CONSIGLIO DI STATO, ADUNANZA PLENARIA - Sentenza 29 gennaio 2003 n. 1 - Pres. de Roberto, Est. Pajno - Comune di Aversa (Avv. A. Romano) c. Zecchina Costruzioni S.p.a. (Avv. G. Marone) e Impresa di Costruzioni Ing. Marino e C. S.p.a. (n.c.) - (conferma T.A.R. Campania-Napoli, Sez. I, 10 febbraio 1999, n. 340 - la questione era stata rimessa all'Ad. Plen. con ordinanza della Sez. V, 6 maggio 2002, n. 2406, in questa Rivista n. 5-2002 ed ivi ult. riferimenti).
1. Giustizia amministrativa - Ricorso giurisdizionale - Lesione dedotta in giudizio - Deve possedere i caratteri dell'immediatezza, della concretezza e dell'attualità.
2. Contratti della P.A. - Bando - Impugnativa - Va di regola proposta assieme all'atto applicativo - Ragioni.
3. Contratti della P.A. - Bando - Impugnativa - Nel caso di clausole impeditive dell'ammissione dell'interessato alla selezione - Va proposta immediatamente, entro i termini decorrenti dalla pubblicazione del bando.
4. Contratti della P.A. - Bando - Impugnativa - Nel caso di clausole impeditive dell'ammissione dell'interessato alla selezione - Presentazione della domanda di partecipazione - Necessità ai fini dell'ammissibilità dell'impugnazione.
5. Contratti della P.A. - Bando - Impugnativa - Clausole vincolanti per l'amministrazione o per i concorrenti o clausole che definiscono gli oneri formali ed oggettivi di partecipazione - Impugnativa immediata - Non occorre.
6. Giustizia amministrativa - Ricorso giurisdizionale - Natura - Non costituisce un rimedio dato nell'interesse oggettivo della giustizia, ma costituisce un rimedio per tutelare le posizioni dei singoli.
7. Giustizia amministrativa - Risarcimento del danno - Derivante da lesione di interessi legittimi - Pregiudizialità dell'annullamento rispetto alla domanda di risarcimento (c.d. pregiudiziale amministrativa) - Appare necessaria nelle ipotesi in cui sia necessario stabilire le conseguenze dell'annullamento degli atti di gara sul contratto eventualmente stipulato tra l'Amministrazione appaltante e l'originario aggiudicatario.
8. Giustizia amministrativa - Ricorso giurisdizionale - Interesse a ricorrere - Intervenuta stipula del contratto di appalto - Non fa venir meno l'interesse.
9. Giustizia amministrativa - Ricorso giurisdizionale - Interesse a ricorrere - Sopravvenuta carenza - Casi in cui si verifica - Individuazione - Avvenuta esecuzione dell'opera pubblica - Non fa venir meno l'interesse all'impugnazione dell'aggiudicazione.
10. Contratti della P.A. - Offerte - Offerte anomale - Esclusione automatica - Ex art. 2 del decreto legge n.65 del 1989 - Può disporsi solo in presenza di almeno 15 offerte - Esclusione automatica disposta in presenza di 4 offerte - Illegittimità.
1. Nel caso di ricorso giurisdizionale, la lesione dell'interesse del ricorrente deve essere caratterizzata dai caratteri dell'immediatezza, della concretezza e dell'attualità: deve, cioè essere una conseguenza diretta ed immediata del provvedimento lesivo e dell'assetto di interessi con esso introdotto, deve essere concreta e non meramente potenziale, sussistere già al momento della proposizione del ricorso e persistere al momento della decisione su di esso.
2. I bandi di gara e di concorso e le lettere di invito vanno di regola impugnati unitamente agli atti che di essi fanno applicazione, dal momento che sono questi ultimi ad identificare in concreto il soggetto leso dal provvedimento ed a rendere attuale e concreta la lesione della situazione soggettiva dell'interessato; a fronte, infatti, della clausola illegittima del bando di gara o del concorso, il partecipante alla procedura concorsuale non è ancora titolare di un interesse attuale all'impugnazione, dal momento che egli non sa ancora se l'astratta e potenziale illegittimità della predetta clausola si risolverà in un esito negativo della sua partecipazione alla procedura concorsuale, e quindi in una effettiva lesione della situazione soggettiva, che solo da tale esito può derivare (1).
3. Il bando di gara o di concorso, o la lettera di invito, normalmente impugnabili con l'atto applicativo, conclusivo del procedimento concorsuale, devono, tuttavia, essere considerati immediatamente impugnabili allorché contengano clausole impeditive dell'ammissione dell'interessato alla selezione, con la conseguenza che la partecipazione alla gara e la presentazione della domanda non costituiscono acquiescenza e non impediscono la proposizione di un eventuale gravame (2).
4. Ai fini dell'ammissibilità dell'impugnazione immediata del bando delle clausole ritenute lesive, è necessaria la presentazione della domanda di partecipazione alla gara o alla procedura concorsuale (3). La presentazione della domanda di partecipazione, nell'evidenziare l'interesse concreto all'impugnazione, fa del soggetto che ha provveduto a tale adempimento un destinatario identificato, direttamente inciso del bando.
5. Non è necessario impugnare immediatamente le clausole vincolanti per l'amministrazione o per i concorrenti (atteso che la natura e la struttura della clausola non escludono che la lesione dell'interesse predetto si determini solo con la mancata aggiudicazione o, comunque, con l'arresto procedimentale), ovvero le clausole che definiscono gli oneri formali ed oggettivi di partecipazione (atteso che tali clausole non sembrano agire in modo diverso dalle ordinarie clausole del bando, impugnabili insieme all'atto applicativo).
6. Il ricorso amministrativo non è rimedio dato nell'interesse oggettivo della giustizia, ma principalmente per tutelare posizioni dei singoli, i quali non sono tenuti a denunciare l'illegittimità degli atti, della quale, pure, abbiano conoscenza, se non nei limiti del momento in cui tale illegittimità si traduce concretamente in una lesione ai propri interessi (4).
7. Pur senza affrontare la questione generale del rapporto processuale tra l'azione di annullamento degli atti amministrativi e quella del risarcimento del danno dai medesimi eventualmente provocato, nell'ambito della nuova disciplina del processo amministrativo, un rapporto di pregiudizialità necessaria può, comunque, porsi, tutte le volte che si sia di fronte alla necessità di stabilire le conseguenze dell'annullamento degli atti di gara sul contratto eventualmente stipulato tra l'Amministrazione appaltante e l'originario aggiudicatario; in tal caso, la previa proposizione del ricorso giurisdizionale davanti al giudice amministrativo, e la definizione del relativo giudizio, appare, comunque, necessaria, posto che si tratta di stabilire quali siano le conseguenze, sul contratto di appalto nelle more stipulato tra Amministrazione ed aggiudicatario, dell'avvenuto annullamento degli atti di gara a seguito del ricorso del partecipante non aggiudicatario.
8. L'integrale esecuzione dell'appalto oggetto di una gara non fa venir meno l'interesse a ricorrere in capo al partecipante non aggiudicatario, e ciò non solo per la persistenza di un interesse morale, ma soprattutto in relazione ad un eventuale giudizio risarcitorio volto a ristorare il ricorrente dal pregiudizio patito per effetto dell'illegittimità (5).
9. La dichiarazione di sopravvenuta carenza di interesse in ordine al ricorso giurisdizionale è, in via di principio, ricollegabile al verificarsi di una situazione oggettivamente incompatibile con la realizzazione dell'utilità o della situazione di vantaggio alla quale mira il ricorso giurisdizionale medesimo, di modo che il suo esito eventualmente positivo per il ricorrente non potrebbe più giovare a quest'ultimo. Un esito del genere non si verifica allorché viene realizzata l'opera pubblica oggetto della gara impugnata, dal momento che tale realizzazione non si risolve in una situazione incompatibile con il conseguimento delle possibili utilità che il ricorrente si riprometteva di conseguire con il ricorso (6).
10. E' illegittimo l'operato di una commissione di gara che, in presenza di solo quattro offerte, ha disposto l'esclusione automatica dalla gara di offerte anomale, nel caso in cui il bando stabilisca, in applicazione del regime transitorio previsto dall'art. 2 del decreto legge n. 65 del 1989, che l'esclusione automatica può essere disposta soltanto in presenza di quindici offerte valide.
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(1) Ha osservato in proposito l'Adunanza Plenaria che, ove l'esito negativo della procedura concorsuale dovesse effettivamente verificarsi, l'atto che chiude tale procedura facendo applicazione della clausola o della disposizione del bando di gara o di concorso, non opererà nel senso di rinnovare (con l'atto applicativo) una lesione già effettivamente prodottasi, ma renderà concreta ed attuale (ed in questo senso, la provocherà per la prima volta) una lesione che solo astrattamente e potenzialmente si era manifestata, ma che non aveva ancora attitudine (per mancanza del provvedimento conclusivo del procedimento) a trasformarsi in una lesione concreta ed effettiva.
In questa prospettiva, ciò che, quindi, appare decisivo ai fini dell'affermazione dell'esistenza di un onere di tempestiva impugnazione è la sussistenza di una lesione concreta ed attuale della situazione soggettiva dell'interessato, che determina, a sua volta, la sussistenza di un interesse attuale all'impugnazione; e quindi, con riferimento al bando di gara o di concorso o alla lettera di invito, l'attitudine (sua o di alcune clausole in essi contenute) a provocare una lesione di tal genere.
(2) Cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 6 ottobre 1999, n.1326.
Ha aggiunto l'Adunanza Plenaria che, le clausole c.d. "escludenti", precludendo esse stesse la partecipazione dell'interessato alla procedura concorsuale, appare idonea a generare una lesione immediata, diretta ed attuale, nella situazione soggettiva dell'interessato ed a suscitare, di conseguenza, un interesse immediato alla impugnazione, dal momento che l'interesse all'impugnazione sorge al momento della lesione (Cons. Stato, Sez. V, 20 giugno 2001 n. 3264).
E' stato, così, correttamente affermato che l'onere dell'immediata impugnativa degli atti preliminari costituenti la lex specialis della gara è ipotizzabile soltanto quando questa contenga prescrizioni dirette a precludere la stessa partecipazione dell'interessato alla procedura concorsuale (Cons. Stato, Sez. V, 27 giugno 2001 n. 3507. sez. VI, 18 dicembre 2001 n. 6260).
In tale prospettiva, è stato osservato che le clausole del bando che debbono essere immediatamente impugnate sono, di norma, quelle che prescrivono requisiti di ammissione o di partecipazione alle gare per l'aggiudicazione, dal momento che la loro asserita lesività non si manifesta e non opera per la prima volta con l'aggiudicazione, bensì nel momento anteriore nel quale tali requisiti sono stati assunti come regole per l'amministrazione (Cons. Stato, sez. IV, 27 marzo 2002 n. 1747).
Ciò che quindi, appare decisivo, ai fini dell'affermazione dell'onere di immediata impugnazione delle clausole che prescrivono requisiti di partecipazione è pertanto non soltanto il fatto che esse manifestino immediatamente la loro attitudine lesiva, ma il rilievo che le stesse, essendo legate a situazioni e qualità del soggetto che ha chiesto di partecipare alla gara esattamente e storicamente identificate, preesistenti alla gara stessa, e non condizionate dal suo svolgimento, sono in condizioni di ledere immediatamente e direttamente l'interesse sostanziale del soggetto che ha chiesto di partecipare alla gara od alla procedura concorsuale.
Tali clausole riguardano, in primo luogo, requisiti soggettivi degli aspiranti partecipanti al concorso. Val quanto dire che esse riguardano direttamente ed immediatamente i soggetti stessi (e non le loro offerte o le ulteriori attività connesse con la partecipazione alla gara), e per tale ragione producono nei loro confronti effetti diretti, identificando immediatamente i soggetti che, in quanto privi dei requisiti richiesti, da tali clausole sono immediatamente e direttamente incisi.
Esse, poi, fanno riferimento ad una situazione (di norma, una situazione di fatto) che è preesistente rispetto al bando, e totalmente indipendente dalle vicende successive della procedura e dei relativi adempimenti, e non richiede valutazioni o verificazioni specifiche. Sotto questo profilo, non è la procedura concorsuale ed il suo svolgimento a determinare l'effetto lesivo (come avviene nel corso della valutazione dell'anomalia dell'offerta), ma direttamente il bando, che prende in considerazione una situazione storicamente ad esso preesistente e totalmente definita.
In terzo luogo, le clausole ricollegano alla situazione di fatto presa in considerazione un effetto giuridico diretto (l'impossibilità di prendere parte alla gara o alla procedura concorsuale) che appare immediatamente lesivo dell'interesse sostanziale degli aspiranti. E' quindi il bando, e non il successivo svolgimento della procedura concorsuale, a determinare esso stesso la lesione dell'interesse degli aspiranti, escludendo per i medesimi, con la partecipazione alla procedura concorsuale, la possibilità di conseguire l'aggiudicazione ovvero (nel caso di concorso in materia di pubblico impiego) la collocazione utile in graduatoria.
(3) Cfr. da ultimo, Cons. Stato, Sez. V, 3 gennaio 2002 n. 6.
(4) Cons. Stato, Sez. VI, 29 gennaio 2001 n. 192.
(5) Cons. Stato, Sez. VI, 20 dicembre 1999 n. 2117.
Ha aggiunto l'Adunanza plenaria che la conclusione appare, peraltro, riferibile non tanto al semplice interesse morale all'accertamento dell'illegittimità della gara, quanto, piuttosto, alla persistenza, pur dopo l'esecuzione della opera pubblica, dell'interesse a conseguire l'eventuale risarcimento dei danni volti a ristorare il pregiudizio patito per effetto dell'illegittimità della gara e della sua conclusione, o comunque dell'interesse ad intraprendere iniziative volte a reintegrare la situazione soggettiva illegittimamente lesa.
(6) Ha osservato l'Adunanza plenaria che l'avvenuta esecuzione dell'opera pubblica non determina il venir meno dell'interesse all'annullamento giurisdizionale degli atti di gara, ma, rendendo non più possibile la semplice rinnovazione della gara a seguito della decisione, trasforma l'interesse a tale forma di tutela in quello ad una tecnica di tutela di tipo risarcitorio, il cui esercizio è volto a ristorare l'interessato dell'eventuale pregiudizio patito, ovvero nell'interesse a tutte le ulteriori iniziative, da adottarsi eventualmente dalla stessa Amministrazione su istanza del ricorrente vincitore, ovvero direttamente da quest'ultimo, volte ad ottenere l'eliminazione del contratto eventualmente stipulato tra l'amministrazione appaltante e il vincitore a seguito della gara annullata.
Da qui, appunto, l'indirizzo giurisprudenziale (affermatosi, peraltro in relazione a fattispecie diverse da quelle riguardanti in modo specifico le conseguenze sul contratto dell'annullamento pronunciato dal giudice amministrativo) che afferma la sua annullabilità relativa - per vizio di formazione del consenso della persona giuridica pubblica - del contratto stipulato sulla base di una aggiudicazione annullata dal giudice amministrativo (Cass., Sez. II, 8 maggio 1996 n. 4269; 7 aprile 1989 n. 1682; 24 maggio 1979 n. 2996) salvo che si sia di fronte ad un vizio di vero e proprio straripamento di potere, che comporta la nullità del contratto (Cass., Sez. II, 24 maggio 1979 n. 2996).
Le conseguenze di tale tradizionale modo di configurare i rapporti tra annullamento dell'aggiudicazione e contratto sono evidenti: l'annullabilità del contratto può essere fatta valere soltanto dall'amministrazione, e non dai concorrenti non aggiudicatari, anche se vittoriosi nel giudizio di annullamento della gara. La sorte del contratto invalido rimane, in questa prospettiva, esclusivamente affidata all'Amministrazione, anche se le iniziative di questa potrebbero essere variamente sollecitate dai concorrenti non aggiudicatari vittoriosi nel giudizio amministrativo di annullamento.
Si tratta di una situazione che, se assicura una significativa stabilità del rapporto contrattuale, è stata, talvolta considerata dal giudice amministrativo come capace di comportare una sostanziale vanificazione dell'effetto conformativo proprio del giudicato amministrativo (T.A.R. Campania - Napoli, Sez. I, 29 maggio 2002 n. 3177).
Sulla sentenza in rassegna v. il commento di G. BACOSI, Da Palazzo Spada conferme e smentite in tema di impugnative dei bandi di gara e un invito - timido, ma "non troppo" - a rimodulare le sorti d'un contratto d'appalto fondato su aggiudicazione illegittima, riportato dopo il testo della sentenza.
V. anche in argomento:
P. BISCONTI, L'impugnativa dei bandi delle gare d'appalto.
F A T T O
Con deliberazione n. 206 del 21 marzo 1991 il Comune di Aversa approvava il progetto dell'opera pubblica concernente la sistemazione dell'emissario delle acque dei Comuni di Parete, Lisciano, Aversa - ovest, Trentole-Ducenta e Frignano.
Con successivo bando, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 14 agosto 1991, l'Amministrazione indiceva la gara per l'aggiudicazione dell'appalto, per un valore a base d'asta di vecchie Lire 31.150.000, stabilendo le prescrizioni della procedura selettiva.
Con lettera di invito del 7 novembre 1991 venivano adottate ulteriori prescrizioni della lex specialis della gara, le quali, tra l'altro, stabilivano che:
- l'aggiudicazione sarebbe avvenuta, con esclusione delle offerte in aumento, in favore dell'offerta economicamente più vantaggiosa, tenendo conto, in ordine di importanza, del valore tecnico dell'opera (fino a punti 50), del prezzo complessivo (punti 33), del tempo di esecuzione (punti 17);
- in variante al progetto dell'Amministrazione, in concorrente avrebbe potuto redigere un altro progetto, contenuto nell'importo a base d'asta.
Veniva, infine, prescritto, con la lettera di invito, che "saranno considerate anomale le offerte che presenteranno una percentuale di ribasso superiore alla media delle percentuali delle offerte ammesse, incrementate dai valori del 7%".
Alla gara venivano ammesse quattro imprese. La Commissione tecnico - amministrativa, dopo aver vagliato i progetti, procedeva all'esame delle offerte economiche, ai fini della valutazione dell'anomalia e dell'assegnazione dei punteggi.
Veniva, così, giudicata anormalmente bassa l'offerta dell'Associazione Temporanea di Imprese Zecchina, che aveva presentato un ribasso del 14,38%. Con delibera della Giunta Municipale del 27 settembre 1993 il Comune approvava definitivamente gli atti di gara, aggiudicando l'appalto all'ATI Marino - Icor - Brancaccio, classificata al primo posto nella graduatoria.
