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n. 12-2001 - © copyright.

CONSIGLIO DI STATO, ADUNANZA PLENARIA - Sentenza 14 dicembre 2001 n. 9 - Pres. De Roberto, Est. Maruotti - Ministero per i Beni e le Attività Culturali e Soprintendenza dei Beni Ambientali ed Architettonici di Brescia (Avv. Stato G. Fiengo) c. Pollini ed altri (Avv.ti G. Bonelli ed E. Romanelli) e Comune di Gardone Riviera (n.c.) - (conferma, con diversa motivazione, T.A.R. Lombardia-Brescia, 18 ottobre 2000, n. 811 - la questione era stata rimessa alla Ad. Plenaria dalla Sez. VI, con decisione parziale 4 settembre 2001, n. 4439, pubblicata nel n. 10/2001 di questa rivista, con nota di G. COSSU, Ritornano i Regi Soprintendenti ?).

Ambiente - Vincolo paesaggistico - Nulla osta rilasciato in sede regionale - Annullamento statale - Natura e limiti del potere statale - Individuazione.

Ambiente - Vincolo paesaggistico - Nulla osta rilasciato in sede regionale - Annullamento statale - Motivato genericamente con un preteso contrasto del progetto con valori paesistico-ambientali - Illegittimità - Riferimento alla esistenza di circostanze di fatto o di elementi specifici che non siano stati esaminati dall'autorità che ha emanato l'autorizzazione ovvero che siano stati da essa irrazionalmente valutati - Necessità - Fattispecie.

Ambiente - Vincolo paesaggistico - Nulla osta rilasciato in sede regionale - Rispetto del principio di leale collaborazione con l'autorità statale - Necessità.

Ambiente - Vincolo paesaggistico - Nulla osta rilasciato in sede regionale - Valutazione degli interessi nazionali connessi alla tutela dell'ambiente e/o del paesaggio, ovvero di rilevanti circostanze di fatto - Necessità - Mancanza - Illegittimità.

L'atto statale di annullamento di un nulla osta paesaggistico rilasciato in sede regionale è espressione non già di un potere di controllo, bensì di un potere di amministrazione attiva "ad estrema difesa del vincolo"; nondimeno, va escluso che il Ministero (e per esso la locale Soprintendenza) possa annullare l'autorizzazione paesistica sulla base di proprie considerazioni tecnico discrezionali contrarie a quelle effettuate dalla Regione o dall'ente sub-delegato, quando risultino congruamente valutati gli interessi nazionali connessi alla tutela paesaggistica e le più rilevanti circostanze fattuali emerse in sede di istruttoria, e quando ciò consti da adeguata motivazione.

Il provvedimento statale di annullamento della autorizzazione paesistica non può basarsi su una autonoma valutazione tecnico-discrezionale in ordine agli interessi in conflitto ed al valore che in concreto deve prevalere, né può apoditticamente affermare che la realizzazione del progetto pregiudica i valori ambientali e paesaggistici, ma deve basarsi sulla esistenza di circostanze di fatto o di elementi specifici (da esporre nella motivazione), che non siano stati esaminati dall'autorità che ha emanato l'autorizzazione ovvero che siano stati da essa irrazionalmente valutati, in contrasto con la regola-cardine della leale cooperazione o con gli altri principi sulla legittimità dell'azione amministrativa (alla stregua del principio nella specie l'Ad. Plen. ha ritenuto illegittimo il provvedimento di annullamento impugnato, atteso che nel caso di specie, la Soprintendenza aveva formulato un proprio giudizio sulla non compatibilità dell'intervento con le esigenze di salvaguardia dell'area vincolata, con alcune osservazioni sul pregiudizio ambientale, le quali non avevano evidenziato uno specifico vizio della autorizzazione comunale).

In sede di esame dell'istanza di autorizzazione paesistica ai sensi dell'art.82 comma 9° del d.p.r. n.616 del 1977 (come trasfuso nell'art.151 del testo unico n.490 del 1999), la Regione (o l'autorità designata dalla legge regionale) deve rispettare il principio cardine della leale collaborazione con gli organi del Ministero e gli altri consueti principi sulla legittimità dell'azione amministrativa.

E' illegittima per eccesso di potere, e come tale annullabile dalla competente autorità statale ai sensi dell'art.82 comma 9° del d.p.r. 616/77, l'autorizzazione paesistica rilasciata dalla Regione (o da altro ente pubblico dalla stessa sub-delegato) senza una congrua valutazione degli interessi nazionali connessi alla tutela dell'ambiente e/o del paesaggio, ovvero di rilevanti circostanze di fatto, o che comunque risulti non adeguatamente motivata.

Commento di

GIULIO BACOSI (Avvocato dello Stato)

Limiti del potere statale di annullamento del nulla osta paesaggistico rilasciato in sede regionale

(sotto l'albero della Plenaria, l'Amministrazione statale dei Beni e delle Attività Culturali "giudice amministrativo" delle autorizzazioni paesistiche regionali o sub-regionali).

1. Il fatto.

Con provvedimento n. 608 del 12 agosto 1999 il responsabile dell'Ufficio Tecnico Comunale di Gardone Riviera (Bs) accoglie l'istanza avanzata da quattro privati cittadini ed intesa ad ottenere il rilascio di una autorizzazione a realizzare taluni edifici residenziali su aree del Comune sottoposte a vincolo paesistico.

Più in dettaglio, si tratta di aree limitrofe al lago di Garda, sottoposte a vincolo, a far data dal 6 febbraio 1959, con decreto del Ministro per la pubblica istruzione, e rientranti nell'ambito delle categorie disciplinate dall'art.82 comma 5° del d.p.r. 616 del 1977 (modificato, in parte qua, dal d.l. 312 del 1985, convertito nella legge 431/85, c.d. "Legge Galasso").

Già in precedenza (6 maggio 1999) era peraltro intervenuto un primo accoglimento di analoga istanza, su progetto costruttivo parzialmente diverso, con conseguente erogazione di autorizzazione paesistica successivamente annullata dalla Soprintendenza ai beni ambientali ed architettonici di Brescia con decreto n.8291 del 9 luglio 1999.

La determinazione n.12436 dell'11 ottobre 1999, con la quale la locale Soprintendenza annulla anche il nuovo rilascio della predetta autorizzazione, sollecita i privati interessati ad interporre ricorso innanzi al Tar per la Lombardia, Sezione staccata di Brescia. Gli stessi denunciano, in particolare, violazione dell'art.82 del decreto legislativo 616/77, avendo la Soprintendenza provveduto a notificare il provvedimento di annullamento della determinazione comunale oltre il noto termine di 60 giorni ivi previsto, pur avendolo adottato prima dello spirare del termine ridetto.

La doglianza ha successo ed il Tar di Brescia - con la sentenza n.811 del 2000 - annulla il provvedimento tutorio dell'Amministrazione statale sul presupposto della tardività della relativa notifica, scatenando il gravame dell'Amministrazione resistente la quale, fattasi parte attrice in sede di appello, ottiene dalla VI Sezione del Consiglio di Stato la sospensione della esecutività della sentenza impugnata (ordinanza 30 gennaio 2001 n.707).

Il successivo 4 settembre dello stesso anno, in sede di scrutinio del merito della vertenza, la medesima VI Sezione accoglie (con la decisione n.4639 del 2001) il primo motivo d'appello dell'Amministrazione sul presupposto onde il termine cristallizzato nell'art.82 del decreto legislativo n.616/77 si riferisce all'adozione, e non alla notificazione del provvedimento di annullamento del nulla osta paesistico, in ciò uniformandosi alla propria costante giurisprudenza sul punto (da ultimo, ed in senso conforme, può leggersi la decisione n.3233/01).

Avendo peraltro il Tar dichiarato assorbiti gli altri tre motivi di ricorso interposti dagli attori privati in prime cure (per averne accolto il primo, poi disatteso in sede di appello), il Collegio di Palazzo Spada - al fine di sondare la fondatezza di questi ultimi - decide di sottoporre all'Adunanza Plenaria una delicata e pregiudiziale questione investente la natura dei poteri affidati dal legislatore al Ministero dei Beni e delle Attività Culturali dalla disposizione di cui al menzionato art.82, comma 9°, 4° periodo del d.p.r. 616/77, come modificato dalla "legge Galasso" e di seguito abrogato (commi dal 3° al 13°) dall'art. 166 del recente Testo Unico n.490 del 1999 sulla disciplina dei beni e delle attività culturali e ambientali (il cui art. 151 comma 4° ne ha peraltro recepito integralmente il contenuto nel relativo bacino precettivo).

In particolare, la regiudicanda si compendia nello stabilire se si configuri in capo all'Autorità statale un mero potere di annullamento per vizi di legittimità eventualmente riscontrati nella autorizzazione paesistica rilasciata in sede comunale (tesi sostenuta dai ricorrenti in primo grado, appellati nel giudizio di seconde cure); ovvero, ed in misura ben più pregnante, un potere di valutare nel merito le "scelte paesistico ambientali" riconducibili all'Amministrazione locale ed esplicitate attraverso il rilascio del nulla osta ad aedificandum (tesi avallata dalla parte pubblica appellante e già resistente innanzi al Tar Brescia).

L'Avvocatura dello Stato, in rappresentanza e patrocinio dell'Amministrazione appellante, invoca financo la Carta fondamentale a sostegno delle proprie argomentazioni difensive, sostenendo che - ove interpretato nel senso della non ammissibilità di una valutazione di merito da parte della competente Soprintendenza in sede di valutazione delle scelte paesistiche sulle quali è chiamata ex lege a pronunciarsi - l'art.82 del d.p.r. 616/77 sarebbe da ritenersi incostituzionale per frizione, tra gli altri, con l'art.9 della Costituzione.

Del resto, altre frecce nell'arco della tesi abbracciata dalla parte pubblica appellante si rinverrebbero da un lato in una "costante giurisprudenza" amministrativa intesa a ritenere l'autorizzazione paesistica annullabile dalla competente Soprintendenza anche per vizio di eccesso di potere, sotto qualsiasi profilo inteso; dall'altro in quei principi più volte richiamati dalla Corte Costituzionale in materia di tutela dell'ambiente e del paesaggio, specie con riguardo alla riconosciuta contitolarità dei poteri statali e regionali che gravitano nell'orbita di tutela dei predetti valori.

Congiurerebbe nel senso della natura "di merito" del potere, affidato alla Soprintendenza, di valutazione e di potenziale annullamento (oltreché di possibile sostituzione) del rilasciato titolo edilizio, anche un argomento letterale: l'art.82 comma 9° infatti, con l'esprimersi nel senso di lasciare "in ogni caso" fermo il potere tutorio affidato alla Soprintendenza, avrebbe inteso preservare la chance, affidata dal nomopoieta alla Soprintendenza stessa, di valutare anche le concrete "scelte ambientalistiche" riconducibili all'autorizzato intervento edilizio in zona vincolata.

2. La decisione dell'Adunanza Plenaria.

I Giudici di Palazzo Spada decidono di tener fede alla consolidato formante giurisprudenziale del Consiglio inteso a ritenere il nulla osta paesistico adottato dalla Regione annullabile da parte della competente autorità statale per soli motivi di legittimità, e non anche di merito, pur a fronte del chiaro disposto di cui all'ultima tranche del comma 9° dell'art.82 d.p.r. 616/77 la quale, con l'affermare come il Ministero possa "in ogni caso", con provvedimento motivato, annullare l'autorizzazione regionale nei 60 giorni, parrebbe autorizzare (per lo meno nell'ottica fatta propria dalla VI Sezione rimettente) una lettura più estensiva dei poteri affidati alla Soprintendenza.

Ciò sulla scorta di una ermeneusi orientata ad una attenta tanto quanto erudita valorizzazione dei principi estrapolabili dal compendio delle disposizioni (anche costituzionali) assunte come pertinenti, rilette peraltro in chiave storica, con un occhio costantemente appoggiato sui lavori parlamentari che hanno avuto ad epilogo l'art.9 della Carta fondamentale, da un lato, e la c.d. "Legge Galasso" (l. 431/85), dall'altro.

Prese le mosse dalla legge fondamentale n.1497 del 1939 (e, già prima, dalle leggi nn.688 del 1912 e 778 del 1922), l'Adunanza zelantemente illumina il lettore facendo mostra di non ignorare come, agli albori della tutela ambientale, fosse l'Amministrazione statale, e per essa il Ministero competente (via via, quello dell'Educazione, quello della Pubblica Istruzione, quello per i Beni culturali e ambientali e, da ultimo, quello per i Beni e le Attività culturali) a garantire la salvaguardia dei valori paesistici, anche allo scopo di assicurarne la relativa fruibilità alle generazioni future.

All'uopo, il competente plesso ministeriale, oltre a detenere il "potere di sottoporre determinati beni ad un peculiare regime giuridico", doveva ritenersi - tra le altre cose - in via esclusiva autorizzato dalla legge a gestire ".uno specifico ius in rem in sede di esame della domanda di autorizzazione" (a costruire), attraverso l'esercizio di un potere connotato da discrezionalità tecnica, proprio perché tale non sindacabile in sede di giurisdizione ordinaria di legittimità.

Con l'avvento della Costituzione repubblicana, ed in particolare del relativo art.9, la Plenaria ricorda come la tutela del paesaggio sia stata fatta rientrare nell'ambito dei principi fondamentali che connotano il contesto precettivo vigente, attraverso il progressivo abbandono del criterio "monumentale" ed alla volta di una sempre più marcata valorizzazione del paesaggio come bene in sé.

Assumendo quale costante punto di riferimento i lavori preparatori della Carta fondamentale (con particolare riguardo agli articoli 27 e 29 del progetto varato dalla prima Sottocommissione), i Giudici di Palazzo Spada evidenziano come si sia alfine giunti alla stesura definitiva dell'art.9 comma 2° Cost. il quale, accanto a quella del patrimonio storico ed artistico, affida alla Repubblica anche (e specificamente) la tutela del "paesaggio", da intendersi quale "..parte del territorio che il legislatore (con norme impositive del vincolo o per il tramite di atti amministrativi) ritenga meritevole di particolare protezione per ragioni di ordine ambientale, ecologico o culturale".

Segue un dettagliato catalogo dei principi enunciati in materia ambientale e paesaggistica dalla Corte Costituzionale, riferibili:

a) all'affidamento allo Stato del compito di tutelare il paesaggio (sent.378 del 2000);

b) alla possibilità di una (mera) delega delle relative funzioni amministrative alle Regioni (sent.239 del 1982);

c) al valore di "straordinario rilievo" assunto dalla tutela del paesaggio (sent. 94 del 1985); un valore "primario ed insuscettibile di subordinazione a qualsiasi altro" (tra le tante, sent.262 del 1997; sent.341 del 1996; sent. 417 del 1995);

d) alla necessità di intendere la tutela del paesaggio nel senso lato di tutela ecologica (sent.430 del 1990);

e) alla relativa, strettissima contiguità con la protezione della natura, "in quanto contrassegnata da interessi estetico culturali" (sent.1029 del 1988);

f) alla specifica funzione del vincolo paesistico, capace di contribuire, evitandone le alterazioni, alla salvaguardia dell'ambiente e del paesaggio (sent. nn. 345 del 1997 e 355 del 1996);

g) alla rilevanza del ridetto art.9 della Costituzione, nella relativa previsione di tutela del "paesaggio-ambiente come espressione del principio fondamentale dell'ambito territoriale in cui si svolge la vita dell'uomo e si sviluppa la persona umana" (sentt. nn.378 del 2000 e 85 del 1998).

Particolare attenzione viene poi dedicata dal Collegio alle disposizioni, tanto di legge nazionale ordinaria (l. n.349 del 1986) quanto di ascendenza sovranazionale (articoli 130 R - oggi 174 - e 130 S - oggi 175 - del Trattato), dalle quali trasparirebbe la stretta connessione che avvince la tutela del paesaggio a quella dell'ambiente, sì da consentire la strumentalizzazione della tutela paesaggistica anche a fini di salvaguardia dello stesso bene ambientale.

Significativo, infine, il richiamo al novellato art.117 della Costituzione che, nella versione successiva all'entrata in vigore della recente legge costituzionale n.3 del 2001, affida alla legislazione esclusiva dello Stato la tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali, in ciò raccordandosi al precedente art.9 e pur facendo salva la possibilità di attribuire alle Regioni quelle condizioni particolari di autonomia cui fa riferimento l'art.116, anch'esso nella rinnovata veste cucitale addosso dalla menzionata riforma costituzionale.

E' tuttavia con il punto 5 della motivazione in diritto che l'iter logico della pronuncia in chiosa entra nel vivo, consentendo lo scandaglio - anche in senso diacronico - della concreta ripartizione di poteri tra Stato e minori enti territoriali in materia di gestione del territorio e tutela paesaggistica.

