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Giurisprudenza
n. 4-2002 - © copyright.

CONSIGLIO DI STATO, ADUNANZA PLENARIA - Sentenza 3 aprile 2002 n. 3 - Pres. de Roberto, Est. Allegretta - SIA - Società Italiana Autoservizi s.p.a. ed altre (Avv. G. Catalano) c. Regione Lombardia e Ministero del Tesoro (Avv. Stato Stipo) - (annulla T.A.R. Lombardia-Milano, Sez. I, sentenze in data 8 gennaio 1996 n. 3 e 10 marzo 1997, nn. 243, 246, 242, 241, 245, 250, 310, 244, 248, 247, 286, 311, 249).

Trasporti - Contributi e provvidenze - Contributo straordinario di esercizio alle aziende di trasporto pubbliche e private - Ex art. 1 del decreto legge n. 833 del 1986 - Criteri per il calcolo - Individuazione.

L'art. 1 del decreto legge n. 833 del 1986, convertito nella legge n. 18 del 1987, prevede l'erogazione, a carico delle Regioni, di un contributo straordinario di esercizio alle aziende di trasporto pubbliche e private, pari al 70% del disavanzo di esercizio maturato da tali aziende negli anni dal 1982 al 1986; devono ritenersi poste passive (costi) rilevanti ai fini dell'esatto computo di tale base di calcolo (disavanzo di esercizio) tanto le quote di ammortamento di un precedente contributo erogato alle medesime aziende ai sensi della legge n. 151 del 1981 per l'acquisto di nuovi autobus (contributo per investimenti), quanto gli accantonamenti imposti dalla legge n. 297 del 1982 per garantire l'adeguamento del trattamento di fine rapporto dei dipendenti già maturato alla data del 31 maggio 1982.

Commento di

GIULIO BACOSI

Trasporto locale: la Plenaria, i bilanci ripianati e il codice civile.

Il fatto

La Regione Lombardia liquida ad una serie di società di trasporto locale, pubbliche e private, il contributo integrativo previsto dall'art. 1 del decreto legge n. 833 del 1986 (convertito nella legge n. 18 del 1987) onde consentirne il ripiano dei disavanzi di esercizio maturati nel torno di tempo che va dal 1982 al 1986.

Dall'ammontare complessivo dell'apporto finanziario viene tuttavia depennata la quota - pur annoverata tra i costi e come tale documentata in bilancio dagli amministratori delle società beneficiarie - corrispondente all'ammortamento di una diversa agevolazione contributiva, in conto capitale, precedentemente erogata dalla medesima Regione ad appannaggio dell'acquisto di autobus da adibire al trasporto di persone.

Insorgono le compagini societarie destinatarie del contributo impugnando, limitatamente alla parte di pertinenza (quella che, in sostanza, aveva pretermesso i menzionati costi d'ammortamento dalla base di calcolo del ridetto beneficio) tanto il provvedimento di liquidazione in parola, quanto tutti i relativi atti preparatori e presupposti, ivi compresa una circolare del Ministero del Tesoro del gennaio 1988, denunciando violazione di legge ed eccesso di potere.

Tre delle società ricorrenti si dolgono, inoltre, della mancata assunzione da parte dell'Autorità Regionale - quali "costi" parimenti "finanziabili" ai sensi del decreto legge n. 833.86 - degli accantonamenti operati dalla relativa gestione manageriale per l'adeguamento dei fondi di buonuscita del personale dipendente, obbligata scaturigine dell'avvento della nota legge n. 297 del 1982 sul c.d. TFR (trattamento di fine rapporto) denunciando, con motivi aggiunti, ulteriori profili di violazione di legge ed eccesso di potere.

Viste abiurate in modo pressoché pedissequo le rispettive tesi difensive dalla I Sezione dell'adito Tar Lombardia (se si esclude il parziale, e formale, accoglimento di uno soltanto degli interposti ricorsi, per un accertato errore contabile dell'Amministrazione Regionale), l'intera turba di società coinvolte nella vicenda si appella al Consiglio di Stato la cui IV Sezione, avvedutasi di un punto di diritto potenziale fonte di ".contrasti giurisprudenziali", rimette la relativa questione all'Adunanza Plenaria a mente dell'art.4 5 del r.d. n. 1054 del 1924 (ordinanza n.3 163 del 2001).

Sul versante precettivo, il punctum pruriens concerne le disposizioni che regolano il c.d. "contributo straordinario di esercizio" previsto dall'art. 1 del decreto legge n. 833 del 1986, convertito nella legge n.18 del 1987; in particolare, una cifra oscura appare avvolgere il concetto di c.d. "disavanzo di esercizio" maturato da aziende di trasporto pubbliche e private ed il cui 70% - in forza del menzionato art. 1 del decreto legge n. 833.86 - viene posto a carico dei bilanci delle Regioni, limitatamente agli anni dal 1982 al 1986, e per la sola parte che non risulti già "coperta" dai contributi ottenuti dalle aziende in forza della precedente legge n. 151 del 1981 (art. 6).

