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n. 7-1999 - © copyright.

CONSIGLIO DI STATO, ADUNANZA PLENARIA - Sentenza 5 luglio 1999 n. 18 - Pres. Laschena, Est. Borioni - Ministero di grazia e giustizia (Avv. Stato Aiello) c. Cezza (Avv. Bernardi) - (conferma T.A.R. Lazio, Sez. I, 2 dicembre 1995 n. 1874).

Giurisdizione e competenza - Professioni - Abilitazione all'esercizio della professione di psicologo - Ammissione alla sessione speciale di esame di Stato - Controversie - Giurisdizione amministrativa - Sussiste - Orientamento diverso delle Sezioni Unite - Non può essere condiviso.

Giurisdizione e competenza - Generalità - Distinzione tra diritti soggettivi ed interessi legittimi - Criteri - Riferimento alla finalità perseguita dalla norma alla quale l'atto di collega - Necessità - Criterio della natura dell'atto (discrezionale o vincolato) - Erroneità.

Professioni - Psicologi - Abilitazione all'esercizio della professione - Ammissione alla sessione speciale di esame di Stato - Possesso della laurea in psicologia da almeno due anni - Sufficienza - Svolgimento per almeno due anni di attività inerente alla professione di psicologo - Non occorre a coloro che sono in possesso della laurea in psicologia.

Così come in precedenza affermato dalla Sez. IV del Consiglio di Stato (1) e diversamente da quanto invece statuito dalle Sezioni Unite della Cassazione (2), deve ritenersi che rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo e non in quella del giudice ordinario una controversia concernente l'ammissione alla sessione speciale di esame di Stato per l'abilitazione all'esercizio della professione di psicologo, ai sensi dell'art. 33, lett. b, della legge 18 febbraio 1989 n. 56.

Invero, la posizione di interesse legittimo si collega all'esercizio di una potestà amministrativa rivolta, secondo il suo modello legale, alla cura diretta ed immediata di un interesse della collettività; il diritto soggettivo nei confronti della pubblica amministrazione trova, invece, fondamento in norme che, nella prospettiva della regolazione di interessi sostanziali contrapposti, aventi di regola natura patrimoniale, pongono a carico dell'amministrazione obblighi a garanzia diretta ed immediata di un interesse individuale.

Donde il principio che, la distinzione fra interessi legittimi e diritti soggettivi va fatta con riferimento alla finalità perseguita dalla norma alla quale l'atto di collega (3), giacchè quando risulti, attraverso i consueti processi interpretativi, che l'ordinamento abbia inteso tutelare l'interesse pubblico, alle contrapposte posizioni sostanziali dei privati non può che essere riconosciuta una protezione indiretta, che, da un lato, passa necessariamente attraverso la potestà provvedimentale dell'amministrazione e, dall'altro, di traduce nella possibilità di promuovere, davanti al giudice amministrativo, il controllo sulla legittimità dell'atto.

Sicché, in definitiva, così come affermato dalla Corte Costituzionale (4), costituisce "un postulato privo di qualsiasi fondamento… che, di regola, al carattere vincolato del provvedimento corrispondono situazioni giuridiche qualificabili quali diritti soggettivi e, per converso, all'area della discrezionalità amministrativa quelle definibili come interessi legittimi".

L'art. 33, comma 1, della legge n. 56/1989 (secondo cui all'esame speciale di esame di Stato per titolo sono ammessi: "… b) coloro i quali siano laureati in psicologia da almeno due anni, ovvero laureati in possesso del diploma universitario in psicologia o in uno dei suoi rami…o quanti posseggano da almeno due anni titoli accademici in psicologia…, e che documentino altresì di aver svolto per almeno due anni attività che forma oggetto della professione di psicologo") va interpretata nel senso che il possesso della laurea in psicologia da almeno due anni dà titolo di per sé all'ammissione alla sessione speciale, dovendosi intendere che l'ulteriore requisito dello svolgimento per almeno due anni di attività inerente alla professione di psicologo sia riferito a coloro che sono in possesso degli altri titoli di studio indicati dalla stessa norma (5).

