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n. 12-1999 - © copyright.

CONSIGLIO DI STATO, ADUNANZA PLENARIA - Sentenza 22 dicembre 1999 n. 24 - Pres. Laschena, Est. Baccarini - Comune di Roma (Avv. Martis) c. Cestelli ed altri (avv. Giuseppe Lavitola) e Censi ed altri (n.c.) - (annulla in parte TAR Lazio, sezione I, sentenza n. 600 del 14 aprile 1993).

A seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 179 del 1999 - che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 7, numeri 2, 3 e 4, e 40 della legge 17 agosto 1942, n. 1150 e 2, primo comma, della legge 19 novembre 1968, n. 1187, nella parte in cui consente all'Amministrazione di reiterare i vincoli urbanistici scaduti, preordinati all'espropriazione o che comportino l'inedificabilità, senza la previsione di indennizzo - deve ritenersi che l'Amministrazione, nel reiterare vincoli urbanistici preordinati all'espropriazione, debba prevedere il relativo indennizzo. E', pertanto, illegittimo un provvedimento con il quale si reiterano i vincoli a contenuto espropriativo nella parte in cui si omette la previsione dell'indennizzo.

Secondo la richiamata sentenza della Corte costituzionale n. 179 del 1999, la determinazione, conseguente alla sentenza medesima, dei criteri di liquidazione dell'indennizzo è rimessa all'intervento legislativo, che può esercitare scelte tra misure risarcitorie, indennitarie e alternative riparatorie anche in forma specifica e, in difetto all'intervento del giudice competente sulla richiesta di indennizzo, sub specie di liquidazione di obbligazioni di ristoro del pregiudizio subito dalla rinnovazione o dal protrarsi del vincolo. Non può, pertanto, ritenersi illegittima una delibera con la quale si reiterano i vincoli per omessa previsione delle spese occorrenti per l'espropriazione e dei possibili mezzi di copertura, dato che - in difetto dell'intervento legislativo richiesto dalla Corte - manca allo stato, con la liquidità dell'indennizzo, la possibilità di una specifica quantificazione degli oneri conseguenti all'imposizione dei vincoli, restando necessaria soltanto una previsione generica di indennizzo.

L'obbligo della motivazione specifica degli strumenti urbanistici generali è rinvenibile: a) nel caso di superamento degli standards minimi di cui al d.m. 2 aprile 1968: qui però la motivazione specifica va riferita alle previsioni urbanistiche complessive di "sovradimensionamento", indipendentemente dal riferimento alla destinazione di zona di determinate aree; b) nell' ipotesi nelle quali vi sia un affidamento qualificato del privato (come nel caso di precedente convenzione di lottizzazione o di accordi di diritto privato intercorsi tra il comune e i proprietari delle aree, ovvero nel caso di giudicato di annullamento di un diniego di concessione edilizia o di un silenzio-rifiuto su una domanda edilizia in ordine alla pretesa di variante di nuove previsioni urbanistiche rilevanti in quanto sopravvenute nel corso del giudizio)

Un particolare affidamento del privato, viceversa, non ricorre nel caso dell'interesse correlato ad una precedente previsione urbanistica che consenta un utilizzo dell'area in modo più proficuo (sez. IV, 25 febbraio 1988, n. 99), per il quale vale il principio generale della non necessità di motivazione ulteriore rispetto a quelle che si possono evincere dai criteri di ordine tecnico-urbanistico, seguiti per la redazione del progetto di strumento. In questo caso, infatti viene in considerazione una aspettativa generica del privato alla non reformatio in peius delle destinazioni di zona edificabili - cedevole dinanzi alla discrezionalità del potere pubblico di pianificazione urbanistica, per ragioni analoghe a quelle per cui il divieto della reformatio in peius è un criterio "del tutto inidoneo, atteso il difetto di qualsivoglia copertura costituzionale, a vincolare il legislatore" (Corte cost., sent. n. 219 del 1998, nonché sent. n. 153 del 1985).

Nel caso dei proprietario inciso dalla variante di reiterazione dei vincoli urbanistici a contenuto espropriativo, quindi, non è ravvisabile alcun affidamento: l'area, infatti, era già soggetta a vincolo o, se questo era divenuto inefficace, al regime provvisorio degli standards generali di cui all'art. 4, ultimo comma, l. 28 gennaio 1977, n. 10 (Ad. plen., 2 aprile 1984, n. 7; 30 aprile 1984, n. 10; 12 giugno 1984, n. 12), fermo restando, in quest'ultimo caso, l'interesse generico all'adozione di una nuova disciplina urbanistica dell'area. Non è comunque configurabile un'aspettativa qualificata ad una destinazione edificatoria in relazione, ad una precedente determinazione dell'amministrazione, ma soltanto un'aspettativa generica ad una reformatio in melius, analoga a quella di ogni altro proprietario di aree che aspira ad una utilizzazione più proficua dell'immobile.

Una volta chiarito dalla sentenza n. 179 del 1999 della Corte costituzionale che, dopo il periodo di franchigia, la reiterazione dei vincoli implica la previsione di un indennizzo, viene meno il fondamento del costrutto della motivazione "polverizzata". A seguito di tale sentenza deve pertanto ritenersi che la reiterazione dei vincoli urbanistici preordinati all'espropriazione o che comportino l'inedificabilità non richiede una motivazione specifica circa la destinazione di zona delle singole aree, ma soltanto una motivazione circa le esigenze urbanistiche che sono a fondamento della variante medesima (1).