Viene in altri termini chiesto alla Plenaria di interpretare nel modo più appagante il contesto precettivo che disciplina il computo della più volte menzionata agevolazione, al fine di correttamente intendere quali voci di "costo" affioranti dai bilanci societari (e determinanti il ripianando disavanzo di esercizio) possano ritenersi effettivamente annoverabili nella relativa base di calcolo.

Secondo l'ermeneusi riconducibile alle società appellanti (e già ricorrenti) - fedele agli schemi di una logica dalla quale appaiono ovviamente affrancarsi le Amministrazioni intimate - l'ormai noto contributo "coprirebbe" tra gli altri, proprio in qualità di ulteriori "costi determinanti" (fattori genetici di) quel disavanzo di esercizio che si intenderebbe ammortizzare, anche

- da un lato, le quote di ammortamento del precedente contributo in conto capitale ottenuto dalla Regione al fine dell'acquisto di autobus ex legge n. 151.81;

- dall'altro gli accantonamenti finalizzati ad adeguare il trattamento di fine rapporto dei dipendenti, maturato alla data del 31 maggio 1982, alle nuove coordinate fornite dalla legge n. 297 del 1982.

Peraltro la IV Sezione rimettente, che ha già avuto modo in altre occasioni di cimentarsi sul medesimo thema decidendum, segnala al Supremo Consesso Amministrativo di aver per lo più risolto le questioni sul tappeto in modo non omogeneo, ovvero:

a) confortando la tesi di volta in volta abbracciata dalle società ricorrenti con riguardo alla annoverabilità, tra i costi oggetto di "copertura", delle quote di ammortamento correlate al pregresso contributo (funzionale all'acquisto di automezzi);

b) disattendendone, al contrario, le censure con riferimento agli importi stanziati dal relativo staff manageriale a fini di adeguamento della buonuscita dovuta al personale dipendente, importi non riconducibili alla nozione tecnica di "disavanzo di esercizio" da riferirsi - sul versante negativo - ai soli costi effettivamente sostenuti dall'impresa societaria e come tali registrati in bilancio.

La decisione della Plenaria

L'Adunanza, come ormai sempre più di sovente accade, scopre subito le sue carte, dichiarandosi propensa ad un'ampia apertura di credito a favore dell'opzione ermeneutica più volte sposata dalla Sezione rimettente.

Non già, tuttavia, sulla scorta di quelle sole ".considerazioni di carattere prevalentemente contabilisitico" che la IV Sezione ha sempre posto a base del proprio percorso motivazionale (favorevole alle società ricorrenti e pur dichiaratamente apprezzato dal Supremo Consesso Amministrativo, che apertis verbis conferma di non volersene discostare), quanto, e significativamente, in base a "..rilievi interpretativi di più specifica valenza giuridica in cui essa (l'opzione ermeneutica condivisa: n.d.r.) trova il suo fondamento".

Il Collegio inizia col vagliare scrupolosamente il preciso tenore testuale dell'art.1 del d.l. n. 833 del 1986, da un lato, e degli articoli 6 e 11 della legge n. 151 del 1981, dall'altro per inferirne taluni postulati dai quali - afferma - occorre necessariamente muovere onde pervenirne alla miglior esegesi:

a) il contributo previsto dall'art.1 del d.l. n. 833.86 ha natura di "intervento straordinario";

b) la misura di tale intervento straordinario viene indicata con una espressione percentualistica rispetto ad una data base di calcolo (il 70%);

c) la base di calcolo alla quale si applica la ridetta percentuale (e che determina, nella sostanza, il contributo in parola) si compendia nei disavanzi di esercizio delle aziende di trasporto pubbliche e private (nonché dei servizi di trasporto in gestione diretta degli enti locali), con riferimento agli esercizi dal 1982 al 1986 ed in relazione a quella sola quota di tali disavanzi che non abbia già trovato copertura attraverso i diversi contributi di esercizio (già goduti o comunque spettanti) previsti dall'art. 6 della legge n. 151 del 1981;

d) l'art. 1 del decreto legge n. 833 del 1986, al fine di determinare la base di calcolo (disavanzo di esercizio) il cui 70% deve ritenersi "finanziato" dal nuovo contributo in esso previsto, richiama espressamente - per ritenerli negativamente rilevanti - i contributi di esercizio già goduti in forza della precedente legge n. 151 del 1981, art. 6, senza richiamare, al contrario, i contributi per gli investimenti previsti dall'art. 11 di quella stessa legge;