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(1) Cons. Stato, Sez. IV, 20 ottobre 1997 n. 1299; 12 dicembre 1996 n. 1299.

(2) Cass. SS.U.., 1 luglio 1997 n. 5890.

(3) Cons. Stato, Ad. Plen., 26 ottobre 1979 n. 25; e di recente, Cons. Stato, Sez. V, 20 marzo 1999 n. 284; Cons. giust. reg. sic., 18 novembre 1998 n. 670; Cons. Stato, Sez. VI, 18 marzo 1998 n. 312; Sez. IV, 10 marzo 1998 n. 394.

(4) Corte Costituzionale, sent. 16 aprile 1998 n. 127.

(5) Cfr. da ultimo, Cons. Stato, Sez. IV, 26 giugno 1998 n. 989; 6 marzo 1998 n. 341.

 

 

per la riforma

della sentenza del T.A.R. Lazio, Sez. I, 2 dicembre 1995 n. 1874.

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della sig.ra Rita Cezza;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Vista l'ordinanza della IV Sezione di questo Consiglio 10 novembre 1998 n. 1469;

Visti gli atti tutti della causa;

Alla pubblica udienza del 26 aprile 1999, relatore il consigliere Marcello Borioni, uditi l'avv. dello Stato Giacomo Aiello per l'appellante Ministero e l'avv. Bernardi per la Sig.ra Cezza.

Rutenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

FATTO

La sig.ra Rita Cezza impugnava davanti al T.A.R. del Lazio il provvedimento 109 novembre 1991 n. 57, con il quale l'apposita commissione aveva respinto la sua domanda di ammissione alla sessione speciale dell'esame di Stato per titoli per il conseguimento dell'abilitazione all'esercizio della professione di psicologo. Il diniego era motivato dalla mancanza del requisito del biennio di attività professionale, di cui all'art. 33, comma 1, lett. b, della legge 18 febbraio 1989 n. 56.

A sostegno del ricorso la sig.ra Cezza deduceva la violazione del citato art. 33, comma 1, lett. b, della legge n. 56/1989 n. 56, assumendo che per l'ammissione alla sessione speciale era sufficiente il diploma di laurea in psicologia, indipendentemente dal biennio di attività professionale e che, comunque, aveva titolo ad essere ammessa in virtù dell'incarico svolto presso la U.S.L. Le/10.

Si costituiva il Ministero di grazia e giustizia, che chiedeva il rigetto del ricorso, perché infondato.

Il T.A.R. del Lazio, Sez. I, con sentenza 2 dicembre 1995 n. 1874, accoglieva il ricorso, condividendo la tesi sostenuta in via principale dalla ricorrente.

Il Ministero di grazia e giustizia ha proposto appello, contestando le argomentazioni e la conclusione cui è pervenuto il T.A.R.

La sig.ra Cezza si è costituita resistente all'appello.

Con ordinanza 14 novembre 1998 n. 1469, la IV Sezione di questo Consiglio ha deferito l'esame dell'appello all'Adunanza plenaria. Secondo la Sezione è dubbio se la controversia rientri nella giurisdizione del giudice amministrativo, come ha ritenuto la stessa Sezione in due non lontani precedenti (12 novembre 1996 n. 1215; 19 marzo 1996 n. 342), ovvero nella giurisdizione del giudice ordinario, come ha affermato la Corte di cassazione (Cass. SS.UU., 1 luglio 1997 n. 5890).

Ad avviso della Corte regolatrice l'ammissione alla sessione speciale di cui all'art. 33, comma 1, lett. b, della legge 18 febbraio 1989 n. 56, attiene a posizioni di diritto soggettivo, non essendo configurabile alcuna discrezionalità amministrativa per l'accertamento dei requisiti e delle condizioni di partecipazione all'esame.