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(1) La questione era stata rimessa con ordinanza della IV Sez. 5 giugno 1995, n. 411. V. sul punto, oltre a già richiamata sentenza della Corte Costituzionale 20 maggio 1999 n. 179, anche da ult. S. PELILLO, Reiterazione di vincoli urbanistici preordinati ad espropriazione per pubblica utilità  e tutela giurisdizionale. Notazioni a margine della sentenza della Corte Costituzionale 20 maggio 1999 n. 179, in www.giustamm.it 1999.

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Adunanza plenaria) ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello sub n. 5/95 proposto dal COMUNE DI ROMA in persona del sindaco pro-tempore, rappresentato e difeso dall'avv.to Mauro Martis e presso lo stesso elett.te dom.ta in Roma, Via del Tempio di Giove 21;

contro

CESTELLI GUIDI Riccardo, PANZIRONI Aristide, GAROFALO Teresa e GAROFALO Ugo, rappresentati e difesi dall'avv. Giuseppe Lavitola presso cui sono elett.te dom.ti in Roma, Via Costabella 23;

CENSI Adele, CENSI Petronilla, PALOMIBI Emidio, PALOMBI Giorgio, GAROFALO Rosa, GAROFALO, Luigi, GAROFALO Raffaele, GAROFALO Antonio, GAROFALO Teresita, non costituiti in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio - sez. I, 14 aprile 1993 n. 600;

Visti gli atti e i documenti depositati con l'appello;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Cestelli Guidi e litisconsorti;

Vista, l'ordinanza della IV sezione 5 giugno 1995, n.. 411 che ha rimesso il ricorso all'Adunanza plenaria;

Udito il relatore Consigliere Stefano Baccarini, e uditi altresì l'avv. Martis per il Comune di Roma e l'avv. Lavitola per gli appellati costituiti;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:;

FATTO

Con ricorso al Tar del Lazio notificato l'11 gennaio 1991 Censi Adele ed i litisconsorti indicati in epigrafe, qualificandosi proprietari di un'area sita in Roma, località Torricella e Serpentara, di superficie pari a circa 160.000 mq., destinata parte a zona N (verde pubblico), parte a zona M/l (servizi pubblici generali) e parte a zona M/3 (servizi pubblici locali), impugnavano la deliberazione della G.M. di Roma 4.6.1990, n. 3622, con cui erano stati reiterati i vincoli urbanistici divenuti inefficaci per scadenza del quinquennio di legge.

Premesso che l'atto impugnato, adottato in via d'urgenza, avrebbe perso efficacia in seguito all'abrogazione dell'art. 140 del t.u. n. 148/1915, deducevano comunque che il provvedimento impugnato:

1) in quanto reiterazione in blocco dei precedenti vincoli urbanistici scaduti, costituiva elusione delle norme sulla temporaneità dei vincoli e sull'obbligo di rivalutare la situazione urbanistica in termini di fabbisogni attuali di aree a destinazione pubblica e di fornire adeguata motivazione;

2) ometteva di compiere una adeguata ponderazione comparativa tra interesse pubblico ed interesse privato sacrificato dalla variante, in relazione alla esistenza di possibili alternative ed alla necessità assoluta di utilizzazione dell'area per il perseguimento di finalità pubblicistiche, nonché alle prescrizioni regionali di procedere per zone omogenee, di specificare le funzioni e di operare una più funzionale localizzazione del verde;

3) ometteva di operare compensazioni tra edifici in esubero e superfici in deficit e di computare negli standards alcuni comprensori vincolati:

4) era affetta da sviamento di potere, essendo finalizzata ad impedire l'applicazione del regime di standards di cui all'art. 4 ultimo comma lett. c) della legge 28 gennaio 1977 n. 10;

5) in quanto reiterazione del vincolo, ometteva di provvedere alla corresponsione dell'indennizzo e di prevedere, in apposita relazione finanziaria, i mezzi occorrenti all'attuazione del provvedimento;

6) era stato adottato dalla Giunta municipale senza che sussistesse una situazione di necessità ed urgenza;

7) ometteva di considerare che l'area dei ricorrenti era ricchissima di spazi destinati a zona N (verde pubblico) e che interventi relativi alla destinazione a zona M/3 erano stati sufficientemente realizzati su aree di terzi;

8) era affetto da disparità di trattamento ed ingiustizia manifesta in quanto i ricorrenti avevano già subito un esproprio di 280.000 mq.

Resisteva al ricorso il Comune di Roma.

Il Tar adito - sez. I definiva il giudizio con sentenza 14 aprile 1993, n. 600, dichiarando il ricorso inammissibile nei confronti di sei dei ricorrenti ed accogliendolo nei confronti degli altri limitatamente ai motivi primo, secondo, quinto e settimo.

In particolare, la sentenza affermava la necessità di una motivazione specifica, anche in riferimento alle singole aree, relativa: 1) all'attualità delle ragioni giustificative del vincolo; 2) alla mancanza di soluzioni alternative; 3) alla previsione delle spese occorrenti e dei possibili mezzi di copertura; censurava altresì il provvedimento impugnato per difetto di istruttoria e omessa specificazione delle destinazioni a servizi.

Avverso tale sentenza il Comune di Roma ha proposto appello a questo Consiglio di Stato.

Gli appellati resistono, proponendo altresì motivi aggiunti in esito alla deliberazione consiliare n. 203/95 di controdeduzioni sulle osservazioni alla variante.