e) con la legge n. 151 del 1981 sono stati dunque previsti, in via ordinaria, due "pilastri" al fine di garantire il pubblico sostegno nel settore dei servizi di trasporto considerati, ovvero il contributo a ripiano del disavanzo di esercizio (art. 6) ed il contributo per gli investimenti (art. 11);

f) il primo, al fine di scongiurare una duplicazione di contribuzioni pubbliche, è stato fatto oggetto di esplicito richiamo da parte del successivo decreto legge n. 833 del 1986, che lo ha additato quale elemento contabile "negativo" ai fini del computo della base di calcolo (disavanzo di esercizio) il cui 70% è stato assunto come ripianabile dalla nuova agevolazione in esso (art. 1) prevista;

g) il secondo non è stato del pari esplicitamente richiamato dal legislatore del 1986, onde (ubi lex non dixit, non voluit) i contributi precedentemente erogati dall'Amministrazione a titolo di investimenti debbono ritenersi positivamente "pesare" sul calcolo del disavanzo di esercizio e, in ultima analisi, sull'ammontare della novella contribuzione pubblica;

h) l'apporto erogato per l'acquisto di nuove vetture va considerato contributo a titolo di investimento, sicchè le relative quote di ammortamento vanno coerentemente considerate (rispetto all'assunto di partenza) quali costi di esercizio rilevanti ai fini della base di calcolo data dal "disavanzo di esercizio" ed il cui 70% va assoggettato alla ("nuova") agevolazione contributiva prevista dal d.l. n. 833 del 1986 (art. 1).

All'evidenziato incedere sillogistico l'Adunanza fa seguire ulteriori considerazioni di natura strettamente letteral-semantica, evidenziando come il concetto di "disavanzo di esercizio" funzionale ad una corretta interpretazione del più volte menzionato art. 1 (del d.l. n. 833.86) non si ritragga dal mero avvicendarsi dei termini linguistici nei quali la disposizione in parola si articola.

Né potrebbe intendersi illuminante ad usum Delphini la relativa definizione (disavanzo di esercizio = "costi" - "ricavi") settorialmente dettata, a diversi fini, dall'art. 6 comma 1° lettera c) della precedente legge n. 151 del 1986, e specificamente concernente il calcolo del contributo di esercizio ordinario da erogarsi alle imprese del settore (quest'ultimo peraltro, come riferito, da intendersi quale incentivazione "non duplicabile" attraversi il nuovo strumento contributivo).

Non resta al Collegio che ricorrere al concetto "generale" di disavanzo di esercizio rinvenibile nel codice civile, ed in particolare in quelle disposizioni del Libro V, Capo V, Sezione IX concernenti il bilancio di esercizio della s.p.a. (ed in genere delle società di capitali).

L'Adunanza fa così appello all'art. 2425.bis c.c. - come novellato dall'art. 11 del decreto legge n. 95 del 1974, convertito nella legge n. 216 del 1975 - concernente la iscrizione in bilancio dei ricavi, proventi, costi ed oneri al fine di sostenere (con evidente ed ancorché implicito richiamo al precedente art. 2425, laddove annovera proprio gli ammortamenti tra i "costi di produzione") la natura di autentiche "perdite di esercizio" riconoscibile agli ammortamenti.

Proprio in quanto tali, essi confluiscono - e qui si chiude definitivamente il cerchio argomentativo - ".nel complessivo disavanzo di esercizio" imputabile alle società di trasporto in parola, per il cui ripiano è stato previsto il contributo di cui all'art. 1 del decreto legge n. 833.86.

Detto altrimenti, secondo l'autorevole intendimento dell'Adunanza, gli ammortamenti rappresentano indubitabilmente delle voci di "costo" per le imprese interessate al contributo in parola compendiando come tali, a pieno titolo, una posta "passiva" di quel "disavanzo di esercizio" il cui 70% viene "coperto" dalla agevolazione contributiva di cui al d.l. 833.86.

Alla prospettiva ermeneutica impostata sul criterio "letterale" l'Adunanza fa poi tosto seguire quella, complementare (ex art. 12 delle disposizioni preliminari al c.c.), di ascendenza sistematica: la più autentica "intenzione del legislatore" potendosi ritrarre, a detta del Collegio, dalle premesse al decreto legge n. 833.86.

La relativa lettura lascia affiorare il vero obiettivo del nomopoieta, vale a dire quello di "ricostituire gli occorrenti equilibri aziendali" sconquassati dai disavanzi di esercizio che le aziende di trasporto locale hanno maturato nel periodo in considerazione, anche al fine di fronteggiarne i "negativi riflessi" sulla concreta gestione del servizio pubblico di pertinenza.