L'Adunanza, in proposito, comincia col far rilevare come a partire dalla legge fondamentale del 1939 (n.1497) e per un non trascurabile torno di tempo successivo, la maggior consistenza quanto a poteri di effettiva imposizione e concreta gestione del vincolo paesaggistico sia stato appannaggio dell'Autorità statale.

La stessa riforma del 1972 (c.d. "prima regionalizzazione": cfr.art.1, ultimo comma del d.lgs.vo n.8) se implicò il trasferimento alle Regioni del potere di approvazione dei piani paesistici (pur'esso precedentemente di competenza statale) - anche al fine di assicurare il coordinamento con la coeva traslazione alle stesse di funzioni in materia urbanistica - lasciò fermo in capo allo Stato (salve le Autonomie regionali speciali) il potere di accogliere o respingere la domanda di autorizzazione paesistica (oltrechè quello di imposizione del vincolo, di controllo e vigilanza sullo stesso, di repressione degli abusi e così via), operando una scelta successivamente avallata dalla Corte Costituzionale (viene menzionata, in termini, già la pronuncia n.141 del 1972, oltre a molte altre successive).

L'atteggiamento tutt'altro che ostruzionistico del Giudice delle Leggi affondava le proprie radici giustificative - e l'Adunanza si premura di evidenziarlo - nel netto discrimen riscontrabile, in seno alla Grundnorm, tra le due (pur connesse) materie dell'urbanistica e della tutela del paesaggio.

Un completo mutamento di prospettive intervenne invece in occasione della c.d. "seconda regionalizzazione", ad opera in particolare proprio dell'art.82 del d.p.r. 616 del 1977 che, nella originaria versione (compendiantesi in soli quattro commi), conferiva alla Regione (o ad altri enti territoriali minori dalla stessa sub-delegati) il potere di gestione del vincolo paesaggistico, riservando alla competenza statale la sola "estrema difesa" di tale vincolo.

Più in specie, nel caso in cui la domanda edificatoria del privato fosse stata respinta per necessità di salvaguardia del vincolo paesistico da parte della Regione, lo Stato non avrebbe potuto sovrapporre a tale determinazione regionale una propria, diversa valutazione, concedendo la chiesta autorizzazione; avrebbe però avuto tutto il tempo di impedire, nel caso opposto di assentimento regionale, l'intervento edilizio progettato ponendo in esercizio il proprio potere tecnico-discrezionale e traducendolo in un veto all'intervento costruttivo in itinere, coinvolgente tanto aree già vincolate, quanto aree pur non vincolate, e tuttavia qualificabili ex se come bellezze naturali.

Esigenze di salvaguardia dell'area protetta, come specifica l'Adunanza, potevano dunque dirsi, allora, capaci di attivare il potere interdittivo affidato dal medesimo art.82 del d.p.r. 616/77 (comma 4°) allo Stato, con conseguente inibizione o sospensione dei lavori; alla base di tale potere interdittivo non poteva non porsi un autentico giudizio "di merito" in ordine al preventivato intervento edilizio, con riguardo alla relativa, eventuale frizione con quegli interessi paesistici in primis da assumersi pur sempre affidati alla tutela della Repubblica dall'art.9 della Costituzione.

Lo scenario tornava a mutare radicalmente con l'avvento della c.d. "Legge Galasso" (legge 431 del 1985, di conversione del decreto legge n.312 del 1985) con la quale, attraverso la operata novellazione dell'art.82 del d.p.r. 616/77, venivano ad esso aggiunti ulteriori nove commi agli originari quattro.

Ad affiorare dall'incessante affastellarsi dei ripensamenti normativi era, oramai, una disposizione dal volto trasfigurato.

In particolare:

a) restava immutato il comma 4° dell'art.82, con conservazione in capo al Ministero del potere (poggiante anche su eventuali considerazioni di merito) di ".inibire lavori o di disporne la sospensione.", quando essi recassero ".un pregiudizio a beni qualificabili come bellezze naturali anche indipendentemente dalla loro inclusione negli elenchi";

b) il nuovo comma 9° veniva articolato in quattro periodi (oggi trasfusi nell'art.151 del t.u. n.490 del 1999, commi 3°, 4° e 5°) sulla base di quali: b1) la Regione, entro il termine perentorio di 60 giorni, doveva ritenersi detentrice del potere di esaminare la domanda di autorizzazione paesistica; b2) in caso di relativo rilascio, la Regione stessa avrebbe dovuto immediatamente darne comunicazione all'Autorità statale, curando di trasmettergli, a corredo, tutta la documentazione pertinente; b3) lo Stato, dal canto suo, avrebbe potuto erogare l'autorizzazione paesistica soltanto in caso di inerzia della Regione; b4) infine, e si tratta del punto clou, lo Stato avrebbe potuto in ogni caso annullare, con provvedimento motivato, l'autorizzazione regionale entro i 60 giorni successivi alla comunicazione di relativo, avvenuto rilascio da parte della Regione.

Allo Stato veniva in definitiva consentito di sostituirsi all'Autorità regionale e di rilasciare l'autorizzazione paesistica nel solo caso di inerzia della Regione medesima, mentre era quest'ultima a doversi assumere quale soggetto competente al rilascio della stessa in via ordinaria: una volta erogato il titolo edilizio, la Regione stessa avrebbe dovuto provvedere alla immediata comunicazione degli atti compendianti l'intera sequenza procedurale al Ministero, autorizzato ad annullare il rilascio nei successivi 60 giorni sulla scorta di un potere - rimasto immutato nel corso degli anni successivi - la effettiva natura e consistenza del quale costituisce il più autentico oggetto di indagine della colta decisione in epigrafe.

Il Collegio di Palazzo Spada fa notare come in realtà l'articolato normativo che ha concretamente visto la luce non fosse quello originariamente preventivato dal legislatore dell'emergenza; in altri termini, è solo con la legge di conversione che il potere in materia di rilascio dell'autorizzazione paesistica venne ripartito nel modo testè definito tra Regioni e Stato, essendo lo stesso, nella cornice precettiva di cui al decreto legge originario, affidato alla esclusiva disponibilità statale.

E' ancora l'Adunanza a rammentare la particolare temperie nel contesto della quale ha fatto il suo ingresso nell'orbita del giuridicamente rilevante la Legge 431 del 1985, ed in particolare il relativo art.1, impositivo ex lege del vincolo paesistico con riguardo a determinate categorie di beni su tutto il territorio nazionale.

Se infatti da un lato la pressoché coeva legge "sul condono" n.47 del 1985 aveva offerto l'occasione al dibattito parlamentare per soffermarsi sugli scempi edilizi degli ultimi lustri, agevolando l'invocazione a gran voce di una normativa capace di garantire effettiva tutela ai valori ambientali nel Paese; dall'altro era stato il Tar Lazio, con una pronuncia demolitoria (per acclarata frizione col principio di legalità) di un provvedimento del Sottosegretario ai Beni Culturali - con il quale era stato imposto per via amministrativa il vincolo paesistico a determinate categorie di beni su tutto il territorio nazionale - a pungolare il legislatore "tappabuchi" nel senso della recezione, questa volta per via legislativa, di quanto previsto nel ridetto provvedimento ministeriale.

Particolarmente rilevante la puntualizzazione del Collegio onde, andando in contrario avviso rispetto alla tesi abbracciata dalla Sezione semplice rimettente (punto 3.4 del relativo percorso motivazionale), è da ritenersi a tutt'oggi attuale il sistema della delega delle funzioni statali alle Regioni previsto dal decreto legislativo 616 del 1977, per come successivamente modificato dalla legge 431 del 1985; in altri termini, se di trasferimento (e non già semplicemente di delega) di funzioni può discorrersi, ciò è giustificabile solo con riguardo alle materie del territorio e dell'urbanistica (cfr. articoli 56 e 57 del decreto legislativo 112 del 1998, emanati in attuazione della legge delega n.59 del 1997).

La tutela del paesaggio dell'ambiente restano invece di competenza "centrale" dello Stato (articoli 9 e 117 Cost., quest'ultimo nel testo novellato dalla legge cost. n.3 del 2001), e financo della stessa Unione Europea, dovendo intendersi i pertinenti poteri, affidati agli enti locali sottoordinati, quali "esercizio" di competenze delegate ovvero, come nel caso risolto dall'Adunanza (in cui si censura il contegno provvedimentale di un Comune), sub-delegate.

Ciò è tanto vero che il sistema della delega quale figura scissoria tra appartenenza e concreto esercizio di un potere con riguardo ad una determinata materia è stata richiamata nel testo di un accordo che lo Stato, le Regioni e le Provincie Autonome hanno sottoscritto il 19 aprile 2001 proprio al fine di coordinare le rispettive sfere di intervento in materia di paesaggio.

Rebus sic stantibus, prosegue la Plenaria chiudendo la significativa digressione cui si è accennato e tornando al più immediato oggetto della propria indagine, le eventualità che possono presentarsi con riguardo alle fattispecie di necessario assentimento di un progetto edificatorio in zona paesaggisticamente rilevante sono sostanzialmente tre:

a) la Regione (ente delegato al rilascio della autorizzazione paesistica) ovvero l'ente locale minore dalla stessa subdelegato, rimangono inerti a seguito della istanza del privato: si tratta di una ipotesi dal duplice possibile sbocco: a1) provvede lo Stato in via sostitutiva, a2) non provvede neppure lo Stato, circostanza al presentarsi della quale, osserva l'Adunanza, all'interessato non resta che far valere la sua pretesa in sede giurisdizionale, attivando il ricorso avverso il silenzio di cui all'art.21.bis della Legge 1034/71;

b) La Regione (o, come di consueto, l'ente infraregionale subdelegato) denega l'autorizzazione paesistica: si tratta di una eventualità nella quale, come si premura di sottolineare la Plenaria, poiché non viene consentito ".alcun mutamento dello stato dei luoghi.", né occorre una ".ulteriore difesa del vincolo", non sussiste un potere sostitutivo dello Stato, potendo il richiedente esclusivamente rivolgersi al giudice amministrativo al fine di chiedere al (e se del caso, di ottenere dal) medesimo tutela giurisdizionale avverso l'atto negativo;

c) la terza ed ultima eventualità è quella in cui la Regione (o altro diverso ente locale) rilasci l'autorizzazione paesistica: si tratta proprio della fattispecie oggetto della decisione della Plenaria e sulla quale occorre spendere qualche parola in più.

Il fatto che la Regione abbia autorizzato la costruzione in zona vincolata, ritenendola compatibile con i valori paesistici alla stessa riconosciuti in sede di vincolo (categoriale ovvero ad rem) non implica ex se la possibilità per l'interessato di intraprendere l'iter realizzativo del preventivato opus.

Si apre infatti - ai sensi del comma 9° dell'art.82 d.p.r. 616/77, oggi trasfuso nel comma 5° dell'art.151 t.u. 490/99, una fattispecie legale a formazione progressiva che si dispiega in un procedimento nell'economia del quale il rilascio dell'autorizzazione da parte dell'ente locale di volta in volta titolare della delega (o sub-delega) si pone quale mero presupposto di ulteriori atti doverosi successivi, capaci di garantire l'eventuale "estrema tutela" del vincolo da parte dell'Autorità statale.

Ne consegue, difatti, la obbligatoria comunicazione dell'incartamento al Ministero (oggi, quello per Beni e le Attività culturali) ovvero al competente organo statale periferico delegato (Soprintendenza), il quale potrà

- confermare con provvedimento espresso la legittimità della determinazione assunta dall'autorità delegata;

- lasciar trascorrere i 60 giorni previsti per il relativo pronunciamento (con analogo esito positivo per il privato richiedente, che si vedrà inoppugnabilmente autorizzata la costruzione),

- ovvero annullare il titolo rilasciato sul presupposto della illegittimità della relativa erogazione nel singolo caso di specie.

Resta ferma, come precisa la Plenaria, la potestà dell'organo statale di pronunciarsi re adhuc integra, ed il conseguente divieto per il privato richiedente di iniziare i lavori prima del decorso del ridetto termine bimestrale ovvero, se anteriore, del provvedimento esplicito di conferma del legittimo operato riconducibile all'autorità delegata.

L'Adunanza passa quindi a scandagliare natura ed effetti del potere di annullamento conferito dal legislatore (d.p.r. 616/77, art. 82 comma 9°; ora t.u.490/99), per inferirne, anche sulla scorta dei lavori preparatori della "legge Galasso", come lo stesso non possa essere qualificato come potere di controllo sugli atti regionali di assentimento della costruzione, quanto piuttosto quale potestà amministrativa attiva di cogestione dell'interesse paesistico in "condominio" con la Regione, similmente a quanto accade nella ipotesi di cogestione dell'interesse urbanistico tra Regione ed autorità Comunale.

In entrambi i casi si tratta di fattispecie a formazione progressiva, nel contesto delle quali il provvedimento dell'Autorità sovraordinata (lo Stato per quanto concerne il rilascio delle abilitazioni paesistiche; la Regione in relazione all'approvazione dei piani urbanistici adottati dai Comuni) detiene efficacia costitutiva dei relativi effetti.

Nondimeno, e contrariamente ad ogni fallace apparenza, si tratta di provvedimenti (e di iter procedimentali) differenti, come sarebbe evincibile, seguendo il ragionamento di Palazzo Spada, da taluni elementi sintomatici, tra i quali

- il fatto che l'approvazione di un piano urbanistico non ammette il "silenzio-consenso" della Regione, ammissibile invece nella fattispecie concernente il vaglio da parte dello Stato dell'interesse paesistico sotteso al rilascio regionale del connesso titolo ad aedificandum;

- nonché, massime, la circostanza onde lo Stato si trova di fronte alla scelta "secca" di accettare così com'è la gestione dell'interesse paesistico operata dalla Regione, ovvero annullare la "licenza" già rilasciata dalla Regione stessa all'istante, giammai potendo provvedere a modifiche unilaterali del titolo erogato, così come è invece abilitato a fare l'organo regionale chiamato ad approvare un p.r.g.

La situazione della Regione a fronte dell'intervenuto annullamento - da parte dell'Autorità statale - del permesso costruttivo è analoga, esplicita l'Adunanza, a quella di qualsivoglia Amministrazione dinanzi all'intervenuto annullamento di un atto precedentemente adottato da parte del Giudice amministrativo: essa dovrà valutare il "perché" della riscontrata illegittimità e rideterminarsi sulla base dei ferrei steccati scolpiti nel provvedimento di annullamento statale.

Tra i vizi che possono inficiare l'autorizzazione paesistica spicca - oltre ovviamente alla violazione di legge - l'eccesso di potere sotto il profilo:

- della mancata valutazione degli interessi nazionali (sub specie di violazione del principio di leale cooperazione tra Stato e Regioni, come sta per meglio evidenziarsi);

- della inavvenuta considerazioni di rilevanti circostanze di fatto;

- ovvero della inadeguatezza della motivazione.

Principale parametro di riferimento per l'Autorità statale chiamata a "cogestire" il vincolo paesistico è l'omologo piano, che va obbligatoriamente approvato dalla Regione e che costituisce il perno essenziale idoneo a garantire una corretta valutazione delle domande di costruzione relative ad aree di particolare pregio paesaggistico o monumentale; la Plenaria si preoccupa di evidenziare la rilevanza del piano paesistico, rammentando che lo stesso può essere approvato, in via sostitutiva, dall'Autorità statale a fronte di un contegno inadempiente in tal senso da parte della Regione.

Ove il piano difetti, in ogni caso l'Autorità pubblica territoriale (la Regione o l'eventuale ente minore) dovrà tenere conto - chiamata qual è ad esercitare un potere che è pur sempre "delegato" o "sub-delegato" - degli interessi nazionali connessi alla gestione del vincolo ed alla tutela e valorizzazione delle aree di pregio, dando ancora una volta costante applicazione a quello che la Corte costituzionale (vengono in particolare menzionate le pronunce nn. 437 del 2000; 170 del 1997; 341 del 1996; 379 del 1994; 302 del 1988; 151 del 1986; 359 del 1985) ha configurato quale "principio di leale collaborazione" tra lo Stato e le Regioni (o gli enti da questa sub-delegati).

Quello che tuttavia deve senza margini di dubbio escludersi a seguito della entrata in vigore della legge 431/85 - e della conseguente sostituzione dell'originario comma 4° del d.p.r. 616/77 con i successivi commi dal 4° all'11° - è la possibilità per l'Autorità statale di entrare nel merito delle scelte regionali, provvedendo a modifiche del progetto costruttivo in relazione al quale il privato ha chiesto l'autorizzazione paesistica.

Come la giurisprudenza delle Sezioni Semplici ha più volte ribadito (a tal proposito, l'Adunanza fa riferimento ad un autentico "diritto vivente"), vi è solo una ipotesi in cui è esplicitamente consentito ex lege allo Stato di sostituirsi alla Regione nella gestione del vincolo con scelte tecnico discrezionali prevalenti rispetto a quelle locali.