La Zecchina Costruzioni S.p.a., agendo in proprio e quale mandataria dell'ATI Zecchina Costruzioni S.p.a. - Ing. Della Gatta S.p.a., e l'Ing. Della Gatta Sp.a. impugnava allora, con ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, la predetta delibera di aggiudicazione del Comune di Aversa, la deliberazione della Giunta Municipale n. 555 del 3 agosto 1993, con cui erano stati approvati i verbali della Commissione tecnico amministrativa preposta all'espletamento della gara e la relativa graduatoria di merito, la delibera della Giunta n. 626 del 24 agosto 1993, di rettifica della precedente, il provvedimento del seggio di gara con cui era stata disposta l'aggiudicazione provvisoria, i verbali della Commissione, il bando di gara e la lettera di invito n. 37278 del 7 novembre 1991.
Costituitosi il contraddittorio, veniva, tra l'altro, eccepita dall'ATI controinteressata sia la mancata, tempestiva impugnazione della lex specialis della gara, che l'improcedibilità del gravame per l'intervenuta ultimazione dei lavori.
Con sentenza n. 340 del 10 febbraio 1999 il TAR della Campania rigettava entrambe le eccezioni pregiudiziali. Quanto alla lamentata tardività dell'impugnazione della disciplina della gara, il Tribunale richiamava il prevalente indirizzo giurisprudenziale in forza del quale, nell'applicazione delle norme contenute nei bandi di gara, le prescrizioni illegittime non attinenti all'ammissione dei singoli concorrenti manifestano la loro valenza lesiva soltanto allorché le stesse operino negativamente per i partecipanti, ed osserva che, nel caso sottoposto al suo esame, le disposizioni oggetto di censura non precludevano l'ammissione della ricorrente alla procedura concorsuale, non le impedivano di presentare una offerta né, tantomeno ne rendevano certa l'esclusione, ove recante il maggior ribasso. Il meccanismo dell'esclusione automatica era destinato ad operare nella sola eventualità in cui risultassero prodotte offerte con un ribasso superiore di sette punti alla media aritmetica di tutte le offerte ammesse, sicché la ricorrente aveva tempestivamente proposto il ricorso giurisdizionale nel momento in cui l'ente appaltante ne aveva considerato anomala l'offerta e l'aveva esclusa dalla gara.
Con riferimento, poi, all'eccezione di improcedibilità per l'avvenuta esecuzione dell'opera pubblica, il TAR osservava che la stessa doveva essere ritenuta infondata, dal momento che l'interesse all'annullamento del provvedimento lesivo non era escluso dalla circostanza che il medesimo avesse esaurito i propri effetti, potendo il ricorrente, se del caso, ottenere in altra sede il ristoro dei danni subiti. L'interesse all'impugnazione poteva, infatti, ben consistere non solo nell'utilità finale, conseguente all'annullamento del provvedimento, ma anche, nella prospettiva di una tutela di tipo risarcitorio, nel definitivo accertamento dell'illegittimità dell'esclusione. Il TAR sottolineava, peraltro, che sovente la giurisprudenza del giudice amministrativo aveva ritenuto sufficiente, ai fini della procedibilità del ricorso, l'esistenza di un mero interesse morale.
Nel merito, il Tribunale accoglieva il ricorso, osservando che l'esclusione automatica dell'offerta anomala non poteva essere disposta in presenza soltanto di quattro offerte valide, in quanto il decreto legge 2 marzo 1989 n. 65, applicabile ratione temporis alla fattispecie, prevedeva tale possibilità in via transitoria, ma solo in presenza di almeno quindici offerte valide.
La pronuncia di primo grado veniva impugnata, con ricorso al Consiglio di Stato, dal Comune di Aversa, che, a sostegno del gravame prospettava le seguenti doglianze:
1) Il TAR avrebbe dovuto accogliere, in quanto fondata, l'eccezione concernente l'omessa tempestiva impugnazione del bando.
2) Avrebbe dovuto essere accolta anche l'eccezione di improcedibilità del ricorso a causa dell'avvenuta esecuzione dell'opera pubblica. Andrebbe, infatti, dichiarato improcedibile il ricorso proposto avverso l'aggiudicazione di un contratto di appalto di opere pubbliche se, nelle more del giudizio, l'opera risulti realizzata e non venga provata l'esistenza di uno specifico interesse di carattere morale all'annullamento delle impugnate aggiudicazioni.
Le società ricorrenti non potrebbero conseguire alcun effetto automatico dall'accoglimento del ricorso; questo infatti, non comporterebbe l'effetto automatico dell'aggiudicazione della gara, ma la mera rinnovazione del procedimento, peraltro preclusa dall'avvenuta totale esecuzione dell'opera pubblica. Non sussisterebbe, d'altra parte, un interesse a coltivare una iniziativa di tipo risarcitorio ai sensi della legge n. 142 del 1992; la gara sarebbe stata, infatti, bandita in una epoca antecedente all'entrata in vigore dell'art. 130 della legge n. 140 del 1992.
3) Erroneamente il Tribunale avrebbe ritenuto fondata la censura concernente la mancanza del numero minimo delle offerte richieste dalla legge in applicazione dell'esclusione automatica delle offerte anomale.
L'Amministrazione avrebbe fatto applicazione delle clausole contenute nel bando e nella lettera di invito concernente la procedura automatica di esclusione, indipendentemente dal numero di offerte ammesse.
Dagli atti di gara emergerebbe, peraltro, che l'Amministrazione comunale, prima di procedere all'approvazione degli atti della Commissione giudicatrice, con delibera della Giunta n. 626 del 24 agosto 1995, avrebbe disposto che, in esecuzione dell'art. 8 della lettera di invito, il seggio di gara procedesse all'aggiudicazione in contraddittorio con i rappresentanti delle imprese partecipanti. In data 10 settembre 1993 il seggio di gara si sarebbe riunito ed avrebbe dato comunicazione alle imprese partecipanti delle operazioni della Commissione e delle risultanze della gara, ivi compresa l'accertata anomalia della offerta dell'ATI Zecchina - Della Gatta.
In tale occasione l'Ing. Della Gatta avrebbe svolto specifiche controdeduzioni in merito all'anomalia dell'offerta, che non sarebbero state condivise dal seggio di gara e dall'Amministrazione comunale. L'esclusione definitiva della gara dell'ATI appellata sarebbe intervenuta dopo che la stessa aveva fornito le proprie controdeduzioni.
Nel secondo grado del giudizio si sono costituite la s.p.a. Zecchina Costruzioni, in proprio e quale capogruppo mandataria dell'ATI Zecchina Costruzioni S.p.a. - Ing. Della Gatta s.p.a., nonché la S.p.a. Ing. Della Gatta che, con apposite memorie hanno analiticamente contestato il fondamento del gravame.
Con ordinanza n. 2406 del 6 maggio 2002 la Quinta Sezione del Consiglio di Stato ha disposto la rimessione all'Adunanza Plenaria della decisione dell'appello. Con l'ordinanza la Quinta Sezione, dopo aver diffusamente illustrato gli indirizzi giurisprudenziali e dottrinari in proposito formatisi, ha ritenuto di rilevante importanza - e per tale ragione rimesse all'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato - le seguenti questioni:
se l'intervenuta integrale esecuzione dell'appalto renda inammissibile o improcedibile il ricorso per l'annullamento dell'aggiudicazione, ferma restando la proponibilità e la proseguibilità dell'azione risarcitoria;se le clausole dei bandi di gara o di concorso delle lettere di invito, diverse da quelle riguardanti i requisiti di partecipazione alla procedura selettiva, debbano essere impugnati entro il termine decorrente dalla loro conoscenza legale o se, invece, possano essere impugnate con l'atto applicativo, che conclude, per l'interessato, la procedura selettiva.
se le clausole dei bandi di gara o di concorso della lettera di invito possano essere disapplicate dal giudice in caso di contrasto con il diritto comunitario.
Con apposita memoria il Comune di Aversa ha ulteriormente illustrato le proprie ragioni.
D I R I T T O
1. Deve, innanzi tutto, essere osservato che con l'ordinanza n. 2406 del 6 maggio 1992 la Quinta Sezione, investita della decisione dell'appello interposto dal Comune di Aversa avverso la sentenza del Tribunale Amministrativo regionale della Campania, ha rimesso all'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato una serie di importanti questioni, concernenti la portata dell'onere di immediata impugnazione delle clausole dei bandi di gara diverse da quelle riguardanti i requisiti di partecipazione alla procedura selettiva, la possibilità per il giudice amministrativo di disapplicare clausole del bando di gara o di concorso eventualmente in contrasto con il diritto comunitario, e la rilevanza dell'intervenuta realizzazione dell'opera pubblica oggetto dell'appalto ai fini della procedibilità del ricorso proposto avverso l'esclusione od il diniego di aggiudicazione.
Si tratta di questioni, in relazione alle quali si sono già verificati o potrebbero verificarsi contrasti giurisprudenziali, e la cui soluzione appare collegata alle questioni preliminari o risolte negativamente nella sentenza del TAR della Campania, e riproposte nel secondo grado del giudizio del Comune appellante con i primi due motivi di gravame. In particolare, la necessità di procedere alla soluzione di tutte le questioni prospettate e diffusamente illustrate, ovvero soltanto di alcune di esse, è legata alle diverse opzioni interpretative e ricostruttive possibili ai fini della decisione dei primi due motivi di impugnazione.
La Quinta Sezione ha, sotto questo profilo, correttamente enucleato tutte le possibili questioni (che hanno dato luogo a contrasti giurisprudenziali, o rispetto alle quali potrebbero verificarsi) che, astrattamente, possono porsi, in relazione alle diverse opzioni interpretative e ricostruttive operabili ai fini della pronuncia sui primi due motivi di impugnazione.
Poiché, peraltro il compito a cui è chiamata l'Adunanza Plenaria è quello di definire integralmente la lite sottoposta al suo esame, operando le necessarie opzioni interpretative, le questioni rimesse dalla Quinta Sezione potranno o dovranno essere esaminate con riferimento alla decisione sui motivi dell'impugnazione e nei limiti di quanto necessario a tal fine.
2. Nell'ordine logico, deve innanzi tutto essere esaminato il primo motivo dell'appello, con cui il Comune di Aversa ripropone sostanzialmente l'eccezione di inammissibilità del ricorso di primo grado a causa dell'omessa tempestiva, impugnazione delle clausole del bando di gara concernenti l'esclusione automatica delle offerte che presentino una percentuale di ribasso superiore alla media delle offerte ammesse, incrementata del 7%; eccezione, questa, disattesa dal giudice di primo grado.
Va, in proposito ricordato che, l'ATI Zecchina s.p.a. aveva impugnato contestualmente gli atti di esclusione dalla gara della ricorrente, di aggiudicazione alla controinteressata, il bando di gara e la lettera di invito, contenente la disciplina riguardante il meccanismo di esclusione automatica delle offerte anomale, deducendo, tra l'altro, l'illegittimità derivata dall'esclusione della gara dall'illegittimità dello stesso meccanismo di esclusione, per violazione della normativa comunitaria e nazionale; a fronte di ciò l'Associazione temporanea di imprese controinteressata aveva eccepito la mancata tempestiva impugnazione della lex specialis della gara, con conseguente inammissibilità del ricorso introduttivo del giudizio.
L'eccezione è stata respinta dal Tribunale, che ha innanzitutto richiamato, in proposito, l'orientamento giurisprudenziale prevalente, alla stregua del quale le prescrizioni dei bandi di gara, non riguardanti l'ammissione dei singoli concorrenti, manifestano la loro efficacia lesiva nel momento in cui operano nei confronti dei partecipanti alla procedura concorsuale, e cioè con l'esclusione dall'aggiudicazione.
Lo stesso Tribunale ha comunque ritenuto di far presente che la clausola della lex specialis della gara non potrebbe essere considerata "immediatamente applicativa" alla gara medesima del principio di esclusione automatica, e ciò perché, essendo la operatività di tale esclusione automatica subordinata alla presenza di un numero minimo di concorrenti, la clausola ben potrebbe essere intesa come "sospensivamente condizionata alla sussistenza di tale presupposto fattuale".
Tali statuizioni sono censurate dal Comune di Aversa, che con il primo motivo del gravame, deduce appunto che la clausola contenuta nel bando costituirebbe la lex specialis della gara e che il soggetto partecipante alla gara che, pur avendone avuto conoscenza per il tramite del bando e della lettera di invito, avrebbe tuttavia omesso di impugnarla tempestivamente, non potrebbe, poi, né dolersi dell'applicazione di tale clausola né introdurre censure avverso di essa in sede di impugnazione del provvedimento di esclusione.
Con riferimento a tale doglianza ed alla relativa soluzione, la V Sezione del Consiglio di Stato ha affermato che si pone l'esigenza, di carattere generale, di procedere all'esatta individuazione dei casi in cui è necessaria, a pena di decadenza, l'immediata impugnazione dei bandi di gara (o di concorso) senza attendere gli atti applicativi. In particolare, la Quinta Sezione, in riferimento ai due diversi argomenti con cui il Tribunale ha disatteso l'eccezione di omessa tempestiva impugnazione della lex specialis della gara, di cui uno attinente alla natura ed ai contenuti del bando, ed alla individuazione dell'interesse al ricorso, e l'altro attinente alla interpretazione del bando, ha ritenuto che si pongono due questioni di massima:
- se le clausole dei bandi di gara o di concorso o delle lettere di invito, diverse da quelle riguardanti i requisiti di partecipazione alle procedure selettive, debbano essere impugnate entro il termine decorrente dalla loro conoscenza legale, ovvero se possano essere impugnate contenstualmente all'atto applicativo che conclude la procedura selettiva;
- se le clausole dei bandi di gara o di concorso o delle lettere di invito possano essere disapplicate per contrasto con il diritto comunitario.
3. L'Adunanza osserva, innanzitutto, che ai fini della pronuncia sul primo motivo di gravame, non assume specifica rilevanza, il secondo argomento adottato dalla sentenza impugnata per pervenire al rigetto dell'eccezione di inammissibilità del ricorso di primo grado prospettata dall'ATI controinteressata; e che, comunque, l'esame di tale argomento risulta assorbito dalla più generale questione riguardante l'esistenza, o meno, di un onere di immediata impugnazione della clausola di esecuzione automatica contenuta nel bando.
Ed, in effetti, l'affermazione secondo cui la clausola della lex specialis della gara non potrebbe essere definita come "immediatamente applicativa", dovendo l'operatività della prevista esclusione automatica essere intesa come "sospensivamente condizionata" alla sussistenza del presupposto fattuale costituito dall'esistenza di un certo numero di domande non costituisce tanto una specifica ed autonoma motivazione della statuizione di rigetto dell'eccezione, quanto un riflesso ed una anticipazione della soluzione data dallo stesso Tribunale alla questione di merito prospettata con il ricorso di primo grado, oggetto delle ulteriori doglianze esaminate, e concernente i rapporti tra la clausola contenuta nel bando e la disciplina legislativa di cui al decreto legge n. 65 del 1989 ed al d. lgs. n. 406 del 1911.
4. Ai fini della decisione sul primo motivo dell'appello proposto dal Comune di Aversa appare, invece, rilevante la generale questione, individuata a pag. 9 dall'ordinanza di rimessione, e concernente "l'esatta delimitazione dell'ambito oggettivo dell'onere di immediata impugnazione dal bando di gara o di concorso" (pag. 13 dell'ordinanza di rimessione).
In proposito la Quinta Sezione, dopo avere provveduto ad un'ampia rassegna delle opinioni di recente manifestatesi in giurisprudenza (ed anche ad una loro sistemazione), ha segnalato che, accanto al consolidato indirizzo interpretativo volto a richiedere l'immediata impugnazione del bando solo con riferimento alle clausole impeditive dell'ammissione dell'interessato alla selezione, senza che la partecipazione alla gara e la presentazione dell'offerta costituiscano acquiescenza, si sono sviluppati orientamenti di segno diverso e tra di loro contraddittori, di cui l'uno volto a ridurre (ed addirittura ad eliminare) l'onere di immediata impugnazione delle clausole della lex specialis di gara. In particolare, la Quinta Sezione ha osservato che, allo stato - e con riferimento alle diverse fattispecie concretamente verificatesi - sembrano emergere diverse posizioni, così sintetizzabili:
a) una posizione di tipo "tradizionale", volta a limitare l'impugnazione immediata del bando di gara alle sole clausole riguardanti i requisiti soggettivi di partecipazione alla procedura selettiva (Sez. VI, 6 ottobre 1999 n. 1326; VI, 22 gennaio 2001 n. 192; V, 27 giugno 2001 n. 3507; VI, 18 dicembre 2001 n. 6260; V, 6 marzo 2002 n. 1342);
b) un orientamento volto a rinviare in ogni caso l'impugnazione del bando alla conclusione della procedura selettiva (Sez. IV, ord. 10 aprile 1998, n. 582). In questa prospettiva l'immediata impugnazione di clausole dal bando che fissano requisiti di partecipazione costituirebbe una mera facoltà (e non un onere) dell'interessato.
c) un orientamento volto ad affermare il potere del giudice di disapplicare il bando contrastante con norme inderogabili, quanto meno nell'ipotesi che le stesse siano di derivazione comunitaria (T.A.R. Lombardia, Sez. III, 8 agosto 2000 n. 234);
d) una posizione volta ad affermare la necessità dell'immediata impugnazione di tutte le clausole del bando, in quanto incidenti sulla definizione della lex specialis della gara;
e) un orientamento che estende l'onere di impugnazione alle sole clausole vincolanti per l'Amministrazione per i concorrenti;
f) un orientamento che amplia l'onere dell'immediata impugnazione alle sole clausole che definiscono gli oneri formali ed oggettivi di partecipazione, come le modalità di presentazione dell'offerta;
g) una posizione che estende l'onere di impugnazione immediata del bando alle prescrizioni che condizionano, anche indirettamente, la formulazione dell'offerta economica (fra le quali anche quelle riguardanti il metodo di gara e la valutazione dell'anomalia della offerta);
h) una posizione che estende l'onere di immediata impugnazione alle clausole riguardanti la composizione ed il funzionamento del seggio di gara, in quanto incidenti sull'autonomo interesse del concorrente.