L'appellata ha contestato tale tesi, insistendo per la conferma della sentenza di primo grado.

Alla pubblica udienza del 26 aprile 1999, il ricorso in appello veniva trattenuto per la decisione.

DIRITTO

La controversia concerne l'ammissione alla sessione speciale di esame di Stato per l'abilitazione all'esercizio della professione di psicologo, ai sensi dell'art. 33, lett. b, della legge 18 febbraio 1989 n. 56.

E' pregiudiziale la questione, che ha determinato la rimessione dell'appello a questa Adunanza plenaria, se la giurisdizione appartenga al giudice amministrativo, come ha ritenuto la stessa Sezione in due non lontani precedenti (Cons. Stato, Sez. IV, 20 ottobre 1997 n. 1299; 12 dicembre 1996 n. 1299) ovvero al giudice ordinario, come ha affermato la Corte di Cassazione (Cass. SS.U.., 1 luglio 1997 n. 5890).

Pur nella consapevolezza dell'autorevolezza delle pronunzie della Corte regolatrice, il Collegio condivide il primo indirizzo.

Giova rammentare che, in termini generali, la posizione di interesse legittimo si collega all'esercizio di una potestà amministrativa rivolta, secondo il suo modello legale, alla cura diretta ed immediata di un interesse della collettività; il diritto soggettivo nei confronti della pubblica amministrazione trova, invece, fondamento in norme che, nella prospettiva della regolazione di interessi sostanziali contrapposti, aventi di regola natura patrimoniale, pongono a carico dell'amministrazione obblighi a garanzia diretta ed immediata di un interesse individuale. Donde il principio che, la distinzione fra interessi legittimi e diritti soggettivi va fatta con riferimento alla finalità perseguita dalla norma alla quale l'atto di collega (Cons. Stato, Ad. Plen., 26 ottobre 1979 n. 25; e di recente, Cons. Stato, Sez. V, 20 marzo 1999 n. 284; Cons. giust. reg. sic., 18 novembre 1998 n. 670; Cons. Stato, Sez. VI, 18 marzo 1998 n. 312; Sez. IV, 10 marzo 1998 n. 394), giacchè quando risulti, attraverso i consueti processi interpretativi, che l'ordinamento abbia inteso tutelare l'interesse pubblico, alle contrapposte posizioni sostanziali dei privati non può che essere riconosciuta una protezione indiretta, che, da un lato, passa necessariamente attraverso la potestà provvedimentale dell'amministrazione e, dall'altro, di traduce nella possibilità di promuovere, davanti al giudice amministrativo, il controllo sulla legittimità dell'atto.

Non sono infrequenti situazioni in cui la norma, pur avendo di mira, in via diretta ed immediata, finalità di interesse pubblico, definisce in modo puntuale i presupposti e il contenuto dell'azione amministrativa. Tuttavia, anche in tal caso l'attività con la quale l'organo competente effettua, in modo unilaterale, il raffronto fra la fattispecie concreta e il suo modello legale è espressione, in quanto funzionale alla cura di un interesse della collettività, di un potere autoritativo ed esclusivo dell'amministrazione, con la conseguenza che l'atto soggiace al regime proprio del provvedimento amministrativo (presunzione di legittimità, inoppugnabilità dopo il decorso del termine di decadenza, soggezione alla potestà di autotutela) e la posizione di chi aspira a ricevere un'utilità sostanziale del corretto esercizio del potere assume la configurazione dell'interesse legittimo.

Del resto, restando nell'ambito dei provvedimenti di ammissione, non è mai stato posto in dubbio che rientrino nella giurisdizione del giudice amministrativo le controversie in tema di iscrizione ad istituto scolastici pubblici e di partecipazione a procedure concorsuali ad evidenza pubblica, pur quando l'accertamento dei requisiti richieda l'interpretazione di norme integralmente vincolanti.