Si tratta:

a) del caso in cui la Regione non abbia tempestivamente esaminato la domanda presentatale dal privato richiedente (art.82 comma 9°, terzo periodo del d.p.r. n.616 del 1977, oggi art.151 comma 5° del testo unico n.490 del 1999);

b) del caso in cui le opere da eseguirsi siano commissionate da Amministrazioni Statali (art.82 comma 10°, del d.p.r. n.616 del 1977, oggi art.156 del ridetto t.u.).

Sono considerazioni sulla scorta delle quali i giudici di Palazzo Spada finiscono col dichiarare manifestamente inammissibile la questione di costituzionalità sollevata (per presunta violazione degli articoli 3 comma 1°, 9 comma 2°, 97 e 118 Cost.) dalla Difesa pubblica lagnatasi, in particolare, della eccessiva esiguità dei poteri residuati in materia allo Stato, pur a fronte della (da più parti) riconosciuta necessità di pienamente valorizzare e salvaguardare valori collocantisi nelle più elevate sfere presidiate dalla Grundnorm.

L'Adunanza, nel far rilevare la ragionevolezza dell'esercizio discrezionale del potere da parte del legislatore nel caso di specie, evidenzia come all'Autorità statale, pur impossibilitata a sostituirsi a quella locale delegata (o sub-delegata) nella gestione del vincolo paesistico ("merito"), sia pur sempre residuato un potere di annullamento (per motivi di legittimità) dell'atto di autorizzazione rilasciato in sede territoriale.

Né potrebbe, sempre nell'ottica abbracciata dalla Plenaria, invocarsi una presunta irragionevolezza della disciplina in rapporto a quanto - sempre in tema di gestione del vincolo - il legislatore ha previsto con riguardo ai casi in cui l'interesse ambientale e paesaggistico confluisca nel bacino decisionale di una conferenza di servizi (art.14-quater comma 3° della legge n.241 del 1990, come modificato dalla legge n.340 del 2000; art.20, comma 6° primo periodo del testo unico in materia edilizia, n.380 del 2001, che richiama proprio il menzionato art.14).

In questa ultima eventualità infatti, a tacer d'altro, l'interesse alla cui tutela il vincolo paesistico è preordinato concorre, quanto a relativo vaglio, con altri interessi pubblici concomitanti, configurando una ponderazione contestuale che, nella eventualità patologica, non implica una sovrapposizione ex se e definitiva del dissenso di un'Autorità alle valutazioni eventualmente difformi dell'Autorità competente in prima battuta, ma esita in una determinazione rimessa al Consiglio dei Ministri.

Nel caso previsto e disciplinato dall'art.82 comma 9° del d.p.r. 616/77 è invece l'interesse paesistico l'unico protagonista: la relativa salvaguardia è oggetto di una cogestione statale-locale che è espressione, a livello di tutela del territorio nel relativo profilo ambientale e paesaggistico, di quel principio (già rammentato) di leale collaborazione che deve presidiare i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le altre autonomie locali.

La conclusione cui l'Adunanza perviene è dunque quella di ritenere il Ministero (o l'Autorità statale periferica) competente a decidere l'"an", ovvero autorizzata a deliberare se l'autorizzazione paesistica rilasciata in sede locale possa mantenersi in vita, anche, se del caso, sulla base di motivazioni diverse da quelle additate dalla Regione, stante la riscontrata, sostanziale compatibilità dell'episodio costruttivo col vincolo di riferimento.

Pur non potendo sostituirsi all'autorità delegata (o sub-delegata) nelle valutazioni tecnico discrezionali che presiedono all'assentimento della costruzione, ove parametrata ai valori paesistici oggetto di specifica salvaguardia, la stessa Amministrazione statale potrà nondimeno annullare l'erogato titolo edilizio sulla base di ogni riscontrato vizio di legittimità nel contesto del medesimo - ivi compreso l'eccesso di potere, su qualunque latitudine atteggiantesi - non dovendosi ritenere vincolato (come invece accade al giudice amministrativo) dalla sussistenza di specifici motivi di impugnazione.

E' sulla scorta di tutte le predette considerazioni che la Plenaria passa a scandagliare i motivi dichiarati assorbiti dal Tar di Brescia in prime cure in base alla ritenuta intempestività del provvedimento di annullamento ministeriale, viceversa giudicato "in termini" dalla VI Sezione del Consiglio.

Proprio la acclarata impossibilità per l'Amministrazione statale, in sede di annullabilità del decreto autorizzativo - nel caso di specie riconducibile ad una Autorità sub-delegata (Comune di Gardone Riviera) - di sostituire con proprie valutazioni tecnico-discrezionali quanto valutativamente ritenuto dall'organo locale cui è affidata la gestione territoriale del vincolo paesistico offre al Supremo Consesso Amministrativo il destro per accogliere tali motivi assorbiti, fondantisi proprio su di una presunta, illegittima sostituzione dello Stato all'Autorità locale nella concreta valutazione di compatibilità ambientale del progetto costruttivo nel caso di specie.

Il decreto di annullamento già demolito in prime cure si mostra alla Plenaria, in specie, apodittico nel relativo impianto motivazionale, laddove ritiene contrastante con i valori paesaggistici sottesi al contesto panoramico del Garda una autorizzazione paesistica in relazione alla quale non si riscontrerebbero, al contrario, specifici e concreti vizi capaci di infrangere il principio cardine della leale cooperazione tra Autorità centrali ed autorità locali, quanto a migliore gestione degli interessi collettivi considerati.

L'indebita sostituzione ridetta implica che la sentenza del Tar impugnata, errata nella motivazione (avendo ritenuto tardivo l'annullamento riconducibile alla locale Soprintendenza perché notificato, e non già adottato, oltre i canonici 60 giorni), sia corretta nel relativo dispositivo di annullamento, con conseguente conferma dello stesso da parte dell'Adunanza Plenaria e pieno accoglimento della domanda di tutela giurisdizionale avanzata dalla parte privata anelante ad aedificandum.

3. Spunti di riflessione.

Al di là della peculiare funzione dottamente affidata, sul crinale ermeneutico, al criterio storico, con peculiare valorizzazione dei c.d. "lavori preparatori", colpiscono in sede di prima lettura della pronuncia in rassegna (che pure sollecita ben più feconde delucidazioni concettuali), due considerata ed un'assimilazione.

3.1 Prendendo le mosse dai considerata, è in primis indubitabile come l'Adunanza si ponga perfettamente in linea con l'attuale stagione della c.d. "devolution", protagonista della quale - oltre ovviamente, e più o meno a sproposito, l'opinione pubblica - si è mostrato di recente lo stesso legislatore costituzionale, in sede di gestazione della legge cost. n.3 del 2001.

Attraverso tale provvedimento si è provveduto ad affidare direttamente alle Autorità locali - ed in particolare ai Comuni, quali enti autonomi naturaliter viciniori al cittadino - il concreto espletamento di precise funzioni amministrative, configurando ad un tempo l'intervento delle autorità (anche territorialmente) sovraordinate come meramente eventuale e conseguente alla deprecabile inerzia degli organi additati quali primi attributari del perseguimento di determinati interessi pubblici.

Bypassando talune contraddizioni già segnalate dalla più attenta dottrina con riguardo alla novella costituzionale menzionata, resta il fatto che, con la pronuncia in chiosa, l'Adunanza pare perfettamente allinearsi alla tendenza, di origine e derivazione sopranazionale, intesa a responsabilizzare le autorità amministrative più vicine agli interessi collettivi da gestire, evitando indebiti esautoramenti ad opera di organi centrali e, segnatamente, ad opera di Autorità statali.

Che l'autorizzazione paesistica sia ager regionale o sub-regionale, non invadibile dall'amministrazione centrale se non per illegittimità conclamata (pur nelle "larghe maglie" garantite dall'eccesso di potere), ed esclusa qualsivoglia valutazione di merito con riguardo alla ponderazione tecnico discrezionale di compatibilità del preventivato intervento edilizio con i valori ambientali e paesaggistici di zona, è argumentum idoneo a rappresentare un ulteriore tassello del mosaico inteso a vieppiù scolpire una indefettibile vicinitas tra chi è chiamato a garantire il rispetto ed il perseguimento dei valori collettivi e chi, di quei valori, è chiamato a concretamente fruire.

Una sussidiarietà incalzante dunque, che trova due autorevolissimi referenti - mutatis mutandis quanto a rispettive funzioni ordinamentali - nel legislatore costituzionale da un lato, e nella suprema istanza di giustizia amministrativa dall'altro (cfr., per un esplicito richiamo, il punto 4 della motivazione in diritto), sotto l'egida di un principio che, rispetto ad entrambi, sembra calare dall'alto del compendio sopranazionale (cfr. art. 5, già art. 3B, del Trattato, secondo il cui secondo comma "nei settori che non sono di sua esclusiva competenza la Comunità interviene, secondo il principio della sussidiarietà, soltanto se e nella misura in cui gli obiettivi dell'azione prevista non possano essere sufficientemente realizzati dagli Stati membri e possono quindi, a motivo della dimensione e degli effetti dell'azione in questione, essere realizzati meglio a livello comunitario").

3.2. Trascorrendo da una considerazione pubblicistica ad una all'apparenza (e tuttavia, come si vuol proprio qui evidenziare, solo prima facie) maggiormente ancorata a schemi privatistici, frequente è il richiamo operato dall'Adunanza al principio di leale cooperazione tra diverse pubbliche Autorità, e in specie tra quelle esponenziali della collettività, rispettivamente, nazionale e regionale.

Si tratta di un postulato recentemente a più riprese fatto oggetto di specifici richiami in talune pronunce della Corte Costituzionale, ed attraverso il quale si manifesta ancora una volta la trasversalità ordinamentale di un canone di comportamento - quello della correttezza e buona fede oggettivamente intesa - il cui tradizionale terreno di elezione è senz'altro il diritto dei privati, ma che di recente pare inaspettatamente attecchire anche con riguardo a fattispecie più tradizionalmente "pubblicistiche".

Se questo vale soprattutto in riferimento a quel peculiare rapporto che si instaura in seno al procedimento amministrativo tra autorità titolare del potere pubblico e cittadino istante (non può pretermettersi, in proposito, un rinvio alla innovativa pronuncia della V Sezione del Consiglio di Stato n.4239 del 2001 ed alla connessa esaltazione del c.d. "contatto sociale" che proprio il procedimento è idoneo ad instaurare ed al cui dipanarsi paiono presiedere, massime, proprio le regole sul contegno ispirato a correttezza e buona fede di cui agli articoli 1337 e 1375 c.c.: sulla relativa forza iconoclasta chi scrive si soffermerà ex professo altrove), non ne mancano ormai significativi punti di emersione anche in relazione a rapporti che si instaurano tra diversi plessi della pubblica amministrazione.

Nel caso di specie - emblematico in proposito - una delle ipotesi in cui l'autorità statale può pervenire ad un annullamento dell'autorizzazione paesistica rilasciata dall'organo delegato (Regione) o, come nell'ipotesi di cui alla decisione in chiosa, sub-delegato (Comune), è quella dell'eccesso di potere sub specie proprio di violazione del principio di leale collaborazione tra Stato e regione, ravvisabile in particolare nelle eventualità in cui la Regione abbia pretermessa una seria valutazione degli interessi nazionali connessi alla tutela delle bellezze paesistiche.

La particolare vitalità del principio di buona fede e di correttezza comportamentale meraviglia non tanto (e non solo) perché viene da lontano - è sufficiente por mente in proposito alla omologa exceptio che, corrigendi iuris civilis gratia, consentiva al pretor romanus, con riguardo a determinati rapporti, di elasticizzare la durezza dei principi connotanti il più antico diritto dei cives - quanto per la circostanza onde la relativa emersione si avvale di uno strumentario ormai del pari "antico" (quell'eccesso di potere aggiustato alla bisogna), viaggiando di pari passo con la progressiva contrattualizzazione del diritto amministrativo, sempre meno autoritativo e sempre più "concertato", non solo tra privato e p.a., ma anche tra diversi organi ed enti della pubblica amministrazione.

Ed allora non è forse un caso se nelle pronuncia all'esame viene chiamato in causa l'istituto della conferenza di servizi, pluriatteggiato dal legislatore nel corso del decennio che è seguito alla sua comparsa ufficiale nell'universo giuridico (attraverso l'art.14 della legge 241/90) ed ulteriore, indiscusso emblema della concertazione tra poteri.

Spingendosi oltre, appare altresì meno singolare di quanto potrebbe ritenersi a prima vista il fatto che il Collegio parli dell'inerzia dell'Autorità statale, già resa destinataria di una autorizzazione paesistica adottata dalla Regione, come di "silenzio-consenso", richiamando in qualche modo quel "negozio rifiutabile" cristallizzato nell'art.1333 del codice civile e che tanto ha agitato la dottrina e la giurisprudenza quanto a relativa riconducibilità al novero dei contratti (come pure suggerirebbe la relativa connotazione sistematica) ovvero a quello degli atti unilaterali impegnativi (come invece pare sottintendere la affatto peculiare morfologia strutturale).

Di vero c'è al momento, la inarrestabile marcia di avvicinamento del diritto amministrativo (specie sostanziale) a quello civile: una marcia che, se non potrà condurre alla (da taluno auspicata) completa assimilazione dei due settori ordinamentali, senz'altro consentirà di via via meglio mettere a fuoco i principi cardine del sistema, ai quali tanto l'uno che l'altro vanno periodicamente ad abbeverarsi.

Del resto, e senza voler evocare simmetrie bizantine, resta ferma la riconducibilità anche del principio di leale collaborazione (e quello, connesso e più tradizionale, di trasparenza, correttezza e buona fede comportamentale) al diritto comunitario e a quell'art.10 (già art.5) del Trattato sul fondamento del quale gli Stati membri non solo hanno l'obbligo di adottare ".tutte le misure di carattere generale e particolare atte ad assicurare l'esecuzione degli obblighi." derivanti dal Trattato medesimo ovvero determinati dagli atti c.d. "derivati" (vale a dire, promananti dalle Istituzioni comunitarie), nonché di facilitare la Comunità nell'adempimento dei proprio compiti (comma 1°); ma hanno altresì il dovere di astenersi da qualsiasi misura che rischi di compromettere la realizzazione degli scopi cristallizzati nel Trattato stesso.

Un accostamento - alla luce di quanto testè rilevato - ancor più suggestivo se si pone mente alla circostanza onde si tratta di un dovere di leale cooperazione che coinvolge, nei relativi rapporti, le autorità pubbliche per eccellenza, ovvero gli Stati membri.

3.3 Da ultimo, la programmata e, inutile negarlo, provocatoria assimilazione.

Essa coinvolge da un lato l'Autorità amministrativa statale, e dall'altro il giudice amministrativo; in sede di cogestione del vincolo paesistico, in effetti, lo Stato si atteggia - in regime di "post-gestione" - a "giudice amministrativo" della legittima salvaguardia del bene paesaggistico, siccome "ante-gestito" dall'amministrazione di volta in volta delegata (ovvero sub-delegata).

In un momento di evidente recessività dei ricorsi amministrativi, e di quello gerarchico in particolare, una inattesa quanto sottile rivitalizzazione dell'amministrazione "contenziosa", in un quadro nel quale pare delinearsi una sorta di procedimento giustiziale attivato ex lege ed ex officio che, se non si trattasse di tener fede ad indubbie connotazioni soggettive dell'organo "decidente" (il quale rimane indubbiamente "pubblica amministrazione"), si sarebbe portati a collocare - anche sulla scorta dell'osservazione dell'Adunanza relativa alla insussistenza dei vincoli decisori notoriamente derivanti dai motivi di ricorso - nella casella sistematica della giurisdizione "oggettiva".

Potenza dei "corsi e ricorsi giuridici".