Mette conto precisare, puntualizza il Collegio, come - diversamente dal fine, affatto specifico, perseguito dall'art. 6 della precedente legge n. 151.81 attraverso l'erogazione del contributo ordinario di esercizio, ovvero l'equilibrio finanziario delle aziende che ne furono rese destinatarie, con rilevanza operazionale assunta dal mero "profilo economico del bilancio" - quello avuto di mira dal successivo d.l. n. 833.86 si sia palesato come obiettivo assai più generico (ed insieme ambizioso), risolvendosi nel tentare un agevolato ripiano dei disavanzi di esercizio delle aziende medesime; nel tendere, in sostanza, ad un riequilibrio della gestione imprenditoriale complessivamente considerata, onde scongiurare possibili afflati ulteriormente peggiorativi della dinamica aziendale.

In definitiva, "nonostante l'erogazione di contributi ordinari" (tra i quali appunto quello previsto dall'art. 6 della legge 151.81), residuava in capo alle imprese pubbliche e private di trasporto locale un sostanziale disavanzo di esercizio, evincibile dai dati di bilancio: proprio al fine di ridurre tale disavanzo, accollandone una quota parte pari al 70% alle Regioni, è intervenuto il d.l. n. 833.86, che ha provveduto a correlativamente sgravare le imprese che ne sono risultate beneficiarie.

E' stato all'uopo considerato quale base di calcolo percentulistica uno "squilibrio" imprenditoriale genericamente inteso, dato dalla "somma algebrica negativa" tra ricavi (inferiori) e costi (superiori), inclusi, tra questi ultimi, quelli occorrenti per ammortizzare precedenti contributi "per gli investimenti" erogati dalla stessa Regione in conto capitale ed in vista dell'acquisto di nuovi automezzi.

Ancora il concetto generico di "disavanzo di esercizio" per come testè esplicitato, consente al Collegio di giustificare il pieno conforto tributato - in contrasto con precedente giurisprudenza delle sezioni semplici supra menzionata - financo alle doglianze avanzate da talune delle società appellanti e riferite alle maggiori somme dalle stesse accantonate per adeguare i fondi di buonuscita del proprio personale alle prescrizioni della legge n. 297.82; tali somme, ove storicamente risultanti dai bilanci delle società richiedenti, non potrebbero non contribuire, coerentemente con l'approccio metodologico fatto proprio dall'Adunanza, alla individuazione di quelle poste passive di "costo" delle quali la base di calcolo (il noto "disavanzo di esercizio") del contributo considerato costituisce variabile dipendente.

Segue il ribaltamento dei deliberata di prime cure e, per diretta conseguenza, la demolizione dei provvedimenti ab origine impugnati dalle compagini sociali ricorrenti.

Spunti di riflessione

Se è tanto vero quanto in qualche modo inevitabile - da un versante - come non sempre l'Adunanza Plenaria sia chiamata a propalare statuizioni sui massimi sistemi giuridici, è del pari e nondimeno innegabile - dall'altro - come essa riesca comunque sovente a trarre da ipotesi di lavoro quanto mai settoriali, ed avvalendosi di circuiti motivazionali a geometria variabile, principi ed indirizzi capaci di orientare il successivo incedere della giustizia amministrativa, così suscitando qualche considerazione sul rinnovato ruolo recentemente assunto da quest'ultima.

Nell'emblematico caso all'esame, ad esempio, sollecitato dalla necessità di verificare le esatte coordinate precettive che regolano una fattispecie in materia di agevolazioni erogate alle imprese, il Supremo Consesso Amministrativo finisce col lucidamente ribadire l'indeffetibile ruolo da protagonista da riconoscersi al puro dato giuridico nel proscenio processuale, quale secondo polo - in una con la cornice fattuale di riferimento - della piattaforma sulla quale va fondata la decisione della vertenza.

Va precisato in proposito come la giurisprudenza tanto dei Tar quanto delle Sezioni semplici fosse già a più riprese pervenuta a riconoscere annoverabili tra i costi di gestione di talune aziende - potenziali destinatarie di un contributo regionale inteso a ripianarne i disavanzi di bilancio - una serie di poste passive [in particolare, le quote di ammortamento di un contributo precedentemente assegnato alle (o comunque tuttora fruibile dalle) stesse; nonché le riserve necessarie ad adeguare i trattamenti di fine rapporto dei dipendenti ai dettami della legge n. 297.82] sulla base di considerazioni di natura prevalentemente contabilistica, a propria volta poggianti sul concetto economico di "ammortamento" e di "beni ammortizzabili".