La Quinta Sezione ha fatto presente che la soluzione tradizionale appare preferibile, in quanto utile ad individuare un criterio normalmente di facile applicazione, e che, tuttavia, i principi generali potrebbero autorizzare un parziale ampliamento delle ipotesi di impugnazione immediata, con particolare ed esclusivo riguardo alle clausole relative alle modalità oggettive di partecipazione alla gara.
5.5. L'Adunanza condivide l'affermazione generale operata dalla V Sezione con l'ordinanza n. 2406 del 2002, e ritiene, di conseguenza, che debba essere confermato l'indirizzo consolidato, alla stregua del quale l'onere di immediata impugnazione delle clausole del bando di gara o di concorso, o della lettera di invito a prendere parte ad una procedura selettiva, debba essere limitato esclusivamente a quelle concernenti i requisiti di partecipazione alla medesima procedura selettiva.
In proposito, si osserva che i problemi affrontati e risolti dalle numerose decisioni richiamate dall'ordinanza della Quinta Sezione, e dai diversi indirizzi in cui le stesse possono essere inquadrate e sistematizzate, attengono tutti alla più generale questione riguardante la determinazione del momento della tempestiva impugnazione degli atti generali e delle clausole e prescrizioni in essa contenuti; problema questo che, in linea di principio si pone proprio per la natura ed il contenuto degli atti in questione.
Per gli atti amministrativi a carattere generale, destinati alla cura concreta di interessi pubblici, con effetti diversi nei confronti di una pluralità di destinatari, non determinati nei provvedimenti, ma chiaramente determinabili, si pone il problema della loro lesività immediata prima dell'adozione degli atti applicativi: prima cioè che gli atti puntuali che delle clausole degli atti generali fanno applicazione, identifichino in concreto i destinatari da essi effettivamente lesi nella loro situazione soggettiva.
Poiché il problema è destinato ad avere rilievo specifico con riferimento alla tutela (giurisdizionale ed amministrativa) nei confronti di tali tipi di provvedimenti, esso è stato tradizionalmente (e correttamente) risolto alla luce dei principi che regolano i presupposti di ammissibilità del ricorso giurisdizionale (o amministrativo), che, com'è noto, condizionano da vicino la possibilità che l'autorità adita si pronunci sul merito sul ricorso e che, proprio per tale ragione, sono tradizionalmente identificati, in sede di teoria generale del processo, con le c.d. condizioni dell'azione.
Tra i presupposti del ricorso acquistano, come è noto, una valenza specifica, sia la legittimazione che l'interessa ad agire, concernenti rispettivamente l'esistenza in capo al ricorrente di un interesse sostanziale, tutelato dall'ordinamento, che abbia effettivamente subito un pregiudizio dal provvedimento amministrativo oggetto del ricorso, e la possibilità che il ricorrente sia in condizione di ricevere effettivamente un vantaggio dall'accoglimento del gravame. E' noto altresì, che, condizionando i presupposti di ammissibilità del ricorso la possibilità per il ricorrente di conseguire una pronuncia di merito, sia l'interesse sostanziale a tutela del quale si agisce che l'interesse ad agire devono essere caratterizzati dai requisiti della personalità e della attualità: gli interessi, cioè, devono essere propri del soggetto ricorrente ed avere riferimento ad una fattispecie già perfezionatasi (diversamente, infatti, si tratterebbe di interessi potenziali).
Correlativamente, la lesione dell'interesse del ricorrente deve, tradizionalmente, essere caratterizzata dai caratteri dell'immediatezza, della concretezza e dell'attualità: deve, cioè essere una conseguenza diretta ed immediata del provvedimento lesivo e dell'assetto di interessi con esso introdotto, deve essere concreta e non meramente potenziale, sussistere già al momento della proposizione del ricorso e persistere al momento della decisione su di esso.
Applicando tali principi consolidati al problema riguardante l'identificazione del momento della tempestiva impugnazione degli atti generali, è stato, così affermato con indirizzo giurisprudenziale ormai risalente, che i bandi di gara e di concorso e le lettere di invito vanno, normalmente impugnati unitamente agli atti che di essi fanno applicazione, dal momento che sono questi ultimi ad identificare in concreto il soggetto leso dal provvedimento, ed a rendere attuale e concreta la lesione della situazione soggettiva dell'interessato.
A fronte, infatti, della clausola illegittima del bando di gara o del concorso, il partecipante alla procedura concorsuale non è ancora titolare di un interesse attuale all'impugnazione, dal momento che egli non sa ancora se l'astratta e potenziale illegittimità della predetta clausola si risolverà in un esito negativo della sua partecipazione alla procedura concorsuale, e quindi in una effettiva lesione della situazione soggettiva, che solo da tale esito può derivare.
D'altra parte, ove l'esito negativo della procedura concorsuale dovesse effettivamente verificarsi, l'atto che chiude tale procedura facendo applicazione della clausola o della disposizione del bando di gara o di concorso, non opererà nel senso di rinnovare (con l'atto applicativo) una lesione già effettivamente prodottasi, ma renderà concreta ed attuale (ed in questo senso, la provocherà per la prima volta) una lesione che solo astrattamente e potenzialmente si era manifestata, ma che non aveva ancora attitudine (per mancanza del provvedimento conclusivo del procedimento) a trasformarsi in una lesione concreta ed effettiva.
In questa prospettiva, ciò che, quindi, appare decisivo ai fini dell'affermazione dell'esistenza di un onere di tempestiva impugnazione è la sussistenza di una lesione concreta ed attuale della situazione soggettiva dell'interessato, che determina, a sua volta, la sussistenza di un interesse attuale all'impugnazione; e quindi, con riferimento al bando di gara o di concorso o alla lettera di invito, l'attitudine (sua o di alcune clausole in essi contenute) a provocare una lesione di tal genere.
6. E' per tale ragione che è stato, pertanto, tradizionalmente affermato che il bando di gara o di concorso, o la lettera di invito, normalmente impugnabili con l'atto applicativo, conclusivo del procedimento concorsuale, devono tuttavia, essere considerati immediatamente impugnabili allorché contengano clausole impeditive dell'ammissione dell'interessato alla selezione, con la conseguenza che la partecipazione alla gara e la presentazione della domanda non costituiscono acquiescenza e non impediscono, di conseguenza, la proposizione di un eventuale gravame (Sez. VI, 6 ottobre 1999 n.1326).
In tale ipotesi, infatti, la clausola del bando o della lettera di invito, precludendo essa stessa la partecipazione dell'interessato alla procedura concorsuale, appare idonea a generare una lesione immediata, diretta ed attuale, nella situazione soggettiva dell'interessato, ed a suscitare, di conseguenza, un interesse immediato alla impugnazione, dal momento che l'interesse all'impugnazione sorge al momento della lesione (Cons. Stato, Sez. V, 20 giugno 2001 n. 3264). E' stato, così, correttamente affermato che l'onere dell'immediata impugnativa degli atti preliminari costituenti la lex specialis della gara è ipotizzabile soltanto quando questa contenga prescrizioni dirette a precludere la stessa partecipazione dell'interessato alla procedura concorsuale (Cons. Stato, Sez. V, 27 giugno 2001 n. 3507. sez. VI, 18 dicembre 2001 n. 6260). In tale prospettiva, è stato osservato che le clausole del bando che debbono essere immediatamente impugnate sono, di norma, quelle che prescrivono requisiti di ammissione o di partecipazione alle gare per l'aggiudicazione, dal momento che la loro asserita lesività non si manifesta e non opera per la prima volta con l'aggiudicazione, bensì nel momento anteriore nel quale tali requisiti sono stati assunti come regole per l'amministrazione (Cons. Stato, sez. IV, 27 marzo 2002 n. 1747).
Ciò che quindi, appare decisivo, ai fini dell'affermazione dell'onere di immediata impugnazione delle clausole che prescrivono requisiti di partecipazione è pertanto non soltanto il fatto che esse manifestino immediatamente la loro attitudine lesiva, ma il rilievo che le stesse, essendo legate a situazioni e qualità del soggetto che ha chiesto di partecipare alla gara esattamente e storicamente identificate, preesistenti alla gara stessa, e non condizionate dal suo svolgimento, sono in condizioni di ledere immediatamente e direttamente l'interesse sostanziale del soggetto che ha chiesto di partecipare alla gara od alla procedura concorsuale.
Le clausole che prescrivono requisiti soggettivi di partecipazione alla procedura concorsuale od alla gara, presentano, infatti, normalmente, una struttura particolare, che le pongono in condizione sia di manifestare immediatamente, per i soggetti interessati, la loro lesività, sia di operare immediatamente la lesione della situazione soggettiva degli aspiranti che abbiano chiesto di partecipare alla procedura.
Tali clausole riguardano, in primo luogo, requisiti soggettivi degli aspiranti partecipanti al concorso. Val quanto dire che esse riguardano direttamente ed immediatamente i soggetti stessi (e non le loro offerte o le ulteriori attività connesse con la partecipazione alla gara), e per tale ragione producono nei loro confronti effetti diretti, identificando immediatamente i soggetti che, in quanto privi dei requisiti richiesti, da tali clausole sono immediatamente e direttamente incisi.
Esse, poi, fanno riferimento ad una situazione (di norma, una situazione di fatto) che è preesistente rispetto al bando, e totalmente indipendente dalle vicende successive della procedura e dei relativi adempimenti, e non richiede valutazioni o verificazioni specifiche. Sotto questo profilo, non è la procedura concorsuale ed il suo svolgimento a determinare l'effetto lesivo (come avviene nel corso della valutazione dell'anomalia dell'offerta), ma direttamente il bando, che prende in considerazione una situazione storicamente ad esso preesistente e totalmente definita.
In terzo luogo, le clausole ricollegano alla situazione di fatto presa in considerazione un effetto giuridico diretto (l'impossibilità di prendere parte alla gara o alla procedura concorsuale) che appare immediatamente lesivo dell'interesse sostanziale degli aspiranti. E' quindi il bando, e non il successivo svolgimento della procedura concorsuale, a determinare esso stesso la lesione dell'interesse degli aspiranti, escludendo per i medesimi, con la partecipazione alla procedura concorsuale, la possibilità di conseguire l'aggiudicazione ovvero (nel caso di concorso in materia di pubblico impiego) la collocazione utile in graduatoria.
Sotto questo profilo, acquista un rilievo significativo la tradizionale opinione dottrinale e giurisprudenziale che vede nei bandi di gara e di concorso (e più ampiamente, negli atti generali) dei provvedimenti destinati (a differenza degli atti normativi) alla cura concreta degli interessi pubblici, con effetti diretti nei confronti dei destinatari: e, in effetti, le clausole che identificano requisiti soggettivi di partecipazione degli interessati, provvedono esse stesse direttamente alla cura dell'interesse pubblico per la realizzazione del quale il bando è stato emanato, escludendo immediatamente dalla platea dei partecipanti -e quindi dalla possibilità dell'aggiudicazione o della collocazione utile nella graduatoria del concorso- quei soggetti il cui esito positivo nella procedura concorsuale non sembra realizzare, con una valutazione formulata direttamente con il bando, l'interesse pubblico perseguito.
L'eventuale atto dell'Amministrazione procedente, volto ad escludere l'interessato privo dei requisiti previsti dal bando dalla procedura concorsuale avrà, pertanto, valore meramente dichiarativo e ricognitivo di un effetto e di una lesione già prodottasi nei confronti di chi, avendo comunque chiesto di partecipare alla procedura, attraverso la presentazione della domanda, appare già identificato come destinatario direttamente inciso dal bando di gara o di concorso.
Va, quindi, confermato quell'indirizzo giurisprudenziale che richiede, ai fini dell'ammissibilità dell'impugnazione immediata del bando delle clausole ritenute lesive, la presentazione della domanda di partecipazione alla gara o alla procedura concorsuale (da ultimo, Cons. Stato, Sez. V, 3 gennaio 2002 n. 6). La presentazione della domanda di partecipazione, nell'evidenziare l'interesse concreto all'impugnazione, fa del soggetto che ha provveduto a tale adempimento un destinatario identificato, direttamente inciso del bando.
L'orientamento giurisprudenziale che prevede la normale impugnabilità del bando di gara o di concorso unitamente agli atti applicativi, con l'eccezione del caso che si sia di fronte a clausole riguardanti requisiti di partecipazione alla procedura concorsuale fa, pertanto, corretta applicazione, nell'ipotesi generale ed in quella configurata come eccezione, dei principi in tema di interesse a ricorrere, dal momento che, sia con riferimento all'una che all'altra, afferma l'esistenza dell'onere dell'impugnazione in relazione all'esistenza di una lesione concreta ed attuale della situazione soggettiva dell'interessato, alla sua chiara ed immediata percepibilità, ed alla correlativa sussistenza di un interesse (processuale) a ricorrere.
7. Anche gli altri orientamenti giurisprudenziali, diversi da quello che circoscrive l'onere di immediata impugnazione del bando alle sole clausole riguardanti i requisiti soggettivi di partecipazione, e ricordati nell'ordinanza di rimessione, (con l'eccezione di quello che ammette la possibilità della disapplicazione di prescrizioni del bando contrastanti con norme inderogabili) intendono, peraltro, fare applicazione dei principi consolidati di tema di interesse a ricorrere. Tali orientamenti operano o affermando che l'interesse ad impugnare il bando sorge sempre ed unicamente con l'atto applicativo, perché solo esse genera una lesione attuale, ovvero (e secondo una impostazione di segno opposto) postulando l'esistenza, in certe situazioni, e con riferimento esclusivo al bando di gara, di un interesse (che dal bando sarebbe immediatamente leso), diverso dall'interesse a conseguire l'aggiudicazione o ad essere collocato in posizione utile in graduatoria, che sarebbe immediatamente leso dal bando, senza necessità di atti applicativi, e che giustificherebbe di conseguenza, l'onere di immediata impugnazione del bando.
Così è, ad esempio, quando si afferma la sussistenza di un autonomo interesse (eventualmente immediatamente leso da alcune clausole del bando) delle ditte partecipanti a vedere limitato il numero delle ditte che possano prender parte alla gara; così avviene quando si sottolinea l'autonomia dell'interesse dell'impresa alla preventiva definizione dei parametri di valutazione delle offerte o quando si postula un autonomo interesse delle imprese (diverso da quello all'aggiudicazione) a partecipare ad una gara le cui regole siano legittime; così, avviene, più in generale, allorché si dà rilievo, ai fini dell'immediata impugnazione, ad interessi di carattere procedimentale e che individuano utilità di tipo strumentale.
Alla postulazione di tali autonomi interessi (e dell'immediata lesione di essi che sarebbe operata dal bando) si accompagna, talvolta - implicitamente o esplicitamente - un modo di intendere i rimedi giurisdizionali che fanno di essi strumenti posti e riconosciuti a tutela dell'interesse generale alla legittimità dell'azione amministrativa o che assegna, comunque, ai medesimi, scopi e finalità ulteriori e diversi rispetto a quello della soddisfazione della situazione soggettiva fatta valere.
L'Adunanza Plenaria, pur apprezzando le esigenze che sono alla base della loro formazione, ritiene che non possano essere condivisi gli esiti di tali indirizzi giurisprudenziali, dal momento che essi conducono ad una non esatta applicazione del principio generale che connette l'onere di immediata impugnazione all'esistenza in capo al ricorrente di una lesione non potenziale, ma concreta ed attuale, ed alla sussistenza di un altrettanto attuale interesse ad impugnare.
Essi, infatti, o posticipano erroneamente all'atto applicativo la sussistenza di una lesione già, in certe specifiche situazioni, prodotta attualmente dal bando, ovvero si risolvono - quando affermano l'onere di immediata impugnazione del bando anche con riferimento a clausole diverse da quelle concernenti i requisiti di partecipazione - in una impropria frammentazione e polverizzazione, in una serie di interessi diversi, dell'unico interesse sostanziale protetto.
8. Non può innanzi tutto, essere condiviso quell'orientamento, pure richiamato nella schematizzazione contenuta nell'ordinanza di rimessione della Quinta Sezione (paragrafo 58, lett. B) che vorrebbe il bando sempre ed in ogni caso impugnabile unitamente all'atto applicativo, anche nell'ipotesi in cui si sia di fronte a clausole riguardanti requisiti di partecipazione alla procedura concorsuale. Si è visto sopra come tali clausole, in quanto riferentesi a presupposti di fatto indipendenti da ogni valutazione da esprimersi nel corso della procedura concorsuale, appaiano idonee a produrre non una lesione potenziale, ma una lesione già esistente ed efficace nei riguardi dei soggetti che hanno chiesto di prendere parte alla procedura concorsuale. Il posticipare, in tali casi, l'impugnazione del bando all'atto ricognitivo dell'effetto lesivo già prodottasi non apparirebbe, pertanto, giustificato e si porrebbe in contrasto con i principi generali sull'interesse a ricorrere.
9. Non può, altresì, essere condivisa la tesi (par. 58, lett. D dell'ordinanza di rimessione), che postula la necessità dell'immediata impugnazione di tutte le clausole del bando, in quanto incidenti nella lex specialis della gara o della procedura concorsuale. Tale circostanza, infatti, non implica di per sé che tali clausole producano una lesione diretta ed immediata dell'interesse protetto, senza necessità di attendere gli atti di gara che di tali clausole facciano applicazione.
Non vale a fondare un diverso avviso la circostanza che con le clausole del bando l'Amministrazione provveda a predeterminare la propria discrezionalità, sicché, rispetto ad essa, la successiva attività procedimentale apparirebbe come vincolata. Tale circostanza non esclude, peraltro, sia che nello svolgimento della gara l'Amministrazione debba operare, in applicazione delle clausole del bando, accertamenti e valutazioni, sicché solo in esito a questi e con riferimento ad essi si manifesta ed opera effettivamente l'astratta capacità lesiva della clausola; sia il fatto che, comunque, la lesività delle clausole del bando, ove effettivamente ravvisabile prima ancora dell'applicazione, appare al più meramente potenziale ed in quanto tale, non idonea a fondare l'onere di immediata impugnazione.
Né, in contrario, possono acquistare rilievo le osservazioni secondo cui la lesione provocata dal bando all'interesse dei partecipanti sarebbe immediata perché riguardante la loro condizione di concorrenti, mentre l'interesse differenziato che giustificherebbe il ricorso riguarderebbe la pretesa autonoma alla legittimità delle regole e delle operazioni di gara, distinta dall'aspettativa all'aggiudicazione del contratto.