 

N. 9/2001 REG.DEC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

L'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato in sede giurisdizionale,ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello n. 508 del 2001 (n. 8 del 2001 del ruolo dell'Ad. Plen.), proposto dal Ministero per i beni e le attività culturali, in persona del Ministro pro tempore, e dalla Soprintendenza dei beni ambientali e architettonici di Brescia, in persona del Soprintendente pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici sono domiciliati in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12,

contro

i signori Italo Pollini, Giuseppe Righetti, Fedele Pollini e Jole De Monti, rappresentati e difesi dagli avvocati Giacomo Bonelli ed Enrico Romanelli ed elettivamente domiciliati in Roma, alla via Cosseria n. 5, presso lo studio dell'avvocato Enrico Romanelli,

e nei confronti

del Comune di Gardone Riviera, in persona del Sindaco pro tempore, non costituitosi in giudizio,

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, Sezione di Brescia, 18 ottobre 2000, n. 811, e per la reiezione del ricorso di primo grado n. 1524 del 1999;

Visto il ricorso in appello, con i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio degli appellati, depositato in data 25 gennaio 2001;

Vista l'ordinanza della Sez. VI, 30 gennaio 2001, n. 707, con cui è stata accolta la domanda incidentale dell'appellante ed è stata sospesa l'esecutività della sentenza impugnata;

Vista la decisione della Sez. VI, 4 settembre 2001, n. 4439, con cui è stato in parte accolto l'appello ed è stata rimessa per le altre parti la decisione all'Adunanza Plenaria;

Viste le memorie depositate dagli appellati in data 25 gennaio 2001 e 12 ottobre 2001;

Visti gli atti tutti del giudizio;

Udita la relazione del Consigliere di Stato Luigi Maruotti all'udienza del 29 ottobre 2001;

Uditi l'avvocato dello Stato Giuseppe Fiengo per il Ministero per i beni e le attività culturali e l'avvocato Enrico Romanelli per gli appellati;

Considerato in fatto e in diritto quanto segue:

FATTO

1. I signori Italo Pollini, Giuseppe Righetti, Fedele Pollini e Jole De Monti hanno chiesto al Comune di Gardone Riviera il rilascio dell'autorizzazione a realizzare alcuni edifici residenziali su aree sottoposte al vincolo paesistico.

Il responsabile dell'Ufficio tecnico comunale ha accolto l'istanza col provvedimento n. 608 del 12 agosto 1999, che è stato annullato dalla Soprintendenza dei beni ambientali e architettonici di Brescia, col provvedimento n. 12436 dell'11 ottobre 1999.

2. Col ricorso n. 1524 del 1999, proposto al TAR per la Lombardia, Sezione di Brescia, i signori sopra indicati hanno impugnato il provvedimento della Soprintendenza, lamentando che esso è stato notificato oltre la scadenza del termine di sessanta giorni, previsto dall'art. 82 del decreto legislativo 24 luglio 1977, n. 616, e deducendo altri profili di illegittimità.

Il TAR, con la sentenza n. 811 del 2000, ha accolto il motivo concernente la tardività della notifica ed ha annullato il provvedimento statale di annullamento dell'autorizzazione comunale.

3. Con l'appello n. 508 n. 2001, il Ministero per i beni e le attività culturali ha impugnato la sentenza ed ha chiesto che, in sua riforma, sia respinto il ricorso di primo grado.

Gli appellati si sono costituiti in giudizio ed hanno chiesto che il gravame sia respinto, perché infondato.

Con l'ordinanza 30 gennaio 2001, n. 707, la Sezione Sesta ha accolto la domanda incidentale dell'appellante ed ha sospeso l'esecutività della sentenza impugnata.

Con la decisione 4 settembre 2001, n. 4439, la Sezione Sesta:

a) ha accolto il motivo d'appello sulla irrilevanza della notifica dell'atto statale di annullamento dopo il termine di sessanta giorni, poiché l'articolo 82 del decreto legislativo n. 616 del 1977 ha disposto che entro tale termine sia emanato il provvedimento, e non anche che sia notificato;

b) è passata all'esame del secondo, del terzo e del quarto motivo del ricorso di primo grado (assorbiti dal TAR e riproposti dagli appellati);

c) ha sottoposto alle valutazioni dell'Adunanza Plenaria la questione se il Ministero per i beni e le attività culturali (nell'esercizio dei poteri previsti dall'articolo 82, nono comma, del decreto legislativo n. 616 de 1977) possa solo valutare gli aspetti della legittimità dell'autorizzazione ovvero se possa anche esercitare un «sindacato esteso al merito delle scelte paesistico-ambientali».

4. Con una memoria depositata in data 12 ottobre 2001, che ha richiamato i precedenti scritti difensivi, gli appellati hanno negato che lo Stato possa esercitare un controllo di merito sulle autorizzazioni paesistiche ed hanno chiesto l'accoglimento delle loro censure formulate in primo grado.

Con una memoria di data 14 ottobre 2001, il Ministero per i beni e le attività culturali ha chiesto che l'art. 82, nono comma, del decreto legislativo n. 616 del 1977 sia interpretato nel senso che consente un controllo statale di merito sulle autorizzazioni paesistiche e, in subordine, ha dedotto l'incostituzionalità del medesimo art. 82 per contrasto con l'art. 9 Cost, ove esso vada interpretato nel senso della insussistenza di tale potere.

5. All'udienza del 29 ottobre 2001 le parti hanno insistito nelle loro deduzioni e la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Gli appellati hanno chiesto al Comune di Gardone Riviera il rilascio dell'autorizzazione paesistica per realizzare alcuni edifici residenziali su un'area contermine al lago di Garda, sottoposta al vincolo col decreto del Ministro per la pubblica istruzione di data 6 febbraio 1959 e rientrante nell'ambito delle categorie disciplinate dal quinto comma dell'articolo 82 del decreto legislativo 24 luglio 1977, n. 616 (come modificato dal decreto legge 27 giugno 1985, n. 312, convertito nella legge 8 agosto 1985, n. 431).

Una prima autorizzazione comunale di data 6 maggio 1999 è stata annullata dalla Soprintendenza dei beni ambientali e architettonici di Brescia, col decreto n. 8291 del 9 luglio 1999, che non è stato impugnato.

A seguito dell'annullamento statale, in data 20 luglio 1999 gli appellati hanno reiterato l'istanza di autorizzazione, presentando un progetto parzialmente diverso da quello precedente (in relazione alla tavola 4 e alla sistemazione arborea).

La seconda istanza è stata accolta dal responsabile dell'Ufficio tecnico comunale col provvedimento n. 608 del 12 agosto 1999, che a sua volta è stato annullato dalla Soprintendenza, col provvedimento n. 12436 dell'11 ottobre 1999, impugnato in primo grado.

In accoglimento del primo motivo del ricorso degli appellati, la sentenza impugnata del TAR per la Lombardia, Sezione di Brescia, ha annullato il provvedimento statale dell'11 ottobre 1999, rilevando la violazione del termine di sessanta giorni previsto dal nono comma dell'art. 82 del decreto legislativo n. 616 del 1977, in quanto l'atto è stato notificato oltre la sua scadenza.

Con la decisione n. 4439 del 2001, la Sezione Sesta ha accolto l'appello principale del Ministero per i beni culturali ed ambientali (poiché la notifica del tempestivo atto statale di annullamento può avere luogo anche dopo la scadenza del termine di sessanta giorni) ed è passata all'esame dell'appello incidentale, che ha richiamato le censure di primo grado, assorbite dal TAR.

Al riguardo, la Sezione Sesta:

- ha sottoposto alla valutazione dell'Adunanza Plenaria la questione se il Ministero (nell'esercizio dei poteri previsti dall'articolo 82, nono comma, del decreto legislativo n. 616 del 1977) possa valutare gli aspetti della sola legittimità dell'autorizzazione paesistica ovvero se possa anche esercitare un «sindacato esteso al merito delle scelte paesistico-ambientali»;

- ha evidenziato che, per la costante giurisprudenza, il Ministero può annullare l'autorizzazione paesistica quando essa risulti illegittima anche per qualsiasi profilo di eccesso di potere;

- ha richiamato i principi affermati dalla Corte Costituzionale sulla tutela dell'ambiente e del paesaggio e sulla contitolarità di poteri dello Stato e delle Regioni;

- ha sottolineato come da tali principi e dall'espressione «in ogni caso» (contenuta nel nono comma dell'art. 82) possono trarsi argomenti per affermare che al Ministero sono consentite «valutazioni di merito in ordine alle scelte ambientaliste» effettuate in sede di rilascio dell'autorizzazione paesistica;

- ha sollecitato una complessiva rimeditazione sulla rilevanza dei principi di rango costituzionale ed ordinario nella materia paesistica, per determinare l'ambito dei reciproci rapporti tra i poteri dello Stato e quelli della Regione in sede di rilascio della autorizzazione.

2. La questione di massima sollevata dalla Sesta Sezione riguarda dunque il quarto periodo del nono comma dell'art. 82 del decreto legislativo n. 616 del 1977 (come modificato dalla legge 8 agosto 1985, n. 431, e trasfuso, senza modificazioni, nell'art. 151, comma 4, secondo periodo, del testo unico n. 490 del 1999), per il quale «il Ministero può in ogni caso annullare, con provvedimento motivato, l'autorizzazione regionale entro i sessanta giorni successivi alla ricezione della relativa documentazione».

Ritiene l'Adunanza Plenaria che vada ribadita la consolidata giurisprudenza di questo Consiglio sulla sussistenza del potere del Ministero di annullare l'autorizzazione regionale affetta da qualsiasi vizio di legittimità (e non anche «per ragioni di merito»), sulla base delle seguenti considerazioni concernenti:

a) l'evoluzione della normativa paesistica sui poteri dello Stato e delle Regioni;

b) l'esame dei lavori parlamentari che hanno condotto all'approvazione della legge n. 431 del 1985, di conversione, con modificazioni, del decreto legge n. 312 del 1985;

c) la natura del potere esercitabile dal Ministero, l'ambito dei vizi per i quali può essere annullata l'autorizzazione e i dati testuali dell'art. 82.

3. La legge 29 giugno 1939, n. 1497, ha attribuito ampi poteri per la «protezione delle bellezze naturali» al Ministero dell'educazione nazionale (cui sono succeduti nel corso del tempo il Ministero della pubblica istruzione, il Ministero per i beni culturali ed ambientali e il Ministero per i beni e le attività culturali).

Perfezionando la originaria normativa posta a tutela di «ville, parchi e giardini di interesse storico e artistico» e delle «bellezze artistiche e panoramiche» (v. le leggi 23 giugno 1912, n. 688, e 11 giugno 1922, n. 778), la legge n. 1497 del 1939:

a) ha tutelato, all'art. 1, quattro tipologie di bellezze naturali (riconducibili alle «bellezze di insieme» e alle «bellezze individue», in relazione al procedimento per l'imposizione del vincolo paesistico);

b) ha qualificato tali beni di «notevole interesse pubblico», nel senso che si tratta di beni di «uso controllato» in ragione della loro protezione e della titolarità di interessi della collettività nazionale;

c) ha attribuito al Ministero i poteri di determinare in concreto i beni da sottoporre al vincolo (artt. 2 e ss.), di approvare i piani paesistici per evitare che le «bellezze di insieme» siano «utilizzate in modo pregiudizievole alla bellezza panoramica» (art. 5), di autorizzare o meno la realizzazione di opere tali da distruggere o modificare l'aspetto dell'area vincolata (art. 7), di reprimere i relativi abusi (artt. 14 e 15).

Per la salvaguardia dei valori paesistici e per consentire alle successive generazioni la loro fruibilità, la legge fondamentale ha attribuito all'amministrazione statale il potere di sottoporre determinati beni ad un peculiare regime giuridico, di controllare il rispetto del vincolo e di gestire uno specifico ius in rem in sede di esame della domanda di autorizzazione prevista dall'art. 7 (definita anche come «nulla osta» o «parere» o «favorevole avviso»: art. 25 del r.d. n. 1357 del 1940), avente natura concessoria (art. 82, secondo comma, del decreto legislativo n. 616 del 1977) e di licenza (come già disposto dalla legge n. 788 del 1922), in considerazione dei 'poteri di ingerenza' basati su giudizi di valore e valutazioni tecnico-discrezionali, in quanto tali insindacabili nella sede giurisdizionale di legittimità.

4. Sotto il profilo dei valori coinvolti, l'art. 9 della Costituzione ha disposto che la tutela del paesaggio rientra nell'ambito dei principi fondamentali della Repubblica.

Come si evince anche dai lavori dell'Assemblea Costituente, si è così ampliato il novero delle aree sottoponibili alla protezione ambientale, non limitate alle sole bellezze naturali, ma estese al paesaggio nel suo complesso, e cioè alla parte del territorio che il legislatore (con norme impositive del vincolo o per il tramite di atti amministrativi) ritenga meritevole di particolare protezione per ragioni di ordine ambientale, ecologico o culturale.

Mentre la prima sottocommissione ancora si riferiva alla «protezione dello Stato» per «i monumenti artistici, storici e naturali, in qualsiasi parte del territorio della Repubblica e a chiunque appartengano» (con ciò riferendosi ai caratteri naturali di rilievo monumentale), già il comitato di redazione aveva poi proposto il testo dell'art. 27 (composto da un primo simile periodo, riguardante «i monumenti artistici e storici», e da un secondo periodo, per il quale «compete allo Stato anche la tutela del paesaggio») con l'abbandono del criterio monumentale.

Nel corso dei lavori della seduta plenaria del 30 aprile 1947, riguardanti l'art. 29, allo scopo (segnalato dai vari oratori) di evidenziare come il paesaggio fosse «d'importanza non solamente nazionale, ma mondiale», è stato infine accolto l'emendamento per il quale «il patrimonio artistico e storico della Nazione è sotto la tutela della Repubblica» e «compete allo Stato anche la tutela del paesaggio».

In sede di coordinamento finale, l'art. 9 della Costituzione (il cui primo comma ha disposto che «la Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica») al secondo comma è stato formulato nel senso che la Repubblica «tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione».

La Costituzione in tal modo ha consentito la protezione non solo dei beni rientranti nel novero delle bellezze naturali e determinati in concreto in sede amministrativa nell'ambito delle categorie indicate dalla legge e originariamente di interesse pubblico (Corte Cost., 29 maggio 1968, n. 56), ma anche delle aree del territorio nazionale determinate dalla legge 'per categoria' (Corte Cost., 8 maggio 1998, ord. n. 158; 23 luglio 1997, n. 262; 3 ottobre 1990, n. 430; 20 luglio 1990, n. 344; 27 giugno 1986, n. 151) e ritenute meritevoli di particolare protezione dal legislatore, a seconda dei casi, col divieto assoluto di interventi modificativi ovvero con la subordinazione di ogni modifica alla prescritta autorizzazione.

Anche al fine di determinare l'ambito della tutela disposta con la legge n. 431 del 1985 (di seguito trattata), rilevano in materia i principi più volte enunciati dalla Corte Costituzionale, per la quale:

- «la tutela del paesaggio è compito della Repubblica e quindi in primo luogo dello Stato» (Corte Cost., 27 luglio 2000, n. 378), che ben può delegare le relative funzioni amministrative alle Regioni (Corte Cost., 29 dicembre 1982, n. 239);

- le esigenze di tutela del paesaggio si pongono quale «valore di straordinario rilievo» (Corte Cost., 1° aprile 1985, n. 94), primario ed insuscettibile di essere subordinato a qualsiasi altro (Corte Cost., 23 luglio 1997, n. 262; 18 ottobre 1996, n. 341; 28 luglio 1995, n. 417; 20 febbraio 1995, n. 46; 24 febbraio 1992, n. 67; 9 dicembre 1991, n. 437; 11 luglio 1989, n. 391; 27 giugno 1986, n. 151; 21 dicembre 1985, n. 359);

- la tutela del paesaggio «va intesa nel senso lato della tutela ecologica» (Corte Cost., 3 ottobre 1990, n. 430) e della «conservazione dell'ambiente» (Corte Cost., 11 luglio 1989, n. 391), ha «una strettissima contiguità con la protezione della natura, in quanto contrassegnata da interessi estetico-culturali», ed è «basata primariamente sugli interessi ecologici e quindi sulla difesa dell'ambiente come bene unitario, pur se composto da molteplici aspetti rilevanti per la vita naturale e umana» (Corte Cost., 15 novembre 1988, n. 1029) e per la salute (Corte Cost., 3 giugno 1989, n. 391);

- l'imposizione in concreto del vincolo paesistico «contribuisce alla salvaguardia dell'ambiente e del paesaggio» (Corte Cost., 21 novembre 1997, n. 345) e ne evita le alterazioni (Corte Cost., 22 ottobre 1996, n. 355);

- in sintesi, l'art. 9 della Costituzione «tutela il paesaggio-ambiente, come espressione di principio fondamentale dell'ambito territoriale in cui si svolge la vita dell'uomo e si sviluppa la persona umana» (Corte Cost., 27 luglio 2000, n. 378; 1° aprile 1998, n. 85).