Ben lungi dal disconoscere la funzione strumentale di talune scienze collaterali a quella giuridica - quali per l'appunto quelle collegate alle discipline economiche, aziendalistiche e ragionieristiche - in vista di una decisione il più possibile "giusta", l'Adunanza riafferma nondimeno la imprescindibile necessità, per il giurista in genere e per il giudice in specie, di prendere le mosse - una volta delimitato il perimetro fattuale della vicenda di volta in volta vagliata - dal dato giuridico nettamente inteso, attivando una interpretazione dello stesso conforme ai noti canoni esegetici cristallizzati nell'art. 12 delle disposizioni preliminari al c.c. (quello letterale, quello storico e soprattutto a quello sistematico).

Metodo giuridico, dunque, per dipanare le controversie, quand'anche supportato da discipline satelliti idonee a garantire una maggior "giustezza" del risultato decisionale agognato dalle parti del celebrato giudizio.

All'identificazione dell'armamentario tecnico necessario per correttamente operare (ermeneusi "giuridica"), non può non far pedissequamente seguito la corretta identificazione del relativo oggetto, da rivenirsi in quel dato giuridico di base che, con riguardo all'area amministrativa del macrocosmo ordinamentale, ha sempre presentato all'interprete (anche al più volenteroso), connotati di indubbia asistematicità.

Un disorientamento tradizionalmente imputato alla mancanza di un codice di riferimento analogo a quello che funge da stella polare dell'esegeta in altri settori del contesto normativo di riferimento (segnatamente, quello civilistico o quello penalistico, anche nella relativa versione processuale); di un corpus sistematicamente avvinto nelle sue diverse articolazioni, capace di scongiurare per il giudice amministrativo - di volta in volta chiamato ad estrapolarne le disposizioni in concreto rilevanti con riguardo alla singola fattispecie ed a farne corretta e concreta applicazione - la lotta con un arcipelago normativo costellato da scelte scoordinate ed irrazionali.

La querelle che da lustri si agita attorno alla concreta possibilità di varare un "codice amministrativo" è tanto nota da non meritare eccessivI dilunghi in questa sede; viene piuttosto da chiedersi se, alla luce della evoluzione in progress che pare non da ieri solcare in lungo e in largo l'universo giuridico amministrativo, non risparmiando lo stesso crinale processualistico, l'evocata codificazione appaia ormai realmente opportuna, e financo "necessaria".

Mette conto evidenziare in proposito, a titolo tanto emblematico quanto meramente esemplificativo, come nel caso risolto dalla Plenaria con la decisione chiosata la stessa abbia fatto appello, a fini decisori, dapprima -richiamando, sul punto, i considerata della giurisprudenza delle sezioni semplici - ai principi civilistici di chiarezza, verità ed effettività che presidiano la redazione del bilancio con riferimento alle società di capitali (art. 2423 c.c.); e quindi, direttamente, all'art. 2425.bis del codice civile (per vero, concernente i criteri legali di indicazione in bilancio dei ricavi, proventi, costi ed oneri di impresa), oltreché, indirettamente, ai precedenti articoli 2424.bis (Disposizioni relative a singole voci dello stato patrimoniale) e 2425 (Contenuto del conto economico) ancora dell'ordito codicistico del 1942.

Sono i richiami ai codici in genere, ed a quello civile in particolare, a sollecitare l'attenzione di un lettore di pronunce anche solo un tantino avveduto, lasciando trapelare con peculiare nettezza la sempre più stringente affinità tra il diritto amministrativo e, più in specie, quello civile.

Può apparire coraggioso, avanguardista e, fors'ancora oltremodo prematuro affermare come si faccia rotta a vele spiegate verso un "diritto civile speciale della pubblica amministrazione", quantunque positivi (e coerenti) segnali in tal senso provengano dalla contrattualistica e dalla stessa visione più moderna del procedimento quale "contatto sociale qualificato", giuridicamente rilevante ed in qualche modo assimilabile alle trattative negoziali di ben più collaudata tradizione, anche sotto il profilo speculativo.

Meno avveniristico appare invece affermare la trasfigurazione del secolare ruolo "pretorio" della giurisprudenza amministrativa, anche nella sua massima e più autorevole espressione, da istanza "creatrice" di principi e capace di colmare indubbie lacune di sistema, a raffinato interprete, in funzione applicativa specialistica, di canoni mutuabili da altri e più antichi contesti normativi.

Da rimodulare, com'è ovvio, in funzione dell'interesse pubblico, più autentico oggetto della scienza giuridica amministrativistica.

 

 

FATTO

Le Società appellanti hanno impugnato innanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia i provvedimenti con i quali la Regione Lombardia ha disposto in loro favore la liquidazione del contributo integrativo previsto dall'art. 1 del D.L. 9 dicembre 1986 n. 833, convertito in L. 6 febbraio 1987 n. 18, a parziale ripiano dei disavanzi di esercizio delle aziende di trasporto relativi agli anni dal 1982 al 1986; nonché gli atti preparatori e presupposti, compresa, ove occorra, la circolare 14 gennaio 1988 n. 43 del Ministero del Tesoro.