Da una parte, infatti, la "condizione di concorrenti" dei partecipanti alla gara può essere apprezzata e valutata esclusivamente con riferimento all'unico interesse sostanziale di cui essi sono titolari, che è quello all'aggiudicazione e, comunque, all'esito positivo della procedura concorsuale, sicché l'eventuale incidenza di clausole che conformino illegittimamente la condizione di concorrenti dei singoli partecipanti, può acquistare rilievo esclusivamente se si traduce in un diniego di aggiudicazione o, comunque, in un arresto procedimentale con riferimento al medesimo obiettivo; dall'altra non appare configurabile un interesse autonomo alla legittimità delle regole e delle operazioni di gara, distinto dalla pretesa all'aggiudicazione o alla stipula del contratto. L'interesse alla legittimità della procedura costituisce un aspetto ed un riflesso dell'interesse all'aggiudicazione, ed è anzi quest'ultimo che può fondare e sostenere il primo, sicché l'eventuale illegittimità della procedura acquista significato e rilievo soltanto se comporta il diniego di aggiudicazione, in tal modo ledendo effettivamente l'interesse protetto, di cui è titolare il soggetto che ha preso parte alla gara.
Quanto, infatti, all'interesse protetto, o comunque alla situazione soggettiva di cui è titolare il partecipante alla gara, occorre ribadire che il suo contenuto è costituito non dall'astratta legittimità del comportamento dell'Amministrazione, ma dalla possibilità di conseguire l'aggiudicazione. L'aggiudicazione costituisce il bene della vita che l'interessato intende conseguire attraverso la gara; ed è il medesimo bene della vita che si intende conseguire attraverso la tutela giurisdizionale, nell'ipotesi di illegittimo diniego di aggiudicazione.
L'affermazione talvolta operata in giurisprudenza secondo cui l'interesse al quale l'ordinamento garantirebbe tutela non sarebbe quello di ottenere un risultato vantaggioso ma l'altro, "a che la scelta del contraente si effettuata nel rispetto delle norme che impongono all'amministrazione comportamenti obbligati nel disciplinare, a mezzo del bando il relativo procedimento" si risolve, oggettivamente, in una confusione tra l'oggetto dell'interesse ed il tipo di protezione ad esso accordato. L'oggetto dell'interesse protetto riguarda, infatti, l'aggiudicazione, mentre tale interesse è protetto dall'ordinamento - come esattamente si osserva nell'ordinanza di rimessione - nei limiti della legittimità del procedimento di gara.
Alla base dell'indirizzo volto ad affermare l'immediata impugnabilità dei bandi di gara, sta, pertanto, una impropria e non condivisibile frammentazione dell'unico interesse protetto in un fascio diverso di interessi, ai quali si vorrebbe fornire, attraverso l'immediata impugnazione del bando, tutela autonoma ed anticipata, in situazioni nelle quali, in realtà non si sa ancora se l'evento lesivo si verificherà ovvero se esso ha una portata meramente potenziale.
Un tal modo di pensare opera, in via di stretta conseguenzialità, sullo stesso modo di intendere la tutela giurisdizionale, attribuendo impropriamente ad essa finalità e connotati propri di una giurisdizione di tipo obiettivo: esito questo, incompatibile con la configurazione dell'attuale sistema della giustizia amministrativa, nella quale il processo amministrativo - ancor più dopo la legge n. 205 del 2000 - si configura esclusivamente come un processo di parti, espressione di una giurisdizione di tipo subiettivo.
Devono, pertanto, essere condivise quelle affermazioni, operate, in giurisprudenza, alla stregua delle quali "il ricorso amministrativo non è rimedio dato nell'interesse oggettivo della giustizia, ma principalmente per tutelare posizioni dei singoli, i quali non sono tenuti a denunciare l'illegittimità degli atti, della quale, pure, abbiano conoscenza, se non nei limiti del momento in cui tale illegittimità si traduce concretamente in una lesione ai propri interessi" (Cons. Stato, Sez. VI, 29 gennaio 2001 n. 192).
10. Alla stregua dei superiori rilievi appare, altresì, evidente l'impossibilità di condividere quelle opinioni giurisprudenziali volte ad affermare l'onere di immediata impugnazione del bando con riferimento alle clausole vincolanti per l'amministrazione o per i concorrenti (par. 58, lett. E dell'ordinanza). La natura e la struttura della clausola non escludono, infatti, che la lesione dell'interesse predetto si determini solo con la mancata aggiudicazione o, comunque, con l'arresto procedimentale.
11. Non può, altresì, essere condivisa quella tesi volta ad imporre l'onere di immediata impugnazione delle clausole del bando riguardanti la composizione ed il funzionamento del seggio di gara. Non può, infatti, essere formulato un autonomo interesse del ricorrente ad una certa composizione del seggio di gara ed a certe sue modalità di funzionamento, diverso dall'interesse (sostanziale) all'aggiudicazione, e cioè al conseguimento di quell'assetto degli interessi in gioco a lui favorevole che è lo scopo che l'interessato intende perseguire con la presentazione della domanda di partecipazione. D'altra parte, una lesione concreta ed attuale della situazione soggettiva del partecipante alla procedura concorsuale potrà derivare soltanto dal diniego di aggiudicazione, dal momento che soltanto con esso diviene effettiva la potenziale illegittimità connessa con la sua composizione e con le sue regole di funzionamento.E' solo, infatti, con il diniego di aggiudicazione che si verifica l'evento lesivo, e con esso, quel fenomeno in base al quale la possibile anomalia della composizione e del funzionamento del seggio di gara si traduce in una certa ed effettiva anomalia dell'intera procedura concorsuale e del suo esito.
12. Non può, altresì, essere condiviso quell'indirizzo interpretativo che è volto ad estendere l'onere di impugnazione alle prescrizioni del bando che condizionano anche indirettamente, la formulazione dell'offerta economica (par. 58, lett. G dell'ordinanza di rimessione) tra le quali anche quelle riguardanti il metodo di gara e la valutazione dell'anomalia. Anche con riferimento a tali clausole, infatti, l'effetto lesivo per la situazione del partecipante al procedimento concorsuale si verifica con l'esito negativo della procedura concorsuale o con la dichiarazione di anomalia dell'offerta. L'effetto lesivo è, infatti, conseguenza delle operazioni di gara, e delle valutazioni con essa effettuate, dal momento che è solo il concreto procedimento negativo a rendere certa la lesione ed a trasformare l'astratta potenzialità lesiva delle clausole del bando in una ragione di illegittimità concreta ed effettivamente rilevante per l'interessato.
In tali ipotesi è il concreto svolgimento della gara e delle relative operazioni, nonché l'adozione delle valutazioni all'uopo necessarie, a produrre l'effetto lesivo ricollegabile all'astratta previsione contenuta dal bando: devono pertanto ritenersi impugnabili unitamente all'atto applicativo di definizione della gara o comportante l'aumento procedimentale, le clausole riguardanti i criteri di aggiudicazione, anche se gli stessi sono idonei ad influire sulla determinazione dell'impresa relativa alla predisposizione della proposta economica o tecnica, ed in genere sulla formulazione dell'offerta, i criteri di valutazione delle prove concorsuali, i criteri di determinazione delle soglie di anomalie dell'offerta, nonché le clausole che precisano l'esclusione automatica dell'offerta anomala. L'effettiva - e non potenziale - lesività di tali clausole nei riguardi della situazione soggettiva dell'interessato dipende, infatti, dalla loro effettiva applicazione, dalla interpretazione che ne viene fornita in sede applicativa e dalla loro concreta incidenza nei confronti dell'impresa o del partecipante alla procedura concorsuale.
13. L'Adunanza Plenaria ritiene, poi, opportuno ribadire l'indirizzo tradizionale, che esclude l'onere dell'immediata impugnazione del bando, anche nei riguardi delle clausole che definiscono gli oneri formali ed oggettivi di partecipazione (par. 53, lett. F dell'ordinanza di rimessione).
A tale esito sembra opportuno pervenire considerando che non sempre le cennate clausole appaiono, in realtà assimilabili, quanto alla struttura ed al modo di operare, a quelle che, definendo requisiti soggettivi di partecipazione sono tradizionalmente considerati immediatamente impugnabili (si pensi ad esempio, ad una clausola che, richiedendo una qualificazione per determinate categorie di lavori, ai fini della partecipazione alla procedura concorsuale, fissa un requisito soggettivo di cui deve essere in possesso l'impresa partecipante, capace di ledere immediatamente quella che non ne sia in possesso).
Si è visto sopra come tali clausole riguardino direttamente qualità dei soggetti partecipanti e non le loro attività connesse alla partecipazione alla gara, e come esse facciano riferimento a situazioni preesistenti rispetto al bando ed alle gare, che non richiedono accertamenti o specifiche valutazioni; al contrario, le clausole che introducono oneri formali (od oggettivi) di partecipazione sembrano riguardare proprio l'attività dei soggetti interessati alla procedura concorsuale, devono essere poste in essere in vista della partecipazione alla gara ed in relazione ad essa, non paiono fare riferimento a situazioni oggettive definite prima della gara e da essa indipendenti, e possono richiedere - con riferimento soprattutto al loro effettivo rispetto, alla possibilità di adempimenti equivalenti ed alla loro incidenza concreta rispetto alla conclusione negativa della procedura concorsuale per l'interessato - accertamenti e valutazioni talvolta non semplici.
Riguardate, poi, nel loro modo di operare, le clausole che richiedono adempimenti formali, quali la presentazione di documenti, o che fissano modalità di presentazione della offerta non sembrano agire in modo diverso dalle ordinarie clausole del bando, impugnabili insieme all'atto applicativo.
Esse, infatti, possiedono una astratta potenzialità lesiva, la cui rilevanza e concreta capacità di provocare una lesione attuale può essere valutata solo con l'atto applicativo. Si tratta, in particolare, di clausole che, imponendo un certo comportamento alle imprese ed ai soggetti interessati alla procedura concorsuale, potranno produrre un concreto effetto lesivo soltanto dopo che tale comportamento sia stato posto in essere e nei limiti della concreta rilevanza di esso ai fini della determinazione dell'esito negativo della medesima procedura. Clausole del genere potrebbero essere ritenute immediatamente impugnabili soltanto affermando l'esistenza di un autonomo interesse dell'impresa a conformare le modalità di partecipazione alla gara indipendentemente dall'aggiudicazione ed a prescindere da essa: esito questo, obiettivamente non condivisibile per le ragioni già diffusamente illustrate.
Le considerazioni da ultimo esposte rendono così evidente, che la determinazione della portata delle clausole volte ad introdurre oneri formali possono richiedere, con riferimento alla loro interpretazione, agli effetti negativi per gli interessati, alle modalità di applicazione, valutazioni ed accertamenti, anche di una certa complessità, riguardanti comportamenti dell'impresa successivi al bando. Una situazione del genere induce, pertanto, a ritenere preferibile un orientamento che escluda l'onere (anche se non la facoltà) di immediata impugnazione di tali clausole, e che la ammetta, invece, unitamente agli atti applicativi. Deve, infatti, essere ritenuta comunque preferibile una interpretazione che non si risolve in un aggravio delle modalità di accesso alla tutela giurisdizionale, in violazione dei principi desumibili dall'art. 24 Cost.; come, invece, potrebbe avvenire con la configurazione di un onere di immediata impugnazione di norme del bando di cui non è chiara l'immediata efficacia lesiva.
14. Non appare, infine, rilevante ai fini della definizione della controversia, la questione - pure prospettata con l'ordinanza di rimessione - attinente alla possibilità di disapplicare le disposizioni del bando di gara contrastanti con norme inderogabili, quanto meno nell'ipotesi in cui esse siano di derivazione comunitaria (par. 58, lett. C dell'ordinanza di rimessione).
La rilevanza di tale questione suppone, infatti, che si sia di fronte ad una omessa o tardiva impugnazione della clausola del bando: esito, questo, che non si verifica nel caso in esame, nel quale il bando di gara è stato impugnato con un ricorso che appare tempestivo.
15. Alla stregua delle superiori osservazioni, il primo motivo dell'appello del Comune di Aversa deve essere rigettato. La clausola contenuta nel bando, in forza della quale "saranno considerate anomale le offerte che presenteranno una percentuale di ribasso superiore alla media delle percentuali delle offerte ammesse, incrementate dei valori del 7%", attenendo alla valutazione automatica dell'anomalia dell'offerta e non ai requisiti di partecipazione alla gara, doveva, infatti, essere impugnata non immediatamente, ma unitamente all'atto che dichiarava l'anomalia dell'offerta.
Nella specie, infatti, le disposizioni di gara impugnate non precludevano la partecipazione alla procedura concorsuale, mentre il meccanismo di esclusione automatica era destinato ad operare nell'eventualità in cui risultassero prodotte offerte con un ribasso superiore di sette punti alla media aritmetica di tutte le offerte ammesse. Il bando non poteva, pertanto che essere impugnato unitamente al provvedimento che accertava l'anomalia dell'offerta e disponeva l'esclusione dell'associazione temporanea di imprese interessata dalla gara.
16. Deve, adesso, essere esaminato il secondo motivo del gravame, con cui il Comune di Aversa deduce che erroneamente il Tribunale avrebbe rigettato l'eccezione di improcedibilità del ricorso di primo grado, proposto dall'ATI Zecchina, essendo stata ormai realizzata l'opera pubblica oggetto della gara impugnata. In proposito l'Ente appellante deduce che i lavori relativi all'opera pubblica sarebbero stati ultimati sin dal 31 agosto 1998, e che le imprese ricorrenti in primo grado non potrebbero ottenere alcun vantaggio diretto ed immediato dall'accoglimento del ricorso, ma al più la mera rinnovazione del procedimento di gara, al fine di verificare l'anomalia dell'offerta; rinnovazione che sarebbe, appunto, preclusa dall'avvenuta esecuzione dell'opera.
Ad avviso dell'appellante non sussisterebbe, poi, un interesse dell'associazione temporanea di imprese all'accertamento dell'illegittimità dell'esclusione allo scopo di coltivare iniziative di tipo risarcitorio.
Con riferimento alla decisione di tale motivo di gravame, la Quinta Sezione ha rimesso all'Adunanza Plenaria la questione se l'intervenuta esecuzione integrale dell'appalto renda inammissibile il ricorso per l'annullamento della aggiudicazione, ferma restando la proponibilità e la procedibilità dell'azione risarcitoria. In particolare, la Quinta Sezione ha rimesso all'esame dell'Adunanza Plenaria la questione concernente la rilevanza dell'intervenuta esecuzione dell'opera pubblica, ai fini dell'ammissibilità o della procedibilità del ricorso proposto contro l'aggiudicazione dell'appalto e contro i connessi atti del procedimento, e con esso il più generale problema del rapporto tra l'azione di annullamento e la domanda di risarcimento del danno, al fine di stabilire se, nel quadro delineato dal decreto legislativo n. 80 del 1998 e dalla legge n. 205 del 2000, la tempestiva domanda di annullamento del provvedimento amministrativo che si assume lesivo della situazione soggettiva dell'interessato, costituisca, o meno, presupposto di ammissibilità della domanda risarcitoria.
17. L'Adunanza osserva che tale ultima questione, riguardante il rapporto tra azione di annullamento dei provvedimenti amministrativi impugnati e domanda di risarcimento del danno, non è rilevante, nei suoi termini generali, ai fini della controversia in esame.
La rilevanza di tale questione per la definizione della controversia suppone, infatti, che si sia di fronte ad una domanda di risarcimento proposta nell'assenza di una tempestiva impugnazione dei provvedimenti amministrativi in relazione all'illegittimità dei quali si assume, appunto, l'esistenza di un danno da risarcire. Una situazione del genere non si verifica, invece, nel caso in esame, nel quale, anzi, si è di fronte ad una tempestiva impugnativa dell'atto di esclusione e del diniego di aggiudicazione, e delle clausole del bando di gara, ed in cui la questione della tutela risarcitoria è stata prospettata in via meramente eventuale, ai diversi fini della valutazione della permanenza dell'interesse, avverso il diniego di aggiudicazione conseguente alla dichiarazione di anomalia dell'offerta, pur dopo l'esecuzione dell'opera pubblica oggetto dell'appalto.
La circostanza che, in concreto l'azione di annullamento sia stata nella fattispecie effettivamente proposta (ed anzi si discuta della sua proseguibilità pur dopo l'esecuzione dell'opera pubblica) sembra escludere, in concreto, ogni pratica rilevanza della questione riguardante la sussistenza di una generale e necessaria pregiudizialità, della domanda di annullamento rispetto alla domanda di risarcimento, in tutti i casi in cui si sia di fronte (o addirittura se ne prospetti solamente la possibilità, come nel caso in esame) ad una richiesta risarcitoria in conseguenza dell'illegittimo esercizio della funzione pubblica.
Impregiudicata, pertanto, la questione generale del rapporto processuale tra l'azione di annullamento degli atti amministrativi e quella del risarcimento del danno dai medesimi eventualmente provocato, nell'ambito della nuova disciplina del processo amministrativo, un rapporto di pregiudizialità necessaria potrebbe, comunque, porsi, tutte le volte che si sia di fronte alla necessità di stabilire le conseguenze dell'annullamento degli di gara sul contratto eventualmente stipulato tra l'Amministrazione appaltante e l'originario aggiudicatario. Sono queste, infatti, le situazioni più rilevanti, piuttosto che quelle legate alla semplice esecuzione dell'opera pubblica, ed in tal caso, la previa proposizione del ricorso giurisdizionale davanti al giudice amministrativo, e la definizione del relativo giudizio, appare, comunque, necessaria, posto che si tratta di stabilire quali siano le conseguenze, sul contratto di appalto nelle more stipulato tra Amministrazione ed aggiudicatario, dell'avvenuto annullamento degli atti di gara a seguito del ricorso del partecipante non aggiudicatario.
18. Poiché, invece è pacifico fra le parti che l'opera pubblica cui si riferisce la gara oggetto del giudizio è stata integralmente realizzata, appare rilevante, ai fini della pronuncia sul secondo motivo di gravame, la questione se l'avvenuta esecuzione dell'opera pubblica renda improcedibile il ricorso proposto contro l'aggiudicazione dell'appalto e contro i connessi atti del procedimento. E' stato, in proposito affermato che deve essere considerato improcedibile il ricorso proposto contro l'aggiudicazione di un contratto di appalto di opere pubbliche, qualora le relative opere siano state realizzate nelle more del giudizio e non venga provata la permanenza di uno specifico interesse morale all'annullamento (Cons. Stato, Sez. IV, 11 dicembre 1998, n. 1627).