La IV Sezione di questo Consiglio di Stato, con ordinanza 5 giugno 1995, n. 411, propendendo per l'affermazione, nei casi di reiterazione di vincoli urbanistici, di un onere di motivazione specifica, riferita alle singole aree, ma ritenendo la stessa fonte di possibili contrasti giurisprudenziali ha rimesso il ricorso a questa Adunanza plenaria.

Con ordinanza 25 settembre 1996, n. 20 è stata sollevata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 7, nn. 2, 3 e 4 e 40 della l. 17 agosto 1942, n. 1150 e 2 comma primo della l. 19 novembre 1968, n. 1187 in riferimento agli artt. 42, comma 3, 97, 9 comma 2 e 32 comma 1 Cost., sul rilievo della mancata previsione di indennizzo per la reiterazione dei vincoli urbanistici.

Decisa la predetta questione da parte della Corte costituzionale con sentenza n. 179 del 1999 e riassunta la causa da parte degli appellati, all'odierna udienza, uditi i difensori delle parti, il ricorso è nuovamente passato in decisione.

DIRITTO

1. Va preliminarmente osservato che il capo della sentenza impugnata concernente la pronuncia di inammissibilità del ricorso di primo grado nei confronti di Censi Adele, Censi Petronilla, Garofalo Rosa, Garofalo Luigi, Garofalo Teresa e Palombi Giorgio non è stato impugnato dagli interessati: su di esso, pertanto, si è formato il giudicato.

2. Anche la questione della procedibilità del ricorso di primo grado in relazione all'interesse dei ricorrenti alla decisione è coperta dal giudicato.

La sentenza di primo grado, sul punto non impugnata, ha disatteso - su conforme prospettazione, del resto, degli stessi ricorrenti (v. pag. 15 del ricorso di primo grado) l'eccezione di inammissibilità per carenza di interesse, formulata dal Comune di Roma, sul rilievo che dopo l'eventuale annullamento il regime applicabile alle aree in questione sarebbe stato quello di cui all'art. 4, ultimo comma, della, legge 28 gennaio 1977, n. 10, salvo l'obbligo dell'autorità amministrativa di provvedere ad una nuova disciplina urbanistica delle aree medesime.

3.0. Nel merito, va anzitutto esaminato il motivo con cui il Comune appellante lamenta che la sentenza di primo grado abbia censurato il provvedimento impugnato sotto il profilo della mancata previsione delle spese occorrenti per l'espropriazione e dei possibili mezzi di copertura, in parziale accoglimento del quinto motivo di primo grado, che gli appellati hanno peraltro riproposto nella sua interezza, anche con riferimento alla mancata previsione dell'indennizzo per l'espropriazione di valore.

3.l. Va premesso che la censura di primo grado non consisteva nella richiesta di condanna del Comune di Roma al risarcimento del danno o al pagamento di un indennizzo, ma soltanto nella prospettazione di un cattivo uso del potere, in quanto non erano state previste la liquidazione di un indennizzo e la correlativa provvista finanziaria.

La giurisdizione spetta dunque al giudice amministrativo, - come segnalato da Cass., sez. un., 28 ottobre 1995, n. 11308; 15 ottobre 1992, n. 11257; 10 giugno 1983, n. 3987, già richiamate nell'ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale, anche dopo la sentenza costituzionale di accoglimento.

3.2. Ciò premesso il motivo d'appello del Comune in ordine alla questione della provvista dei mezzi finanziari è fondato, ma è altresì fondato il motivo di primo grado nella parte relativa alla questione della mancata previsione dell'indennizzo: ciò comporta l'annullamento in parte qua del provvedimento impugnato in primo grado per un motivo diverso da quello accolto dalla sentenza del Tar.

La sentenza della Corte costituzionale n. 179 del 1999, infatti, ha dichiarato - l'illegittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 7, numeri 2,3 e 4, e 40 della legge 17 agosto 1942, n. 1150 e 2, primo comma, della legge 19 novembre 1968, n. 1187, nella parte in cui consente all'Amministrazione di reiterare i vincoli urbanistici scaduti, preordinati all'espropriazione o che comportino l'inedificabilità, senza la previsione di indennizzo.

Nella specie, non è controverso che i vincoli preordinati all'espropriazione: imposti con il provvedimento impugnato in primo grado sulle aree di proprietà degli appellati hanno superato il periodo quinquennale di durata temporanea, cioè di franchigia da ogni indennizzo, di cui all'art. 2 della legge 19 novembre 1968, n. 1187.

Dai certificati di destinazione urbanistica in atti risulta infatti che i vincoli a contenuto espropriativo reiterati con l'impugnata deliberazione della G.M. n. 3622/90 sulle aree di proprietà degli appellati erano stati imposti con il P.R.G. approvato con D.P.R. 16.12.1965 e già reiterati per alcune aree con la variante approvata con deliberazione "della G.R. dell'11.7.1975, n. 2528; per altre con variante approvata con deliberazione della G.R. del 30.7.1975, n. 2993; per altre con variante approvata con deliberazione della G.R. del 6 marzo 1979, n. 689.

Da ciò consegue che, in base alla richiamata sentenza della Corte costituzionale, l'Amministrazione nel reiterare vincoli urbanistici preordinati all'espropriazione sulle aree degli appellati avrebbe dovuto prevedere il relativo indennizzo: il provvedimento impugnato è pertanto illegittimo nella parte in cui omette tale previsione.