Tutte le Società appellanti hanno lamentato l'eliminazione, dai costi risultanti in bilancio, delle quote di ammortamento di autobus alle quali corrispondono contributi in conto capitale erogati dalla stessa Regione per il relativo acquisto. Hanno dedotto i seguenti motivi d'illegittimità:

1)- violazione dell'articolo 1 del decreto legge n. 833 del 1986, convertito nella legge n. 18 del 1987, e della legge n. 151 del 1981, anche in rapporto agli artt. 2423 e seguenti del codice civile ed agli artt. 55 e 68 del D.P.R. n. 597 del 1973;

2)- eccesso di potere per illogicità manifesta, travisamento dei fatti, difetto di motivazione, contraddittorietà e mancanza di imparzialità.

Le società SGEA Lombardia s.p.a., STAR - Società Trasporti Automobilistici Regionali s.p.a. e FINSAIA s.p.a., già SAIA s.p.a., hanno denunciato, inoltre, la detrazione anche degli accantonamenti effettuati, a seguito dell'entrata in vigore della L. 29 maggio 1982 n. 297, per l'adeguamento dei fondi di buonuscita maturati al 31 maggio 1982. Hanno, pertanto, aggiunto a quelli sopra riferiti, i seguenti ulteriori motivi di doglianza:

3)- violazione delle norme indicate nel primo motivo, in aggiunta alla violazione degli artt. 57 e 65 del D.P.R. n. 597 del 1973;

4)- eccesso di potere sotto i profili segnalati.

Con distinte sentenze il T.A.R. ha rigettato tutti ricorsi di cui sopra, compensando le spese processuali. Soltanto il ricorso proposto dalla Varese Trasporti s.p.a. (ric. n. 751 del 1990) è stato in parte accolto con la sentenza n. 311/1997, ma con riguardo ad un errore contabile in cui l'Amministrazione è incorsa nel calcolo della perdita relativa all'esercizio 1982/83.

Di qui gli appelli in esame, con i quali le società originariamente ricorrenti ripropongono sostanzialmente le censure già dedotte in prima istanza.

La Regione Lombardia ed il Ministero del Tesoro si sono costituiti in giudizio per resistere al gravame, di cui hanno chiesto la reiezione perché infondato.

Con ordinanza n. 3163 del 14 giugno 2001 la Sezione IV del Consiglio di Stato, previa riunione degli appelli, ha rimesso il giudizio a questa Adunanza plenaria, a norma dell'art. 45 del R.D. 26 giugno 1924 n. 1054.

All'udienza del 29 ottobre 2001, sentiti i difensori delle parti, le cause riunite sono state trattenute in decisione.

DIRITTO

Le questioni deferite all'esame dell'Adunanza Plenaria con l'ordinanza 14 giugno 2001 n. 3163 della Sezione IV riguardano la determinazione del contributo straordinario d'esercizio di cui all'art. 1 del D.L. 9 dicembre 1986 n. 833, convertito nella L. 6 febbraio 1987 n. 18.

La disposizione contempla l'assunzione a carico dei bilanci delle Regioni di una percentuale (70%) dei disavanzi d'esercizio delle aziende di trasporto pubbliche e private, relativi agli anni dal 1982 al 1986, che non abbiano trovato la necessaria copertura con i contributi erogati ai sensi dell'art. 6 della L. 10 aprile 1981 n. 151.

In particolare, si controverte se, al fine di cui si tratta, nel disavanzo d'esercizio siano da considerare oppure no:

a) le quote di ammortamento degli autobus acquistati dalle aziende con il contributo in conto capitale della Regione (ricc. nn. 4110/96, 9359/97, 9360/97, 9362/97, 9363/97, 9364/97, 9365/97, 9517/97, 9519/97, 9520/97, 9521/97);

b) gli accantonamenti operati, a seguito dell'entrata in vigore della L. 29 maggio 1982 n. 297, per l'adeguamento del trattamento di fine rapporto dei dipendenti maturato al 31 maggio 1982 (ricc. n. 9358, 9361 e 9518 del 1997).

In ordine al primo quesito, la Sezione remittente riferisce di aver fin ora seguito un orientamento favorevole alle società appellanti (cfr. le decisioni 11 dicembre 1997 n. 1378, 8 luglio 1999 n. 1190 e 15 ottobre 1999 n. 1584).