Anche la tesi di segno opposto è stata, peraltro, affermata in giurisprudenza: è stato, così, ritenuto che l'integrale esecuzione dell'appalto oggetto di una gara non determini il venir meno dell'interesse a ricorrere in capo al partecipante non aggiudicatario, e ciò non solo per la persistenza di un interesse morale, ma anche in relazione ad un eventuale giudizio risarcitorio volto a ristorare il ricorrente dal pregiudizio patito per effetto dell'illegittimità (Cons. Stato, Sez. VI, 20 dicembre 1999 n. 2117).
L'Adunanza ritiene preferibile tale ultima tesi, ed è, pertanto, dell'avviso, conforme a quello della V Sezione, che l'integrale esecuzione dell'opera pubblica oggetto di una gara indetta dall'Amministrazione non determini il venir meno, in capo al partecipante non aggiudicatario, dell'interesse a ricorrere avverso gli atti della procedura concorsuale. Tale esito appare, peraltro, riferibile non tanto al semplice interesse morale all'accertamento dell'illegittimità della gara, quanto, piuttosto, alla persistenza, pur dopo l'esecuzione della opera pubblica, dell'interesse a conseguire l'eventuale risarcimento dei danni volti a ristorare il pregiudizio patito per effetto dell'illegittimità della gara e della sua conclusione, o comunque dell'interesse ad intraprendere iniziative volte a reintegrare la situazione soggettiva illegittimamente lesa.
Va, in proposito, ricordato che, attraverso l'impugnazione del diniego di aggiudicazione e dell'atto con cui è stata dichiarata l'anomalia dell'offerta di un partecipante, il ricorrente mira a conseguire il bene della vita costituito dall'aggiudicazione; l'interesse sostanziale leso da tali atti, ove illegittimi è, appunto, quello a conseguire l'aggiudicazione, e tale utilità sostanziale il ricorrente intende tutelare con la rimozione, con effetto ex tunc, dei provvedimenti assunti dall'Amministrazione e con la riedizione, ove necessario, del potere amministrativo esercitato. In questa prospettiva, l'annullamento degli atti di gara e l'eventuale (ove necessario) esercizio del potere amministrativo costituiscono una tecnica o una modalità di tutela dell'interesse leso, al fine di conseguire l'utilità sostanziale che l'interessato intende ottenere con la partecipazione.
Deve, altresì, essere ricordato che la dichiarazione di sopravvenuta carenza di interesse in ordine al ricorso giurisdizionale è, in via di principio, ricollegabile al verificarsi di una situazione oggettivamente incompatibile con la realizzazione dell'utilità o della situazione di vantaggio alla quale mira il ricorso giurisdizionale medesimo, di modo che il suo esito eventualmente positivo per il ricorrente non potrebbe più giovare a quest'ultimo. La dichiarazione di sopravvenuta carenza di interesse al ricorso certifica che nessun effetto utile può essere conseguito dal ricorrente con l'accoglimento del ricorso.
Un esito del genere non si verifica allorché viene realizzata l'opera pubblica oggetto della gara impugnata, dal momento che tale realizzazione non si risolve in una situazione incompatibile con il conseguimento delle possibili utilità che il ricorrente si riprometteva di conseguire con il ricorso.
In particolare, l'avvenuta esecuzione dell'opera pubblica non determina il venir meno dell'interesse all'annullamento giurisdizionale degli atti di gara, ma, rendendo non più possibile la semplice rinnovazione della gara a seguito della decisione, trasforma l'interesse a tale forma di tutela in quello ad una tecnica di tutela di tipo risarcitorio, il cui esercizio è volto a ristorare l'interessato dell'eventuale pregiudizio patito, ovvero nell'interesse a tutte le ulteriori iniziative, da adottarsi eventualmente dalla stessa Amministrazione su istanza del ricorrente vincitore, ovvero direttamente da quest'ultimo, volte ad ottenere l'eliminazione del contratto eventualmente stipulato tra l'amministrazione appaltante e il vincitore a seguito della gara annullata.
La statuizione giurisdizionale di annullamento della procedura concorsuale assume, infatti, un rilievo decisivo in un successivo giudizio risarcitorio volto a ristorare l'originario ricorrente dell'eventuale pregiudizio patito (e nei limiti del danno effettivamente configurabile in relazione alle diverse fattispecie) ovvero ai fini delle eventuali iniziative da assumere, sia verso l'Amministrazione appaltante che eventualmente in sede giurisdizionale, per ottenere la caducazione del contratto nelle more, eventualmente concluso, o comunque, una sua dichiarazione di inefficacia.
19. Giova in proposito segnalare che le questioni più complesse e rilevanti che sembrano porsi, dopo l'annullamento giurisdizionale dell'aggiudicazione e degli atti di gara - quanto meno per le opere pubbliche non rientranti fra quelle di cui all'art. 1, comma 1, della legge 21 dicembre 2001 n. 190 - riguardano, non tanto il rilievo dell'asserita esecuzione dell'opera (in relazione alla quale la giurisprudenza del giudice amministrativo, pacificamente competente dopo la legge n. 205 del 2000 riconosce comunque il risarcimento del danno, ove esistente in relazione alle ragioni dell'annullamento), quanto piuttosto i rapporti tra l'annullamento giurisdizionale degli atti di gara ed il contratto di appalto, nelle more stipulato tra l'aggiudicatario e l'Amministrazione.
In proposito, la posizione tradizionale è, come è noto, quella che, facendo perno sul duplice contenuto (autoritativo e negoziale) dell'aggiudicazione, e sulla circostanza che le norme di evidenza pubblica sarebbero destinate a proteggere un interesse specifico dell'amministrazione piuttosto che un interesse pubblico generale, identifica nella violazione delle norme del procedimento amministrativo di selezione del contraente privato un vizio nella formazione della volontà dell'Amministrazione che, in quanto attinente alla capacità ed alla volontà dell'ente pubblico, comporterebbe la sola annullabilità del contratto, deducibile esclusivamente da parte dell'Amministrazione.
Da qui, appunto, l'indirizzo giurisprudenziale (affermatosi, peraltro in relazione a fattispecie diverse da quelle riguardanti in modo specifico le conseguenze sul contratto dell'annullamento pronunciato dal giudice amministrativo) che afferma la sua annullabilità relativa - per vizio di formazione del consenso della persona giuridica pubblica - del contratto stipulato sulla base di una aggiudicazione annullata dal giudice amministrativo (Cass., Sez. II, 8 maggio 1996 n. 4269; 7 aprile 1989 n. 1682; 24 maggio 1979 n. 2996) salvo che si sia di fronte ad un vizio di vero e proprio straripamento di potere, che comporta la nullità del contratto (Cass., Sez. II, 24 maggio 1979 n. 2996).
Le conseguenze di tale tradizionale modo di configurare i rapporti tra annullamento dell'aggiudicazione e contratto sono evidenti: l'annullabilità del contratto può essere fatta valere soltanto dall'amministrazione, e non dai concorrenti non aggiudicatari, anche se vittoriosi nel giudizio di annullamento della gara. La sorte del contratto invalido rimane, in questa prospettiva, esclusivamente affidata all'Amministrazione, anche se le iniziative di questa potrebbero essere variamente sollecitate dai concorrenti non aggiudicatari vittoriosi nel giudizio amministrativo di annullamento.
Si tratta di una situazione che, se assicura una significativa stabilità del rapporto contrattuale, è stata, talvolta considerata dal giudice amministrativo come capace di comportare una sostanziale vanificazione dell'effetto conformativo proprio del giudicato amministrativo (T.A.R. Campania - Napoli, Sez. I, 29 maggio 2002 n. 3177).
20. Deve, peraltro, essere segnalato che proprio recentemente la Corte di Cassazione sembra aver proceduto a valutare diversamente l'incidenza, sul contratto, dell'eventuale annullamento di atti amministrativi riguardanti la formazione della volontà dell'ente pubblico.
In particolare, la Cassazione ha ritenuto (Cass., Sez. III, 9 gennaio 2002 n. 193) che l'annullamento in sede di controllo di legittimità di una deliberazione con cui il competente organo dell'Amministrazione autorizzi la stipula di un contratto determini la nullità, e non la semplice annullabilità, del contratto per assenza del requisito dell'accordo delle parti (artt. 1325 n. 1 e 1418, secondo comma, cod. civ.).
21. Proprio il riferimento a tale pronuncia della Cassazione sembra suggerire una attenta riflessione su di un recente indirizzo giurisprudenziale del giudice amministrativo.
Questo, infatti, che in passato aveva, talvolta, affermato una sorta di effetto caducante dell'annullamento dell'aggiudicazione sul contratto, sulla scorta della traslazione dell'effetto annullatorio dal procedimento amministrativo all'attività di diritto privato dell'amministrazione (Cons. Stato, Sez. V, 25 maggio 1998 n. 677; 30 marzo 1993 n. 445) ha, adesso, proceduto ad un riesame delle tesi tradizionali, ed affermato che l'invalidità del contratto stipulato dall'Amministrazione con chi sia illegittimamente aggiudicatario assume il connotato non dell'annullabilità ad istanza della sola stazione appaltante, ma della nullità per contrasto con le norme di disciplina del procedimento di evidenza pubblica (TAR Campania - Napoli, Sez. I, n. 3177 del 2002, cit.).
A tale esito il Tribunale è pervenuto anche in forza di una lettura delle norme di evidenza pubblica, "nel contesto dei principi comunitari di tutela della concorrente": a garanzia, cioè, non solo dell'interesse specifico dell'amministrazione, ma dei valori della concorrenza e del mercato (art. 2, 3 par.1, lett. g e 4 Trattato CE), ed affermando, pregiudizialmente la sussistenza della esclusiva giurisdizione del giudice amministrativo sulla materia, in modo che il giudice di esso investita possa, per intero, e fino al contratto, procedere alla tutela dell'interesse fatto valere in giudizio.
22. Sulla materia, e sulle diverse questioni generali da essa implicate (da quella relativa alla sussistenza della giurisdizione, a quella riguardante il rapporto, tra annullamento e risarcimento, a quella concernente il rapporto tra annullamento degli atti di gara e contratto) sono destinate a rivestire un ruolo di primaria importanza le disposizioni di cui alla direttiva 89/665/CEE del Consiglio del 21 dicembre 1989, quelle contenute nell'art. 1, L. 2 dicembre 2001 n. 443 e quelle dell'art. 14 del d. lgs. 20 agosto 2002 n. 190.
Certo è comunque che l'ampiezza e la diversa portata delle conseguenze riferibili all'annullamento giurisdizionale degli atti di gara, anche dopo l'esecuzione dell'opera pubblica di tale gara oggetto, testimoniano con ogni evidenza la persistenza dell'interesse al ricorso contro gli atti di gara proposto.
23. Alla luce delle superiori osservazioni, deve essere rigettato il secondo motivo dell'appello proposto dal Comune di Aversa, e con esso, la riproposta eccezione di improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse. E, infatti, la possibilità di iniziative ulteriori volte a soddisfare e tutelare l'interesse fatto valere con il ricorso giurisdizionale proposto avverso gli atti di gara pur dopo la realizzazione dell'opera, tutte nella fattispecie sicuramente assumibili dall'Associazione di imprese appellata, avendo la medesima tempestivamente proposto la propria impugnativa giurisdizionale (senza che, quindi assuma specifica rilevanza la questione della sussistenza o meno, in astratto, di una necessaria "pregiudiziale amministrativa") evidenza ampiamente la persistenza dell'interesse al ricorso.
Né in contrario, possono assumere rilievo le ulteriori osservazioni dell'appellante. Ai fini, infatti, della valutazione della persistenza dell'interesse al ricorso - che costituisce l'oggetto del presente giudizio - appare sufficiente l'affermazione della esistenza della possibilità di future iniziative, anche di tipo risarcitorio, mentre ogni accertamento circa la loro fondatezza, la loro ampiezza ed il loro collegamento con la procedura concorsuale annullata non potrà che essere effettuato, dopo la proposizione della relativa domanda, dal (futuro) giudice del risarcimento.
24. Deve, infine, essere esaminato il terzo motivo dell'appello, con cui il Comune di Aversa deduce che erroneamente il Tribunale avrebbe ritenuto fondata la censura concernente la mancanza del numero minimo di offerte richieste dalla legge per l'esclusione automatica dell'offerta anomala, avendo l'Amministrazione, nel caso in esame, fatto applicazione della clausola contenuta nel bando e nella lettera di invito, che sancisce la procedura automatica indipendentemente dal numero di offerte ammesse.
La doglianza è infondata e deve, di conseguenza essere rigettata.
Và, in proposito ricordato che sia il bando di gara, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 14 agosto 1991 che la lettera di invito del 7 novembre 1991, stabiliscono, per quel che in questa sede rileva, che "saranno considerate anomale" le offerte che presenteranno una percentuale di ribasso superiore alla media delle percentuali delle offerte ammesse, incrementate del 7%.
Sia il bando che la lettera di invito contenevano, pertanto, una clausola di esclusione automatica delle offerte, comportanti una percentuale di ribasso superiore alla media delle percentuali delle offerte ammesse incrementate di un valore percentuale del 7%.
Tale essendo il tenore della clausola della lex specialis della gara, il Collegio osserva che la stessa non può che essere letta nel quadro della disciplina, comunitaria e nazionale, concernente la fattispecie.
Giova in proposito ricordare che il criterio di esclusione automatica delle offerte anomale, introdotto con l'art. 17, della legge 11 marzo 1988 n. 77, ritenuto in contrasto con la direttiva CEE n. 71/305 (sentenza n. 103/88 del 28 giugno 1989 della Corte di Giustizia), è stato abbandonato dal legislatore nazionale con l'art. 2 bis del decreto legge 2 marzo 1989 n. 65 convertito dalla legge 26 aprile 1989 n. 155, che ha stabilito l'obbligo, per l'Amministrazione, di procedere alla valutazione dell'anomalia delle offerte ai sensi dell'art. 24 della legge 8 agosto 1977 n. 584 e dell'art. 5 della legge 2 febbraio 1973 n. 14.
La stessa norma ha, peraltro, previsto, in via transitoria (fino al 31 dicembre 1992) la possibilità per le pubbliche amministrazioni di procedere alla esclusione automatica, senza necessità di rispettare le apposite procedure stabilite dalla legge, delle "offerte che presentano una percentuale di ribasso superiore alla media delle percentuali delle offerte ammesse, incrementate di un valore percentuale non inferiore al 7 per cento". Il successivo art. 2bis, comma 3, precisa che la facoltà di esclusione automatica, nonché il valore percentuale di incremento della media debbono essere indicati nel bando e nell'avviso di gara, e che la medesima facoltà non è esercitabile qualora il numero delle offerte valide risulti inferiore a quindici.
E' appunto alla luce e nel contesto di tale disciplina legislativa che va letta la disposizione della lex specialis della gara, di cui nel caso in esame è stata fatta applicazione.
Da una parte gli atti di gara che contengono la clausola di esclusione automatica delle offerte anomale appaiono del tutto conformi alle norme contenute nel decreto legge n.65 del 1989, dal momento che essi contengono sia l'esplicita indicazione della predetta clausola di esclusione automatica, sia del valore percentuale di incremento della nuova, come richiesto dall'art. 2 bis, comma 3, del medesimo decreto legge; dall'altra, tali atti non possono che essere letti, interpretati ed applicati nell'ambito delle disciplina di legge che li riguarda e che regola in via generale l'esercizio delle facoltà cui essi fanno riferimento.
Se ne deduce che la facoltà di esclusione automatica delle offerte anomale, prevista nel bando di gara e nella lettera di invito della gara oggetto del presente giudizio, poteva essere esercitata dall'Amministrazione, come richiede il cennato art. 2 bis, comma 3, del decreto legge n.65 del 1989, soltanto in presenza di un numero di offerte valide non inferiore a quindici.
La disposizione del bando, riguardante il ricorso al criterio dell'esclusione automatica delle offerte anomale, che costituisce applicazione del potere (temporaneamente) riconosciuto dall'art. 2 del decreto legge n.65 del 1989, non può che essere applicata conformemente alle disposizioni contenute nello stesso art. 2bis, comma 3, del medesimo decreto legge, che ne prevedono la praticabilità soltanto in presenza di quindici offerte valide.
Non può, d'altra parte, ritenersi che tale previsione dovesse essere espressamente contenuta nel bando o nella lettera di invito, dal momento che lo stesso art. 2 bis, comma 3, del decreto legge indica esplicitamente quali dovevano essere le previsioni esplicite contenute nel bando, limitandole a quella concernente la facoltà di esclusione automatica, ed all'altra, riguardante la percentuale di incremento della media.
Deriva da ciò che il primo giudice ha correttamente accolto la doglianza prospettata dall'associazione temporanea di imprese, essendo state, nella fattispecie, presentate soltanto quattro offerte, ed essendo stata, di conseguenza, esercitata la facoltà di esclusione automatica al di fuori del presupposto che, per legge, ne condizionava l'esercizio.
23. Non possono, infine, trovare accoglimento gli ulteriori rilievi prospettati dal Comune appellante, alla stregua dei quali la procedura di valutazione della congruità dell'offerta sarebbe stata, comunque, effettuata in contraddittorio con le parti. Ed infatti, come ha esattamente osservato il Tribunale, dai verbali di gara emerge che, dopo la lettura dei punteggi assegnati a ciascuna impresa, il rappresentante della Associazione temporanea di imprese appellata ha formulato alcune "deduzioni" sull'entità del ribasso offerto, rilevando che occorreva tener conto di quello reale del 14,38% sui prezzi unitari, non già di quello virtuale, derivante dal raffronto tra l'importo a base d'asta e quello dell'offerta; e che, a tali deduzioni il Presidente della Commissione ha replicato asserendo che le stesse non introducevano elementi di novità.
Si è pertanto ben lontani da quella verifica della composizione dell'offerta richiesta dalla legge (art. 24 legge 8 agosto 1977 n.584) ai fini della dichiarazione di anomalia dell'offerta.
In particolare, gli adempimenti posti in essere nella fattispecie non possono essere ritenuti idonei ad integrare - come ha esattamente osservato il Tribunale - il procedimento di verifica dell'anomalia della offerta non soltanto in relazione alle modalità procedimentali, ma anche e soprattutto con riferimento ai contenuti delle giustificazioni e delle verifiche dell'Amministrazione, dovendo esse riguardare la modalità di composizione dell'offerta, e dovendo la verifica dell'Amministrazione contenere una puntuale e motivata indicazione delle ragioni di inattendibilità dell'offerta medesima.
24. In conclusione, l'appello deve essere respinto. L'esistenza di contrastanti indirizzi giurisprudenziali su molte delle questioni connesse con la soluzione della controversia suggerisce di disporre l'integrale compensazione delle spese di lite.