3.3. L'appello del Comune di Roma è invece fondato nella parte in cui critica la sentenza del TAR che ha dichiarato illegittimo il provvedimento impugnato in primo grado per omessa previsione delle spese occorrenti per l'espropriazione e dei possibili mezzi di copertura.

La sentenza di primo grado aveva accolto la censura sotto il profilo della garanzia di effettività della reiterazione dei vincoli urbanistici.

In contrario, in primo luogo vanno richiamati costanti acquisizioni giurisprudenziali secondo le quali il piano finanziario non deve necessariamente essere contestuale al piano regolatore o alla sua variante.

In secondo luogo, è assorbente il rilievo secondo cui, secondo la richiamata sentenza della Corte costituzionale n. 179 del 1999, la determinazione, conseguente alla sentenza medesima, dei criteri di liquidazione dell'indennizzo è rimessa all'intervento legislativo, che può esercitare scelte tra misure risarcitorie, indennitarie e alternative riparatorie anche in forma specifica e, in difetto all'intervento del giudice competente sulla richiesta di indennizzo, sub specie di liquidazione di obbligazioni di ristoro del pregiudizio subito dalla rinnovazione o dal protrarsi del vincolo.

Difettava dunque, allo stato, con la liquidità dell'indennizzo, la possibilità di una specifica quantificazione degli oneri conseguenti all'imposizione dei vincoli, restando necessaria soltanto una previsione generica di indennizzo.

4.0. Va ora esaminato, il motivo con cui l'appellante critica la sentenza di primo grado per aver accolto i motivi di difetto di istruttoria e di motivazione.

Il motivo è fondato.

La sentenza di primo grado ha segnalato la necessità che la variante di reiterazione dei vincoli urbanistici rechi una motivazione specifica e ne ha indicato come estensione: a) attualità delle ragioni giustificative del vincolo; b) mancanza di possibili soluzioni alternative o di perequazione tra più proprietari espropriabili; c) serietà ed affidabilità della realizzabilità nel quinquennio della prescrizione.

Tale sentenza, postulando, con l'estensione della motivazione della variante all'elemento sub b), la sua "polverizzazione" tra le destinazioni di zona delle singole aree, si inscrive nell'orientamento giurisprudenziale che ha esaminato la prassi amministrativa della reiterazione dei vincoli urbanistici, dopo la legge n. 1187 del 1968 che ne aveva stabilito la temporaneità, in relazione ai presupposti costituzionali dell'espropriazione per pubblica utilità.

Secondo questo percorso argomentativo, la situazione dei proprietari delle aree sottoposte a vincolo preordinato all'espropriazione è stata assimilata a quella dei soggetti titolari di convenzioni di lottizzazione e la tecnica giuridica di protezione idonea a bilanciare una compressione del diritto di proprietà ai limiti della tollerabilità è sembrata la motivazione "polverizzata", cioè estesa alla ponderazione comparativa in ordine alla destinazione di zona delle singole aree.

Ora, però, dopo la richiamata sentenza n. 179 del 1999, che ha ripristinato la legalità, costituzionale in ordine alle espropriazioni di valore, subordinandole al presupposto dell'indennizzo, è possibile una ricostruzione del tipo strutturale di provvedimento alla luce della coerenza con i principi più che della compatibilità costituzionale.

In particolare, il problema dell'estensione della motivazione della presente deliberazione di reiterazione dei vincoli urbanistici va ricondotto alla natura e alla funzione del provvedimento.

Sotto il primo aspetto, esso costituiva una variante generale.

In quanto tale, partecipava della natura di atto generale ed in parte normativo del piano regolatore, nel quale le scelte urbanistiche di carattere generale non devono, di massima, essere sorrette da altra motivazione oltre quella che è dato evincere dall'esame dei criteri di ordine tecnico seguiti per la redazione del piano.

Quanto alla funzione, il provvedimento in questione era diretto al reperimento delle aree da destinare agli standards di cui all'art. 41 quinquies, comma 8, della legge 17 agosto 1942, n. 1150, come modificato dall'art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765, ed al d.m. 2 aprile 1968: era, dunque, un atto dovuto (sez. IV, 2 marzo 1985, n. 71), al fine di realizzare i rapporti di legge tra spazi destinati agli insediamenti, residenziali e produttivi e spazi pubblici o destinati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi, in vista dell'attuazione dei quali, del resto, possono essere senz'altro apportate al piano le modifiche necessarie in sede di approvazione regionale (art. 10, comma 3, lett. d), l. 17 agosto 1042, n. 1150 sub art. 3, L 6 agosto 1967, n. 765).

Ecco perché, trattandosi di adeguamento degli standards, non è nemmeno invocabile l'obbligo della variante di motivare sulle sopravvenute ragioni che determinano la totale o parziale inattuabilità del piano o la convenienza di migliorarlo: si tratta, infatti, di dare attuazione, mediante destinazione specifica di una certa quantità di aree, ad un rapporto stabilito per atto normativo che garantisce una superficie minima per spazi pubblici o attività collettive in ragione di ogni abitante insediato o da insediare.

4.1. - La giurisprudenza, in verità, ha segnalato che in determinate evenienze anche lo strumento urbanistico generale richiede una motivazione specifica di certe scelte: le relative fattispecie non sono però assimilabili a quelle dei proprietari delle aree soggette a vincoli urbanistici.