Sotto tale profilo, va rimarcato che, sia pure in un quadro normativo mutevole, il legislatore ordinario ha attuato i principi costituzionali con regole univoche e consolidatesi per la determinazione dei concetti di ambiente e di paesaggio:

a) la legge 8 luglio 1986, n. 349, ha considerato l'ambiente «un bene immateriale unitario sebbene a varie componenti, ciascuna delle quali può anche costituire, isolatamente e separatamente, oggetto di cura e di tutela ma tutte, nell'insieme, sono riconducibili ad unità» (Corte Cost. 30 dicembre 1987, n. 641; 28 maggio 1987, n. 210), sicché vi rientrano tutti gli aspetti, anche non strettamente naturalistici, concernenti le «condizioni ambientali» e la «qualità della vita» anche in ambito locale e in particolare la tutela del paesaggio, del suolo, delle acque e dell'aria e la gestione o la materiale modificazione del territorio (il che determina l'ambito di applicazione dei commi 1 e 5 dell'art. 18 della legge n. 349 del 1986);

b) la tutela del paesaggio (quale parte del territorio meritevole di particolare protezione, secondo le valutazioni del legislatore o, in concreto, dell'autorità amministrativa, in ragione dei valori naturali, culturali e archeologici) ai sensi dell'art. 9 Cost. comporta la titolarità delle funzioni statali e di interessi localmente non frazionabili, nei loro rapporti con le autonomie, cui possono essere attribuite competenze in ordine alla gestione del vincolo, in coerenza col principio di sussidiarietà.

La stretta connessione tra la tutela dell'ambiente e quella del paesaggio è stata ulteriormente rafforzata:

- dal Trattato istitutivo della Comunità europea (come modificato col Trattato di Amsterdam del 1999), che al titolo XVI e all'art. 130 R (sull'«ambiente») si riferisce alla «politica della Comunità in materia ambientale» (tendente agli obiettivi della «salvaguardia, tutela e miglioramento della qualità dell'ambiente», della «utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali», della prevenzione dei danni all'ambiente, in cooperazione con gli Stati membri) e all'art. 130 S prevede la competenza del Consiglio sulle «misure concernenti l'assetto territoriale» e la «destinazione dei suoli»;

- dal vigente art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione (come modificata dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3), che, in stretta connessione con l'art. 9, ha attribuito alla legislazione esclusiva dello Stato «la tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali» (con la possibilità di attribuire alle Regioni condizioni particolari di autonomia, come previsto dal novellato art. 116, terzo comma).

Dai principi suesposti emerge, dunque, che mediante la tutela del paesaggio e l'imposizione dei vincoli paesistici si salvaguarda l'ambiente (nel suo complesso tutelato dalle normative di settore concernenti l'uso globale del territorio), tanto che la legislazione ordinaria è oramai da tempo univocamente orientata nel senso di qualificare i beni sottoposti a vincolo paesistico come aree «di particolare interesse ambientale» (v. la stessa intitolazione del decreto legge n. 312 del 1985, convertito nella legge n. 431 del 1985, e dell'art. 82 del decreto legislativo n. 616 del 1977).

5. Sotto il profilo delle competenze, a parte le specifiche previsioni degli statuti delle Regioni a statuto speciale, anche dopo l'entrata in vigore della Costituzione i poteri previsti dalla legge fondamentale n. 1497 del 1939 sono stati esercitati dalle autorità statali e non sono stati decentrati agli enti locali.

Con l'istituzione delle Regioni a statuto ordinario e l'entrata in vigore dell'art. 1, ultimo comma, del decreto legislativo 15 gennaio 1972, n. 8, lo Stato ha trasferito alle Regioni il solo potere di approvazione dei piani paesistici (in considerazione della stretta connessione con i poteri di pianificazione urbanistica - contestualmente trasferiti -, per consentire una razionale programmazione ed evitare di far sorgere aspettative di modifica di aree meritevoli di protezione sotto il profilo paesistico).

Tutti gli altri poteri previsti dalla legge n. 1497 del 1939 (riguardanti la imposizione del vincolo paesistico, l'autorizzazione di opere sull'area vincolata, il controllo sulle attività, la vigilanza e la repressione degli abusi) sono rimasti nella titolarità dello Stato, con una scelta che la Corte Costituzionale (sent. 24 luglio 1972, n. 141) ha ritenuto consentita dalla netta distinzione sancita nella Costituzione in ordine alla tutela del paesaggio e alla materia dell'urbanistica (Corte Cost., 23 luglio 1997, n. 262; 28 luglio 1995, n. 417; 22 luglio 1987, n. 183; 27 giugno 1986, n. 152; 29 dicembre 1982, n. 239).

In base al sistema non modificato nel 1972, salve le autonomie speciali soltanto lo Stato era titolare del potere, tra gli altri, di accogliere o di respingere la domanda di autorizzazione paesistica, senza alcun margine di diverse valutazioni regionali o di enti locali territoriali.

6. In un'ottica di particolare valorizzazione e di responsabilizzazione delle Regioni a statuto ordinario, il primo comma dell'art. 82 del citato decreto legislativo n. 616 del 1977 ha delegato alle Regioni «le funzioni amministrative esercitate dagli organi centrali e periferici dello Stato per la protezione delle bellezze naturali per quanto attiene alla loro individuazione, alla loro tutela e alle relative sanzioni».

Il secondo comma ha in particolare delegato il potere di «individuazione delle bellezze naturali» (lett. a) e quello concernente «la concessione delle autorizzazioni o nulla osta per le loro modificazioni» (lett. b).

Lo Stato (oltre ai poteri di direttiva e di coordinamento previsti in generale dalla legge delega 22 luglio 1975, n. 382) ha mantenuto i poteri:

a) «di integrare gli elenchi delle bellezze naturali approvate dalla Regione» (secondo comma, lett. a);

b) di esprimere parere contrario alla revoca e alla modifica del vincolo disposto con «le notifiche di notevole interesse pubblico delle bellezze naturali e panoramiche» (terzo comma);

c) di «inibire lavori» o di «disporne la sospensione, quando essi rechino pregiudizio a beni qualificabili come bellezze naturali anche indipendentemente dalla loro inclusione negli elenchi» (quarto comma).

In base alle riportate disposizioni dell'art. 82, la materia del paesaggio è stata delegata alle Regioni, alcune delle quali (per quanto rileva il presente giudizio, v. anche l'art. 4 della legge della Regione Lombardia 9 giugno 1997, n. 18) hanno per lo più subdelegato ai Comuni il potere di rilasciare l'autorizzazione paesistica.

Pertanto, a seguito della riforma del 1977, in base ad una regola opposta a quella precedente:

- nel proprio territorio soltanto la Regione (ovvero l'ente subdelegato) poteva esercitare il potere di rilasciare l'autorizzazione paesistica, senza alcuna possibilità dello Stato di consentire la realizzazione delle opere;

- il Ministro, però, era titolare dell'incisivo potere interdittivo previsto in via generale dal quarto comma, e cioè del potere di «inibire lavori» e di «disporne la sospensione», quando, secondo la sua discrezionale valutazione, essi avessero recato «pregiudizio a beni qualificabili come bellezze naturali anche indipendentemente dalla loro inclusione negli elenchi».

In altri termini, nel sistema disegnato dal decreto legislativo n. 616 del 1977, lo Stato:

a) non poteva fare prevalere le sue valutazioni eventualmente favorevoli alla modifica dei luoghi, se la domanda di autorizzazione paesistica era respinta dall'autorità delegata o da quella subdelegata,

b) sulla base di proprie valutazioni tecnico-discrezionali, opposte a quelle dell'autorità delegata o subdelegata, poteva però impedire (in assenza di un limite temporale) la modifica dei luoghi anche nel caso di rilascio della autorizzazione, ad estrema difesa del vincolo per impedire ogni «pregiudizio» su aree già vincolate o ancora non vincolate, ma qualificabili come bellezze naturali.

Nella prassi, tale potere interdittivo riguardava anche lavori su aree già soggette al vincolo paesistico (v. anche Corte Cost., 21 dicembre 1985, n. 359, che si è pronunciata su un ricorso proposto contro un atto statale di data 20 giugno 1984) e comportava che, anche dopo la conclusione del procedimento col rilascio dell'autorizzazione paesistica, il Ministero poteva operare un giudizio 'di merito', contrario alla realizzazione di quanto autorizzato, per esigenze di salvaguardia dell'area protetta.

7. E' poi stato emanato il decreto legge n. 312 del 1985, convertito con modificazioni nella legge n. 431 del 1985, che ha profondamente innovato la normativa sostanziale a tutela dell'ambiente e del paesaggio e quella concernente la determinazione dei poteri statali e di quelli regionali.

7.1. Come è stato più volte sottolineato nel corso dei lavori parlamentari della legge n. 431 del 1985, il decreto legge n. 312 del 1985 ha inteso introdurre una «normativa ponte» e «non definitiva» (Corte Cost., 27 giugno 1986, n. 151) per due ragioni ben determinate, che hanno ispirato i redattori sia del decreto legge, sia dell'articolato finale della legge di conversione.

In primo luogo, nel corso dei lavori che hanno condotto alla approvazione della legge 28 febbraio 1985, n. 47, riguardante il condono degli abusi edilizi commessi entro il 1° ottobre 1983, il Governo e pressoché tutte le forze politiche avevano segnalato la necessità di introdurre rapidamente norme più efficaci sulla tutela dell'ambiente e del paesaggio.

In sede politica era infatti emersa la necessità di evitare il ripetersi delle «deturpazioni», che avevano notevolmente peggiorato la situazione già lucidamente rappresentata nei lavori finali della commissione istituita ai sensi della legge 26 aprile 1964, n. 310 [cfr. anche i riferimenti del relatore per l'VIII Commissione (Istruzione) all'emersione «dei dissesti determinati a danno del patrimonio naturale del nostro Paese»: p. 30045 del resoconto delle discussioni nella seduta del 24 luglio 1985 dell'Assemblea della Camera dei Deputati].

Come ha osservato al riguardo la Corte Costituzionale (31 marzo 1988, n. 369), «il legislatore, con la legge citata, ha inteso chiudere un passato d'illegalità di massa, alla quale aveva anche contribuito la non sempre perfetta efficienza delle competenti autorità amministrative ed ha mirato a porre 'sicure' basi normative per la repressione futura di fatti che violavano fondamentali esigenze sottese al governo del territorio, come . la funzione sociale della proprietà (art. 42, secondo comma, Cost.) la tutela del paesaggio e del patrimonio storico ed artistico (art. 9, secondo comma, Cost.)».

In secondo luogo, il TAR per il Lazio, con la sentenza 31 maggio 1985, n. 1548, aveva annullato l'art. 1 del decreto di data 21 settembre 1984 del sottosegretario di Stato del Ministero per i beni culturali ed ambientali (per la parte in cui esso aveva sottoposto al vincolo paesistico una serie di zone e di località individuate ed elencate per categorie, riconducibili all'intero territorio nazionale), in ragione del suo contrasto col principio di legalità.

7.2. Al dichiarato scopo di introdurre con una norma di rango legislativo i vincoli di salvaguardia imposti con l'art. 1 del decreto annullato in sede giurisdizionale, l'art. 1, comma 1, del decreto legge n. 312 del 1985 sotto il profilo sostanziale ha sottoposto al vincolo paesistico (non assoluto) i «beni e luoghi» elencati dalla lettera a) alla lettera l).

Rispetto alla tutela dei singoli beni vincolati con gli atti previsti dalla legge n. 1497 del 1939, la legge di conversione n. 431 del 1985 ha introdotto «una tutela del paesaggio improntata a integralità e globalità» ed ha spostato «l'accento dalle bellezze naturali, intese come dimensione (solo) estetica del territorio, al bene ambientale come bene culturale, con ciò riconoscendo valore estetico-culturale a vaste porzioni del territorio nazionale» (Corte Cost., 8 maggio 1998, ord. n. 158; 28 luglio 1995, n. 417; 24 luglio 1986, n. 151).

La legge ha sottoposto al vincolo paesistico le categorie di beni ambientali e culturali ivi determinate (ed elencate dal quinto comma del novellato art. 82 del decreto legislativo n. 616 del 1977) ed ha significativamente ampliato l'ambito delle aree sottoposte al vincolo, prevedendo una normativa non modificabile dalle Regioni (Corte Cost. 22 luglio 1996, n. 270) e una «protezione minimale, che non esclude né preclude normative regionali di maggiore o pari efficienza» (Corte Cost., 7 novembre 1994, n. 379; 13 luglio 1990, n. 327; 27 giugno 1986, n. 151), che contengano «imposizioni anche immediatamente vincolanti a difesa dei valori paesistici ed ambientali» (Corte Cost. 27 luglio 2000, n. 378), del resto anche tutelabili con leggi regionali di carattere urbanistico (Corte Cost., 29 dicembre 1982, n. 239).

Per rafforzare la tutela delle aree vincolate dalla legge n. 431 del 1985, l'art. 1 sexies (trasfuso nell'art. 163, comma 1, del testo unico n. 490 del 1999) ha disciplinato una specifica figura di reato, per i casi di esecuzione di «lavori di qualsiasi genere» «senza la prescritta autorizzazione o in difformità da essa» (tranne quelli previsti dal dodicesimo comma del novellato art. 82), così prevedendo, anche ai fini dell'applicabilità dell'art. 5 del codice penale, un sistema nel quale sussistono particolari doveri di diligenza e di informazione per l'interessato, in relazione alle condotte vietate ed al momento della produzione degli effetti del titolo abilitativo (Cass. pen., Sez. III, 7 marzo 1997, Arcucci).

7.3. Quanto alle competenze, al comma 2, l'art. 1 del decreto legge n. 312 del 1985 aveva previsto che:

- «le funzioni di vigilanza e tutela sull'osservanza del vincolo di cui al comma 1 sono esercitate anche dagli organi del Ministero per i beni culturali e ambientali», e cioè in concorrenza con i poteri dell'autorità delegata (o subdelegata);

- solo gli organi del Ministero «provvedono altresì al rilascio del parere di cui all'articolo 7 della legge 29 giugno 1939, n. 1497».

Il decreto legge aveva dunque previsto la sostanziale abrogazione della lettera b) del secondo comma dell'art. 82 del decreto legislativo n. 616 del 1977, riattribuendo allo Stato il potere esclusivo di provvedere sulle domande volte ad ottenere l'autorizzazione paesistica.

7.4. A seguito dell'ampio dibattito svolto alla Camera dei Deputati nel corso dei lavori per la conversione del decreto legge, già nella seduta del 10 luglio 1985 il relatore della IX Commissione (lavori pubblici) aveva formulato osservazioni sull'opportunità di non fare esercitare soltanto dallo Stato il potere di esaminare le istanze di autorizzazione.

Al termine dei lavori della seduta, le Commissioni riunite VIII e IX hanno disposto la nomina di un comitato ristretto, che ha poi redatto il nuovo testo dell'art. 1, prevedendo l'aggiunta di otto commi agli originari quattro commi dell'art. 82 del decreto legislativo n. 616 del 1977: il nono comma del novellato art. 82 (non modificato nel corso dei successivi lavori parlamentari) ha ridisciplinato i rapporti tra i poteri statali e quelli regionali.

Nel suo testo finale, la legge n. 431 del 1985, da un lato, non ha modificato il quarto comma dell'art. 82 (specificamente riguardante le «bellezze naturali» e attributivo di un potere di veto, basato anche su considerazioni di merito: v. il precedente punto 6), e, dall'altro, ha inserito quattro periodi nel nono comma (ora trasfuso nei distinti commi 3, 4 e 5 dell'art. 151 del testo unico n. 490 del 1999):

- il primo ha attribuito alle Regioni il potere di esaminare la domanda di autorizzazione paesistica, entro il termine perentorio di sessanta giorni dalla richiesta dell'interessato;

- il secondo ha fissato l'obbligo delle Regioni di trasmettere immediatamente allo Stato la comunicazione del rilascio della autorizzazione e la relativa documentazione;

- il terzo ha attribuito allo Stato il potere di emanare l'autorizzazione paesistica, nel caso di inerzia della Regione;

- il quarto, già sopra riportato, ha disposto che lo Stato «può in ogni caso annullare, con provvedimento motivato, l'autorizzazione regionale entro i sessanta giorni successivi alla relativa comunicazione».

7.5. Contrariamente a quanto ha osservato il punto 3.4. della decisione di rimessione, il sistema della delega delle funzioni statali alle Regioni (introdotto col decreto legislativo n. 616 del 1977 e modificato con la legge n. 431 del 1985) è ancora attuale, poiché gli articoli 56 e 57 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, hanno riguardato il territorio e l'urbanistica e non hanno trasferito i compiti di tutela del paesaggio e dell'ambiente.

In primo luogo, la titolarità da parte dello Stato dei valori del paesaggio (più volte rimarcata anche dalla Corte Costituzionale in base all'art. 9 Cost.) comporta che la materia, pur se evolvesse nel senso della riduzione dei poteri statali, non potrebbe caratterizzarsi per il loro trasferimento (v. anche il vigente art. 117 Cost.).

In secondo luogo, i richiamati articoli 56 e 57 vanno interpretati tenendo conto delle complessive disposizioni del capo I della legge delega 15 marzo 1997, n. 59, che non ha riguardato la materia del paesaggio e, alla lettera c) del comma 4 dell'art. 1, ha escluso dalla delega «i compiti di rilievo nazionale . per la tutela dell'ambiente».