P.Q.M.
il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria), definitivamente pronunciando, rigetta l'appello in epigrafe.
Compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità Amministrativa.
Così deciso in Roma, in Camera di consiglio, il 24 giugno 2002, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria), con l'intervento dei Signori:
Alberto de Roberto - Presidente,
Sergio Santoro - Consigliere,
Domenico La Medica - Consigliere,
Alessandro Pajno - Consigliere, estensore,
Costantino Salvatore - Consigliere,
Raffaele Maria de Lipsis - Consigliere,
Giuseppe Farina - Consigliere,
Corrado Allegretta - Consigliere,
Luigi Maruotti - Consigliere,
Carmine Volpe - Consigliere
Chiarenza Millemaggi Cogliani - Consigliere,
Paolo Buonvino - Consigliere,
Goffredo Zaccardi - Consigliere.
IL PRESIDENTE
L'ESTENSORE
Depositata in segreteria in data 29 gennaio 2003.
Commento di
GIULIO BACOSI
(Avvocato dello Stato)
Da Palazzo Spada conferme e smentite in tema di impugnative dei bandi di gara e un invito - timido, ma "non troppo" - a rimodulare le sorti d'un contratto d'appalto fondato su aggiudicazione illegittima
1. Il fatto.
Approvato con delibera all'uopo un progetto di opera pubblica, un Comune campano bandisce nel 1991 una gara per l'affidamento dell'appalto funzionale alla relativa realizzazione, promettendolo all'offerta economicamente più vantaggiosa tra quelle in competizione e minacciando, ad un tempo, l'automatica esclusione a chi presenti una offerta la cui percentuale di ribasso rispetto all'importo a base d'asta superi di 7 punti percentuali la media dei ribassi delle offerte ammesse.
Partecipano alla competizione quattro imprese: all'esito, la spunta l'Associazione Temporanea Marino - Icor - Brancaccio (d'ora innanzi, ATI Marino), scatenando innanzi al Tar partenopeo la reazione giurisdizionale di altra compagine sociale coinvolta nella procedura - la Zecchina Costruzioni spa, agente tanto in proprio quanto, anch'essa, in veste di mandataria di un'ATI - per parte sua estromessa automaticamente a cagione d'una acclarata anomalia della relativa offerta.
Impugnata, dalla Zecchina spa, sostanzialmente l'intera sequenza degli atti di gara, a partire dal bando e dalla successiva lettera di invito, l'ATI Marino si difende sulla scorta, in particolare, di due eccezioni processuali, gravide peraltro di emblematici risvolti sostanziali:
il ricorso della Zecchina Costruzioni sarebbe in primo luogo irricevibile, non avendo la stessa tempestivamente impugnato le clausole del bando di gara afferenti all'anomalia delle offerte ed all'esclusione a tale anomalia riconnessa, clausole da assumersi immediatamente lesive e, come tali, ex necesse oggetto di immediata impugnazione nel noto termine decadenziale;
anche ove superata la eccezione testè esplicitata, lo stesso gravame andrebbe in ogni caso dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse, stante la ormai intervenuta realizzazione dell'opera pubblica da parte dell'ATI Marino controinteressata.
All'ombra del Vesuvio il competente organo di giustizia amministrativa di primo grado - venendo al sodo e sventata ogni tentazione di maquillage decisionale - rigetta entrambe le eccezioni sollevate dall'ATI Marino:
- la prima sulla scorta della considerazione onde - come sostenuto dalla più parte della giurisprudenza amministrativa - l'onere di immediata impugnazione delle clausole di un bando di gara si pone esclusivamente con riguardo a quelle prescrizioni idonee a precludere ex ante l'ammissione di potenziali partecipanti alla competizione, e non anche allorché (come era avvenuto nel caso di specie) la ditta ricorrente, ammessa alla gara, sia pregiudicata solo successivamente attraverso l'atto applicativo (esclusione dell'offerta), quand'anche fondato su disposizioni del bando (in materia di valutazioni d'anomalia dell'offerta medesima);
- la seconda tenuto conto del fatto che, quand'anche sia ormai stata ultimata dall'illegittimo aggiudicatario l'opera pubblica appaltata, al soggetto escluso contra ius residua in ogni caso tanto un interesse morale all'annullamento della aggiudicazione in parola, quanto un interesse patrimoniale alla ridetta caducazione, connesso con la possibilità di ottenere il ristoro dei danni conseguenti alla patita illegittima estromissione dalla procedura di gara.
Risolte le dirimenti questioni processuali in parola, il Tar Napoli accoglie nel merito il ricorso della Zecchina spa, assumendola vittima di una inopinata marginalizzazione, quale illegittima esclusa dalla gara in virtù dell'errata applicazione ex parte publica della disciplina transitoria in materia di offerte anomale, applicabile ratione temporis alla fattispecie (d.l. 65.89) e capace di autorizzare una automatica esclusione solo in presenza di almeno 15 partecipanti alla ridetta gara (nel caso di specie vi avevano invece preso parte - come evidenziato - appena 4).
Punto nel vivo d'una ormai disimpegnata dinamica operativa, interpone appello il Comune aggiudicante facendo proprie, per riproporle dopo averle tradotte in conformi motivi di gravame, le eccezioni già sollevate in primo grado dalla controinteressata ATI Marino:
il ricorso avrebbe dovuto dichiararsi improcedibile per tardività, stante la mancata, tempestiva impugnazione del bando di gara;
ovvero, ed in ogni caso, improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse, non essendo stata data specifica prova dalla Zecchina ricorrente in prime cure -a fronte della intervenuta esecuzione dell'opera pubblica da parte della compagine affidataria ATI Marino - del peculiare interesse morale capace di sostenerne l'impugnativa dell'aggiudicazione (e degli atti connessi), né essendo ventilabile un'azione risarcitoria con riguardo ad una fattispecie comunque cronologicamente anteriore financo all'avvento ordinamentale del noto art.13 legge 142.92.
Nel merito, l'Amministrazione municipale campana si difende sostenendo come sia stato in ogni caso salvaguardato il contraddittorio con la Zecchina spa, essendo stata la medesima posta in grado di controdedurre anteriormente all'approvazione degli atti di gara (e quindi anche alla relativa esclusione) in virtù di una additata delibera giuntale.
Costituitasi, nei panni della appellata, la Zecchina spa originaria ricorrente, il gravame viene assegnato alla V Sezione che, con una ordinanza del 6 maggio 2002, posta dinanzi ad un incomprimibile quanto plurivoco margine di delicate opzioni esegetiche, ne rimette la intera decisione all'Adunanza Plenaria ravvisando - sulla scorta d'un pedissequo scandaglio della pertinente giurisprudenza - la indubbia tanto quanto emblematica significatività di almeno 3 questioni:
- ove un'opera pubblica sia stata già realizzata dall'illegittimo aggiudicatario, ferma restando, in presenza dei relativi presupposti, la proponibilità dell'azione risarcitoria ad opera del concorrente illegittimamente escluso dalla gara, il ricorso che questi intenti avverso l'aggiudicazione va ritenuto ormai improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse ?
- sono solo le clausole c.d. "di esclusione", quelle cioè che dettano i requisiti soggettivi di partecipazione alla procedura di gara (o concorsuale) che debbono essere impugnate illico et immediate dal soggetto che aspiri alla ridetta partecipazione, o ne sussistono altre che del pari vanno subitaneamente addotte, nel noto termine di decadenza (decorrente dalla conoscenza legale che se ne abbia) innanzi al g.a. senza possibilità di attendere l'atto che ad esse dia concreta applicazione ?
- ove una clausola del bando di gara o della lettera di invito contrasti con il diritto comunitario, può il g.a. provvedere alla relativa disapplicazione pur in difetto di tempestiva impugnazione della medesima ad opera del ricorrente ?
2. La decisione della Plenaria.
Preliminarmente, il Collegio si premura di precisare come non tutte le molteplici questioni oggetto di possibili contrasti giurisprudenziali, alle quali ha fatto puntualmente riferimento la V Sezione con l'ordinanza di rimessione (ed a ciascuna delle quali corrisponde una ben definita matrice concettuale), debbano necessariamente esser fatte oggetto d'un vaglio solutorio da parte dell'Adunanza, alla quale è, in ultima analisi, demandata la decisione dell'appello interposto dall'Amministrazione municipale di Aversa, dovendosi pertanto essa limitare ad una autorevole setaccio ermeneutico che la porti a statuire su tutto e solo ciò che è funzionale alla ridetta decisione di seconde cure.
Riproposta dal Comune appellante l'eccezione di inammissibilità del ricorso interposto dalla Zecchina spa - imperniantesi (come già in prime cure) sulla asserita tardività d'un gravame inteso a contestare, oltre alla esclusione dell'offerta per relativa asserita anomalia, la stessa legittimità di quelle clausole del bando di gara e della lettera di invito con cui si era provveduto ex parte publica a definire il concreto meccanismo che aveva dipoi fondato l'esclusione in parola (media dei ribassi aumentata del 7%) - la Sezione rimettente non perde la ghiotta occasione fornitale per invocare dalla Adunanza un quadro espositivo completo dal quale far autorevolmente affiorare
- le fattispecie in cui è imposto al ricorrente, a pena di inammissibilità, d'immediatamente impugnare (perché immediatamente lesive) le clausole d'un bando di gara o di concorso, o le prescrizioni d'una lettera di invito;
- i casi in cui appare, all'opposto, possibile soprassedere da tale subitanea impugnativa, confidando nella possibile disapplicazione delle ridette clausole e prescrizioni da parte del giudice adito per l'annullamento dell'atto terminale "espulsivo".
Tra questi ultimi - i casi con riferimento ai quali viene da più parti predicata possibilità di una chance disapplicativa ope iudicis - merita precisare come spicchi quello investente il potenziale contrasto, nel singolo caso di specie, tra le prescrizioni contenute nella lex specialis ed il diritto sopranazionale; circostanza, questa, capace di autorizzare il ricorrente proprio ad attendere l'atto applicativo, confidando sulla disapplicazione delle ridette clausole e prescrizioni per "illegittimità comunitaria".
Il Supremo Consesso è dunque chiamato a prendere posizione su quella che viene icasticamente definita "l'esatta delimitazione dell'ambito oggettivo dell'onere di immediata impugnazione" con riguardo ad un bando di gara o di concorso.
In funzione della ridetta presa di posizione, l'Adunanza pare implicitamente compiacersi del tasso di dettaglio con il quale la V Sezione, ha proceduto - allocandoli in seno alla nota ordinanza remissiva - a sintetizzare il panorama dei variegati orientamenti pretori che si vanno avvicendando sul punto (ben 8 diverse alternative), trascorrendo
- da opzioni ermeneutiche meno rigorose, intese ad esigere la immediata impugnazione della lex specialis con riferimento a quelle sole clausole ("esclusive") additanti i requisiti soggettivi di partecipazione alla competizione (il riferimento va ai c.d. "bandi fotografia");
- ad interpretazioni ben più penalizzanti per il ricorrente, alla stregua delle quali il bando o la lettera di invito andrebbero quasi sempre immediatamente fatti oggetto di tempestivo gravame, senza attendere l'atto applicativo di esclusione (o di diniego di aggiudicazione o utile collocamento in graduatoria).
Nel bel mezzo di questi due fronti si pone poi quel filone pretorio inteso, come in precedenza rassegnato, a neovalorizzare l'istituto disapplicativo, specie quando traspaia una frizione tra prescrizioni di bando e ordinamento comunitario, così comunque finendo col riconoscere al potenziale ricorrente che intenda denunciare il menzionato contrasto la possibilità di attendere all'uopo la concreta estromissione dalla procedura.
Dinanzi a tante ammiccanti sollecitazioni, l'Adunanza scopre subito le sue carte, dichiarandosi d'accordo con la Sezione rimettente in ordine alla certa preferibilità della tesi che fa perno sull'onere di immediata impugnazione delle clausole di lex specialis nella sola evenienza in cui si tratti di clausole "escludenti"; di clausole cioè che - nel prevedere i requisiti soggettivi di partecipazione alla procedura competitiva - "lasciano fuori" tutti coloro che di tali requisiti non appaiano concreti portatori.
Premesso come in realtà si tratti della più generale questione concernente la individuazione del tempo in cui va assicurata tutela (giurisdizionale o amministrativa) nei confronti dei c.d. "atti generali", di quegli atti cioè che sono destinati a produrre effetti diversi nei confronti di una pluralità di destinatari non determinati a priori, ma determinabili in futuro giusta i relativi atti applicativi (questi ultimi capaci di identificare tanto il destinatario leso, quanto quello avvantaggiato dalla prescrizione generale), il Collegio abbraccia - mettendo in moto il proprio automatismo argomentativo - una mirabile quanto rigorosamente coerente opzione metodologica.
E poiché se si cerca l'acqua occorre di necessità dirigersi verso la fonte, la stretta funzionalità della chiesta soluzione alla salvaguardia del diritto di azione, in rapporto alla tutela giurisdizionale (o giustiziale) da garantire al ricorrente impone, al fine di pervenire alla soluzione in parola, di prendere le mosse da quei "presupposti" che - secondo la teoria generale del processo - sono notoriamente destinati a condizionare la ridetta tutela, garantendo il passaggio della fase decisionale dal mero rito al merito della vertenza considerata.
E' allora il microcosmo delle "condizioni dell'azione" a rilevare, con in testa l'interesse ad agire (affiancato dalla relativa legittimazione). Tale interesse, traducentesi nella possibilità per chi ricorre di ottenere un effettivo e concreto vantaggio dalla invocata pronuncia del giudice, deve essere connotato, secondo l'Adunanza, dai requisiti della personalità e della attualità; più in specie, l'interesse ad agire (rectius, a ricorrere) deve essere proprio del soggetto che agisce, e deve rivelarsi non già meramente potenziale, quanto piuttosto attuale, garantendo un "minimo etico" di effettiva ratio alla iniziativa giurisdizionale, onde si invoca tutela dal giudice al fine di difendersi da una lesione coevamente (d'asserito) perpetrata nei confronti di chi agisce.
Personalità, immediatezza, concretezza, attualità quali, dunque, predicati necessari e non vicariabili tanto della lesione subita quanto del (conseguente) attivato interesse a ricorrere, al cospetto di un provvedimento che scolpisce il definitivo assetto degli interessi pubblici e privati in contrasto (illegittimo e/o illecito) con una situazione giuridica soggettiva tutelata dall'ordinamento.
In materia di atti generali, continua inesorabile l'Adunanza, tale immediatezza e concretezza della lesione - con l'attualizzarsi dell'interesse a ricorrere che ne discende - appare esclusivo appannaggio dell'atto applicativo, attraverso il quale viene nella sostanza identificato il soggetto (leso) reale destinatario d'una prescrizione (o clausola) contenuta nell'atto generale (bando, lettera di invito) che, quand'anche già illegittima, non era comunque riconoscibile come concretamente lesiva anteriormente al detto atto applicativo (esclusione, c.d. "diniego di aggiudicazione").
E' questo il motivo per il quale, al cospetto di atti amministrativi generali, la regola non può che essere quella della non immediata impugnativa dei medesimi, quand'anche talune clausole vengano immediatamente riconosciute come illegittime, nell'attesa del provvedimento applicativo capace di tradurre tale illegittimità in una lesione concreta ed attuale per il relativo (sventurato) destinatario.
Unico caso, osserva il Consiglio, in cui effettivamente appare riscontrabile in seno agli atti preliminari ad una procedura concorsuale (che ne compendiano la relativa lex specialis: bando, lettera di invito) un pregiudizio non già meramente potenziale, ma all'opposto affatto attuale per gli aspiranti al bene della vita che giusta la ridetta procedura si intende assegnare (aggiudicazione di un contratto, stipula di un contratto di lavoro subordinato etc.) si appalesa pertanto quello delle clausole che fissano imprescindibili requisiti soggettivi di partecipazione alla procedura medesima, le cui ante restano pertanto serrate per qualunque interessato non in possesso dei ridetti.
Si tratta, precisa il Collegio, di situazioni e/o qualità del soggetto, richiestegli al fine di consentirgli di avanzare domanda di partecipazione alla competizione, che non sono influenzate dall'andamento della competizione stessa, dovendole anzi preesistere.
In simili evenienze, il fatto che il soggetto "escluso" ai sensi del bando abbia comunque avanzato la menzionata domanda di partecipazione non può peraltro - per giurisprudenza costante - valergli acquiescenza alle impugnate disposizioni "esclusive" del bando stesso; rischiando anzi costui la inammissibilità del gravame interposto avverso le medesime - per carenza di interesse - laddove non abbia avuto cura di tempestivamente presentare all'Autorità procedente proprio l'istanza intesa ad essere "attratto" nella procedura competitiva.
L'Adunanza appare particolarmente insistente nell'affermare come nel caso di requisiti soggettivi "esclusivi", gli stessi compendino situazioni di fatto, collegate alla persona dell'aspirante concorrente escluso, anteriori all'espletamento della procedura, che non restano influenzate dalla medesima; è la ragione per la quale la lesività che ne connota le pertinenti clausole appare immediata tanto in termini di manifestazione quanto di concreta mala operatività nella sfera dei soggetti destinatari, come tali immediatamente legittimati (ed interessati) ad impugnare le clausole in parola.
Del resto, soggiunge il Collegio, il fatto che il bando sia un atto generale, e non già un atto normativo, implica come lo stesso sia astrattamente idoneo a spiegare - nel concorso di peculiari circostanze - effetti diretti nei confronti dei relativi destinatari, mirando lo stesso alla cura dell'interesse pubblico: altrimenti detto, con il bando si cristallizza una precisa opzione amministrativa onde non è nell'interesse pubblico che determinati soggetti prendano parte alla divisata procedura in vista dell'aggiudicazione del contratto (o dell'utile collocamento in una graduatoria concorsuale).
Tale opzione - ovviamente sotto il solo profilo della legittimità - può pertanto essere scandagliata dal giudice amministrativo, ove all'uopo sollecitato dai soggetti legittimati, ovvero da quei potenziali concorrenti non in possesso dei prescritti requisiti soggettivi.
Su questo crinale, la presentazione della domanda di partecipazione alla procedura - lungi dal porsi, come peraltro già evidenziato, quale sintomo di acquiescenza rispetto alle disposizioni "esclusive" del bando o della lettera di invito - finisce per apparire affatto necessaria, risolvendosi nello strumento con il quale viene identificato il soggetto concretamente leso da quelle clausole del bando (che costui ha pressoché contestualmente impugnato) le quali - col prevedere requisiti soggettivi dallo stesso non posseduti - lo "tagliano" sostanzialmente fuori dalla competizione. Il successivo atto di esclusione dalla gara o dal concorso si pone infatti quale mero atto applicativo, propaggine formale di una lesione già consumatasi in sede di previsione generale.
