro verso, che, ad ogni modo, l'ordinamento appresta idonei strumenti di sollecitazione e, se del caso, di sostituzione dell'Amministrazione inerte.

2.4. Alla stregua delle considerazioni fin qui esposte, la doglianza relativa all'irrilevanza del vincolo sopravvenuto, dedotta con il primo motivo d'appello, si rivela infondata.

Non rileva, inoltre, la circostanza che per alcuni dei manufatti in questione non fosse neppure richiesta la licenza edilizia all'epoca della loro costruzione, cosicché per essi non sussisteva l'obbligo della domanda di condono. Sta di fatto che con la presentazione dell'istanza il ricorrente ha operato una scelta all'evidente fine di acquisire il titolo domandato e, attraverso questo, il beneficio della certezza giuridica nei rapporti relativi al manufatto. L'Amministrazione non poteva provvedere in modo diverso su di una tale domanda, che, del resto, sarebbe stata ugualmente respinta anche ove si fosse ritenuta non necessaria la sanatoria invocata.

Il primo motivo d'impugnazione va, pertanto, respinto.

3. Altrettanto deve dirsi riguardo al secondo, con il quale l'interessato ripropone le censure di violazione dell'art. 7 L. 29 giugno 1939 n, 1497, come modificato dalla L. 8 agosto 1985 n. 431, e di insufficienza ed erroneità della motivazione del provvedimento negativo del nulla osta ambientale.

Con il decreto ministeriale impugnato, invero, si è constatato che l'autorità comunale non ha «valutato la grave turbativa causata sul conteso ambientale - tutelato per i caratteri paesaggistici, per le sue valenze paesistiche e per i caratteri panoramici giusto D.M. 24/4/1985 - dalle dimensioni ingombranti e vistose e dalle caratteristiche tipologiche anomale delle opere», né ha fornito una motivazione congrua ed idonea a giustificare il rilascio del parere di compatibilità delle opere con i tratti paesaggistici della località protetta.

Si tratta di rilievi che, non solo costituiscono motivazione sufficiente e puntuale dei provvedimento, in quanto danno adeguata contezza dei vizi accertati; ma sono espressione certamente non di una valutazione del merito della determinazione comunale, come sostiene l'appellante, sibbene di un controllo di mera legittimità, in quanto relativi a forme tipiche di eccesso di potere quali il difetto di presupposto e la carenza di motivazione.

Che l'Amministrazione, poi, si sia astenuta dall'indicare le modifiche atte a rendere i manufatti compatibili con il vincolo gravante sull'area, non integra alcun vizio dell'atto, dato che nessun obbligo di collaborazione in tal senso impone la legge.

infine, una volta accertato che il nulla osta comunale è inficiato dai vizi di legittimità sopra evidenziati, appare inammissibile la doglianza con la quale il ricorrente lamenta l'errata valutazione dell'incidenza delle modifiche apportate al manufatto di maggiori dimensioni (la serra, trasformata in laboratorio e deposito). Nessun vantaggio, infatti, gli deriverebbe dal suo accoglimento.

4. Infondato è, altresì, il terzo mezzo di gravame, che deduce la tardività dell'annullamento ministeriale.

Costituisce orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, infatti, che il termine di sessanta giorni di cui all'art. 82 comma 9 del DPR 24 luglio 1977 n. 616, nel testo modificato dalla L. 8 agosto 1985 n. 431, assegnato al Ministro per i beni culturali ed ambientali per l'annullamento dell'autorizzazione regionale (o delle autorità delegate o subdelegate) prevista dall'art. 7 della L. 29 giugno 1939 n. 1497 in materia di costruzioni nelle zone soggette a vincolo paesaggistico, ancorché perentorio, attiene al solo esercizio del potere di annullamento, restando estranea alla previsione normativa l'ulteriore fase della comunicazione o notificazione.

Nella specie, come si legge nel decreto impugnato, la

Sovrintendenza competente ha ricevuto la documentazione in data 16 novembre 1989, mentre l'annullamento porta la data 11 gennaio 1990; il termine prescritto risulta dunque rispettato.

5. La reiezione delle censure fin qui esaminate, concernenti il decreto ministeriale più volte menzionato, con la conseguente sua conferma, non consente di riconoscere alcun interesse alla decisione del quarto mezzo d'impugnazione inteso ad ottenere un nuovo esame in questa sede dei ricorsi proposti contro gli atti meramente conseguenziali adottati dal Comune sulle domande di condono.

Quand'anche si accertasse la sussistenza di vizi propri di tali atti, nessun vantaggio ne deriverebbe al ricorrente, costituendo il parere favorevole dell'autorità preposta alla tutela del vincolo presupposto necessario all'accoglimento di quelle istanze.

Va, pertanto, dichiarata l'inammissibilità dell'ultimo motivo d'appello.

6. Per le considerazioni tutte che precedono l'appello in epigrafe dev'essere respinto.

Sussistono giusti motivi per compensare spese e competenze di giudizio tra le parti in causa.

P.Q.M.

Il Consiglio diStato in sede giurisdizionale - Adunanza plenaria - respinge l'appello in epigrafe.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

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