4.2. Una prima evenienza è quella del superamento degli standards minimi di cui al d.m. 2 aprile 1968: qui però la motivazione specifica va riferita alle previsioni urbanisti.che complessive di "sovradimensionamento", indipendentemente dal riferimento alla destinazione di zona di determinate aree.

4.3.0. Al di fuori di questa fattispecie, l'obbligo della motivazione specifica degli strumenti urbanistici generali è stato individuato in ipotesi nelle quali vi è un affidamento qualificato del privato.

4.3.1. Tale non è il caso dell'interesse correlato ad una precedente previsione urbanistica che consenta un utilizzo dell'area in modo più proficuo (sez. IV, 25 febbraio 1988, n. 99), per il quale vale il principio generale della non necessità di motivazione ulteriore rispetto a quelle che si possono evincere dai criteri di ordine tecnico-urbanistico, seguiti per la redazione del progetto di strumento.

In questo caso, infatti viene in considerazione una aspettativa generica del privato alla non reformatio in peius delle destinazioni di zona edificabili - cedevole dinanzi alla discrezionalità del potere pubblico di pianificazione urbanistica, per ragioni analoghe a quelle per cui il divieto della reformatio in peius è un criterio "del tutto inidoneo, atteso il difetto di qualsivoglia copertura costituzionale, a vincolare il legislatore". (Corte cost., sent. n. 219 del 1998, nonché sent. n. 153 del 1985).

4.3.2. Tali sono, invece, le ipotesi di precedente convenzione di lottizzazione o di accordi di diritto privato intercorsi tra il comune e i proprietari delle aree.

Qui, la situazione del privato rimane "consolidata" da atti - convenzionali - di attuazione degli strumenti urbanistici generali, in forza dei quali si genera l'affidamento, cioè l'aspettativa che il successivo comportamento dell'affidante sia coerente con quello che, in precedenza, ha generato l'altrui fiducia.

4.3.3. Tale è, altresì, la situazione del privato che abbia ottenuto un giudicato di annullamento di un diniego di concessione edilizia o di un silenzio-rifiuto su una domanda edilizia in ordine alla pretesa di variante di nuove previsioni urbanistiche rilevanti in quanto sopravvenute nel corso del giudizio (Ad. plen., 8 gennaio 1986, n. 1).

Qui, la rilevanza della situazione del privato è data dall'intervenuto accertamento giurisdizionale della illegittimità del diniego di concessione edilizia o del silenzio-rifiuto sulla domanda edilizia in relazione alle previgenti indicazioni di piano.

In entrambi i casi, l'obbligo di una motivazione specifica, riferita nel primo caso alla destinazione di zona delle singola area difforme dagli accordi intercorsi, nel secondo caso all'interesse pretensivo del privato ad una variante di adeguamento delle previsioni urbanistiche al giudicato, attua il bilanciamento degli interessi, pubblici e privati, e la garanzia del proprietario inciso.

4.4. Nel caso dei proprietario inciso dalla variante di reiterazione dei vincoli urbanistici a contenuto espropriativo, invece, non è ravvisabile alcun affidamento: l'area, infatti, era già soggetta a vincolo o, se questo era divenuto inefficace, al regime provvisorio degli standards generali di cui all'art. 4, ultimo comma, l. 28 gennaio 1977, n. 10 (Ad. plen., 2 aprile 1984, n. 7; 30 aprile 1984, n. 10; 12 giugno 1984, n. 12) fermo restando, in quest'ultimo caso, l'interesse generico all'adozione di una nuova disciplina urbanistica dell'area.

Non è comunque configurabile un'aspettativa qualificata ad una destinazione edificatoria in relazione, ad una precedente determinazione dell'amministrazione, ma soltanto un'aspettativa generica ad una reformatio in melius, analoga a quella di ogni altro proprietario di aree che aspira ad una utilizzazione più proficua dell'immobile.

Ciò che ha indotto parte della giurisprudenza a ravvisare la necessità di una motivazione "polverizzata" del provvedimento di reiterazione dei vincoli è, dunque, la tutela non di un affidamento del proprietario dell'area, in analogia alle altre situazioni considerate rilevanti bensì dell'incisione della sua sfera soggettiva.

Senonchè, una volta chiarito dalla sentenza n. 179 del 1999 della Corte costituzionale che, dopo il periodo di franchigia, la reiterazione dei vincoli implica la previsione dì un indennizzo, viene meno il fondamento ablatorio del costrutto della motivazione "polverizzata".

L'estraneità di tale costrutto al sistema appare allora in tutta evidenza.

4.5. Non si intende con ciò risolvere la questione rilevando che l'ipotizzata polverizzazione della motivazione tra tutte le singole aree oggetto della reiterazione dei vincoli renderebbe sommamente difficile il compito istituzionale dei comuni, specialmente di quelli di grandi dimensioni, come il Comune di Roma di cui trattasi: sarebbe, infatti, un argomento non giuridico, ma pratico.

4.6. Il fatto è che la polverizzazione della motivazione sarebbe in contrasto con la natura della variante generale, che non richiede altra motivazione che quella dei criteri di ordine tecnico seguiti per la redazione del piano.

Tale l'art. 1 della l. l° giugno 1971, n. 291, che, modificando l'art. 10 della l. 17 agosto 1942, n. 1150, aveva sottratto tali varianti alla preventiva autorizzazione regionale, ancor prima che la stessa regola fosse stabilita per tutte le varianti dall'art. 25, comma 3, della l. 28 febbraio 1985, n.47.