Movendo pertanto dall'interesse a ricorrere si perviene alle soluzioni siccome date alla ormai nota questione dalla giurisprudenza maggioritaria, pienamente condivise dal Consiglio:
- in genere è l'atto applicativo che concretizza la lesione, che la rende immediatamente percepibile al ricorrente lasciandogli contestualmente affiorare proprio l'interesse al gravame; onde è possibile - di regola - attendere l'atto applicativo per proporre ricorso avverso illegittime clausole di bando o di lettera di invito;
- esiste una eccezione alla detta regola, nel senso per cui occorre impugnare immediatamente la clausola del bando o della lettera di invito (previo avanzamento di domanda di partecipazione alla procedura) ogniqualvolta lesione ed interesse a ricorrere si manifestino col bando stesso: segnatamente, allorché il bando preveda requisiti di partecipazione idonei a "tagliar fuori" dalla competizione taluni aspiranti al bene della vita annesso alla ridetta competizione.
Alla Plenaria, che ha tosto fornito la propria autorevole soluzione al caso, non resta pertanto ormai che smontare l'impalcatura argomentativa fatta propria da quelle ulteriori frange della giurisprudenza amministrativa che, da un lato, sono propense a ritenere sempre possibile (anche al cospetto di clausole "esclusive" concernenti requisiti soggettivi di partecipazione alla procedura) l'attesa dell'atto applicativo (si è visto come in realtà quest'ultimo rappresenti in tali casi la mera ricognizione di una lesione già perpetrata ai danni del concorrente); dall'altro, e all'opposto, pretendono di isolare un ben maggior numero di evenienze capaci di imporre l'immediata impugnativa delle clausole contenute nell'atto generale prodromico alla competizione.
Da tali ultimi percorsi pretori, in specie, il Collegio tende a rappresentare come affiori la "frammentazione e polverizzazione" dell'unico interesse sostanziale protetto - quello al conseguimento dell'aggiudicazione, ovvero al raggiungimento d'un utile collocazione in graduatoria concorsuale - in tutta una (in qualche modo, artificiosa) congerie di interessi satelliti in realtà assumibili come non degni di autonomo pregio giuridico a fini di separata tutela giurisdizionale.
In sostanza, i menzionati filoni alternativi della giurisprudenza amministrativa - dovendo comunque riscontrare la immediatezza di una lesione in capo al ricorrente al fine di giustificarne, di sorreggerne la imposta, immediata impugnativa del bando o della lettera di invito - finiscono col riconoscere la sussistenza di un concreto, subitaneo ed effettivo vulnus
- non già all'interesse principale perseguito dal ricorrente (sotteso al c.d. "bene della vita" concretamente anelato: aggiudicazione, utile collocamento in graduatoria)
- quanto ad una ridda di interessi generici (quello a che la gara si svolga legittimamente, ovvero che non vi partecipino oltre un certo numero di concorrenti), ovvero meramente procedimentali e strumentali, la cui tutela può comunque essere rinviata al momento in cui verrà adottato l'atto applicativo che dia attuazione alle dette clausole asseritamente lesive.
Non sono pertanto immediatamente impugnabili:
le clausole del bando di gara e/o della lettera di invito che predeterminano la discrezionalità della p.a. e, in genere, disciplinano la competizione; è solo quando tale discrezionalità si sia tradotta in atto (applicativo) che la lesione inferta al privato partecipante può infatti dirsi attuale, e non più meramente potenziale; del resto, l'interesse generico alla legittimità della procedura è una mera proiezione anticipata dell'unico interesse rilevante, quello all'aggiudicazione ovvero all'utile collocamento in graduatoria (bene della vita perseguito), sicchè sarà solo la sostanziale "negatività" di tale ultima fase (esclusione, diniego di aggiudicazione etc.) a realmente vulnerare la situazione giuridica del ricorrente, consentendogli l'accesso ai rimedi giustiziali e giurisdizionali; diversamente opinando si finirebbe con l'assumere di tipo oggettivo una giurisdizione, quella amministrativa, che - specie dopo l'avvento della legge 205.00 - lascia tralucere spiccati connotati di soggettività, compendiandosi in un processo di parti, predisposto a tutela degli interessi delle parti stesse, ove immediatamente e concretamente lesi dall'azione pubblica;
le clausole del bando di gara e/o della lettera di invito che vincolano la p.a. ad un determinato comportamento; ancora una volta, a fini di impugnabilità occorre che il contegno oggetto del vincolo trovi concreta attuazione attraverso un arresto procedimentale, ovvero una esclusione dalla gara, ovvero ancora attraverso un diniego di aggiudicazione, unici provvedimenti (applicativi) concretamente impugnabili perché idonei a sorreggere un idoneo interesse a ricorrere in capo al partecipante;
le clausole del bando di gara e/o della lettera di invito che disciplinano composizione e funzionamento del seggio e/o della Commissione; soltanto il successivo, concreto difetto di aggiudicazione può evidenziare la concreta lesività inferta da un seggio o da una Commissione di gara o di concorso che siano stati illegittimamente costituiti o che abbiano mal operato, attraverso una ricaduta della pertinente anomalia sull'intera sequenza concorsuale;
le clausole del bando di gara e/o della lettera di invito che condizionano (anche in via indiretta) la formulazione dell'offerta economica dei concorrenti, quali quelle che disciplinano il metodo di gara o che esplicitano come saranno valutate (anche comparativamente) le singole offerte e la eventuale anomalia delle medesime, così sollecitando i partecipanti a parametrarvi le relative proposte; ancora una volta, è il concreto atto di gestione della procedura sulla scorta della clausola di lex specialis, è la concreta valutazione dell'offerta, attuativa dei criteri siccome cristallizzati nel bando, a far luogo a quell'atto applicativo negativo che compendia un effettivo vulnus per il concorrente, il solo capace di far decorrere il termine decadenziale di impugnativa (anche delle stesse prescrizioni del bando che ne costituiscono il fondamento);
le clausole del bando di gara e/o della lettera di invito che definiscono gli oneri formali ed oggettivi di partecipazione alla procedura, da assumersi ben diverse rispetto a quelle (all'opposto, e come pure precisato dall'Adunanza, immediatamente impugnabili), che prescrivono determinati requisiti soggettivi al fine di garantirsi il ridetto coinvolgimento nella procedura in parola (tipica la richiesta di previamente ottenuta "qualificazione SOA" con riferimento alla categoria dei lavori concreto oggetto dell'appalto); si tratta di clausole che non investono presupposti - quali, appunto, quelli soggettivi - riscontrabili già ante-competizione ed agevolmente verificabili anche lungo tutto il corso di essa, quanto piuttosto attività e/o adempimenti che i partecipanti debbono porre in essere nelle more della procedura medesima, sovente di non agevole accertamento ex parte publica e che comunque afferiscono alla gara o al concorso bandito (es.: produzione di specifici documenti; presentazione dell'offerta secondo specifiche modalità); anche in questo caso, a meno di non voler procedere ad autonomizzare oltremodo un interesse (quello, consueto, alla legittimità e speditezza delle condizioni di gara) che in realtà è una mera proiezione dell'interesse al bene della vita connesso alla competizione partecipata, occorre ricondurre la decorrenza del termine di impugnativa al momento in cui la lesione si concretizza in capo al ricorrente, giusta la relativa esclusione dalla procedura ovvero il relativo diniego di aggiudicazione o di utile collocamento in graduatoria, anche al fine di non aggravarne l'inviolabile diritto di difesa (art.24 Cost.) con l'additare quale "onere di immediata impugnativa" quella che è e resta una semplice facoltà di subitaneo gravame.
In conclusione, per il Consiglio si può - e tuttavia non si deve - impugnare tempestivamente qualunque clausola di lex specialis diversa da quelle che prevedono requisiti soggettivi di partecipazione alla procedura, capaci queste ultime di ledere illico et immediate la posizione del concorrente e come tali necessariamente da gravarsi nel noto termine di decadenza.
Poiché peraltro nel caso di specie il bando è stato impugnato tempestivamente dalla Zecchina spa, il Supremo Consesso ritiene di poter soprassedere - per difetto di rilevanza - dalla ulteriore questione, pure sottopostagli, concernente la sorte delle clausole di bandi non tempestivamente impugnate e contrastanti con disposizioni inderogabili di legge, ovvero con norme di ascendenza comunitaria, con riferimento in particolare al pur da più parti ventilato potere di disapplicazione da riconoscersi in simili fattispecie al giudice amministrativo.
Le puntualizzazioni operate con riferimento al se e al quando della necessaria immediata gravabilità delle clausole di lex specialis offre dunque al Collegio il destro per respingere il primo motivo di appello avanzato dall'Amministrazione municipale campana: il ricorso di primo grado della Zecchina spa non potrebbe assumersi inammissibile per non avere la medesima impugnato la clausola del bando concernente la automatica esclusione, per anomalia, di offerte il cui ribasso fosse superiore alla media di tutti i ribassi aumentata del 7%; simile clausola afferisce infatti ai criteri di valutazione dell'offerta (e della relativa anomalia) palesandosi come tale capace di vulnerare le posizioni dei relativi destinatari solo attraverso l'atto applicativo di esclusione, che tali destinatari concretamente e specificamente identifica.
E' tempo allora per l'Adunanza di sciogliere l'altro nodo decisionale connesso al secondo motivo di gravame sollevato dal Comune di Aversa, fondantesi sulla presunta improcedibilità del ricorso interposto in prime cure dalla Zecchina spa (avverso la nota esclusione), al cospetto di un'opera pubblica in gara già compiutamente realizzata dall'ATI Marino.
Più in specie, la V Sezione aveva chiesto al Supremo Consesso di pronunciarsi su due significative questioni:
la eventuale sussistenza di una "pregiudiziale amministrativa", onde non può invocarsi il risarcimento dei danni se non si sia provveduto nei termini ad impugnare il provvedimento illegittimo fonte del pregiudizio del quale si chiede il ristoro (nella specie, il provvedimento di esclusione dell'offerta per anomalia della stessa e la pertinente clausola del bando, dal che è disceso il "diniego di aggiudicazione" della gara);
la possibilità di ventilare la improcedibilità e/o inammissibilità di una domanda demolitoria intentata avverso il provvedimento di aggiudicazione di un appalto - assunto come illegittimo - ogniqualvolta l'opera appaltata sia già stata realizzata.
La prima delle divisate questioni, quella ovvero concernente la presunta "pregiudizialità amministrativa", viene ancora una volta sciolta dalla Plenaria con un non liquet per difetto di rilevanza, così come era accaduto già con la precedente pronuncia n.8 del 2002, pubblicata sulle colonne di questa Rivista con commento di chi scrive (nonché in corso di pubblicazione sul consueto Annuario cartaceo a cura di Bacosi G. "Consiglio di Stato. Decisioni in Adunanza Plenaria dell'anno 2002").
Nel caso di specie infatti la ricorrente aveva impugnato tempestivamente tanto l'atto di esclusione della relativa offerta per presunta anomalia, quanto la presupposta clausola del bando, quanto ancora il conseguente diniego di aggiudicazione, sicché la "conseguente" domanda risarcitoria non avrebbe potuto che assumersi pienamente ammissibile e procedibile.
Viene invece affrontata ex professo dal Consiglio la seconda delle questioni supra menzionate, quella cioè investente la procedibilità (o meno) di un ricorso interposto avverso il provvedimento amministrativo di aggiudicazione a terzi di un appalto, nel caso in cui l'opera oggetto della competizione sia già stata integralmente realizzata dall'aggiudicatario controinteressato.
A tal proposito, l'Adunanza si dà cura in primo luogo di rappresentare come la giurisprudenza delle Sezioni semplici si sia attestata nel senso di ritenere procedibile il detto ricorso al cospetto della prova, ex parte actoris, di un proprio interesse (anche solo) morale alla demolizione del provvedimento di aggiudicazione; né è mancata qualche pronuncia (così la decisione 2117.99 della V Sezione) intesa ad fondare la procedibilità del ricorso avverso gli atti della gara sotto il profilo della possibilità per il ricorrente, in caso di successo nella sede demolitoria, di intentare un successivo giudizio risarcitorio inteso al ristoro del pregiudizio infertogli dal sostanziale diniego del bene della vita (aggiudicazione) perseguito..
E' proprio quest'ultima la soluzione fatta propria dal Supremo Consesso Amministrativo, che afferma pienamente procedibile il ricorso intentato dal concorrente all'appalto avverso gli atti della gara che lo ha visto pretermesso, quand'anche l'opera pubblica sia già stata realizzata dall'(asseritamente) illegittimo aggiudicatario, non già sulla semplice scorta di argomenti latamente "etici" (interesse "morale"), quanto piuttosto in funzione delle chances risarcitorie certamente configurabili in capo al ricorrente in caso di ottenuto successo nella sede demolitoria, oltrechè in forza della riconosciuta possibilità, da parte di quegli, di intraprendere non meglio precisate, ulteriori ".iniziative volte a reintegrare la situazione soggettiva lesa".
Movendosi nel solco di un apprezzabile schematismo logico, il Collegio parte dalla considerazione onde il concorrente ad un gara di appalto, fattosi successivo ricorrente, miri nella sostanza a garantirsi quel "bene della vita" che va sotto il nome di aggiudicazione dell'appalto medesimo.
E' evidente come l'annullamento degli atti - in testa a tutti, dell'aggiudicazione a terzi, ma anche della stessa esclusione della propria offerta - che hanno compendiato la sequenza intesa all'affidamento del contratto si configuri in prima battuta funzionale ad ottenere una riedizione del potere amministrativo assunto come male esercitato, onde assicurarsi quel bene della vita illegittimamente attribuito al primo aggiudicatario (ovvero, non ancora attribuito ad alcuno dei concorrenti).
Quando l'opera pubblica risulti - all'opposto - già realizzata dall'illegittimo aggiudicatario, il concorrente leso non perde l'interesse a coltivare il ricorso a suo tempo spiccato in sede demolitoria (non arenatosi, per ciò solo, nelle "secche" della improcedibilità per sopravvenuta carenza di tale interesse), dovendosi assumere piuttosto semplicemente trasfigurata in risarcitoria la tecnica di tutela della quale potrà avvalersi al fine di ottenere la monetizzazione del bene della vita illegittimamente negatogli.
Potrà pertanto il medesimo intentare un'azione di danni; ma potrà lo stesso anche farsi promotore di ogni più opportuna (anche se non puntualmente specificata dal Collegio) "iniziativa" intesa ad eliminare dall'orbe del giuridicamente rilevante il contratto intercorso tra stazione appaltante ed illegittimo aggiudicatario:
- sollecitando una iniziativa giurisdizionale all'uopo della ridetta stazione ove tale contratto si assuma meramente annullabile;
- ovvero intraprendendo egli stesso un'autonoma, ulteriore iniziativa giurisdizionale al fine, secondo altro e minoritario orientamento, di vederne dichiarata la nullità.
Esclusa difatti qualche specifica rara avis, rammenta l'Adunanza come l'impugnativa degli atti di gara ponga in genere la rilevante e, per certi versi, tradizionale questione dei rapporti che intercorrono tra l'annullamento ad opera del g.a. dell'aggiudicazione e le sorti (ancora affidate al g.o., fatta esclusione per i profili attinenti al risarcimento del danno eventualmente spettante al ricorrente) del contratto stipulato con l'illegittimo aggiudicatario.
In proposito, la posizione assolutamente maggioritaria è quella che poggia sulla presunta efficacia meramente invalidante della demolita aggiudicazione sul contratto stipulato con l'aggiudicatario, nel senso onde verrebbe a configurarsi un vizio di formazione della volontà dell'Amministrazione appaltante, traducentesi in un vizio di capacità della stessa, da farsi valere ad esclusivo abbrivio della stazione appaltante, alla stregua dei principi che regolano l'annullamento del contratto.
La soluzione si regge, fundatim, su due sostanziali postulati:
l'aggiudicazione dell'appalto ha natura bifronte, autoritativa e negoziale, sicchè gli atti che inficiano la procedura che a tale aggiudicazione abbia condotto rendono annullabile per derivazione l'aggiudicazione in senso autoritativo, e ad un tempo rendono viziata per incapacità l'aggiudicazione medesima intesa in senso negoziale;
le norme dell'evidenza pubblica sono poste non già a presidio di un interesse generale, quanto piuttosto di un interesse proprio della p.a. procedente, sicchè è quest'ultima l'unica legittimata a far valere (giusta un'autonoma azione d'annullamento contrattuale innanzi al g.o.) eventuali vizi della propria volontà e/o capacità.
Salvo pertanto il più grave caso di autentico straripamento di potere, capace di implicare la nullità del contratto (concluso, ad esempio, da un'Amministrazione che è diversa da quella che ha bandito ed espletato la procedura), anche la Cassazione si è da tempo attestata su posizioni intese a riconoscere meramente annullabile ad istanza della (sola) p.a., per vizio di formazione del relativo consenso, il ridetto contratto, ove seguito ad una aggiudicazione poi dichiarata illegittima dal g.a..
I precipitati di simile opzione ermeneutica sono evidenti:
solo l'Amministrazione può chiedere l'annullamento di un contratto di appalto seguito ad aggiudicazione illegittima;
i partecipanti alla gara illegittimamente pretermessi, anche a seguito dell'accertamento di detta illegittimità all'uopo invocato e ottenuto, con sentenza in giudicato, dal g.a., possono solo sollecitare la parte pubblica a spiccare l'azione demolitoria (di annullamento) in sede civile;
il contratto di appalto beneficia in tal modo di una indubbia stabilità;
controbilanciata, nondimeno, da quella inopinata, sostanziale vanificazione dell'effetto conformativo riconoscibile alla sentenza con la quale il g.a. ebbe ad annullare la illegittima aggiudicazione, vanificazione di recente accortamente denunciata dal Tar Campania con la sentenza della I Sezione n.3177.02.
Eppur (qualcosa) si muove.