In tal caso, i provvedimenti adottati sono suscettibili di censura soltanto per incompetenza e violazione di legge, e non anche per eccesso di potere, ma la differenza, che attiene alla diversa articolazione precettiva dei parametri normativi, non incide sul valore formale dell'atto e sulle conseguenti sue connotazioni.

Sicchè, in definitiva, costituisce "un postulato privo di qualsiasi fondamento… che, di regola, al carattere vincolato del provvedimento corrispondono situazioni giuridiche qualificabili quali diritti soggettivi e, per converso, all'area della discrezionalità amministrativa quelle definibili come interessi legittimi" (Corte Costituzionale, 16 aprile 1998 n. 127).

Alla luce dei principi esposti, la questione in esame trova soluzione nel senso del riconoscimento della giurisdizione del giudice amministrativo.

E' stato più volte osservato che l'art. 33, comma V, della Costituzione, prescrive l'esame di Stato, mediante il quale viene accertata l'idoneità ad esercitare determinate professioni, in funzione della tutela della collettività e dei destinatari delle prestazioni (fra le altre, Corte Costituzionale 21 gennaio 1999 n. 5; 23 dicembre 1993 n. 456; 23 gennaio 1990 n. 29; 22 dicembre 1980 n. 174; 7 luglio 1964 n. 77). La determinazione dei requisiti di ammissione e del contenuto dell'esame è demandata al legislatore ordinario, ma, essendo il procedimento indirizzato a soddisfare finalità di pubblico interesse, gli atti che definiscono l'istanza di ammissione costituiscono, come esposto in precedenza, esercizio di un potere d'imperio, e ciò sia che implichino, come nella specie, una semplice attività ricognitiva di requisiti predeterminati dalla fonte primaria, sia che richiedano, come accade in altre ipotesi previste dallo stesso art. 33 della legge n. 56/1989, apprezzamenti più elaborati demandanti dall'ordinamento ad organi dell'amministrazione (Cons. Stato, Sez. IV, 12 dicembre 1996 n. 1299).

A sostegno della diversa conclusione le sentenza della Corte di Cassazione dinanzi citate riproducono nella motivazione le considerazioni che hanno indotto la stessa Corte a ritenere appartenenti alla giurisdizione del giudice ordinario (SS.UU., 1 luglio 1997 n. 5890; 21 febbraio 1997 n. 1620) le controversie concernenti l'iscrizione all'albo professionale degli psicologi ai sensi dell'art. 32 della legge n. 56/1989 (nello stesso senso, Cons. Stato, Sez. IV, 16 marzo 1999 n. 278; 1 febbraio 1995 n. 59).

Tuttavia, il parallelo fra le due situazioni poste a raffronto non convince, perché se pure può ritenersi che le controversie in tema di iscrizione all'albo investano "la libertà assicurata dall'ordinamento italiano ad ogni cittadino in ordine alla scelta del lavoro" ed attengano, per questa ragione, a un diritto che trova nell'art. 4 della Costituzione una protezione privilegiata (da ultimo, Cass. SS.UU., 21 novembre 1997 n. 11622), tuttavia resta il fatto, già posto in evidenza che la libertà di scelta è subordinata, da una norma anch'essa di livello costituzionale (artt. 33, comma V, della Costituzione), al conseguimento dell'abilitazione, e cioè ad una condizione posta a tutela di interessi della collettività, onde, in tale fase, la tutela offerta dall'ordinamento alla pretesa del privato ad esercitare la professione risulta mediata e riflessa.

Accertato che la controversia ricade nella giurisdizione del giudice amministrativo, anche se l'ammissione è subordinata a requisiti sottratti a giudizi discrezionali, il Collegio ritiene che l'appello sia infondato.