Tale l'art. 25, comma 1, lett. c) della L 28 febbraio 1985, n. 47 cit., che ha demandato alle regioni la previsione di procedure semplificate per l'approvazione di tali varianti.

4.7. Nel merito il criterio argomentativo della mancanza di soluzioni alternative o della possibile perequazione tra più proprietari espropriabili costituirebbe la "giuridicizzazione" di criteri che rientrano nella discrezionalità dell'autorità di pianificazione.

4.8. Il procedimento di variante, inoltre, si articola in modalità partecipative, in base alle quali il privato può presentare osservazioni sul progetto di piano adottato, che l'amministrazione è tenuta ad esaminare.

Sovrapporre a tale regola procedimentale un'altra - quella dell'obbligo generalizzato, già in sede di adozione del progetto di piano, di motivazione della scelta di ogni singola area soggetta a reiterazione dei vincoli - è privo di base normativa.

4.9. Nello stesso senso - sembra di poter dire - è la giurisprudenza della Corte costituzionale, che - già, prima dell'affermazione della indennizzabilità dei vincoli urbanistici - nel ricostruire il quadro complessivo indicava come legittima la rinnovazione dei vincoli purché "adeguatamente motivata in relazione alle effettive esigenze urbanistiche" (Corte cost., sent. n. 575 del 1989).

Anche la richiamata sentenza n. 179 del 1999 segue lo stesso percorso argomentativo.

Dopo aver rilevato che la reiterazione può ritenersi legittima "se corredata da una congrua e specifica motivazione sulla attualità della previsione, con nuova ed adeguata comparazione degli interessi pubblici e privati coinvolti, e con giustificazione delle scelte urbanistiche di piano, tanto più dettagliata e concreta quante più volte viene ripetuta la reiterazione del vincolo", la Corte riassume che - la reiterazione può essere ritenuta giustificata dalle esigenze appositamente valutate e motivate come attuali e persistenti".

Anche secondo la Corte costituzionale, l'oggetto della motivazione è costituito, dunque, dalla attualità e persistenza delle esigenze urbanistiche: né la nuova comparazione degli interessi pubblici e privati coinvolti, che è correlata all'apprezzamento, delle esigenze urbanistiche, può essere confusa con la motivazione della scelta delle singole aree.

4.10. Da quanto esposto appare conseguente affermare che la reiterazione dei vincoli urbanistici preordinati all'espropriazione o che comportino l'inedificabilità non richiede una motivazione specifica circa la destinazione di zona delle singole aree, ma soltanto una motivazione circa le esigenze urbanistiche che sono a fondamento della variante medesima.

5.0. Esaminati i profili generali, possono prendersi in considerazione le censure di carattere particolare, proposte dai ricorrenti in primo grado e riproposte in appello.

I ricorrenti, in primo grado avevano criticato il provvedimento impugnato per aver reiterato le destinazioni vincolistiche M/1 (servizi generali), M/3 (servizi di quartiere) e N (verde pubblico) per il solo fatto che erano scadute (primo motivo), ed allo scopo di impedire, il rilascio delle concessioni edilizie spettanti ai proprietari di aree con vincoli scaduti, così incorrendo in sviamento di potere (quarto motivo).

I motivi sono infondati.

I comuni sono tenuti, ai sensi. dell'art. 41 quinquies, comma 8, della legge 17 agosto 1942, n. 1150, come modificato dall'art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765, e del d.m. 2 aprile 1968, ad assicurare ai cittadini rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o destinati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi: dunque, livelli di vita qualitativamente accettabili.

Come risulta dal provvedimento impugnato e dalla relativa relazione illustrativa, in considerazione del lungo intervallo di tempo intercorso dalla precedente variante, approvata nel 1979, e dell'insuccesso delle successive varianti circoscrizionali, annullate dal Tar del Lazio, il Comune di Roma si era trovato nella situazione di non poter assicurare ai cittadini l'osservanza di quei rapporti massimi.

Per un verso, i vincoli urbanistici erano divenuti inefficaci per decorso del termine.

Per altro verso, nel regime degli standards generali di cui all'art. 4, ultimo comma, della l. 28 gennaio 1977, n. 10, erano state presentate domande edilizie per la costruzione di edifici o complessi produttivi ai sensi della lett. c) della disposizione citata, per complessivi 2.500.000 mc.

In questo contesto la variante di adeguamento degli standards era intervenuta per realizzare l'interesse pubblico al reperimento delle aree necessarie.

5.l. Né è esatto che la variante realizzasse una riproposizione senza istruttoria dei vincoli scaduti.

Essa, infatti, poneva a base del calcolo del fabbisogno di standards i dati anagrafici dell'anno 1990 relativi agli abitanti insediati nelle singole circoscrizioni amministrative, con la esclusione degli abitanti.nelle zone di recupero urbanistico, nelle zone interessate dai piani di lottizzazione convenzionati e nelle zone interessate dai piani di zona di cui alla legge n.167, dotati di autosufficienza in quanto oggetto di pianificazione esecutiva.

Il computo del fabbisogno di standards era dunque condotto sulla base di una riconsiderazione a rilevazioni demografiche aggiornate.

5.2. Nemmeno lo scopo di evitare il rilascio di concessioni edilizie sulle aree in ordine alle quali i vincoli urbanistici sono divenuti inefficaci è censurabile sotto il profilo dello sviamento di potere.