Come già si è evidenziato nel precedente punto 4, nell'ambito della «tutela dell'ambiente» (di cui all'art. 1, comma 4, della legge n. 59 del 1997) rientra anche quella del paesaggio:

- nell'ordinamento interno, ciò si evince sia dai principi costituzionali (dal novellato art. 117 e dall'9 Cost., che «tutela il paesaggio-ambiente»: Corte Cost., 27 luglio 2000, n. 378; 1° aprile 1998, n. 85), sia dalla legislazione ordinaria (v. la legge n. 431 del 1985, che si è riferita alla «tutela delle zone di particolare interesse ambientale»);

- nell'ordinamento comunitario, il trattato dell'Unione Europea ha previsto che la politica della Comunità riguardi, sotto tutti gli aspetti, la salvaguardia, la tutela e il miglioramento della qualità dell'ambiente (in una prospettiva per cui le istituzioni della Repubblica rispondono anche in sede comunitaria delle loro scelte).

In coerenza con il richiamato art. 1, comma 4, della legge n. 59 del 1997, il comma 3 dell'art. 57 del decreto legislativo n. 112 del 1998 pertanto ha tenuto «fermo quanto disposto dall'articolo 149, comma 6», e cioè ha disposto che «restano riservate allo Stato le funzioni e i compiti statali in materia di beni ambientali», previsti dall'art. 82 del decreto legislativo del 1977, come modificato nel 1985.

Le complessive disposizioni degli artt. 149 ss. del testo unico n. 490 del 1999 hanno poi riportato le disposizioni della legge n. 431 del 1985, in quanto non incise dal decreto legislativo n. 112 del 1998 circa l'ambito dei poteri del Ministero e delle Regioni.

Correttamente, pertanto, il sistema della delega è stato richiamato nelle premesse e nel testo dell'accordo concluso il 19 aprile 2001 tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 18 maggio 2001, n. 114, e avente per oggetto il coordinamento dei loro poteri in materia di tutela del paesaggio).

8. Quanto precede comporta che, nel sistema vigente alla data di emanazione dell'atto impugnato in primo grado e ancora attuale, salve le autonomie speciali il potere di rilasciare l'autorizzazione paesistica spetta:

- alla Regione (quale autorità delegata) ovvero all'ente subdelegato (con legge regionale, ai sensi del previgente art. 118, terzo comma, della Costituzione e del vigente art. 118, secondo comma), ai sensi del primo periodo del nono comma dell'art. 82 (e dell'art. 151, comma 2, del testo unico n. 490 del 1999);

- al Ministero, solo nel caso di inerzia della Regione (o dell'ente subdelegato), ai sensi del terzo periodo del nono comma dell'art. 82 (e dell'art. 151, comma 5, del testo unico), e previa comunicazione dell'istanza all'amministrazione inerte (salvi i casi previsti dai commi decimo e undicesimo dell'art. 82, di seguito esaminati).

8.1. In ragione di tale «concorrenza di poteri» (Corte Cost., 27 giugno 1986, n. 151), nel caso di inerzia (dell'autorità delegata e dello Stato) l'interessato può adire il giudice amministrativo ai sensi dell'art. 21 bis della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 (nel testo introdotto dall'art. 2 della legge 21 luglio 2000, n. 205), notificando il ricorso ad entrambe le autorità inerti (Sez. VI, 13 febbraio 2001, n. 685).

8.2. Qualora l'autorità delegata (o subdelegata) respinga la domanda di autorizzazione paesistica, il relativo diniego comporta la conclusione del procedimento, è immediatamente impugnabile e non comporta l'esercizio di poteri statali.

In tal caso, come nel sistema in vigore dal 1977, lo Stato non può sovrapporre la propria valutazione a quella dell'autorità delegata, anche se, in ipotesi, il diniego di autorizzazione sia viziato: salva la tutela giurisdizionale dell'interessato, il legislatore non ha previsto alcun potere statale di sindacare il diniego, perché questo, per definizione, non consente alcun mutamento dello stato dei luoghi e non richiede una ulteriore difesa del vincolo.

8.3. Qualora la Regione (o l'autorità subdelegata) accolga la domanda di autorizzazione paesistica, l'art. 82, nono comma, ha determinato i limiti, anche temporali, entro i quali può essere esercitato il potere statale «ad estrema difesa del vincolo» (Corte Cost., 27 giugno 1986, n. 151)

In tal caso, la legge dispone la prosecuzione del procedimento: va attivata una sua ulteriore fase necessaria e non autonoma (Sez. VI, 12 maggio 1994, n. 771; Sez. VI, 22 febbraio 1995, n. 963), nella quale il Ministero può annullare l'autorizzazione paesistica entro il prescritto termine di sessanta giorni.

Nell'ambito dell'unitario procedimento complesso (Sez. II, 31 marzo 1999, n. 268), volto al riscontro della possibilità giuridica di mutare lo stato dei luoghi, l'atto regionale (o dell'autorità individuata con la legge regionale o provinciale) conclude dunque il procedimento se respinge l'istanza, ma se l'accoglie diventa il presupposto formale (voluto dall'interessato, che «ne è già edotto in virtù di legge»: Sez. VI, 12 maggio 1994, n. 771) la cui comunicazione al Ministero attiva il necessario riesame del contenuto della autorizzazione (che, nell'inerzia della autorità emanante, lo stesso richiedente può sollecitare: Corte Cost., 4 giugno 1997, n. 170).

Entro il termine perentorio sancito dalla legge, il Ministero può pronunciarsi re adhuc integra quando ancora non è consentita la mutazione dello stato dei luoghi (Sez. VI, 3 novembre 1999, n. 1693; Sez. VI, 20 novembre 1998, n. 1581; Sez. VI, 6 ottobre 1998, n. 1348), perché non avrebbe avuto senso attribuirgli il potere di annullare l'autorizzazione, quando già i luoghi fossero stati modificati (Sez. VI, 13 febbraio 2001, n. 685).

Infatti, salva la necessità degli ulteriori prescritti titoli abilitativi, l'ordinamento consente la modifica dei luoghi quando le determinazioni del Ministero siano divenute inoppugnabili, e in particolare quando il Ministero con un atto espresso ritenga di non annullare l'autorizzazione paesistica, ovvero lasci decorrere il termine di sessanta giorni senza disporne l'annullamento (cfr. Cass. pen., Sez. VI, 26 maggio-7 luglio 1999, n. 8631; Cass. pen., sez. III, 9 febbraio 1998, Svara; Cons. Stato, Sez. VI, 13 febbraio 2001, n. 685; Sez. VI, 20 ottobre 2000, n. 5651; Sez. V, 15 settembre 1997, n. 963).

L'autorità che ha emesso l'autorizzazione deve in tal caso prendere atto del perfezionamento della fattispecie legale costitutiva dei suoi effetti e deve comunicare la circostanza all'originario richiedente, affinché possano cominciare i lavori (ove non siano richiesti altri titoli abilitativi) e siano svolte le dovute attività di vigilanza.

9. Al fine di determinare l'ambito delle valutazioni che il Ministero può porre a base dell'annullamento della autorizzazione, vanno ora precisati la natura e gli effetti (sostanziali e processuali) dell'atto di annullamento e va verificato come tali effetti incidano sull'equilibrio dei poteri statali e regionali.

9.1. Al riguardo, vanno ancora richiamati i lavori preparatori della legge n. 431 del 1985.

Nel corso delle sedute del 24 e del 25 luglio 1985 (come si evince da pp. 30054 ss. e 30245 ss. del resoconto delle discussioni delle Commissioni riunite VIII e XI), un componente del comitato ristretto (che ha contribuito alla stesura dell'articolato, confluito nell'emendamento poi accolto) ha evidenziato:

- come (rispetto al sistema del 1977) sia stato modificato il procedimento di rilascio della autorizzazione, «al fine di attuare anche qui il principio della concorrenza nel procedimento tra Regioni e Stato», in quanto «consente sia alle Regioni che al Ministero di svolgere un proprio ruolo (consente al Ministero di far valere esigenze nazionali di tutela, di salvaguardia anche nei confronti di Regioni che non se ne facciano carico e, nel contempo, responsabilizza anche queste ultime)»;

- come l'art. 82 abbia così previsto «una nuova strumentazione di quella concorrenza di competenze e di poteri tra Regione e Stato che già era stabilita dall'art. 82 del decreto n. 616, con una soluzione peculiare e adatta alle particolari caratteristiche degli interventi, nei quali si sommano interessi e competenze di cui sono portatrici le collettività locali e regionali, quelli alla pianificazione ed alla gestione del territorio, e interessi e competenze di cui sono portatori la collettività nazionale e lo Stato, quelli alla difesa dei valori paesistici e ambientali» (v. p. 30246).

Tenuto conto di tali lavori (che hanno richiamato un potere di riesame e non di controllo sulla autorizzazione) e valutati i principi costituzionali sopra richiamati sulla titolarità dello Stato dei poteri riguardanti la tutela del paesaggio (più volte rimarcati dalla Corte Costituzionale), deve ritenersi che, anche in relazione al procedimento in esame, la «concorrenza di poteri» tra lo Stato e la Regione (o l'ente subdelegato) si fonda sulla cogestione dei valori paesistici e si manifesta mediante provvedimenti di amministrazione attiva: l'annullamento della autorizzazione costituisce espressione del potere di cogestione del vincolo, ad estrema sua difesa (Corte Cost., 18 ottobre 1996, n. 341; 27 giugno 1986, n. 151).

9.2. La sussistenza di un potere di cogestione dei valori paesistici emerge anche dalle disposizioni degli statuti delle Regioni a statuto speciale e dai principi costituzionali riguardanti i rapporti tra lo Stato e le altre Regioni.

Per quanto riguarda le Regioni a statuto speciale, poiché le disposizioni dell'art. 1 della legge n. 431 del 1985 (cioè quelle del novellato art. 82) per il successivo art. 2 «costituiscono norme fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica» e applicabili per tutte le Regioni (v. Corte Cost., 25 ottobre 2000, n. 437; 18 ottobre 1996, n. 341; 22 luglio 1996, n. 270; 9 dicembre 1991, n. 437; 27 giugno 1986, n. 151), il novellato nono comma è stato impugnato in via diretta innanzi alla Corte Costituzionale, per il dedotto suo contrasto con gli statuti speciali, che non ammettono alcun controllo statale sugli atti regionali (e prevedono in alcuni casi soltanto il controllo della Corte dei Conti, mentre per la Valle d'Aosta è previsto il controllo di una commissione di coordinamento: v. il decreto legislativo n. 44 del 1998).

Tali impugnazioni sono state respinte dalla Corte Costituzionale (con la sentenza 27 giugno 1986, n. 151, punti 5, 6 e 7 della motivazione), che ha complessivamente ricostruito i poteri statali, rilevando «che la visuale della concorrenza di poteri tra Stato e Regione secondo un modello inspirato al principio di cooperazione rende non utile il richiamo alla tematica dei controlli».

Per quanto riguarda le altre Regioni, ugualmente va esclusa la sussistenza di un potere statale di controllo, poiché:

a) il potere statale ha la medesima natura in relazione a tutte le autorizzazioni paesistiche (escluso che vi sia un controllo per le autorizzazioni emesse dalle Regioni a statuto speciale, deve escludersi che esso sussista per le autorizzazioni emesse dalle Regioni a statuto ordinario o dagli enti subdelegati);

b) l'originario art. 125 della Costituzione, al primo comma, disponeva che «il controllo di legittimità sugli atti amministrativi della Regione è esercitato, in forma decentrata, da un organo dello Stato», sicché, ove il potere di annullamento del Ministro fosse riferibile ad una funzione di controllo "in sede centrale" (e pure a seguito del decreto ministeriale del 18 dicembre 1996, che ha in parte delegato i poteri ai Soprintendenti), non potrebbe che affermarsi l'incostituzionalità parziale del medesimo art. 82, nono comma (ciò che la Corte Costituzionale ha decisamente escluso, proprio per l'assenza di un potere statale di controllo);

c) il medesimo art. 125, primo comma, aveva delimitato tassativamente l'ambito dei poteri di annullamento in sede di controllo degli atti regionali, che non possono essere previsti dalla legislazione ordinaria [Corte Cost., 21 aprile 1989, n. 229, sulla parziale incostituzionalità dell'art. 2, terzo comma, lett. p), della legge 23 agosto 1988, n. 400, in tema di annullamento straordinario governativo degli atti regionali].

Per la verifica dei fondamenti costituzionali del nono comma dell'art. 82, risulta pertanto ininfluente l'abrogazione del primo comma dell'art. 125 Cost., disposta con l'art. 9, comma 2, della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3.

9.3. Del resto, mentre secondo i principi generali alla decisione di annullamento di un atto controllato va riconosciuta natura vincolata e di atto dovuto (Sez. V, 25 maggio 1998, 681; Sez. V, 5 giugno 1997, n. 598 ; Sez. IV, 7 luglio 1993, n. 672 ; Sez. IV, 14 maggio 1993, n. 536), è pacifico che il Ministero (salva la tutela giurisdizionale di chi impugni l'autorizzazione) può anche ritenere pienamente giustificato l'accoglimento dell'istanza e non annullare l'autorizzazione paesistica, qualora essa non risulti adeguatamente motivata (Sez. VI, 13 febbraio 2001, n. 685)

Pertanto, anche la natura discrezionale e non vincolata del potere statale di annullamento dell'autorizzazione (Corte Cost., 25 ottobre 2000, n. 437) esclude la configurabilità di un potere di controllo.

9.4. Il Ministero, come la Regione, esercita dunque il potere previsto dal richiamato nono comma dell'art. 82 (e dall'art. 151, comma 4, del testo unico) quale titolare degli interessi primari protetti, in funzione di gestione e di salvaguardia dei valori paesistici coinvolti (Sez. VI, 13 febbraio 2001, n. 685; Sez. VI, 20 ottobre 2000, n. 5651).

Così come in sede di approvazione di uno strumento urbanistico la Regione gestisce gli interessi urbanistici di cui è titolare nell'ambito di una fattispecie a formazione progressiva (Corte Cost., 15 novembre 1985, n. 286), così lo Stato gestisce gli interessi di cui è titolare quando riesamina la legittimità delle autorizzazioni paesistiche e con le proprie determinazioni incide sul momento costitutivo dei loro effetti e sulla modificabilità delle aree sottoposte a salvaguardia.

Vi sono tuttavia rilevanti differenze tra il potere della Regione di approvare il piano urbanistico (quale titolare delle funzioni previste dall'art. 117 Cost, nel suo testo originario ed in quello sostituito con la legge costituzionale n. 3 del 2001) e quello dello Stato di annullare le illegittime autorizzazioni paesistiche:

- nell'attuale sistema, l'approvazione regionale del piano urbanistico è indefettibile (Corte Cost., 26 giugno 2001, n. 206), non può avere luogo per silenzio-assenso a seguito della mera inerzia e, inoltre, può apportare modifiche al piano adottato dal Comune (v. l'art. 10 della legge 17 agosto 1942, n. 1150), sicché esso può essere qualificato come atto complesso (sia pure a complessità diseguale o non paritaria);

- invece, una volta rilasciata l'autorizzazione paesistica, da un lato il mancato esercizio del potere di annullamento nel termine di sessanta giorni, come constatato dall'autorità emanante, comporta un sostanziale silenzio-consenso e la produzione degli effetti della autorizzazione (sicché la fattispecie abilitativa si perfeziona anche in assenza di un espresso atto statale di consenso), e dall'altro la legge non consente che il tempestivo provvedimento statale modifichi l'autorizzazione e influisca su cosa possa essere realizzato.

Se le caratteristiche progettuali autorizzate risultano manifestamente irragionevoli o si fondano su una inidonea istruttoria o valutazione (anche degli interessi nazionali), il Ministero non può imporre modifiche o subordinare il conseguimento dell'efficacia della autorizzazione all'adeguamento del progetto alle sue diverse valutazioni, perché in tal modo i luoghi sarebbero modificati in difformità delle valutazioni della Regione (o dell'ente subdelegato), ciò che il legislatore radicalmente non ha ritenuto di consentire.

In altri termini, in sede di riesame della legittimità della autorizzazione, il Ministero o ritiene di prestarvi il proprio consenso (manifestato con un atto espresso o col silenzio-consenso per il decorso del termine legale per l'annullamento) oppure manifesta il proprio dissenso e ne dispone l'annullamento: tertium non datur.

Pertanto, quando il Ministero annulla legittimamente l'autorizzazione paesistica, l'autorità delegata può riesaminare l'originaria istanza tenendo conto delle valutazioni del Ministero sui vizi della autorizzazione annullata.