Si è ritenuto, infatti, che non fosse condivisibile la tesi negativa dell'Amministrazione perché:

a) - un'interpretazione estensiva della citata disposizione del 1986, condurrebbe ad un'inaccettabile confusione tra contributi di esercizio e contributi di investimento, previsti dalla L. 10 aprile 1981 n. 151;

b) - gli ammortamenti hanno la funzione pratica di rettificare il valore attribuito ai cespiti mediante l'iscrizione nel passivo di una quota corrispondente tendenzialmente alla diminuzione di valore del bene e, pertanto, trattandosi di perdite di esercizio, gli ammortamenti confluiscono nel complessivo disavanzo dell'azienda;

c) - la funzione dell'ammortamento dei beni è proprio quella di accantonare mezzi finanziari per il futuro acquisto di altri, allorché quelli esistenti debbano essere sostituiti;

d) - il costo dei beni ammortizzabili rileva come valore a sé stante in termini oggettivi e non come prezzo effettivamente pagato per il relativo acquisto, divenendo così ininfluenti le modalità di reperimento delle disponibilità finanziarie necessarie per il loro acquisto, ivi compresi i contributi pubblici;

e) - attesa la incertezza in ordine all'erogazione del finanziamento pubblico poi conseguito ridurre le quote di ammortamento del valore del contributo ottenuto significherebbe, in termini giuridico-contabili, alterare il bilancio aziendale, così violando i relativi principi civilistici della chiarezza, della verità e dell'effettività e, da un punto di vista strettamente economico-aziendale, limitare la possibilità dell'impresa di sostituire i beni strumentali non più vantaggiosamente utilizzabili nello svolgimento dell'attività esercitata.

Nel rimettere al giudizio dell'Adunanza plenaria anche la questione sopra indicata sub b), la Sezione IV esprime l'avviso che la medesima accezione del concetto di disavanzo di esercizio, riferito cioè a costi effettivamente sostenuti, rappresenta la ragione per giustificare l'esclusione, dalla base di calcolo del contributo in questione, degli importi stanziati per l'adeguamento dei fondi di buonuscita alle prescrizioni della L. 29 maggio 1982 n. 297.

Così definiti i termini della controversia, ritiene l'Adunanza plenaria che la precedente giurisprudenza meriti di essere confermata, più che per le considerazioni di carattere prevalentemente contabilistico sopra riferite, dalle quali, peraltro, non v'è motivo per dissentire, per i rilievi interpretativi di più specifica valenza giuridica in cui essa trova il suo fondamento.

Stabilisce l'articolo 1 del decreto-legge del quale si discute che "i disavanzi di esercizio delle aziende di trasporto pubbliche e private, nonché dei servizi di trasporto in gestione diretta degli enti locali relativi agli esercizi 1982, 1983, 1984, 1985 e 1986, che non hanno trovato copertura con i contributi di cui all'articolo 6 L. 10 aprile 1981 n. 151, sono assunti a carico dei bilanci regionali in misura pari al 70 per cento del loro ammontare".

Si tratta di un intervento straordinario, del quale vengono indicate soltanto la misura e la base di calcolo; la prima in termini percentuali della seconda e questa identificandola con l'ammontare residuo del disavanzo di esercizio, dedotto il solo importo dei contributi previsti dal citato articolo 6 (contributi di esercizio già goduti o cumunque spettanti). Manca, invece, qualunque riferimento ai contributi per gli investimenti, pur previsti dall'art. 11 della stessa legge.

L'omissione non può essere ritenuta irrilevante e, tanto meno, casuale, ove si consideri che la contribuzione per gli investimenti rappresenta nel sistema della legge n. 151 del 1981 l'altro strumento con il quale in via ordinaria, insieme al contributo a ripiano del disavanzo d'esercizio, è attuato il pubblico sostegno nel settore di servizi in argomento.

Nella determinazione della quota di disavanzo da porre a carico del bilancio regionale, la legge consente, quindi, che si tenga conto soltanto di quelli di esercizio (art. 6) e non anche di quelli per investimenti (art. 11). L'Amministrazione, invece, attraverso l'esclusione delle quote di ammortamento dei beni assistiti da finanziamento pubblico, perviene al loro scomputo dall'ammontare del disavanzo.

Va rilevato, inoltre, che l'art. 1 del D.L. n. 833 del 1986 non reca alcuna regola per la definizione del disavanzo di esercizio. Né può essere utile, a tal fine, la generica accezione di "differenza tra costi e ricavi" che si legge nell'art. 6, comma 1, lett. c), L. n. 151 del 1981, la quale, oltre tutto, si riferisce al "costo economico standardizzato del servizio" ed ai "ricavi del traffico presunti" indicati dalla legislazione regionale quali elementi di calcolo del contributo d'esercizio ordinario.