Il comune, se è tenuto ad assicurare il rispetto degli standards, deve provvedere istituzionalmente a pianificare le aree a destinazione pubblica, imponendo o reiterando i vincoli urbanistici e ad attuare le indicazioni di piano, prima che quelle aree siano compromesse dalla edificazione privata, evento che renderebbe impossibile il conseguimento dell'interesse pubblico: in tale modus procedendi, quindi, non è ravvisabile un intento discriminatorio nei confronti dei proprietari delle aree predette.

6. Non giova nemmeno agli appellati dedurre (secondo motivo) che il provvedimento impugnato aveva disatteso un atto della Regione Lazio che, nel restituire le varianti circoscrizionali annullate dal Tar del Lazio, aveva raccomandato di procedere per zone omogenee, di specificare le funzioni e di operare una più razionale e funzionale localizzazione del verde.

Indipendentemente dalla parte dell'atto. regionale che aveva un contenuto meramente esortativo, va rilevato che l'individuazione negli strumenti urbanistici generali delle zone omogenee, ai sensi dell'art. 7 della l. reg. Lazio, 2 luglio 1987, n. 36 è in funzione del controllo edilizio sulle modifiche delle destinazioni d'uso, non dell'imposizione dei vincoli urbanistici.

Va poi rilevato quanto alla doglianza del carente approfondimento istruttorio circa la "terziarizzazione" di ampie fasce del territorio comunale, che gli standards previsti per i nuovi insediamenti commerciali e direzionali sono più elevati di quelli previsti per gli insediamenti residenziali (di regola, 80 mq. di spazio per ogni 100 mq. di superficie lorda di edificio): gli appellati, pertanto, non hanno interesse ad un tal genere di determinazioni.

Vero è che degli standards è questione non soltanto di quantità, ma anche di qualità e di localizzazione, ma è altresì vero che questi profili rientrano nella discrezionalità dell'autorità di pianificazione.

Inoltre, il provvedimento impugnato in primo grado, per la funzione svolta (adeguamento degli standards) nelle condizioni storico-ambientali indicate nella motivazione e sopra richiamate, era un atto necessitato da una emergenza urbanistica (scadenza dei vincoli e pendenza di domande edilizie per 2.500.000 mc. di costruzioni).

Pertanto, ed anche in considerazione. del fatto che si trattava dell'atto iniziale di un procedimento ad istruttoria complessa ed a decisione pluristrutturata, il suo dichiararsi avvio di un'analisi e decisione sulle zone territoriali omogenee e sul programma di utilizzazione concreta delle aree, anche in sede di controdeduzione alle osservazioni, non era sintomo di illegittimità.

7. Con il terzo motivo gli appellati lamentano che nel computo degli standards non sia stata effettuata la compensazione tra superfici a standard in eccedenza e superfici a standard in difetto e che i parchi con caratteristiche storico-monumentali-paesistiche ed ambientali per ha. 7.418 non siano stati computati nel verde pubblico né di quartiere né di livello urbano.

Anche questo motivo è infondato.

Va premesso che, come risulta dalle tabelle annesse al provvedimento, impugnato in primo grado, per quanto riguarda le superfici a destinazione M/3 (servizi locali), la IV circoscrizione, nella quale sono incluse le aree dei ricorrenti, presentava un saldo negativo di 15 ha. ed uno positivo di 282 ha. per quanto riguarda le superfici a destinazione N (verde pubblico), così come il totale dei dati delle singole circoscrizioni evidenziava un saldo complessivo negativo di ha. 434 per le prime superfici ed uno positivo di ha. 1081 per le seconde.

Risulta dagli atti che l'amministrazione ha inteso operare una compensazione di massima tra questi valori, sia a livello lodale che a livello urbano, forse anche in relazione al fatto che lo standard per la zona M/3 era stato calcolato in ragione del coefficiente di 15,5 mq/ab, anziché di quello di 18 mq/ab come per legge.

Per quanto attiene alle superfici a destinazione M/1 (servizi pubblici generali) e N (verde pubblico) a livello urbano, se è vero che risultano saldi positivi rispettivamente per 2.397 ha. e per 545 ha., è vero altresì che, secondo costante giurisprudenza, i rapporti di cui al D.M. 2.4.1968 possono essere discrezionalmente superati dall'amministrazione comunale, a condizione che sia fornita congrua motivazione.

Nella specie la relazione tecnica illustrativa esibisce una adeguata motivazione, laddove, nel riferirsi a nuove esigenze non sorrette da standards specifici nazionali, richiama la necessità di aree per la creazione di piazzuole per eliporti ed ambulanze, aree a disposizione della protezione civile, per la costituzione di campi nomadi, per le autodemolizioni, per le soste, trasferenze, discariche e trasformazioni dei rifiuti solidi urbani, per garantire la formazione di rifiuti solidi urbani per garantire la formazione di riserve idriche non contaminabili per la realizzazione di grandi servizi urbani espositivi, fieristici, congressuali, annonari, nonché, di particolare momento, di aree per sosta e parcheggio, anche in zone N con impianto arboreo.

Quanto ai parchi costituenti beni culturali e ambientali, essi sono riconducibili a funzioni eccedenti l'ambito comunale e, pertanto, legittimamente non erano computati negli standards.

Del resto, se si dà un'evenienza in cui è illogico inviluppare la discrezionalità dell'autorità di pianificazione in un conteggio aritmetico di superfici a standard, questo è quello della città di Roma, in ragione della sua funzione universale e di capitale della Repubblica.