Similmente, qualora il suo provvedimento (impeditivo del silenzio-consenso) sia annullato per un vizio attinente alla motivazione o di natura procedimentale (diverso dal superamento del termine), re adhuc integra il Ministero può emanare l'ulteriore atto tenendo conto delle statuizioni del giudice amministrativo, ai sensi dell'art. 26 della legge n. 1934 del 1971, sull'esercizio del potere amministrativo nel caso di annullamento di un atto illegittimo, ma rispettoso del termine (Sez. VI, 13 febbraio 2001, n. 685; Sez. V, 8 luglio 1995, n. 1034).

10. Quanto alle valutazioni che il Ministero può formulare in sede di esercizio di gestione dei valori paesistici e ambientali «ad estrema difesa del vincolo», e al fine di definire cosa debba intendersi per «vizio di legittimità» e per «vizio di merito», va richiamata la incontestata giurisprudenza per la quale l'autorizzazione paesistica può essere annullata per qualsiasi vizio di incompetenza, violazione di legge ed eccesso di potere.

Al riguardo, vanno sottolineate alcune regole essenziali riguardanti l'esame della domanda di autorizzazione paesistica, sia per determinare quale sia «il controllo di merito» che per la decisione di rimessione potrebbe effettuare il Ministero, sia per esaminare la questione di costituzionalità da questo proposta, per il caso in cui il nono comma dell'art. 82 non consenta tale «controllo di merito».

10.1. Per la pacifica giurisprudenza, il Ministero può annullare l'autorizzazione paesistica anche quando risulti un suo profilo di eccesso di potere (per sviamento, insufficiente motivazione, difetto di istruttoria, illogicità manifesta).

In particolare, in considerazione della tendenziale irreversibilità dell'alterazione dello stato dei luoghi, l'atto che esamina la domanda di autorizzazione deve essere coerente col piano paesistico (ove emanato), si deve basare su una idonea istruttoria e su una adeguata motivazione (da cui devono risultare le ragioni poste a base della affermata prevalenza di un interesse diverso da quello tutelato in via primaria) e deve tenere conto del principio di leale cooperazione che in materia domina i rapporti tra il Ministero e le Regioni (Corte Cost., 25 ottobre 2000, n. 437; 4 giugno 1997, n. 170; 18 ottobre 1996, n. 341; 7 novembre 1994, n. 379; 10 marzo 1988, n. 302; 27 giugno 1986, n. 151 e 153; 21 dicembre 1985, n. 359; 1° aprile 1985, n. 94).

10.2. Per quanto riguarda la coerenza col piano paesistico, va rimarcato che l'art. 1 bis della legge n. 431 del 1985 ha sancito l'obbligo per le Regioni:

- di sottoporre «a specifica normativa d'uso e di valorizzazione ambientale» le aree previste dal quinto comma del novellato art. 82 del decreto legislativo n. 616 del 1977;

- conseguentemente, di redigere il piano paesistico, ovvero quello urbanistico-territoriale con «specifica considerazione dei valori paesistici ed ambientali».

Il legislatore ha ritenuto che tali piani siano essenziali per la programmata e razionale gestione del vincolo, anche per evitare che in sede di rilascio delle singole autorizzazioni vi siano valutazioni episodiche o non consapevoli, avulse da una considerazione più ampia del contesto ambientale su cui incidano i lavori autorizzati e influite «dalla pressione condizionante del singolo progetto» (Sez. II, 20 maggio 1998, n. 549): «da un controllo estemporaneo, frammentario e caso per caso, nel quale il piano è meramente eventuale (e perciò raro), si passa, con i piani previsti dalla legge n. 431 del 1985, ad un controllo razionale, programmato e necessario» (Corte Cost., 28 luglio 1995, n. 417).

I piani paesistici risultano tanto essenziali per la razionale gestione e conservazione del vincolo, da avere indotto il legislatore (oltre a imporre vincoli assoluti, in loro attesa) ad incidere sul trasferimento del potere di approvazione, già disposto con l'art. 1 del decreto legislativo n. 8 del 1972: per il caso di persistente inattività della Regione, l'art. 1 bis della legge n. 431 del 1985 (trasfuso nell'art. 149, comma 3, del testo unico) ha previsto il potere sostitutivo statale (nel rispetto della leale cooperazione: Corte Cost., 13 febbraio 1995, n. 36).

Al riguardo, la Corte Costituzionale ha ritenuto che l'art. 1 bis sia conforme ai principi costituzionali, in considerazione dell'esigenza di tutelare il paesaggio non solo sotto il profilo «conservativo e statico», ma anche per quello «gestionale e dinamico» (sent. 27 giugno 1986, n. 151).

In tal modo, il piano paesistico determina l'ambito delle consentite modifiche delle aree protette, fissa predeterminati e trasparenti criteri di esame delle domande ed evita che le scelte tecnico-discrezionali di gestione del vincolo siano effettuate (per la prima volta ed episodicamente) dopo il sorgere di aspettative di edificazione e a seguito della conclusione dei procedimenti urbanistici o edilizi, che rendono più frequenti e marcati i conflitti in ordine agli interessi che debbano prevalere.

E' altamente significativo, al riguardo, constatare come nella sede amministrativa (e, conseguentemente, in quella giurisdizionale) le divergenze tra il Ministero e le Regioni (e le autorità da queste rese competenti) sorgano maggiormente in assenza delle previsioni del piano paesistico, e cioè in fattispecie caratterizzate dal mancato rispetto dell'obbligo di approvazione del medesimo piano.

Proprio per prevenire conflitti, per concertare le soluzioni e per evitare previsioni urbanistiche incompatibili con le esigenze di salvaguardia per ragioni ambientali, nella sede della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome, in data 19 aprile 2001 è stato concluso l'accordo richiamato al precedente punto 7.6., concernente i criteri fondamentali per l'elaborazione dei piani paesistici, nei loro rapporti con i piani urbanistici, e per il rilascio delle autorizzazioni.

L'accordo:

- ha rimarcato la rilevanza della Convenzione europea del paesaggio, firmata a Firenze il 20 ottobre 2000, ed ha impegnato tutte le Autorità a redigere i piani paesistici di salvaguardia nel rispetto del principio di leale collaborazione e di altri principi ivi indicati;

- ha individuato alcuni criteri, cui comunque si deve attenere l'autorità competente ad esaminare la domanda di autorizzazione (tanto che l'accordo ha previsto che sia revocata la subdelega, nel caso di loro inosservanza da parte dell'ente subdelegato).

10.3. Ciò comporta che la domanda di autorizzazione va esaminata tenendo conto delle previsioni del piano paesistico e dei principi correlativi alla regola-cardine della leale cooperazione (anche esplicitati formalmente nel citato accordo): se l'autorizzazione contrasta con le previsioni del piano, dà una ingiustificata preferenza ai soli interessi della collettività locale e comunque si pone in contrasto col principio di leale cooperazione, è configurabile un vizio di legittimità, che può essere posto a base dell'atto ministeriale di annullamento.

Ove ancora non sia stato adempiuto l'obbligo di redazione del piano paesistico, l'esame della domanda di autorizzazione va effettuato ugualmente nel rispetto dei principi correlativi alla regola della leale cooperazione, con motivate valutazioni sull'incidenza complessiva e della visibilità dell'intervento progettato nel più vasto contesto ambientale.

In particolare, l'autorità che esamina la domanda:

- deve manifestare la piena consapevolezza delle conseguenze derivanti dalla realizzazione delle opere e non può fondarsi «su un modulo-tipo», da cui non si evincano le specifiche caratteristiche dei luoghi e del progetto (Sez. VI, 25 luglio 1994, n. 1267);

- deve verificare se la realizzazione del progetto contrasti con le direttive e gli atti di coordinamento (previsti dall'art. 4 del decreto legislativo n. 616 del decreto legislativo n. 616 del 1977), incida sul razionale esercizio del potere di pianificazione paesistica o comporti una progressiva o ulteriore compromissione dell'area protetta (Sez. II, 17 giugno 1998, n. 853; Sez. VI, 22 dicembre 1995, n. 1402; Sez. VI, 28 agosto 1995, n. 820);

- deve valutare gli interessi nazionali (riferibili al particolare pregio dell'area nota a livello internazionale, al suo carattere monumentale o di bellezza naturale, all'esigenza di evitare l'antropizzazione o sconvolgimenti per la fauna o la flora) e rispettare gli obblighi assunti in sede comunitaria (v. artt. 130 R ss. del Trattato) o con convenzioni internazionali (v. Corte Cost., 12 dicembre 1991, n. 464; 25 luglio 1984, n. 223; 23 luglio 1980, n. 123, sul rilievo degli interessi statali, «anche nelle materie trasferite o delegate alle Regioni, attinenti ai rapporti internazionali», ai sensi dell'art. 4, primo comma, del decreto legislativo n. 616 del 1977).

Se la salvaguardia riguarda un'area vincolata con uno specifico atto amministrativo (che ne abbia constatato il particolare pregio), la domanda di autorizzazione va altresì esaminata tenendo conto delle specifiche valutazioni effettuate nel decreto di vincolo, sul cui oggetto si intende incidere (Sez. VI, 11 giugno 1990, n. 600)

In ogni caso, la domanda di autorizzazione va valutata tenendo conto della funzione di tale atto, che non è quella di rimuovere il vincolo, ma «di accertare in concreto la compatibilità dell'intervento col mantenimento e l'integrità dei valori dei luoghi» (Sez. VI, 14 novembre 1991, n. 828, che ha formulato il principio, unanimemente richiamato dalla successiva giurisprudenza, per cui l'annullamento statale può essere disposto anche quando, per la mancata considerazione di un rilevante elemento di fatto, «la valutazione di compatibilità, che si traduca in una oggettiva deroga, si risolve in una autorizzazione illegittima per sviamento o travisamento»: Sez. VI, 13 febbraio 2001, n. 685; Sez. II, 10 gennaio 2001, n. 1614; Sez. VI, 8 agosto 2000, n. 4345; Sez. VI, 6 luglio 2000, n. 3793; Sez. II, 31 marzo 1999, n.268; Sez. IV, 4 dicembre 1998, n. 1734; Sez. VI, 9 aprile 1998, n. 460; Sez. VI, 17 aprile 1997, n. 609; Sez. VI, 19 luglio 1996, n. 968).

Ovviamente, tali principi si applicano anche nei casi in cui la legge regionale o provinciale abbia attribuito ad un'altra amministrazione il potere di esaminare la domanda: l'autorità che esercita la funzione in luogo della Regione è tenuta a rispettare le regole di buona amministrazione ed il principio di leale cooperazione, che ispira l'esercizio della funzione devoluta.

Concludendo sul punto, si deve affermare che anche la mancata valutazione degli interessi nazionali o di rilevanti circostanze di fatto e l'inadeguatezza della motivazione comportano l'illegittimità dell'autorizzazione paesistica per eccesso di potere, che può dare luogo all'annullamento.

11. Anche se l'atto statale di annullamento è espressione di un potere di amministrazione attiva «ad estrema difesa del vincolo» (Corte Cost., 18 ottobre 1996, n. 341; 27 giugno 1986, n. 151), contrariamente a quanto prospettato nella decisione di rimessione, va invece escluso che il Ministero possa annullare l'autorizzazione paesistica sulla base di proprie considerazioni tecnico-discrezionali, contrarie a quelle effettuate dalla Regione o dall'ente subdelegato, rispettose dei principi sopra esposti.

La soluzione 'estensiva' va esclusa sulla base di alcuni argomenti testuali e sistematici.

11.1. In primo luogo, l'art. 82 ha espressamente previsto i casi in cui il Ministero possa gestire l'area vincolata con scelte tecnico-discrezionali prevalenti su quelle assunte dalla Regione:

- in base al terzo periodo del nono comma (v. art. 151, comma 5, del testo unico), il Ministero può effettuare le proprie scelte tecnico-discrezionali sulla accoglibilità della domanda, quando la Regione non l'abbia tempestivamente esaminata;

- in base al decimo e all'undicesimo comma (v. l'art. 156 del testo unico), in relazione alle «opere da eseguirsi da parte di amministrazioni statali» il Ministero può anche provvedere «in difformità della decisione regionale».

Sotto tale aspetto, va rimarcato che il decimo comma dispone che il Ministero «in ogni caso» può effettuare le proprie valutazioni «anche in difformità della decisione regionale», proprio per evidenziare che, solo per tali opere, la scelta finale spetta al Ministero, che può effettuare valutazioni (sugli interessi coinvolti) diverse ed opposte a quelle già formulate dalla Regione.

Pertanto, l'espressione del nono comma su cui si è incentrata la Sesta Sezione nella decisione di rimessione (in base alla quale il Ministro può annullare «in ogni caso» l'autorizzazione regionale) non può essere intesa nel senso che da sola (e in assenza di ogni elemento testuale simile a quello previsto dal decimo comma) costituisca il fondamento del potere ministeriale di riesame 'di merito':

- il decimo comma ha attribuito un potere decisorio discrezionale (con l'espressione «può in ogni caso»), in base al quale la scelta finale spetta al Ministero («anche in difformità della decisione regionale»);

- il nono comma ha attribuito un simile potere tecnico-discrezionale (con l'identica espressione «può in ogni caso»), soltanto in relazione alla scelta di annullare o di non annullare l'autorizzazione illegittima (qualora l'originaria domanda si manifesti in sé accoglibile), ma ha precluso che la scelta finale sia effettuata dal Ministero, perché non ha ripetuto l'ulteriore espressione «in difformità della decisione regionale».

11.2. In secondo luogo, il novellato nono comma dell'art. 82 non ha attribuito al Ministero un potere corrispondente a quello previsto dal suo originario quarto comma, riguardante il potere di evitare «pregiudizio a beni qualificabili come bellezze naturali».

Come si è osservato nel precedente punto 6, prima della riforma del 1985 il quarto comma dell'art. 82 ha previsto il potere del Ministero di formulare valutazioni di merito e contrarie alla modifica dei luoghi (anche se era stata rilasciata l'autorizzazione), mediante un atto successivo alla conclusione del procedimento.

Mediando il riparto dei poteri tra lo Stato e le Regioni, il novellato nono comma dell'art. 82:

- ha fissato il principio per cui il Ministero può impedire la realizzazione delle opere autorizzate, mediante l'esercizio del potere di annullamento (sicché il quarto comma è divenuto inapplicabile per i casi in cui la Regione abbia emesso una autorizzazione divenuta efficace, perché essa è annullabile entro il prescritto termine di sessanta giorni);

- ha disciplinato il potere di annullamento con una espressione ben diversa da quella contenuta nel quarto comma (che espressamente ha attribuito il potere di impedire che sia arrecato «pregiudizio» all'area tutelata), con ciò disponendo univocamente che il Ministero non può effettuare una scelta finale difforme da quella legittimamente effettuata dalla Regione.

11.3. In terzo luogo, la legge non ha consentito al Ministero di modificare il contenuto dell'autorizzazione e di imporre modifiche progettuali, poiché in base al nono comma (come a suo tempo aveva osservato la circolare ministeriale 31 agosto 1985, n. 8, al punto b') solo la Regione (o l'ente individuato dalla legge) può autorizzare la modifica dei luoghi, senza spazio per le determinazioni modificative unilaterali del Ministero, che può solo opporre il proprio veto alla modifica dei luoghi.

Poiché il legislatore ha valorizzato fino a tale punto le valutazioni regionali sulle modalità progettuali, non sarebbe coerente ammettere che il Ministero annulli la legittima autorizzazione quando non condivida tali modalità ovvero contesti radicalmente la realizzabilità delle opere.

11.4. Infine, non può sottacersi che, come ha dato atto la decisione di rimessione, la giurisprudenza di questo Consiglio (sin dalla richiamata decisione della Sez. VI, 14 novembre 1991, n. 828) si è costantemente orientata nel senso che il Ministero possa annullare l'autorizzazione solo quando essa risulti illegittima (sia pure sotto ogni profilo di eccesso di potere), e non anche per «ragioni di merito» (Sez. VI, 8 agosto 2000, n. 4345; Sez. VI, 20 ottobre 1999, n. 1480; Sez. VI, 20 novembre 1998, n. 1249; Sez. IV, 4 dicembre 1998, n. 1734; Sez. VI, 9 aprile 1998, n. 460; Sez. VI, 22 giugno 1997, n. 952; Sez. VI, 30 dicembre 1995, n. 1415; Sez. VI, 12 maggio 1994, n. 771; Sez. VI, 29 gennaio 1994, n. 75; Sez. VI, 12 novembre 1993, n. 849).

Appare dunque significativo che nessuna norma interpretativa sia stata emanata nel frattempo, per superare tale «diritto vivente», più volte ribadito e contro il quale neppure sono state formulate particolari osservazioni in sede dottrinaria.