Rammenta l'Adunanza come la stessa Cassazione, con una recente decisione della III Sezione del 2002 (n.193), abbia affermato che nel caso in cui l'autorizzazione da parte del competente organo della p.a. alla stipula di un contratto con un privato venga dipoi annullata dall'organo deputato al relativo controllo di legittimità, il contratto nelle more eventualmente stipulato dalla p.a. controllata è da intendersi non già meramente annullabile, quanto piuttosto nullo; in sostanza, il potere demolitorio esercitato in sede di controllo (al quale può ben essere assimilato quello giurisdizionale del g.a., esercitato sul sollecitazione del privato ricorrente), è in grado di spiegare effetti non già semplicemente invalidanti, quanto piuttosto caducanti sul contratto medio tempore stipulato dall'Amministrazione e poggiante sulla efficacia di provvedimenti riconosciuti illegittimi.
La più grave sanzione della nullità sarebbe immediata e diretta conseguenza dell'applicazione alla fattispecie degli articoli 1325 n.1 e 1418 comma 2° cc, stante il sostanziale difetto di accordo tra le parti pubblica e privata, capace di palesare una insanabile patologia strutturale del contratto intercorso tra l'Amministrazione e l'interlocutore privato.
Tanto il recente arresto della Cassazione, quanto la pur recentissima presa di posizione del Tar partenopeo supra menzionata sospingono allora il Supremo Consesso ad assumere quantomeno quale oggetto di una "attenta riflessione" l'innovativo trend pretorio che va profilandosi all'orizzonte, moventesi nel senso di riconoscere all'intervenuto annullamento dell'aggiudicazione ad opera del g.a. efficacia caducante (e non già meramente invalidante) sul contratto stipulato tra la stazione appaltante e l'illegittimo aggiudicatario; contratto peraltro da riguardarsi come nullo anche giusta il relativo, acclarato contrasto con le regole che disciplinano l'esaurito procedimento di evidenza pubblica.
Mette conto peraltro precisare, per incidens, come il Tar vesuviano - sospinto da un irrefrenabile afflato garantistico - abbia fatto di più della Cassazione: mosso (anche) dalla necessità di assicurare il primato del diritto comunitario, e facendo espresso riferimento agli articoli 2, 3 e 4 del Trattato sull'Unione, ha finito con l'affermare la giurisdizione esclusiva del g.a. non già soltanto sulla procedura di affidamento del contratto e sulle connesse ricadute risarcitorie, ma financo sulla sorte (nullità) dello stesso contratto eventualmente stipulato all'esito della ridetta procedura, al fine di assicurare al ricorrente una tutela piena ed effettiva delle relative posizioni asseritamente lese.
L'Adunanza, dopo aver rammentato come - al fine di verificare tanto la giurisdizione sulle ridette controversie, quanto i più attendibili effetti spiegati sul contratto dall'intervenuto annullamento della previa aggiudicazione, anche in rapporto a possibili istanze risarcitorie - significative si appalesino non solo le disposizioni di cui alla nota "Direttiva-ricorsi" 89.665.CEE ma anche le prescrizioni contenute nell'art.1 della legge 443.01 e nell'art.14 del decreto legislativo 190.02, evita peraltro di prendere esplicita posizione sul punto, ancora una volta per difetto di rilevanza della questione.
Invero, il fatto stesso che si discuta nelle aule su quale sia il mezzo più idoneo al fine di ottenere la eliminazione dal giuridicamente rilevante di un contratto fondato su una aggiudicazione illegittima non può, per l'Adunanza, che confermare la sussistenza di un interesse del partecipante pretermesso a coltivare un giudizio avverso gli atti della procedura quand'anche l'opera sia stata già interamente realizzata dall'illegittimo aggiudicatario.
L'eventuale successo sarà infatti idoneo ad aprirgli la strada del risarcimento del danno e/o di "ogni più opportuna iniziativa" eventualmente intentabile avverso l'invalido (annullabile ? nullo ?) contratto.
Dopo il secondo, anche il terzo motivo di gravame interposto dal Comune di Aversa, concernente il merito della controversia, viene alfine respinto sulla scorta delle seguenti considerazioni:
- l'art.17 della legge 77.88 ha introdotto il criterio della automatica esclusione delle offerte anomale nei contratti di appalto di opere pubbliche;
- la pronuncia n.103.88 del 28 giugno 1989 della Corte di Giustizia ha tuttavia riconosciuto tale disposizione in contrasto col diritto comunitario;
- il successivo decreto legge 65.89, convertito in legge 155.89, ha allora abrogato, all'art.2.bis, la disposizione in frizione col contesto precettivo sopranazionale, imponendo alle stazioni appaltanti la necessaria valutazione di anomalia dell'offerta ai sensi dell'art.24 della legge 584.77 e dell'art.5 della legge 14.73;
- la medesima disposizione ha previsto, in via transitoria, la possibilità di procedere ad una esclusione automatica delle offerte anomale in determinati casi, purchè il numero di concorrenti sia comunque almeno di 15;
- la fattispecie vagliata dal Supremo Consesso rientra tra quelle alle quali è applicabile il regime transitorio; nondimeno, stante la partecipazione in concreto alla competizione di appena 4 ditte, l'Amministrazione non avrebbe potuto in ogni caso procedere alla esclusione automatica dell'offerta della Zecchina spa, senza una previa valutazione della relativa anomalia.
Né potrebbe giovare al Comune appellante il fatto che, a seguito della lettura dei vari punteggi alle ditte partecipanti, si sia fatta registrare una breve dialettica tra la Commissione ed i rappresentanti della Zecchina spa, con ad oggetto l'offerta di quest'ultima; l'Amministrazione deve infatti ritenersi tenuta ad una ben diversa, attenta valutazione delle modalità di composizione dell'offerta assunta come anomala; valutazione che deve tradursi a propria volta in una "puntuale e motivata indicazione della ragioni di inattendibilità" dell'offerta in parola.
Viene dunque decretato il pieno successo della linea difensiva abbracciata dalla appellante Zecchina spa.
3. Spunti di riflessione.
Anno nuovo, questioni vecchie, tecniche decisorie collaudate. E pienamente condivisibili, per giunta.
Il calamo riprende difatti laddove si era fermato, a fine 2002, con la decisione n.8: non ha senso per la Plenaria prendere posizione, magari sbrigativamente e con obiter all'uopo, su questioni che si palesino rilevantissime in sé, e tuttavia non significative ai fini dello sbroglio della singola matassa giudiziaria.
E così, nel caso di specie fa (giustamente) difetto l'indicazione di pur opportune e da più parti invocate guide lines con riferimento a tre questioni una più emblematica dell'altra:
qual è la sorte delle clausole di un bando di gara (o di una lettera di invito: più genericamente, di una lex specialis) che si pongano in contrasto con disposizioni imperative di legge, interna o più spesso comunitaria ? Possono essere disapplicate ope iudicis in difetto di tempestiva impugnazione, ove quest'ultima si riveli necessaria ?
occorre necessariamente gravare nei termini il provvedimento lesivo ed ottenerne il previo annullamento da parte del giudice amministrativo al fine di vedersi risarcito il pregiudizio al medesimo riconducibile ? (è esattamente la medesima questione già irrilevante in seno alla pronuncia n.8 del 2002);
qual è la sorte del contratto stipulato con l'aggiudicatario nel caso in cui gli atti della gara, e per tutti l'aggiudicazione, siano stati demoliti dal g.a. su ricorso interposto all'uopo dall'interessato pretermesso ? L'efficacia è meramente invalidante (annullabilità), ovvero più propriamente caducante (nullità) ?
Delle tre, l'ultima appare la questione sulla quale l'attenzione del Collegio, pur in costanza del noto - ed alfine puntualmente registrato - deficit di rilevanza rispetto alle concrete coordinate del decidere, appare essersi soffermata maggiormente, lasciando ventilare spiragli innovativi, sull'onda dei recenti arresti datati 2002 del Tar Campania, da un lato, e della Suprema Corte di Cassazione, dall'altro.
Il privato pretermesso dalla competizione funzionale all'affidamento di un appalto ha interesse, dunque, all'annullamento dell'aggiudicazione, e degli atti che la presuppongono (a partire da eventuali, illegittime clausole del bando di gara o della lettera di invito), quand'anche l'opera sia stata compiutamente realizzata dall'aggiudicatario controinteressato, stante la possibilità non già solo di ottenere il "conseguente" risarcimento del danno, ma financo - pare arguirsi con sufficiente plausibilità dalle parole del Collegio - di intraprendere "ulteriori iniziative", prima fra tutte, è da intendersi, quella strumentale alla declaratoria di nullità del contratto di appalto intercorso tra la stazione appaltante ed il ridetto aggiudicatario.
E' infatti questo il sostanziale discrimen tra
- l'opzione che assume una efficacia meramente "invalidante", sullo stipulato contratto, della previa avvenuta demolizione (dietro ricorso all'uopo) degli atti di gara, con in testa l'aggiudicazione; l'annullamento del contratto per difetto di capacità e/o vizio della volontà può essere chiesto in tali evenienze dalla sola p.a. appaltante al giudice ordinario (appare francamente coraggioso, al cospetto di precise coordinate ordinamentali in senso opposto, pensare ad una giurisdizione esclusiva del g.a. estesa anche al contratto, pur senz'altro giovevole alle ragioni di tutela del ricorrente);
- e quella, prima facie più cara alla Plenaria, all'opposto intesa a scorgere nel contratto seguito ad aggiudicazione previamente annullata un patto sostanzialmente nullo ("caducato") per difetto di accordo delle parti e contrarietà alle norme che disciplinano le gare pubbliche; la declaratoria di detta nullità appare allora appannaggio di una legittimazione generalizzata secondo le consuete regole civilistiche (cfr. il già menzionato art.1421 cc); una legittimazione capace di individualizzarsi massime nella persona del concorrente illegittimamente pretermesso (e iniure danneggiato), parendo peraltro in qualche modo valorizzabile in capo al g.a., in sede di impugnativa degli atti di gara, il noto potere di rilevazione d'ufficio previsto dall'art.1421 cc.
Senonchè non v'è questione teorica - specie se giuridica - che non subisca - quanto ad imprescindibile verifica di plausibilità delle relative, più autentiche coordinate - le strettoie del "momento" pratico.
E se
- a) nel caso in cui l'opera pubblica sia stata solo parzialmente realizzata dal primigenio, illegittimo aggiudicatario, al concorrente pretermesso vincitore in sede demolitoria - stante anche la tendenza pretoria (di recente affiorata presso le Sezioni semplici) nel senso di ritenere in seno al processo amministrativo la reintegrazione in forma specifica "la regola" e quella per equivalente "l'eccezione" (esattamente all'opposto di quanto previsto dall'art.2058 cc per il diritto civile strettamente inteso) - sarà anche in astratto possibile ottenere l'aggiudicazione per la parte relitta d'opera medesima, complementare al risarcimento del danno per la frazione non edificata (comunque peraltro da prezzarsi a spese della p.a. nei confronti di chi la realizzò);
- nel diverso caso in cui l'originario affidatario del contratto abbia interamente realizzato la divisata opera pubblica, palesandosi quantomeno proibitivo pensare alla possibilità di una relativa demolizione e successiva neorealizzazione a cura del ricorrente originariamente pretermesso (come dimostra la stessa parabola della c.d. occupazione appropriativa), a quest'ultimo non rimarrà - anche dopo l'ottenuta declaratoria di nullità del contratto concluso con l'aggiudicatario controinteressato - che invocare il risarcimento dei danni dalla stazione appaltante (comunque, al solito e onde evitare indebiti arricchimenti, tenuta al pagamento dell'opera nei confronti di chi - illegittimamente - la realizzò sulla scorta dell'originaria aggiudicazione, e fatto salvo anche in questo caso ogni ulteriore eventuale profilo risarcitorio connesso alla conclusione d'un contratto nullo).
L'effetto "caducante" insomma, nell'eventualità di una completa realizzazione dell'opera pubblica appaltata, al di là della palmare duplicazione di oneri gravante sulla p.a. che bandì la gara - tenuta al pagamento dell'opera e, forse, al risarcimento del danno, ove configurabile, nei confronti dell'originario aggiudicatario; e tenuta altresì al certo ristoro del pregiudizio nei confronti di chi non ottenne illegittimamente l'agognato "bene della vita" dell'aggiudicazione - non sposta i termini della tutela, meramente risarcitoria - erogabile a quest'ultimo.
Ne discende che, bypassando per un momento l'incerta figura del c.d. "interesse morale" all'annullamento dell'aggiudicazione illegittima a terzi, è comunque massime l'anelito risarcitorio a sorreggere il processo inteso a veder demoliti gli atti della gara e l'affidamento al terzo controinteressato del noto contratto.
Ulteriore precipitato d'un simile argomentare appare allora quello onde, anche al fondo della vexata quaestio investente gli effetti dell'annullamento della competizione sul contratto che ha decretato (e disciplinato in concreto) l'affidamento dell'appalto a terzi rimane l'altra, vieppiù rilevante, investente la c.d. "pregiudiziale amministrativa"; ché ove si ritenga l'azione risarcitoria affatto sganciata da quella demolitoria, l'interesse ad ottenere il risarcimento del danno che sorregge chi agisce contro una illegittima aggiudicazione potrebbe non esser più idoneo (proprio perché autonomo ed autonomamente attivabile in giudizio) a fondare il ricorso demolitorio avverso la aggiudicazione di un'opera pubblica ormai compiutamente realizzata dal controinteressato.
Si tratta di spunti che meriterebbero approfondimenti, ma al momento pare più opportuno fermarsi qui.
Piuttosto, qualche chiara presa di posizione si rinviene eccome nella pronuncia in commento, come nel caso della definizione della (unica) fattispecie in cui è un onere - e non già una facoltà - per chi se ne assuma leso, intraprendere una tempestiva iniziativa giurisdizionale avverso il bando e/o la lettera di invito con la quale l'Amministrazione dà l'abbrivio ad una procedura concorsuale.
La soluzione (sono tosto e di necessità impugnabili le sole prescrizioni della lex specialis che "fotografano" il novero dei possibili partecipanti alla competizione, escludendone altri non in possesso di determinati requisiti soggettivi: quelli appunto legittimati ad impugnare) affonda le sue radici nella più volte e da più parti evidenziata contiguità tra diritto sostanziale e processuale che connota il settore ordinamentale amministrativo.
Per il Supremo Consesso occorre prendere le mosse dall'interesse a ricorrere; che, ad onta delle note (e di certo fuorvianti, quantunque in perfetta buona fede) tesi guicciardiane differisce tanto dalla situazione giuridica sostanziale fatta valere in giudizio quanto dalla connessa legittimazione ad agire.
E' anzi oltremodo apprezzabile verificare come l'Adunanza, abbandonata la pluridecennale, equivoca confusione tra interesse legittimo (sostanziale) ed interesse a ricorrere (processuale), spenda qualche rigo per nettamente distinguere
- la legittimazione ad agire, dalla migliore dottrina additata quale affermazione in giudizio della titolarità di una determinata situazione giuridica (diritto soggettivo o interesse legittimo, sempre che quest'ultimo effettivamente rappresenti in qualche modo qualcosa di "altro" dal primo.)
- dall'interesse ad agire, quale affermazione d'un perpetrato vulnus nei confronti della ridetta situazione giuridica soggettiva, e della conseguente aspirazione ad una relativa tutela, efficace e tempestiva, ad opera del giudice.
In fondo, ogni situazione giuridica soggettiva sottende un interesse umano, inteso come tensione nei confronti di un bene della vita percepito come atto a soddisfare un proprio bisogno (la Plenaria, nel contesto letterale della pronuncia epigrafata, sovente si sofferma sull'aggiudicazione quale "bene della vita" cui concretamente anela l'imprenditore partecipante alla gara di appalto); non fa eccezioni l'inviolabile diritto, costituzionalmente garantito (art.24 Cost.), alla tutela giurisdizionale, alle cui radici si pone l'interesse (strumentale) a quel peculiare bene della vita che è la tutela giurisdizionale, finalizzata a soccorrere secundum legem chi agisce affermando di aver subito una lesione cui non potrebbe autonomamente rimediare senza incorrere financo in un reato (esercizio arbitrario delle proprie ragioni: artt.392 e 393 cp).
Considerazioni, queste sull'interesse al ricorso, decisamente sorrette, oltrechè in qualche modo ispirate, da quel chiaro quanto emblematico passaggio motivazionale nel cui contesto la giurisdizione del g.a. viene con perentorietà additata come "soggettiva", inserendosi nel bel mezzo di un processo "di parti".
Proprio l'interesse ad agire (rectius, a ricorrere) - presupponendo l'affermazione di una subita lesione, concreta ed attuale, ad una propria posizione giuridica soggettiva quale è quella compendiantesi nella tensione verso l'affidamento del contratto (breviloquendo, l'Adunanza parla di "diniego di aggiudicazione") - costituisce la miglior guida al fine di individuare con precisione quando effettivamente le maglie dei termini decadenziali debbano ritenersi perigliosamente astringere chi intenda contestare le clausole d'un bando di concorso (per le esemplificazioni si rinvia, supra, alla esposizione della narrativa decisoria).
Prima di chiudere, l'ennesimo motivo di interesse dell'emblematica pronuncia in commento, tutt'altro che trascurabile in specie da chi consideri schemi e classificazioni, ove ben congegnati, come efficaci armi per combattere la spesso difficile battaglia della comprensione giuridica.
E' in quest'ottica che, enciclopedicamente, viene dall'autorevole Collegio rammentata la differenza che corre tra atti normativi ed atti amministrativi generali; pur entrambi rivolgentisi a destinatari indeterminati, ma in futuro determinabili,
- nei primi campeggiano le potenzialità innovative dell'ordinamento,
- mentre nei secondi è la cura concreta dell'interesse pubblico, seppure a livello di astratta e diffusa "generalità", a porsi in primo piano.
Mette conto considerare come peraltro elementi dell'uno siano compresenti nell'altro e viceversa, seppure in percentuali reciprocamente minoritarie.
Così, non si può negare ad un regolamento (atto normativo) la idoneità a perseguire interessi pubblici, primo fra tutti, sovente, quello di fornire una disciplina di dettaglio rispetto a quanto prescritto in sede normativa primaria; né può discutersi in ordine ad un non del tutto trascurabile tasso di "innovatività" del sistema (seppure destinato ad operare in un torno diacronico decisamente limitato) anche in capo ai c.d. atti amministrativi generali, come dimostra - non foss'altro - lo stesso epiteto "lex specialis", quale tradizionalmente assiste tanto il bando di gara o di concorso quanto la lettera di invito ad una competizione che veda campeggiare una valutazione comparativa dei partecipanti.
Le categorie, come denunciato, sono importanti anche nel diritto. Guai, nondimeno, a prenderle troppo sul serio...