Sotto questo profilo, non si può sottacere che l'art. 1 della legge 15 dicembre 1990 n. 396, in corso di approvazione al momento dell'emanazione del provvedimento impugnato, avrebbe ben presto dichiarato il preminente interesse nazionale agli interventi funzionali all'assolvimento da parte della città di Roma del ruolo di capitale della Repubblica e diretti, tra l'altro, a creare parchi archeologici, incrementare e valorizzare il sistema dei parchi urbani e suburbani ed acquisire le aree necessarie, realizzare parchi naturali, sportivi e per il tempo libero nonché interventi di recupero edilizio, di rinnovo urbano e di riqualificazione delle periferie, ivi comprese le opere di carattere igienico-sanitario, adeguare la dotazione dei servizi e delle infrastrutture per la mobilità urbana e metropolitana qualificare le università e i centri di ricerca esistenti e realizzare nuovi atenei e nuove strutture per la scienza e la cultura, costituire un polo europeo dell'industria, dello spettacolo e della comunicazione e realizzare il sistema congressuale, fieristico ed espositivo anche attraverso il restauro, il recupero e l'adeguamento delle strutture esistenti, provvedere alla adeguata sistemazione delle istituzioni internazionali operanti in Italia e presenti a Roma.

8. Inammissibile è il sesto motivo, con cui i ricorrenti in primo grado lamentano che la Giunta municipale abbia provveduto in sostituzione del consiglio comunale in carenza del requisito della necessità ed urgenza.

L'esistenza degli estremi della necessità e dell'urgenza che giustificano l'assunzione da parte della giunta dei poteri del consiglio attiene, infatti, al merito e non alla legittimità del provvedimento e il controllo sulla opportunità di ricorrere ai poteri d'urgenza è di esclusiva competenza del consiglio in sede di ratifica della delibera della giunta.

9. Inammissibile è il settimo motivo, con cui i ricorrenti in primo grado lamentano difetto di istruttoria per essere la zona ricca di aree destinate a zona N e per essere stati eseguiti su aree di terzi interventi di edilizia scolastica analoghi a quelli previsti su talune aree di loro proprietà.

Trattasi, infatti, di censure che impingono nel merito delle scelte urbanistiche dell'amministrazione comunale.

10. Infondato è l'ottavo motivo, con cui i ricorrenti in primo grado lamentano disparità di trattamento e ingiustizia manifesta, in quanto essi avevano già subito l'esproprio di circa 280.000 mq.

Dall'atto di affiancazione 2.12.1977, in atti, si evince, infatti, che almeno una porzione del compendio immobiliare pari a ha. 13,69,60, era stata venduta a terzi e che su un'altra porzione era stato edificato un fabbricato a quattro scale.

Inoltre, dal certificato di destinazione urbanistica, in atti, si desume che parte dell'area di cui alle particelle 26 e 500 a fol. 259 è destinata a zona D.

Da quanto esposto , si desume, quindi, che i vizi denunciati non sussistono, in quanto i ricorrenti avevano avuto la possibilità di sfruttare economicamente una parte non trascurabile delle loro proprietà.

11. I motivi aggiunti proposti in appello dai ricorrenti in primo grado in esito all'adozione della deliberazione consiliare n. 203/95, recante controdeduzioni sulle osservazioni alla variante, sono inammissibili.

Essi, infatti, pur essendo diretti contro il provvedimento impugnato in primo grado, si sostanziano in censure relative alla deliberazione consiliare n. 203/95, dunque ad un atto successivo a quello impugnato, in quanto tale ininfluente ai fini della legittimità di quest'ultimo.

12. Per le suesposte considerazioni l'appello del Comune di Roma va accolto in parte, ad eccezione del motivo concernente l'omessa previsione dell'indennizzo, mentre gli altri motivi del ricorso di primo grado riproposti in appello vanno respinti.

Sussistono giusti motivi per compensare le spese del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in s.g. (Adunanza plenaria), definitivamente pronunciando:

1) Accoglie in parte l'appello e, per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, rigetta i motivi di ricorso di primo grado diversi da quello concernente l'omessa previsione di indennizzo;

2) Accoglie in parte, il quinto motivo del ricorso di primo grado e, per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, annulla la deliberazione della Giunta municipale di Roma 4 giugno 1990, n. 3622 nella parte in cui reitera i vincoli preordinati all'espropriazione sulle aree di causa di proprietà di Cestelli Guidi Riccardo, Panzironi Aristide, Garofalo Ugo, Palombi Emidio, Garofalo Raffaele, Garofalo Antonio e Garofalo Teresita senza la previsione di indennizzo;

3) Compensa tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma l'8 novembre 1999 dal Consiglio di Stato in s.g. (Adunanza plenaria) riunito in camera di consiglio con l'intervento dei seguenti Magistrati:

Renato Laschena Presidente

Andrea Camera Consigliere

Stefano Baccarini Consigliere estensore

Sergio Santoro Consigliere

Domenico La Medica Consigliere

Klaus Dubis Consigliere

Calogero Piscitello Consigliere

Costantino Salvatore Consigliere

Anselmo Di Napoli Consigliere

Corrado Allegretta Consigliere

Luigi Maruotti Consigliere

Claudio Marchitiello Consigliere

In originale firmato:

IL PRESIDENTE: Renato Laschena

L'ESTENSORE: Stefano Baccarini

IL SEGRETARIO: Pier Maria Costarelli

Copertina