12. Il Ministero ha ritenuto che tale interpretazione 'riduttiva' dell'art. 82, nono comma, si porrebbe in contrasto con gli articoli 3, primo comma, 9, secondo comma, 97 e 118 della Costituzione, perché vi sarebbe un sistema irrazionale, caratterizzato dalla insufficiente salvaguardia dei beni ambientali e dalla sostanziale prevalenza delle valutazioni dell'autorità delegata (o subdelegata).

12.1. Ritiene l'Adunanza Plenaria che le sollevate questioni vadano dichiarate manifestamente infondate.

Il legislatore ha previsto una concorrenza di poteri dello Stato e della Regione in relazione al procedimento di esame della domanda di autorizzazione paesistica, sulla base di scelte discrezionali non manifestamente irragionevoli, che hanno tenuto conto dei valori in conflitto ed hanno comunque ribadito in materia la rilevanza dei principi di legalità e del buon andamento dell'azione amministrativa (per i quali qualsiasi modifica del territorio nazionale deve basarsi su un atto amministrativo legittimo: Sez. V, 1° dicembre 1999, n. 2030).

In base ad un sistema peculiare (che ha evitato le ipotesi estreme, verificatesi prima del 1985, dell'esercizio unilaterale del potere autorizzativo da parte dello Stato, sino al 1977, o della Regione, dal 1977 al 1985), il nono comma dell'art. 82 (come modificato con la legge n. 431 del 1985) ha attribuito ampi poteri al Ministero, che, pur non potendo sovrapporre le proprie determinazioni a quelle della Regione o dell'ente da questa individuato, può salvaguardare l'ambiente ed il paesaggio (senza bisogno di ricorrere in sede giurisdizionale), mediante il motivato annullamento della autorizzazione che risulti illegittima, anche per eccesso di potere e pure per gli specifici profili di inadeguata valutazione delle circostanze o per insufficiente motivazione, illogicità manifesta e violazione del principio di leale cooperazione per mancata considerazione degli interessi nazionali.

Considerata la latitudine dei poteri di annullamento ministeriale, va considerata non insufficiente la tutela del paesaggio e dell'ambiente, disposta dalla normativa in esame.

Va pertanto pienamente condiviso l'orientamento della Corte Costituzionale, per il quale le riforme avutesi nel 1977 e nel 1985 hanno ripartito i relativi poteri allo Stato e alle Regioni, con uno «spessore dei poteri statali», e correlativamente dei poteri delle Regioni, che trova il suo fondamento nell'art. 9 della Costituzione (Corte Cost., 13 febbraio 1995, n. 36; Corte Cost., 27 giugno 1986, n. 153).

12.2. L'equilibrio dei poteri disposto dal nono comma dell'art. 82 non appare irrazionale, anche se confrontato con le diverse e sopravvenute soluzioni istituzionali, previste dalle leggi quando le valutazioni vanno effettuate in sede di conferenza di servizi.

Ai sensi del comma 3 dell'art. 14 quater della legge 7 agosto 1990, n. 241 (nel testo modificato dalla legge 24 novembre 2000, n. 340), nel caso di «motivato dissenso» «espresso da un'amministrazione preposta alla tutela ambientale, paesaggistico territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute, la decisione è rimessa al Consiglio dei Ministri, ove l'amministrazione dissenziente o quella procedente sia un'amministrazione statale».

In relazione al «procedimento di rilascio del permesso di costruire», identici principi sono stati disposti dal comma 6, primo periodo, dell'art. 20 del testo unico in materia edilizia 6 giugno 2001, n. 380, che ha richiamato l'art. 14 quater della legge n. 241 del 1990.

Tale normativa:

- mirando a semplificare l'azione amministrativa, ha previsto un istituto (volto alla contestuale valutazione di un progetto o di una domanda di permesso di costruire, da parte di più amministrazioni) che può concludersi con un «provvedimento finale conforme alla determinazione conclusiva favorevole», che «sostituisce, a tutti gli effetti, ogni autorizzazione, concessione, nulla osta o atto di assenso comunque denominato delle amministrazioni partecipanti, o comunque invitate a partecipare alla conferenza»;

- col richiamo a ogni «atto di assenso comunque denominato» si riferisce anche ai casi di modifica di un bene sottoposto al vincolo paesistico e al potere autorizzativo regionale ed a quello statale di riesame dell'autorizzazione, che possono manifestarsi col consenso o col dissenso, con le conseguenze previste dall'art. 14, quater, commi 3 e 4, della legge n. 241 del 1990.

Rispetto al potere esercitabile prima della conclusione del procedimento ai sensi del nono comma dell'art. 82 del decreto legislativo n. 616 del 1977 (e dell'art. 151, comma 4, del testo unico n. 490 del 1999), nell'ambito del procedimento riguardante la conferenza di servizi il Ministero è titolare del più ampio potere di veto, che può basarsi su valutazioni di salvaguardia diverse e opposte da quelle formulate dalla Regione o dall'ente titolare del potere di rilasciare l'autorizzazione.

Tuttavia, la notevole diversità dei moduli procedimentali in comparazione (e della distinta ratio posta a loro base) fa escludere la manifesta irrazionalità della regola dell'annullabilità dell'autorizzazione paesistica per i soli suoi vizi di legittimità:

- la conferenza di servizi si caratterizza per l'esame contestuale degli interessi pubblici coinvolti e per la semplificata possibile acquisizione del consenso delle Amministrazioni, con una propria disciplina sulla relativa conclusione, anche in ordine alle varie scansioni temporali del procedimento;

- il procedimento previsto dal richiamato nono comma dell'art. 82 si concentra sulla sola valutazione degli interessi paesistici e ambientali e comporta un diverso spatium deliberandi per il Ministero, che prima della conclusione del procedimento, entro sessanta giorni, a difesa del vincolo può impedire la produzione degli effetti dell'autorizzazione che risulti illegittima;

- il dissenso manifestato in sede di conferenza dal Ministero non si sovrappone ex se e definitivamente alle valutazioni eventualmente difformi dell'autorità competente al rilascio dell'autorizzazione paesistica, poiché (similmente a quanto avviene nell'ipotesi inversa, di consenso statale ad un progetto non condiviso da tale autorità) attiva l'ulteriore competenza del Consiglio dei Ministri, la cui motivata determinazione finale comporta la conclusione del procedimento, in sede di alta amministrazione.

13. Sulla questione di massima sollevata dalla Sesta Sezione, ritiene dunque l'Adunanza Plenaria che:

a) in sede di esame dell'istanza di autorizzazione paesistica, ai sensi dell'art. 82, nono comma, del decreto legislativo n. 616 del 1977 (come trasfuso nell'art. 151 del testo unico n. 490 del 1999), la Regione (o l'autorità designata dalla legge regionale) deve rispettare il principio-cardine della leale collaborazione con gli organi del Ministero e gli altri consueti principi sulla legittimità dell'azione amministrativa, sicché dalla motivazione della autorizzazione si deve potere evincere che essa è immune da profili di eccesso di potere, anche per quanto riguarda l'idoneità dell'istruttoria, l'apprezzamento di tutte le rilevanti circostanze di fatto e la non manifesta irragionevolezza della scelta effettuata sulla prevalenza di un valore in conflitto diverso da quello tutelato in via primaria;

b) in sede di esame del contenuto della autorizzazione paesistica e prima della conclusione del procedimento, il Ministero può motivatamente valutare se la gestione del vincolo avviene con un atto legittimo, rispettoso di tutti tali principi, e annullare l'autorizzazione che risulti illegittima sotto qualsiasi profilo di eccesso di potere (senza il bisogno di ricorrere in sede giurisdizionale e ancor prima della modifica dei luoghi), ma non può sovrapporre le proprie eventuali difformi valutazioni sulla modifica dell'area, se l'autorizzazione non risulti viziata.

In sostanza, i poteri del Ministero si caratterizzano per le seguenti peculiari soluzioni procedimentali:

- il Ministero può esercitare un potere tecnico discrezionale sul «se» annullare l'autorizzazione, nel senso che può gestire il vincolo prestando il proprio consenso (anche quando l'autorizzazione non risulti adeguatamente motivata), qualora l'originaria domanda risulti di per sé accoglibile e non lesiva per i valori salvaguardati (salva la tutela giurisdizionale di chi sia legittimato ad impugnare l'autorizzazione illegittima);

- qualora ritenga di non prestare il proprio consenso e di avvalersi del potere di annullamento (a salvaguardia del principio di legalità ovvero per evitare il pregiudizio all'area tutelata), il Ministero può svolgere l'ampio sindacato di legittimità consentito dall'ordinamento (corrispondente a quello che potrebbe esercitare il giudice amministrativo nel caso di impugnazione dell'autorizzazione non annullata in sede amministrativa);

- in questo secondo caso, il Ministero (a differenza di quanto avviene in sede giurisdizionale, in cui la legittimità della autorizzazione divenuta efficace va esaminata nei limiti dei motivi dell'impugnazione) può esaminare d'ufficio tutte le questioni e porre a base dell'annullamento ogni riscontrato vizio (con una motivazione che non può dunque ridursi ad una mera clausola di stile sul pregiudizio ai valori ambientali).

13. Sulla base di tali considerazioni, si può passare all'esame delle censure assorbite dal TAR e riproposte con l'appello incidentale.

13.1. Con l'impugnato decreto di data 11 ottobre 1999, la Soprintendenza ha ritenuto che l'autorizzazione comunale sarebbe illegittima per eccesso di potere sotto il profilo della «incongruità della motivazione», poiché:

- «pur individuando correttamente fra gli elementi di rischio l'alterazione della orografia originaria, approva notevoli movimenti di terra e sbancamenti»;

- «non individua fra gli elementi di rischio la alterazione del quadro naturale di non comune bellezza», indicato nel decreto di vincolo del 6 febbraio 1959;

- «non esplicita nessuna valutazione sulla percepibilità dell'intervento dal lago»;

- l'intervento, «per le sue dimensioni, appare significativamente incidente sul quadro paesaggistico», «con sostanziale alterazione dell'area soggetta a vincolo».

13.2. Col secondo, terzo e quarto motivo del ricorso di primo grado, gli appellati hanno lamentato che in tal modo la Soprintendenza ha annullato l'autorizzazione paesistica sostituendo il proprio apprezzamento discrezionale a quello espresso dal Comune di Gardone Riviera, e dunque sulla base di un non consentito «sindacato di merito».

In particolare, essi

- hanno dedotto che l'autorizzazione è stata emanata sulla base di una istruttoria e di una motivazione che hanno tenuto conto di un precedente atto statale, che aveva annullato l'autorizzazione già rilasciata il 6 maggio 1999;

- hanno evidenziato che rispetto all'originario progetto è stata prevista la riduzione degli sbancamenti;

- hanno osservato che l'originario decreto impositivo del vincolo era volto a salvaguardare la visibilità del lago dall'area vincolata (e non la visibilità dal lago delle aree vincolate, come erroneamente ritenuto dalla Soprintendenza);

- hanno lamentato che, con una motivazione generica, la Soprintendenza non ha posto a base dell'annullamento un vero e proprio vizio di legittimità dell'autorizzazione.

13.3. Le censure così riassunte risultano fondate e vanno accolte.

Il provvedimento statale di annullamento della autorizzazione paesistica non può basarsi su una propria valutazione tecnico-discrezionale sugli interessi in conflitto e sul valore che in concreto deve prevalere, né può apoditticamente affermare che la realizzazione del progetto pregiudica i valori ambientali e paesaggistici, ma deve basarsi sulla esistenza di circostanze di fatto o di elementi specifici (da esporre nella motivazione), che non siano stati esaminati dall'autorità che ha emanato l'autorizzazione ovvero che siano stati da essa irrazionalmente valutati, in contrasto con la regola-cardine della leale cooperazione o con gli altri principi sulla legittimità dell'azione amministrativa.

Nel caso di specie, la Soprintendenza ha formulato un proprio giudizio sulla non compatibilità dell'intervento con le esigenze di salvaguardia dell'area vincolata, con alcune osservazioni sul pregiudizio ambientale, le quali (per non inficiando di per sé l'atto di annullamento, poiché miranti a fare emergere la rilevanza dei valori tutelati) non hanno evidenziato uno specifico vizio della autorizzazione comunale, ove si consideri che:

- la ratio decidendi basata sul progettato sbancamento risulta apodittica e non si è fondata su una specifica motivazione, in concreto necessaria perché il parere posto a base della autorizzazione (di data 30 luglio 1999) aveva già rilevato come «una riduzione della terra di scavo comporterebbe un incremento dei riporti ed il sopralzo del piano d'imposta dei fabbricati, con conseguente peggioramento delle visuali panoramiche» (è decisivo considerare che il decreto dell'11 ottobre 1999 non ha preso in esame tali considerazioni tecniche e, meramente richiamando una circostanza già emersa nel corso del procedimento, neppure si è pronunciato sulle specifiche caratteristiche del terreno, sotto il profilo geologico);

- il richiamo alla incidenza delle opere (anche per le loro dimensioni) sul «quadro naturale di non comune bellezza» è stato anch'esso effettuato apoditticamente e con una clausola di stile, senza indicare in concreto uno o più elementi in base ai quali la valutazione comunale sulla modificabilità dei luoghi si sarebbe potuta considerare pregiudizievole per il razionale esercizio del potere di pianificazione paesistica, ovvero manifestamente illogica, in ragione dei valori tutelati, o invasiva delle competenze statali (art. 82, terzo comma) in ordine alla revoca del vincolo.

Sotto tale aspetto, va rimarcato che il decreto di annullamento non ha specificamente ravvisato la mancata considerazione degli interessi nazionali, né ha individuato uno specifico profilo di anomalia della scelta comunale anche in relazione alla regola della leale cooperazione.

L'unico specifico profilo, posto dalla Soprintendenza a base del suo atto di annullamento, è ravvisabile nella assenza di valutazioni comunali «sulla percepibilità dell'intervento dal lago» (nella specie non contestata).

Al riguardo, ritiene l'Adunanza Plenaria che, in linea di principio, la maggiore o minore visibilità delle opere progettate debba essere oggetto di una specifica valutazione in sede di esame della domanda di autorizzazione, poiché per la tutela dell'ambiente e del paesaggio è essenziale che le valutazioni amministrative risultino consapevoli della concreta incidenza delle opere sul contesto ambientale e della irreversibile riduzione dei tratti naturali esistenti e di quelli percepibili, anche in relazione alle previsioni dei piani paesistici.

In concreto, tuttavia, la Soprintendenza non ha tenuto conto delle indicazioni contenute nella parte finale del già citato parere (posto a base della autorizzazione), il quale ha specificamente indicato i luoghi dai quali le opere sarebbero risultate visibili.

Per tal parte, il decreto di annullamento ha incongruamente ravvisato un eccesso di potere della autorizzazione, poiché ha sic et simpliciter richiamato una circostanza di fatto sì rilevante, ma già evidenziata e considerata nel corso del procedimento, e non ha esposto alcuna motivazione su elementi fondanti una manifesta irragionevolezza della valutazione comunale o sulla obiettiva sussistenza di altre prospettive di visibilità, non segnalate dal Comune.

14. Per le ragioni che precedono, il decreto della Soprintendenza impugnato in primo grado risulta illegittimo e va annullato, poiché ha dato prevalenza alle proprie valutazioni sulla esigenza di salvaguardare il bene ambientale, rispetto a quello formulate dal Comune, senza esporre una adeguata motivazione sulla sussistenza di uno specifico profilo di illegittimità dell'autorizzazione paesistica.

Pertanto, in accoglimento dell'appello incidentale, va confermato il dispositivo della sentenza impugnata, con cui è stato già disposto l'annullamento del decreto dell'11 ottobre 1999.

Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese e gli onorari dei due gradi del giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria), pronunciando sull'appello n. 508 del 2001 e n. 8 del 2001 dell'Ad. Plen., e in accoglimento dell'appello incidentale, conferma il dispositivo della sentenza impugnata e mantiene fermo l'annullamento del provvedimento n. 12436 dell'11 ottobre 1999 della Soprintendenza dei beni ambientali e architettonici di Brescia

Compensa tra le parti le spese e gli onorari dei due gradi del giudizio.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dalla Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio tenutasi il giorno 29 ottobre 2001, presso la sede del Consiglio di Stato, Palazzo Spada, con l'intervento dei signori:

Alberto de Roberto Presidente

Sergio Santoro Consigliere

Domenico La Medica Consigliere

Costantino Salvatore Consigliere

Giuseppe Farina Consigliere

Anselmo Di Napoli Consigliere

Corrado Allegretta Consigliere

Luigi Maruotti Consigliere estensore

Chiarenza Millemaggi Cogliani Consigliere

Marcello Borioni Consigliere

Paolo Buonvino Consigliere

Pietro Falcone Consigliere

Goffredo Zaccardi Consigliere

L'ESTENSORE IL PRESIDENTE

Depositata in cancelleria il 14 dicembre 2001.

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