Il disavanzo di esercizio considerato dal citato articolo 1 non può che essere, allora, quello emergente dai bilanci delle singole imprese, i quali, ove si tratti, come nella specie, di imprese amministrate da società per azioni od a responsabilità limitata, devono essere redatti con l'osservanza degli artt. 2423 e segg. del codice civile. E non può dubitarsi che, ai sensi dell'art. 2425 bis del codice civile, nel testo introdotto dell'art. 11 della legge 7 giugno 1974 n. 216 e vigente nel 1986, gli ammortamenti siano perdite d'esercizio che, in quanto tali, confluiscono nel complessivo disavanzo di esercizio.

Il quadro normativo considerato, dunque, non mostra profili di indeterminatezza od equivocità che consentano di attribuire rilevanza significativa alla circostanza che il contributo integrativo di cui si tratta, siccome relativo ad esercizi ormai trascorsi, sia da erogarsi a consuntivo. Questo dato non conduce, infatti, in alcun modo a ritenere che il disavanzo di esercizio debba essere determinato distinguendo a seconda che ai costi corrisponda, o non, un effettivo esborso di denaro da parte delle aziende.

A tanto non conduce neppure l'indagine sull'intento perseguito dal legislatore; attraverso la quale, anzi, appare più corretto giungere al risultato opposto.

Nelle premesse del decreto-legge l'obiettivo dichiarato è quello di "fronteggiare i negativi riflessi" sulla gestione dei trasporti locali "derivanti dai disavanzi di esercizio delle aziende ., anche allo scopo di ricostituire gli occorrenti equilibri aziendali". Si tratta di espressione che, per la sua genericità, appare ben più comprensiva di quella con cui, nell'art. 6 della L. n. 151 del 1981, si indica nell' "equilibrio economico dei bilanci" l'obiettivo del contributo ordinario di esercizio. Se in quest'ultima, infatti, si considera il solo profilo economico del bilancio, nella prima il disavanzo di esercizio è riguardato quale elemento di squilibrio nell'ambito del più ampio complesso organizzato di beni e mezzi, materiali ed immateriali, costituente l'azienda.

Di qui il carattere più radicale dell'intervento stabilito in via straordinaria e d'urgenza, inteso a trasferire alla Regione una parte (il 70%) del disavanzo d'esercizio ancora risultante in bilancio, nonostante l'erogazione dei contributi ordinari; in modo da ridurne, puramente e semplicemente, la quota restante a carico dell'impresa.

Devono, pertanto, ritenersi fondate le doglianze, conformi ai rilievi che precedono, addotte dalle Società appellanti in ordine all'esclusione delle quote di ammortamento di beni alle quali corrispondono contributi per gli investimenti.

Le stesse ragioni valgono, per altro, in merito alla depurazione del disavanzo di esercizio dalle maggiori somme accantonate per adeguare i fondi di buonuscita alle prescrizioni della L. 29 maggio 1982 n. 297. Si tratta, invero, di poste passive il cui ammontare è determinato dal nuovo regime previdenziale con quella legge introdotto e che, pertanto, integrano il disavanzo nella misura in cui storicamente risultano nei bilanci degli esercizi indicati dal più volte citato art. 1 del D.L. n. 833 del 1986.

Alla stregua delle considerazioni fin qui svolte, gli appelli in epigrafe, già riuniti, devono essere accolti e, per l'effetto, devono essere annullate le sentenze impugnate ed accolti i ricorsi proposti in primo grado, con conseguente annullamento, per quanto di ragione, degli atti impugnati.

Sussistono giusti motivi per compensare spese e competenze di giudizio tra le parti in causa.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Adunanza plenaria) accoglie gli appelli in epigrafe e, per l'effetto, annulla la sentenza impugnata, accoglie i ricorsi prodotti in primo grado ed annulla, per quanto di ragione, gli atti con essi impugnati.

Compensa spese e competenze di giudizio.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, riunito in Adunanza plenaria nella camera di consiglio del 29 ottobre 2001 con l'intervento dei signori Magistrati:

Alberto de Roberto - Presidente

Sergio Santoro - Consigliere

Domenico La Medica - Consigliere

Costantino Salvatore - Consigliere

Giuseppe Farina - Consigliere

Anselmo Di Napoli - Consigliere

Corrado Allegretta - Consigliere, rel. est.

Luigi Maruotti - Consigliere

Chiarenza Millemaggi Cogliani - Consigliere

Marcello Borioni - Consigliere

Pietro Falcone - Consigliere

Paolo Buonvino - Consigliere

Goffredo Zaccardi - Consigliere

IL PRESIDENTE

f.to Alberto de Roberto

IL RELATORE IL SEGRETARIO

f.to Corrado Allegretta f.to Pier Maria Costarelli

DEPOSITATA IN SEGRETERIA il 03/04/2002.

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