Il citato art. 33, comma 1, della legge n. 56/1989 dispone che all'esame speciale di esame di Stato per titolo sono ammessi: "… b) coloro i quali siano laureati in psicologia da almeno due anni, ovvero laureati in possesso del diploma universitario in psicologia o in uno dei suoi rami…o quanti posseggano da almeno due anni titoli accademici in psicologia…, e che documentino altresì di aver svolto per almeno due anni attività che forma oggetto della professione di psicologo".

La norma è stata ripetutamente interpretata (da ultimo, Cons. Stato, Sez. IV, 26 giugno 1998 n. 989; 6 marzo 1998 n. 341), nel senso che il possesso della laurea in psicologia da almeno due anni dà titolo di per sé all'ammissione alla sessione speciale, dovendosi intendere che l'ulteriore requisito dello svolgimento per almeno due anni di attività inerente alla professione di psicologo sia riferito a coloro che sono in possesso degli altri titoli di studio indicati dalla stessa norma.

Il Collegio non ravvisa ragioni per discostarsi da tale indirizzo.

Può convenirsi che la formulazione letterale della disciplina giustifichi qualche perplessità, poiché non è del tutto chiaro se la parte finale della disposizione, concernente il requisito della pratica, si estenda anche ai laureati in psicologia da almeno due anni.

Convincono, tuttavia del contrario, sul piano letterale, l'osservazione che, nel testo della norma, tale categoria è separata dalle altre dalla congiunzione "ovvero', che ha valore disgiuntivo, e, sul piano logico, la considerazione che la previsione del requisito di due anni di anzianità di laurea sarebbe superflua e priva di qualsiasi portata precettiva se fosse integrata dall'ulteriore requisito di due anni di attività professionale, che, non potrebbe essere stata prestata se non dopo il conseguimento della laurea.

D'altra parte, la più favorevole disciplina per i laureati in psicologia trova ragionevole giustificazione nella maggiore preparazione specifica garantita dalla durata e dalle materie di insegnamento del relativo corso di laurea rispetto a quella che, restando nell'ambito di previsione dello stesso art. 33, può essere assicurata ai laureati in qualsiasi altra disciplina dal superamento di corsi di specializzazione, di perfezionamento o di qualificazione, o che può essere attestata dal possesso di titoli accademici dei quali non sia stata riconosciuta l'equipollenza con la laurea in psicologia.

All'obiezione sollevata dall'amministrazione appellante, secondo cui nella altre professioni l'accesso all'esame di abilitazione è subordinato, in via generale (legge 8 dicembre 1956 n. 1378), alla dimostrazione dello svolgimento di un tirocinio pratico dopo la laurea, va replicato che non si tratta di condizione necessaria, in quanto nulla impedisce che il legislatore, avvalendosi dell'ampia discrezionalità di cui fruisce nella materia, ritenga sufficiente il possesso del titolo conclusivo del corso di studi (Corte Costituzionale, 23 gennaio 1990 n. 26; 6 luglio 1983 n. 207; 15 dicembre 1980 n. 174 e n. 175). Beninteso, a scanso di riflessi sul piano della legittimità costituzionale, la scelta deve risultare ragionevole. Ma sotto questo profilo non emergono dubbi, in considerazione del carattere transitorio ella disciplina, che, nel momento in cui il legislatore riconosce l'esigenza, di dare un assetto formale alla professione di psicologo; mediante la previsione dell'esame di Stato e l'istituzione dell'albo professionale, si propone l'obiettivo, immediato e urgente, di escludere dall'area professionale coloro che, in precedenza, rendevano prestazioni senza il possesso delle conoscenze tecniche necessarie e di assicurare, al tempo stesso, ai bisognevoli di assistenza psicologica una adeguata offerta di prestazioni nel periodo, non breve, occorrente per l'iscrizione all'albo dei nuovi professionisti secondo le norme a regime.

L'appello va, dunque rigettato.

Sussistono, tuttavia, ragioni per compensare fra le parti spese e onorari del grado del giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Adunanza plenaria) rigetta l'appello del Ministero di grazia e giustizia.

Spese del grado di giudizio compensate.

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